In questa rubrica abbiamo parlato a lungo sia dei processi attraverso i quali la conoscenza viene costruita e accumulata attraverso la letteratura scientifica, in particolare la peer review e il principio della riproducibilità, sia dei loro limiti, problemi e distorsioni. Non abbiamo però mai descritto in dettaglio come è fatto l’oggetto principale di tutto questo: l’articolo scientifico. Chi non si occupa professionalmente di scienza difficilmente avrà mai necessità (o neanche occasione) di leggerne uno, ma capire come è fatto fornisce un meraviglioso Bignami su molti dei concetti affrontati finora.
Proviamo quindi a rimediare: è una faccenda lunga, perciò cominciamo in questo numero per finire nel prossimo. Useremo come esempio un articolo di ricerca epidemiologica[1], che da un lato ha il vantaggio di essere molto corto e ben strutturato, dall’altro tratta un tema intrigante per i lettori di Query: la correlazione tra la fase della Luna e l’emorragia cerebrale da rottura di aneurisma subaracnoideo, un tipo di ictus. Per farla corta, lo studio non trova alcuna correlazione, ma la storia della ricerca è interessante di per sé e avremo occasione di parlarne un’altra volta.
Un articolo scientifico ha tre funzioni principali. La prima, e più ovvia, è di portare a conoscenza della comunità scientifica il risultato di una ricerca, che potrà essere usato come base per ulteriori studi o sfruttato per applicazioni pratiche. La seconda funzione è descrivere dettagliatamente non solo il risultato stesso, ma anche tutte le procedure e le informazioni che sono state necessarie per ottenerlo. In questo modo si mette la comunità scientifica nelle condizioni di poter verificare l’operato degli autori e cercare di riprodurlo; come abbiamo osservato più volte, questo è un passo fondamentale per la “validazione” del risultato. Infine, la pubblicazione permette di certificare l’importanza del contributo dato dagli autori ai risultati pubblicati.
Condizione indispensabile perché un articolo assolva alle sue funzioni è però che esso raggiunga i suoi potenziali lettori e venga letto; il problema è che ogni giorno, se si mettono insieme tutte le discipline scientifiche, nel mondo vengono pubblicati un milione e mezzo di articoli scientifici: una media di uno ogni venti secondi. Naturalmente un ricercatore è quasi esclusivamente interessato alle pubblicazioni della sua disciplina, e difficilmente un fisico nucleare leggerà un paper di epigenetica (anche perché con tutta probabilità farebbe fatica a capirci qualcosa), ma anche così leggere tutto quello che viene pubblicato è impossibile.
È per questo che il contenuto di un articolo scientifico è classificato in vari modi e poi descritto per ben tre volte, via via con maggiori dettagli.
Innanzitutto, in cima alla prima pagina si trova il titolo della rivista su cui l’articolo è pubblicato, insieme con alcuni numeri di cui capiremo la funzione tra un attimo: in questo caso troviamo
«Clinical Neurology and Neurosurgery 111 (2009) 352–353»
Il titolo della rivista è riportato sopra ogni articolo perché la rivista esiste come vero e proprio fascicolo di carta solo nelle biblioteche, a meno che non sia una rivista solo online, e generalmente si scaricano dal web e si stampano (o un tempo si fotocopiavano) solo le pagine dell’articolo che si vogliono leggere. Subito dopo il titolo della rivista, che fornisce una primissima classificazione per argomento dell’articolo, si trova il numero progressivo (nel caso di riviste che hanno molte uscite all’anno i numeri possono essere due: il “volume” e il “fascicolo” all’interno del volume), l’anno di pubblicazione e i numeri di pagina corrispondenti all’articolo. Queste informazioni da sole permettono di identificare univocamente il paper, anche se non danno molti indizi sul suo contenuto.
La prima e più sintetica descrizione di quest’ultimo si trova subito sotto ed è proprio il titolo dell’articolo, che generalmente è piuttosto lungo, pedantemente descrittivo e cerca di lasciare meno spazio possibile all’immaginazione. Ci sono eccezioni: ogni tanto spunta un titolo “brillante” che cerca di attirare l’attenzione, con risultati non sempre all’altezza delle aspettative[2].
Il titolo è l’unica parte dell’articolo che la maggior parte dei lettori vedrà, generalmente sfogliando con il caffè del mattino le newsletter con le “novità della settimana” inviate via mail da qualche servizio automatico, prendendo nota di quelli potenzialmente interessanti.
Poi viene l’elenco degli autori con le rispettive affiliazioni, ossia gli istituti di ricerca per cui lavorano; in questo caso, due dipartimenti dell’Università di Vienna. Questo è importante sia per identificare univocamente gli autori (per esempio, esistono almeno due Andreas Gruber solo all’Università di Vienna; questo lavora al Dipartimento di Neurochirurgia, l’altro è un biochimico) sia perché gli istituti i ricerca sono valutati in base agli articoli pubblicati dai loro ricercatori, quindi è importante sapere che questo articolo è stato firmato da scienziati dell’Università di Vienna. Un asterisco identifica uno degli autori come “corresponding author”, cioè la persona a cui far riferimento se servono informazioni aggiuntive sulla ricerca descritta: in basso sono riportati indirizzo e-mail e numero di telefono.
Autori, titolo e riferimenti della rivista formano il “riferimento bibliografico” che viene usato per citare l’articolo; in questo caso, nella sua forma più estesa sarà qualcosa come
Daniel Mahner, Franz Maihold, Andreas Gruber, Wolfgang Schramm (2009) “Impact of the lunar cycle on the incidence of aneurysmal subarachnoid haemorrhage: Myth or reality?” Clinical Neurology and Neurosurgery 111:352–353
Riparleremo dei riferimenti quando arriveremo alla bibliografia, in fondo all’articolo. Per adesso torniamo allo scienziato che, finito il caffè, ha una prima lista di paper potenzialmente interessanti di cui potrà leggere l’abstract: una ulteriore descrizione sintetica del contenuto dell’articolo, lunga tipicamente una decina di righe. L’abstract non ha la stessa funzione del “blurb” in quarta di copertina di un romanzo giallo, in cui si cerca di creare la suspense: deve riassumere il lavoro dalle sue premesse fino alle conclusioni e alla scoperta del colpevole, in modo che il potenziale lettore si convinca che vale la pena investire il tempo necessario alla lettura approfondita del paper. A volte l’abstract è formalizzato e diviso in sezioni (come in questo caso: «obiettivi», «metodi», «risultati» e «conclusioni»), mentre altre volte è un testo libero. La scelta dipende dalle regole della rivista che pubblica l’articolo, per esempio le riviste biomediche spesso hanno abstract strutturati, mentre quelle delle scienze fisiche no.
Il terzo livello di dettaglio è, naturalmente, il corpo vero e proprio dell’articolo, ma prima di arrivarci troviamo ancora un paio di informazioni interessanti. Vicino all’abstract sono riportate la data in cui l’articolo è stato ricevuto dalla rivista, quella in cui è stata ricevuta una versione rivista per ottemperare alle richieste dei referee (i revisori che hanno provveduto alla peer review), e infine la data in cui l’articolo è stato definitivamente accettato per la pubblicazione. Queste date possono essere importanti perché fanno fede in caso di controversia, per esempio sull’attribuzione di una scoperta contesa. Sotto ci sono alcune parole chiave, scelte dagli autori o dai redattori della rivista, che possono ulteriormente servire per classificare l’articolo e cercarlo per argomento tra le migliaia che escono ogni giorno.
Oltre ovviamente ai riferimenti bibliografici, l’abstract e le parole chiave sono generalmente l’unica parte dell’articolo che è sempre gratuitamente accessibile. Da qui in poi, a meno che non si tratti di una rivista Open Access (ne abbiamo parlato nel numero 17 di Query), la lettura è riservata agli abbonati della rivista o a chi fa lo sforzo di andarla a leggere in biblioteca.
Per creare un po’ di suspense, ne parleremo nel prossimo numero.
Proviamo quindi a rimediare: è una faccenda lunga, perciò cominciamo in questo numero per finire nel prossimo. Useremo come esempio un articolo di ricerca epidemiologica[1], che da un lato ha il vantaggio di essere molto corto e ben strutturato, dall’altro tratta un tema intrigante per i lettori di Query: la correlazione tra la fase della Luna e l’emorragia cerebrale da rottura di aneurisma subaracnoideo, un tipo di ictus. Per farla corta, lo studio non trova alcuna correlazione, ma la storia della ricerca è interessante di per sé e avremo occasione di parlarne un’altra volta.
Un articolo scientifico ha tre funzioni principali. La prima, e più ovvia, è di portare a conoscenza della comunità scientifica il risultato di una ricerca, che potrà essere usato come base per ulteriori studi o sfruttato per applicazioni pratiche. La seconda funzione è descrivere dettagliatamente non solo il risultato stesso, ma anche tutte le procedure e le informazioni che sono state necessarie per ottenerlo. In questo modo si mette la comunità scientifica nelle condizioni di poter verificare l’operato degli autori e cercare di riprodurlo; come abbiamo osservato più volte, questo è un passo fondamentale per la “validazione” del risultato. Infine, la pubblicazione permette di certificare l’importanza del contributo dato dagli autori ai risultati pubblicati.
Condizione indispensabile perché un articolo assolva alle sue funzioni è però che esso raggiunga i suoi potenziali lettori e venga letto; il problema è che ogni giorno, se si mettono insieme tutte le discipline scientifiche, nel mondo vengono pubblicati un milione e mezzo di articoli scientifici: una media di uno ogni venti secondi. Naturalmente un ricercatore è quasi esclusivamente interessato alle pubblicazioni della sua disciplina, e difficilmente un fisico nucleare leggerà un paper di epigenetica (anche perché con tutta probabilità farebbe fatica a capirci qualcosa), ma anche così leggere tutto quello che viene pubblicato è impossibile.
È per questo che il contenuto di un articolo scientifico è classificato in vari modi e poi descritto per ben tre volte, via via con maggiori dettagli.
Innanzitutto, in cima alla prima pagina si trova il titolo della rivista su cui l’articolo è pubblicato, insieme con alcuni numeri di cui capiremo la funzione tra un attimo: in questo caso troviamo
«Clinical Neurology and Neurosurgery 111 (2009) 352–353»
Il titolo della rivista è riportato sopra ogni articolo perché la rivista esiste come vero e proprio fascicolo di carta solo nelle biblioteche, a meno che non sia una rivista solo online, e generalmente si scaricano dal web e si stampano (o un tempo si fotocopiavano) solo le pagine dell’articolo che si vogliono leggere. Subito dopo il titolo della rivista, che fornisce una primissima classificazione per argomento dell’articolo, si trova il numero progressivo (nel caso di riviste che hanno molte uscite all’anno i numeri possono essere due: il “volume” e il “fascicolo” all’interno del volume), l’anno di pubblicazione e i numeri di pagina corrispondenti all’articolo. Queste informazioni da sole permettono di identificare univocamente il paper, anche se non danno molti indizi sul suo contenuto.
La prima e più sintetica descrizione di quest’ultimo si trova subito sotto ed è proprio il titolo dell’articolo, che generalmente è piuttosto lungo, pedantemente descrittivo e cerca di lasciare meno spazio possibile all’immaginazione. Ci sono eccezioni: ogni tanto spunta un titolo “brillante” che cerca di attirare l’attenzione, con risultati non sempre all’altezza delle aspettative[2].
Il titolo è l’unica parte dell’articolo che la maggior parte dei lettori vedrà, generalmente sfogliando con il caffè del mattino le newsletter con le “novità della settimana” inviate via mail da qualche servizio automatico, prendendo nota di quelli potenzialmente interessanti.
Poi viene l’elenco degli autori con le rispettive affiliazioni, ossia gli istituti di ricerca per cui lavorano; in questo caso, due dipartimenti dell’Università di Vienna. Questo è importante sia per identificare univocamente gli autori (per esempio, esistono almeno due Andreas Gruber solo all’Università di Vienna; questo lavora al Dipartimento di Neurochirurgia, l’altro è un biochimico) sia perché gli istituti i ricerca sono valutati in base agli articoli pubblicati dai loro ricercatori, quindi è importante sapere che questo articolo è stato firmato da scienziati dell’Università di Vienna. Un asterisco identifica uno degli autori come “corresponding author”, cioè la persona a cui far riferimento se servono informazioni aggiuntive sulla ricerca descritta: in basso sono riportati indirizzo e-mail e numero di telefono.
Autori, titolo e riferimenti della rivista formano il “riferimento bibliografico” che viene usato per citare l’articolo; in questo caso, nella sua forma più estesa sarà qualcosa come
Daniel Mahner, Franz Maihold, Andreas Gruber, Wolfgang Schramm (2009) “Impact of the lunar cycle on the incidence of aneurysmal subarachnoid haemorrhage: Myth or reality?” Clinical Neurology and Neurosurgery 111:352–353
Riparleremo dei riferimenti quando arriveremo alla bibliografia, in fondo all’articolo. Per adesso torniamo allo scienziato che, finito il caffè, ha una prima lista di paper potenzialmente interessanti di cui potrà leggere l’abstract: una ulteriore descrizione sintetica del contenuto dell’articolo, lunga tipicamente una decina di righe. L’abstract non ha la stessa funzione del “blurb” in quarta di copertina di un romanzo giallo, in cui si cerca di creare la suspense: deve riassumere il lavoro dalle sue premesse fino alle conclusioni e alla scoperta del colpevole, in modo che il potenziale lettore si convinca che vale la pena investire il tempo necessario alla lettura approfondita del paper. A volte l’abstract è formalizzato e diviso in sezioni (come in questo caso: «obiettivi», «metodi», «risultati» e «conclusioni»), mentre altre volte è un testo libero. La scelta dipende dalle regole della rivista che pubblica l’articolo, per esempio le riviste biomediche spesso hanno abstract strutturati, mentre quelle delle scienze fisiche no.
Il terzo livello di dettaglio è, naturalmente, il corpo vero e proprio dell’articolo, ma prima di arrivarci troviamo ancora un paio di informazioni interessanti. Vicino all’abstract sono riportate la data in cui l’articolo è stato ricevuto dalla rivista, quella in cui è stata ricevuta una versione rivista per ottemperare alle richieste dei referee (i revisori che hanno provveduto alla peer review), e infine la data in cui l’articolo è stato definitivamente accettato per la pubblicazione. Queste date possono essere importanti perché fanno fede in caso di controversia, per esempio sull’attribuzione di una scoperta contesa. Sotto ci sono alcune parole chiave, scelte dagli autori o dai redattori della rivista, che possono ulteriormente servire per classificare l’articolo e cercarlo per argomento tra le migliaia che escono ogni giorno.
Oltre ovviamente ai riferimenti bibliografici, l’abstract e le parole chiave sono generalmente l’unica parte dell’articolo che è sempre gratuitamente accessibile. Da qui in poi, a meno che non si tratti di una rivista Open Access (ne abbiamo parlato nel numero 17 di Query), la lettura è riservata agli abbonati della rivista o a chi fa lo sforzo di andarla a leggere in biblioteca.
Per creare un po’ di suspense, ne parleremo nel prossimo numero.
Note
1) D. Mahner et al., “Impact of the Lunar Cycle on the Incidence of Aneurysmal Subarachnoid Haemorrhage: Myth or Reality?” Clinical Neurology and Neurosurgery 111:352–353 (2009)
2) A. Nazir, L.C. Runyon, S. Chowdhary, “From Urethra With Shove: Bladder Foreign Bodies. A Case Report and Review”, Journal of the American Geriatrics Society 54(9):1477–1478 (2006)