Abbiamo fin qui esaminato i presupposti alla base della terapia ideata da Manners e i processi fisici attraverso cui si esplicherebbe la sua azione. A onor del vero bisogna però dire che la sonoterapia non elaborò ex novo tutti quei principi da cui prese poi le mosse; si sviluppò infatti su di un terreno fertile, in cui erano già stati gettati alcuni semi provenienti da un’altra disciplina. Si è già detto dei sinonimi che la sonoterapia annovera: biorisonanza, cimaterapia e terapia cimatica. Gli ultimi in particolare tradiscono una stretta parentela con un ambito di studi a cui la sonoterapia deve molto: la Cimatica, ovvero “la scienza del suono reso visibile[1]”.
Nel 1967, negli stessi anni in cui Manners iniziava a operare, veniva alle stampe il primo di due tomi dal titolo Kymatic. L’autore era un medico svizzero di nome Hans Jenny (Basilea 1904 - 1972) a cui si deve la fondazione della Cimatica e la coniazione del nome stesso. Ispirandosi al greco kyma[2] (onda, flutto) Jenny volle designare con questo termine lo studio della dinamica delle onde sonore e dei loro effetti: in particolare l’effetto morfogenetico, ovvero la capacità dei suoni puri di creare forme geometriche su superfici piane.
L’intera opera dello studioso, tuttavia, non è incentrata tanto sullo sviluppo delle tecniche empiriche attraverso cui ottenere tali forme, ma piuttosto sulla loro interpretazione. Un’interpretazione che non procede secondo una logica fisico/descrittiva, bensì sotto un’ottica mistico/esoterica. Partendo infatti dall’assunto che le figure palesate comunichino allo sperimentatore qualcosa sull’essenza della materia esistente, il quadro interpretativo trascende ben presto l’aspetto fisico. L’autore spiega che: «potremmo documentare le varie forme del loro aspetto esteriore e farne una lista. Si dovrà poi vedere se esistono caratteristiche di regolarità tra le varie categorie di fenomeni rivelate da questa raccolta e quali possano essere i rapporti tra di loro. Non è uno schema quello che stiamo cercando, i processi potranno parlare per se stessi. Essi mostreranno che prendono forma in sequenza, e che lì emerge dal campo empirico uno spettro di fenomeni che origina interamente dalla loro natura essenziale[3]».
È importante notare l’adesione da parte di Jenny alla dottrina antroposofica, al cui fondatore si rivolge nell’intestazione iniziale: «Dedicato alla memoria e alla ricerca di Rudolf Steiner» e poco più sotto: «al Suono che unifica tutti i fenomeni, generando il vasto mondo di forme nella sua natura triadica». Senza scendere in dettagli non pertinenti agli argomenti di questo articolo basti dire che l’antroposofia era stata definita dal suo stesso fondatore una «scienza dello spirito» e, più specificamente, «una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo[4]». Una delle convinzioni di fondo di tale dottrina è infatti l’idea, quasi neoplatonica, che esista un mondo spirituale dal quale il mondo materiale si sarebbe poi gradualmente condensato ed evoluto. È utile tenere a mente questo particolare quando si tenta di comprendere la lettura che Jenny dà del proprio lavoro.
Nei suoi test Jenny poneva sabbia, polvere di licopodio o fluidi su un piatto metallico collegato a un generatore di suoni, il quale produceva un ampio spettro di onde acustiche. Le sostanze sul piatto, sotto l’influsso della pressione sonora, si organizzavano in strutture caratterizzate da geometrie ben definite, ognuna tipica di una particolare forma d’onda. Lo strumento in questione prende il nome di Tonoscopio: composto essenzialmente da una sorgente sonora e una superficie piana (solitamente una membrana elastica o un piatto metallico), si tratta di un’invenzione datata; amplificatori e oscillatori moderni a parte, era infatti utilizzato già secoli fa dagli studiosi di acustica.
In accordo con la filosofia antroposofica, le figure geometriche manifeste sarebbero, a detta di Jenny, l’espressione di una delle “tre nature” costituenti il mondo reale. L’essenza triadica della realtà sarebbe d’altronde un fatto assodato, e non concernerebbe solo la ricerca cimatica, bensì tutto il mondo scientifico: «ci troviamo così di fronte a un concreto incarico di ricerca, di avviare una monografia sulla fenomenologia periodica che dovrà coprire molti campi diversi. Il fenomeno triadico basilare è una nozione empirica che balza agli occhi nello studio dell’istologia, della fisiologia cellulare, della morfologia, della biologia e delle scienze funzionali; allo stesso modo nello studio della geologia e mineralogia, e nella fisica atomica, nell’astronomia, eccetera[5]».
Le scoperte della cimatica avrebbero insomma ripercussioni non solo nell’ambito delle interazioni suono/materia, ma sull’intero spettro dei fenomeni indagabili dalla scienza. Tuttavia, essendo lo scopo della cimatica quello di scrutare oltre il mondo fisico, per contemplare quella che Jenny chiama «la vera realtà[6]», appare chiaro che i termini in cui si muove questa indagine inglobano questioni filosofico/esoteriche, e non risulta perciò sostenibile la posizione di chi la presenta come una scienza riconosciuta.
L’approccio di tale studio sull’essenza del mondo è basato innanzi tutto sulla rilevazione della sua natura triadica: «Usando questo fenomeno basilare [il triadismo] come un organo percettivo (e non come una formula dogmatica) noi possiamo vedere e osservare i più svariati ambiti e vedere che il linguaggio del triadismo periodico è correntemente presente anche lì. Fintanto che la ricerca ha proceduto lungo queste linee, è stato trovato che questo modello di base è fondamentale per i più vari ambiti e costituisce una parte essenziale della loro natura[7]».
Malgrado l’esortazione a non usare la visione triadica come un dogma da accettare acriticamente, l’uso suggerito dall’autore, come un “organo percettivo”, non appare molto dissimile. Anche se non si accetta aprioristicamente la composizione tripartitica del mondo infatti, è molto probabile che cercando di scovare in ogni fenomeno naturale una tripartizione, infine la si troverà. Parlando del corpo umano ad esempio, Jenny asserisce che la sua natura triadica si manifesta negli apparati circolatorio, respiratorio e nervoso. Fermo restando che le strutture menzionate siano egualmente essenziali e fondamentali per la vita, che dire invece dell’apparato muscolare, o scheletrico, o digestivo, o endocrino? La scelta personale di voler individuare a tutti i costi tre e soltanto tre elementi che riassumano la natura dell’essere umano (o di qualsiasi altro sistema complesso, organico e inorganico) è opinabile e fortemente limitativa.
Nonostante questo approccio appaia singolare in uno scienziato con una formazione medica, è in perfetto accordo con l’antroposofia steineriana: in una sorta di effetto Rosenthal[8] Jenny riprende i punti cardine di tale dottrina, e trova infallibilmente conferme sperimentali.
Quasi a testimonianza dell’universalità delle sue osservazioni, Jenny attinge a piene mani dal lessico di altre materie nelle sue descrizioni: si va da figure di licopodio che presentano aspetti e movimenti ameboidi, a sbuffi e schizzi di materia simili alle eruzioni solari; da vortici che rimandano a fenomeni atmosferici visti da un satellite, a flussi gravitazionali e antigravitazionali per indicare la polvere che si muove verso il centro o l’esterno del piatto[9]. Ebbene queste immagini non sono semplici accostamenti poetici adoperati al fine di ottenere una migliore descrizione: sottintendono invece una visione del mondo in cui ogni fenomeno fisico manifesta strettissime analogie con altri eventi naturali, compresi quelli che avvengono nel corpo umano. L’antroposofia steineriana è una dottrina a carattere esoterico, i cui contenuti risultano di difficile decifrazione senza di una formazione adeguata, e il carattere evocativo, quasi ermetico, di alcuni passi di Jenny rende i suoi scritti forse più simili alle opere degli alchimisti del XV e XVI secolo, piuttosto che ai moderni saggi, descrittivi, di divulgazione scientifica.
Tramite il tonoscopio, Jenny individuò poi correlazioni tra figure cimatiche e linguaggio umano. Un’osservazione che lo colpì particolarmente fu infatti la seguente: usando la voce anziché l’oscillatore come sorgente sonora, e imponendo una vocalizzazione in antico sanscrito come l’OM, la polvere di licopodio rispondeva alle sollecitazioni acustiche generando un cerchio con un punto centrale. A detta di Jenny questo è esattamente lo stesso simbolo con il quale alcune antiche popolazioni indiane rappresentavano il mantra OM (Aum). E oltre il sanscrito, anche alcune vocali di lingue antiche come l’ebraico sembravano riuscire nell’impresa. Nell’ottica di una ricerca antroposofica dell’essenza spirituale della realtà, lo studioso interpretò questo fatto come la prova fisica dell’esistenza di un “linguaggio sacro”, giustificando in questo modo anche il presunto potere di guarigione attribuito alla recitazione di alcuni mantra.
Jenny ha spesso sostenuto la natura scientifica dei suoi esperimenti, in quanto perfettamente replicabili da altri scienziati. Nonostante sia chiaro che il problema stia nell’interpretazione piuttosto che nella riproduzione del fenomeno, si potrebbe avere un’impressione di globale indifferenza da parte del mondo scientifico verso queste scoperte. Ma questa noncuranza è solo apparente, e presumibilmente dovuta al fatto che, a dispetto della giovane età della cimatica, questi fenomeni sono noti all’ambiente accademico da secoli.
Nella Germania di fine Settecento il fisico Ernst Florens Friedrich Chladni (Wittenberg 30 Novembre 1756 – Breslavia 3 Aprile 1827), munito di un archetto da violino, suonava (letteralmente) piastre di vetro. Il motivo di questa insolita performance è presto detto: Chladni stava studiando il comportamento di lastre di diverse forme sotto l’influsso di vibrazioni sonore.
Con la limitata tecnologia dell’epoca il primo problema da superare fu trovare un modo per visualizzare le onde che percorrevano il vetro in vibrazione: un metodo economico e molto efficiente consisté nel ricoprire le lastre con sabbia molto fine; uno stratagemma che ebbe a seguire un tale successo da non cadere mai più in disuso. Sotto l’effetto delle sollecitazioni meccaniche la sabbia si allontanava spontaneamente dalle aree di maggiore vibrazione (ventri), raggruppandosi in prossimità di zone in cui la vibrazione era minore o nulla (punti nodali); così facendo si formavano delle curiose figure, battezzate appunto figure di Chladni.
Ben presto i risultati degli studi di Chladni portarono a diverse osservazioni:
Quindi il reticolo di linee nodali associato a ciascuna frequenza è completamente predeterminato (per una superficie con caratteristiche fisiche omogenee in ogni suo punto) dalla forma della superficie, dal modo in cui viene eccitata, e da come la superficie è vincolata al supporto. Il ruolo svolto dalla frequenza sonora (in quanto stimolazione meccanica) è limitato quindi solo all’evidenziare uno degli infiniti modi di vibrazione propri della lastra presa in esame.
Chladni aveva inoltre già notato che per lastre circolari vincolate al centro o al bordo, i reticoli nodali presentano tutti una qualche simmetria centrale: l’osservazione di Jenny riguardo l’emissione dell’OM è quindi perfettamente coerente con proprietà fisiche note da oltre due secoli, e non dipende affatto da quale sia la parola pronunciata o dal suo significato.
Appare chiaro a questo punto che i fenomeni fisici coinvolti nella formazione delle figure sono perfettamente spiegabili con leggi note da tempo, e altri scienziati ne avevano intuito i principi già prima di Chladni. Esperimenti in tal senso erano stati fatti tra il 1630 e il 1680 da Galileo Galilei (grande appassionato di musica e figlio d’arte, si era avvalso delle sue abilità musicali anche per studiare la caduta dei gravi su piani inclinati) e dal fisico Robert Hooke. Solo più tardi questi studi furono ripresi, perfezionati e sistematizzati da Chladni, che nel 1787 li presentò nel suo Entdeckungen über die Theorie des Klanges (Scoperte sulla Teoria dei Suoni).
Il lavoro di Chladni diede un importantissimo contributo alla comprensione dei fenomeni acustici, tant’è che i principi individuati vengono tutt’ora utilizzati nella progettazione di svariati strumenti musicali.
Riguardando ora agli esempi portati da Jenny possiamo permetterci di affermare che l’onda sonora incidente non influenza direttamente e in maniera esclusiva la forma che la sabbia o il licopodio assumono; di conseguenza anche interpretare tali geometrie come una sorta di “espressione visibile” del suono, una “materializzazione” della frequenza scelta, è errato e forse un po’ ingenuo.
L’onda sonora (con la sua specifica frequenza) influenza senza dubbio il modello di disposizione dei reticoli, ma tale configurazione dipende strettamente dal modo in cui vibra la superficie su cui è posta la sabbia. A sua volta la vibrazione dipende dal materiale di cui è costituito il piatto, dalla sua forma e dal suo spessore, oltre che dai punti (obbligatoriamente non vibranti) in cui è vincolato al supporto. Nei suoi numerosi esperimenti Jenny studiò il comportamento di diverse sostanze in risposta a diverse frequenze, tuttavia, se avesse variato anche la forma o il materiale della superficie vibrante, avrebbe ottenuto effetti diversi, e, forse, sarebbe giunto ad altre conclusioni.
Grazie agli insegnamenti di colui che è a oggi considerato uno dei padri della fisica acustica, possiamo affermare, con solide basi sperimentali, che è assolutamente errato asserire che le figure geometriche palesate rivelino qualcosa sull’essenza della materia vibrante. Non si tratta cioè di permettere a quest’ultima di manifestare, attraverso la giusta frequenza, il suo “disegno peculiare”, quasi si potesse usare la cimatica come una sorta di esame ai raggi X per metterne in luce la struttura interna: banalmente se la stessa lastra venisse messa in vibrazione dopo aver eliminato una parte del contorno esterno, le nuove figure non somiglierebbero alle precedenti interrotte lungo i punti di taglio, ma presenterebbero una nuova riorganizzazione dei disegni. È oltremodo errato attribuire un potere organizzatore e modellatore al suono in sé: dal momento che è la vibrazione della piastra che permette ai disegni di apparire, tale vibrazione potrebbe teoricamente essere indotta (con i dovuti accorgimenti) per via squisitamente meccanica, senza l’ausilio di altoparlanti o sorgenti sonore.
L’altra faccia della medaglia è invece il lascito degli studi di Jenny: la cimatica non si esaurì con la scomparsa del suo fondatore, e in rete i siti che se ne occupano sono diverse migliaia: il numero di pagine che menzionano Hans Jenny o Ernst Chladni sta in un rapporto di quasi 500 a 1. In gran parte dei siti dedicati si dichiara che questi studi hanno finalmente dimostrato una volta per tutte che il suono può influenzare la materia, e altrettanto spesso quest’affermazione è il punto di partenza per elucubrazioni che vedono nella cimatica la prova scientifica di concetti di matrice mistico/religiosa, (sovente pregni di elementi orientaleggianti), seguiti dall’immancabile citazione dell’esperimento di Jenny sulle vocalizzazioni dell’OM. Altrettanto frequentemente ci si imbatte in una citazione attribuita al noto matematico Pitagora, secondo cui «la geometria della materia non è altro che musica cristallizzata», utile in questi contesti per giustificare una presunta analogia tra la cimatica e un qualche tipo di geometria sacra. Ma quello che forse lascia più perplessi è la pressoché unanime indifferenza verso gli studi di Chladni, nonostante lo scienziato sia citato addirittura nei libri di Jenny stesso[10] (anche se nelle poche righe dedicate viene menzionato in qualità di semplice studioso di acustica) e soprattutto verso le comprovate leggi fisico-matematiche che descrivono il manifestarsi delle figure.
Si assiste invece alla nascita di sempre nuovi “esperti” di cimatica o di altre “scienze” che ne riprendono i principi e ne scoprono nuovi utilizzi, sorvolando sulle sue radici settecentesche e sulle scoperte della fisica acustica. Si va da appassionati fotografi come il tedesco Alexander Lauterwasser, autore di due libri di immagini ottenute applicando la cimatica all’acqua (Water Sound Images – 2002 e Wasser Musik – 2005), a originali studiosi come Paul Devereux che con Stone Age Soundtracks. The Acoustic Archaeology of Ancient Sites (2003) presenta «il primo e al momento unico libro della nuova e ufficialmente riconosciuta sotto-branca dell’archeologia, l’archeoacustica, ovvero lo studio dell’acustica nei contesti archeologici[11]». Nell’opera viene discusso l’uso dei suoni utilizzati dai moderni studiosi di cimatica all’interno di particolari contesti archeologici, scoprendo così che stalattiti, pitture rupestri, rovine Maya, e ovviamente i megaliti di Stonehenge, hanno tutti una “colonna sonora” interna da cui possiamo «imparare qualcosa sulla natura e sugli effetti dei suoni sulla mente umana[12]”».
Non è difficile imbattersi poi in articoli che ipotizzano una sorgente sonora dietro al fenomeno dei crop circle, basandosi sulle somiglianze tra le figure apparse nei campi coltivati e quelle ottenute con la cimatica[13], o ancora in pagine che interpretano l’apparente rilevazione di un esagono regolare al polo nord del pianeta Saturno attraverso i principi di questa disciplina[14].
Da segnalare infine due importanti punti di riferimento per questa materia.
Frequenza e vibrazione sono forse i termini citati più a sproposito nelle pseudoscienze. Con queste espressioni si tende a indicare un insieme di concetti vaghi e fumosi, ma l’intrinseco richiamo alle scienze, alle volte esplicitamente alla fisica quantistica, contribuisce ad assicurare una parvenza di razionalità. In realtà in fisica i loro significati sono tutt’altro che vaghi, e non necessariamente legati tra loro.
La frequenza è una grandezza fisica che indica ogni quante volte (generalmente al secondo) si verifica un fenomeno periodico. Usare questo termine in maniera svincolata da un soggetto o da un’unità di misura è rischioso e può portare facilmente a fraintendimenti. Ecco un esempio: se dopo aver pigiato per un minuto, a ogni secondo, il Do centrale di un pianoforte, ci chiedessimo qual era la frequenza della nota suonata, non riusciremmo a dare una risposta chiara e univoca. La pressione del tasto del Do infatti sarebbe stata fatta 60 volte nel minuto, cioè con una frequenza di 1 hertz. Ma sapendo che l’orecchio umano non percepisce i suoni al di sotto dei 20 hertz verrebbe da chiedersi come sia stato possibile udire una nota tanto bassa. La confusione nasce dal fatto che la frequenza di esecuzione è sì di 1 hertz, ma la frequenza acustica del Do (cioè la lunghezza d’onda che lo caratterizza) è di circa 262 hertz.
Molto spesso si sente parlare di frequenza di vibrazione di cellule, tessuti, eccetera, senza chiarire quale sia l’unità di misura o come sia stata rilevata tale frequenza. L’assunto di partenza della sonoterapia è che tutta la materia vibra, e che quando la vibrazione è in armonia con il resto del corpo si gode di uno stato di buona salute; quando non lo è, la malattia domina la scena. In realtà vibrazione indica un generico moto oscillatorio, e solo quando tale moto è ripetitivo (periodico) può essere misurato in hertz; per di più, nonostante ogni frequenza sonora venga espressa in hertz, non tutto ciò che viene misurato in hertz è suono. Questo è forse l’equivoco più grande compiuto dalla sonoterapia e dalle altre terapie del suono.
È vero infatti che in tutta la materia, vivente o inanimata, gli atomi vibrano, ma lo fanno innanzi tutto in maniera disordinata e casuale (solo in determinate condizioni, come ad esempio in prossimità dello zero assoluto, gli atomi si “sincronizzano”), e in secondo luogo le frequenze rilevate quotidianamente con gli spettri di emissione/assorbimento sono frequenze elettromagnetiche, non sonore.
La differenza è cruciale. Mentre le prime sono onde che si muovono anche nel vuoto, viaggiano a centinaia di migliaia di kilometri al secondo, hanno frequenze virtualmente infinite, possono essere incredibilmente energetiche e così via, le seconde sono onde meccaniche. Estremamente più lente delle prime, necessitano di un mezzo attraverso cui propagarsi, e sono fortemente influenzate dalla natura del mezzo stesso. Affermare, come fa la cimatica, che tutto nell’universo vibra, e identificare nel suono il principio ordinatore e strutturante di tutto ciò che è, non tiene conto di alcuni concetti basilari di fisica. Primo fra tutti il fatto che nel vuoto cosmico, il suono, in quanto onda meccanica, non si propaga.
Le associazioni tra frequenze vibratorie della materia e specifici suoni sono fittizie e ingiustificate, e danno luogo a un’equivalenza profondamente errata. Anche la corrente alternata nelle nostre case ha una frequenza (elettromagnetica) di 50 o 60 hertz, ma l’elettricità non ha nulla a che vedere con la nota musicale caratterizzata dalla stessa frequenza (acustica) e, soprattutto, i due fenomeni non interagiscono tra loro. Per inciso anche l’acqua ha una sua effettiva frequenza di risonanza elettromagnetica: situata a diversi gigahertz, se convertita in frequenza sonora risulterebbe inudibile per qualsiasi essere vivente conosciuto.
È opportuno chiarire il motivo per cui cimatica e sonoterapia sono state definite consanguinee. Il viaggio alla ricerca di nuove vie terapeutiche, intrapreso da Manners all’inizio della sua carriera, lo portò come già detto in Svizzera, dove lavorò personalmente con Hans Jenny. Anche Manners fu poi iniziato all’antroposofia, e i principi di questa dottrina influenzarono di conseguenza anche la ricerca sonoterapica. L’idea stessa di curare attraverso i suoni era latente già nel lavoro di Jenny, il quale «era interessato a creare forme e immagini con i suoni, e questi coincidevano con le forme e le immagini dell’anatomia e della fisiologia[16]». Ma, dal momento che la rilevazione dei suoni di cellule, organi e tessuti non era mai stata effettuata (e risulta tutt’ora assai improbabile la loro stessa esistenza), la correlazione suono/organo doveva essersi originata da altre osservazioni. Ebbene la deduzione fu questa: se con un certo suono si otteneva una figura che richiamava alla mente una qualche forma nota della biologia, allora ci doveva essere un’effettiva corrispondenza tra quella frequenza e la reale struttura anatomica.
Alcuni esempi dati dallo stesso Manners[17] chiariranno il concetto.
Esempio 1: paragone tra lo sviluppo di una cellula (sotto) e una struttura simile ottenuta con le tecniche cimatiche (più in basso)
Nel commentare queste due immagini Manners sottolinea che in entrambi i casi la massa dei due “emisferi” si muove di continuo verso la fenditura centrale
Esempio 2: zigote ai primi stadi (sotto) e corrispettivo cimatico (più in basso)
Anche in questo caso si specifica che il materiale si muove dall’esterno verso l’interno come fosse “vivo”, sempre «solo e unicamente per le vibrazioni del campo di frequenze che sta sentendo dentro e nient’altro»; «se avessimo una foto animata apparirebbe come un’ameba vivente pulsante e mobile». L’immagine sottostante viene giudicata molto simile, con la sola eccezione del numero di sezioni centrali
Esempio 3: immagine ottenuta con polvere di licopodio
Nel presentare l’ultimo fotogramma Manners lo descrive come «polvere di licopodio mentre vibra a una frequenza simile» [delle cellule neonatali]; le strutture di licopodio «sono quasi una replica delle formazioni cellulari delle dita del bambino»
Da quanto si può dedurre, il principio cardine dei presupposti cimaterapici è proprio questa similitudine estetica. Non è raro incontrare nei siti dedicati all’argomento accostamenti tra immagini provenienti dal mondo naturale e formazioni cimatiche; tali raffronti dovrebbero costituire la “prova” della natura organizzatrice, modellatrice, “creatrice” del suono. Dando per buono questo rapporto causale si deduce quindi che anche le strutture naturali abbiano avuto un’origine “sonora”.
Tuttavia se l’intera impalcatura teorica della cimaterapia poggia su questa limitata somiglianza visiva, tale disciplina non appare molto più solida della teoria delle segnature: una dottrina medica con radici antiche, ma diffusasi particolarmente tra XVI e XVII secolo, secondo cui elementi tratti dal mondo naturale (soprattutto vegetale) avrebbero un potere curativo su quegli organi umani che presentano un’affinità estetica. Confondendo la somiglianza morfologica con un’analogia funzionale, si riteneva ad esempio che piante come la polmonaria o la fegatella fossero utili per curare i malfunzionamenti di polmoni e fegato, o che il frutto della noce potesse curare le malattie mentali per via della sua somiglianza con le circonvoluzioni cerebrali.
Nonostante la clinica fondata da Manners abbia chiuso i battenti nel 2005, quattro anni prima della morte del suo fondatore, la sua eredità è ancora viva e vegeta. Operatori di questo e altri ambiti alternativi continuano ad alimentarne la diffusione, del tutto sordi alle sue stridenti incongruenze intestine. A oggi la cimaterapia prospera senza eccessivi intoppi, ignorando anacronisticamente i risultati della ricerca accademica, e sopravvivendo in un mondo a sé stante, una bolla isolata in cui evidentemente non esiste solo una medicina alternativa, ma anche una biologia, una chimica e una fisica non convenzionali su cui fare affidamento.
Per dirla in termini musicali, nella sinfonia consonante delle scoperte scientifiche la cimaterapia continua a suonare il suo assolo dissonante e fuori (dal) tempo.
Nel 1967, negli stessi anni in cui Manners iniziava a operare, veniva alle stampe il primo di due tomi dal titolo Kymatic. L’autore era un medico svizzero di nome Hans Jenny (Basilea 1904 - 1972) a cui si deve la fondazione della Cimatica e la coniazione del nome stesso. Ispirandosi al greco kyma[2] (onda, flutto) Jenny volle designare con questo termine lo studio della dinamica delle onde sonore e dei loro effetti: in particolare l’effetto morfogenetico, ovvero la capacità dei suoni puri di creare forme geometriche su superfici piane.
Perché la Cimatica
L’intera opera dello studioso, tuttavia, non è incentrata tanto sullo sviluppo delle tecniche empiriche attraverso cui ottenere tali forme, ma piuttosto sulla loro interpretazione. Un’interpretazione che non procede secondo una logica fisico/descrittiva, bensì sotto un’ottica mistico/esoterica. Partendo infatti dall’assunto che le figure palesate comunichino allo sperimentatore qualcosa sull’essenza della materia esistente, il quadro interpretativo trascende ben presto l’aspetto fisico. L’autore spiega che: «potremmo documentare le varie forme del loro aspetto esteriore e farne una lista. Si dovrà poi vedere se esistono caratteristiche di regolarità tra le varie categorie di fenomeni rivelate da questa raccolta e quali possano essere i rapporti tra di loro. Non è uno schema quello che stiamo cercando, i processi potranno parlare per se stessi. Essi mostreranno che prendono forma in sequenza, e che lì emerge dal campo empirico uno spettro di fenomeni che origina interamente dalla loro natura essenziale[3]».
È importante notare l’adesione da parte di Jenny alla dottrina antroposofica, al cui fondatore si rivolge nell’intestazione iniziale: «Dedicato alla memoria e alla ricerca di Rudolf Steiner» e poco più sotto: «al Suono che unifica tutti i fenomeni, generando il vasto mondo di forme nella sua natura triadica». Senza scendere in dettagli non pertinenti agli argomenti di questo articolo basti dire che l’antroposofia era stata definita dal suo stesso fondatore una «scienza dello spirito» e, più specificamente, «una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo[4]». Una delle convinzioni di fondo di tale dottrina è infatti l’idea, quasi neoplatonica, che esista un mondo spirituale dal quale il mondo materiale si sarebbe poi gradualmente condensato ed evoluto. È utile tenere a mente questo particolare quando si tenta di comprendere la lettura che Jenny dà del proprio lavoro.
Modus operandi
Nei suoi test Jenny poneva sabbia, polvere di licopodio o fluidi su un piatto metallico collegato a un generatore di suoni, il quale produceva un ampio spettro di onde acustiche. Le sostanze sul piatto, sotto l’influsso della pressione sonora, si organizzavano in strutture caratterizzate da geometrie ben definite, ognuna tipica di una particolare forma d’onda. Lo strumento in questione prende il nome di Tonoscopio: composto essenzialmente da una sorgente sonora e una superficie piana (solitamente una membrana elastica o un piatto metallico), si tratta di un’invenzione datata; amplificatori e oscillatori moderni a parte, era infatti utilizzato già secoli fa dagli studiosi di acustica.
In accordo con la filosofia antroposofica, le figure geometriche manifeste sarebbero, a detta di Jenny, l’espressione di una delle “tre nature” costituenti il mondo reale. L’essenza triadica della realtà sarebbe d’altronde un fatto assodato, e non concernerebbe solo la ricerca cimatica, bensì tutto il mondo scientifico: «ci troviamo così di fronte a un concreto incarico di ricerca, di avviare una monografia sulla fenomenologia periodica che dovrà coprire molti campi diversi. Il fenomeno triadico basilare è una nozione empirica che balza agli occhi nello studio dell’istologia, della fisiologia cellulare, della morfologia, della biologia e delle scienze funzionali; allo stesso modo nello studio della geologia e mineralogia, e nella fisica atomica, nell’astronomia, eccetera[5]».
Le scoperte della cimatica avrebbero insomma ripercussioni non solo nell’ambito delle interazioni suono/materia, ma sull’intero spettro dei fenomeni indagabili dalla scienza. Tuttavia, essendo lo scopo della cimatica quello di scrutare oltre il mondo fisico, per contemplare quella che Jenny chiama «la vera realtà[6]», appare chiaro che i termini in cui si muove questa indagine inglobano questioni filosofico/esoteriche, e non risulta perciò sostenibile la posizione di chi la presenta come una scienza riconosciuta.
L’approccio di tale studio sull’essenza del mondo è basato innanzi tutto sulla rilevazione della sua natura triadica: «Usando questo fenomeno basilare [il triadismo] come un organo percettivo (e non come una formula dogmatica) noi possiamo vedere e osservare i più svariati ambiti e vedere che il linguaggio del triadismo periodico è correntemente presente anche lì. Fintanto che la ricerca ha proceduto lungo queste linee, è stato trovato che questo modello di base è fondamentale per i più vari ambiti e costituisce una parte essenziale della loro natura[7]».
Malgrado l’esortazione a non usare la visione triadica come un dogma da accettare acriticamente, l’uso suggerito dall’autore, come un “organo percettivo”, non appare molto dissimile. Anche se non si accetta aprioristicamente la composizione tripartitica del mondo infatti, è molto probabile che cercando di scovare in ogni fenomeno naturale una tripartizione, infine la si troverà. Parlando del corpo umano ad esempio, Jenny asserisce che la sua natura triadica si manifesta negli apparati circolatorio, respiratorio e nervoso. Fermo restando che le strutture menzionate siano egualmente essenziali e fondamentali per la vita, che dire invece dell’apparato muscolare, o scheletrico, o digestivo, o endocrino? La scelta personale di voler individuare a tutti i costi tre e soltanto tre elementi che riassumano la natura dell’essere umano (o di qualsiasi altro sistema complesso, organico e inorganico) è opinabile e fortemente limitativa.
Nonostante questo approccio appaia singolare in uno scienziato con una formazione medica, è in perfetto accordo con l’antroposofia steineriana: in una sorta di effetto Rosenthal[8] Jenny riprende i punti cardine di tale dottrina, e trova infallibilmente conferme sperimentali.
Quasi a testimonianza dell’universalità delle sue osservazioni, Jenny attinge a piene mani dal lessico di altre materie nelle sue descrizioni: si va da figure di licopodio che presentano aspetti e movimenti ameboidi, a sbuffi e schizzi di materia simili alle eruzioni solari; da vortici che rimandano a fenomeni atmosferici visti da un satellite, a flussi gravitazionali e antigravitazionali per indicare la polvere che si muove verso il centro o l’esterno del piatto[9]. Ebbene queste immagini non sono semplici accostamenti poetici adoperati al fine di ottenere una migliore descrizione: sottintendono invece una visione del mondo in cui ogni fenomeno fisico manifesta strettissime analogie con altri eventi naturali, compresi quelli che avvengono nel corpo umano. L’antroposofia steineriana è una dottrina a carattere esoterico, i cui contenuti risultano di difficile decifrazione senza di una formazione adeguata, e il carattere evocativo, quasi ermetico, di alcuni passi di Jenny rende i suoi scritti forse più simili alle opere degli alchimisti del XV e XVI secolo, piuttosto che ai moderni saggi, descrittivi, di divulgazione scientifica.
Altre corrispondenze
Tramite il tonoscopio, Jenny individuò poi correlazioni tra figure cimatiche e linguaggio umano. Un’osservazione che lo colpì particolarmente fu infatti la seguente: usando la voce anziché l’oscillatore come sorgente sonora, e imponendo una vocalizzazione in antico sanscrito come l’OM, la polvere di licopodio rispondeva alle sollecitazioni acustiche generando un cerchio con un punto centrale. A detta di Jenny questo è esattamente lo stesso simbolo con il quale alcune antiche popolazioni indiane rappresentavano il mantra OM (Aum). E oltre il sanscrito, anche alcune vocali di lingue antiche come l’ebraico sembravano riuscire nell’impresa. Nell’ottica di una ricerca antroposofica dell’essenza spirituale della realtà, lo studioso interpretò questo fatto come la prova fisica dell’esistenza di un “linguaggio sacro”, giustificando in questo modo anche il presunto potere di guarigione attribuito alla recitazione di alcuni mantra.
Jenny ha spesso sostenuto la natura scientifica dei suoi esperimenti, in quanto perfettamente replicabili da altri scienziati. Nonostante sia chiaro che il problema stia nell’interpretazione piuttosto che nella riproduzione del fenomeno, si potrebbe avere un’impressione di globale indifferenza da parte del mondo scientifico verso queste scoperte. Ma questa noncuranza è solo apparente, e presumibilmente dovuta al fatto che, a dispetto della giovane età della cimatica, questi fenomeni sono noti all’ambiente accademico da secoli.
Un passo indietro
Nella Germania di fine Settecento il fisico Ernst Florens Friedrich Chladni (Wittenberg 30 Novembre 1756 – Breslavia 3 Aprile 1827), munito di un archetto da violino, suonava (letteralmente) piastre di vetro. Il motivo di questa insolita performance è presto detto: Chladni stava studiando il comportamento di lastre di diverse forme sotto l’influsso di vibrazioni sonore.
Con la limitata tecnologia dell’epoca il primo problema da superare fu trovare un modo per visualizzare le onde che percorrevano il vetro in vibrazione: un metodo economico e molto efficiente consisté nel ricoprire le lastre con sabbia molto fine; uno stratagemma che ebbe a seguire un tale successo da non cadere mai più in disuso. Sotto l’effetto delle sollecitazioni meccaniche la sabbia si allontanava spontaneamente dalle aree di maggiore vibrazione (ventri), raggruppandosi in prossimità di zone in cui la vibrazione era minore o nulla (punti nodali); così facendo si formavano delle curiose figure, battezzate appunto figure di Chladni.
Ben presto i risultati degli studi di Chladni portarono a diverse osservazioni:
- ogni ventre è separato da un altro ventre tramite una linea nodale;
- la lastra vibra diversamente al variare del modo di eccitazione: tenendo fissi più punti (variando cioè le zone di ancoraggio) si ottengono figure più complesse poiché maggiori sono le linee nodali;
- la posizione delle linee nodali muta al variare della forma delle piastre, delle loro dimensioni, del modo in cui esse vibrano e della frequenza;
- più è acuto il suono della vibrazione tanto maggiori sono le linee che una stessa piastra produce, il grado di complessità delle figure è cioè proporzionale alla
- le linee nodali si caratterizzano per la simmetria: la stessa piastra posta in vibrazione nelle medesime condizioni riproduce le stesse linee nodali;
- mantenendo fissa la frequenza sonora e variando gli altri parametri la figura cambia, rivelando di non dipendere esclusivamente da essa;
- le frequenze di vibrazione sono direttamente proporzionali allo spessore di tali piastre e inversamente proporzionali alle loro superfici.
Quindi il reticolo di linee nodali associato a ciascuna frequenza è completamente predeterminato (per una superficie con caratteristiche fisiche omogenee in ogni suo punto) dalla forma della superficie, dal modo in cui viene eccitata, e da come la superficie è vincolata al supporto. Il ruolo svolto dalla frequenza sonora (in quanto stimolazione meccanica) è limitato quindi solo all’evidenziare uno degli infiniti modi di vibrazione propri della lastra presa in esame.
Esempio di immagine ottenuta con la voce umana: si noti la somiglianza con le figure ottenute da Jenny con la vocalizzazione dell’OM.
Appare chiaro a questo punto che i fenomeni fisici coinvolti nella formazione delle figure sono perfettamente spiegabili con leggi note da tempo, e altri scienziati ne avevano intuito i principi già prima di Chladni. Esperimenti in tal senso erano stati fatti tra il 1630 e il 1680 da Galileo Galilei (grande appassionato di musica e figlio d’arte, si era avvalso delle sue abilità musicali anche per studiare la caduta dei gravi su piani inclinati) e dal fisico Robert Hooke. Solo più tardi questi studi furono ripresi, perfezionati e sistematizzati da Chladni, che nel 1787 li presentò nel suo Entdeckungen über die Theorie des Klanges (Scoperte sulla Teoria dei Suoni).
Riguardando ora agli esempi portati da Jenny possiamo permetterci di affermare che l’onda sonora incidente non influenza direttamente e in maniera esclusiva la forma che la sabbia o il licopodio assumono; di conseguenza anche interpretare tali geometrie come una sorta di “espressione visibile” del suono, una “materializzazione” della frequenza scelta, è errato e forse un po’ ingenuo.
L’onda sonora (con la sua specifica frequenza) influenza senza dubbio il modello di disposizione dei reticoli, ma tale configurazione dipende strettamente dal modo in cui vibra la superficie su cui è posta la sabbia. A sua volta la vibrazione dipende dal materiale di cui è costituito il piatto, dalla sua forma e dal suo spessore, oltre che dai punti (obbligatoriamente non vibranti) in cui è vincolato al supporto. Nei suoi numerosi esperimenti Jenny studiò il comportamento di diverse sostanze in risposta a diverse frequenze, tuttavia, se avesse variato anche la forma o il materiale della superficie vibrante, avrebbe ottenuto effetti diversi, e, forse, sarebbe giunto ad altre conclusioni.
Le eredità degli studi di Chladni e di Jenny
Grazie agli insegnamenti di colui che è a oggi considerato uno dei padri della fisica acustica, possiamo affermare, con solide basi sperimentali, che è assolutamente errato asserire che le figure geometriche palesate rivelino qualcosa sull’essenza della materia vibrante. Non si tratta cioè di permettere a quest’ultima di manifestare, attraverso la giusta frequenza, il suo “disegno peculiare”, quasi si potesse usare la cimatica come una sorta di esame ai raggi X per metterne in luce la struttura interna: banalmente se la stessa lastra venisse messa in vibrazione dopo aver eliminato una parte del contorno esterno, le nuove figure non somiglierebbero alle precedenti interrotte lungo i punti di taglio, ma presenterebbero una nuova riorganizzazione dei disegni. È oltremodo errato attribuire un potere organizzatore e modellatore al suono in sé: dal momento che è la vibrazione della piastra che permette ai disegni di apparire, tale vibrazione potrebbe teoricamente essere indotta (con i dovuti accorgimenti) per via squisitamente meccanica, senza l’ausilio di altoparlanti o sorgenti sonore.
L’altra faccia della medaglia è invece il lascito degli studi di Jenny: la cimatica non si esaurì con la scomparsa del suo fondatore, e in rete i siti che se ne occupano sono diverse migliaia: il numero di pagine che menzionano Hans Jenny o Ernst Chladni sta in un rapporto di quasi 500 a 1. In gran parte dei siti dedicati si dichiara che questi studi hanno finalmente dimostrato una volta per tutte che il suono può influenzare la materia, e altrettanto spesso quest’affermazione è il punto di partenza per elucubrazioni che vedono nella cimatica la prova scientifica di concetti di matrice mistico/religiosa, (sovente pregni di elementi orientaleggianti), seguiti dall’immancabile citazione dell’esperimento di Jenny sulle vocalizzazioni dell’OM. Altrettanto frequentemente ci si imbatte in una citazione attribuita al noto matematico Pitagora, secondo cui «la geometria della materia non è altro che musica cristallizzata», utile in questi contesti per giustificare una presunta analogia tra la cimatica e un qualche tipo di geometria sacra. Ma quello che forse lascia più perplessi è la pressoché unanime indifferenza verso gli studi di Chladni, nonostante lo scienziato sia citato addirittura nei libri di Jenny stesso[10] (anche se nelle poche righe dedicate viene menzionato in qualità di semplice studioso di acustica) e soprattutto verso le comprovate leggi fisico-matematiche che descrivono il manifestarsi delle figure.
Non è difficile imbattersi poi in articoli che ipotizzano una sorgente sonora dietro al fenomeno dei crop circle, basandosi sulle somiglianze tra le figure apparse nei campi coltivati e quelle ottenute con la cimatica[13], o ancora in pagine che interpretano l’apparente rilevazione di un esagono regolare al polo nord del pianeta Saturno attraverso i principi di questa disciplina[14].
Da segnalare infine due importanti punti di riferimento per questa materia.
- http://www.cymascope.com/ è il sito che ha raccolto maggiormente l’eredità di Jenny, ampliandone le applicazioni ai più diversi ambiti. Vi sono articoli e documenti raggruppati per categorie, che spaziano dalla storia della cimatica alle arti, dalla musicologia alla fonologia, e poi fisica, astrofisica, biologia, zoologia, ornitologia, oceanografia, guarigione con i suoni ed egittologia.
- Stuart Mitchell è probabilmente il più importante musicista oggi in attività che usa la cimatica nelle sue composizioni. Nel 2005 pubblicò assieme al padre un’opera intitolata The Rosslyn Motet in cui – affermano gli autori – furono portati in musica i 13 simboli geometrici presenti sui 213 cubi che spuntano dai 14 archi interni della cappella di Rosslyn (una struttura architettonica non nuova a speculazioni di ogni genere: il codice misterioso presente nella decorazione del soffitto è stato sfruttato anche da Dan Brown nel celebre romanzo Il Codice da Vinci). Attraverso un procedimento mai chiarito, i Mitchell asseriscono di aver tradotto tale codice criptato e di averlo poi convertito in note musicali, dando così vita allo spartito dell’opera. Nella presentazione della riedizione del 2010 si legge che «la partitura è stata rivista per riflettere nella maniera più chiara possibile il confronto tra i simboli dei cubi e l’applicazione di modelli di Chladni. […] Scopri le strutture sonore di Chladni che ne hanno fissano la colonna sonora nella pietra per più di 550 anni[15]».
BOX 4. Un lessico “stonato” (parte 3)
Frequenza e vibrazione sono forse i termini citati più a sproposito nelle pseudoscienze. Con queste espressioni si tende a indicare un insieme di concetti vaghi e fumosi, ma l’intrinseco richiamo alle scienze, alle volte esplicitamente alla fisica quantistica, contribuisce ad assicurare una parvenza di razionalità. In realtà in fisica i loro significati sono tutt’altro che vaghi, e non necessariamente legati tra loro.
La frequenza è una grandezza fisica che indica ogni quante volte (generalmente al secondo) si verifica un fenomeno periodico. Usare questo termine in maniera svincolata da un soggetto o da un’unità di misura è rischioso e può portare facilmente a fraintendimenti. Ecco un esempio: se dopo aver pigiato per un minuto, a ogni secondo, il Do centrale di un pianoforte, ci chiedessimo qual era la frequenza della nota suonata, non riusciremmo a dare una risposta chiara e univoca. La pressione del tasto del Do infatti sarebbe stata fatta 60 volte nel minuto, cioè con una frequenza di 1 hertz. Ma sapendo che l’orecchio umano non percepisce i suoni al di sotto dei 20 hertz verrebbe da chiedersi come sia stato possibile udire una nota tanto bassa. La confusione nasce dal fatto che la frequenza di esecuzione è sì di 1 hertz, ma la frequenza acustica del Do (cioè la lunghezza d’onda che lo caratterizza) è di circa 262 hertz.
Molto spesso si sente parlare di frequenza di vibrazione di cellule, tessuti, eccetera, senza chiarire quale sia l’unità di misura o come sia stata rilevata tale frequenza. L’assunto di partenza della sonoterapia è che tutta la materia vibra, e che quando la vibrazione è in armonia con il resto del corpo si gode di uno stato di buona salute; quando non lo è, la malattia domina la scena. In realtà vibrazione indica un generico moto oscillatorio, e solo quando tale moto è ripetitivo (periodico) può essere misurato in hertz; per di più, nonostante ogni frequenza sonora venga espressa in hertz, non tutto ciò che viene misurato in hertz è suono. Questo è forse l’equivoco più grande compiuto dalla sonoterapia e dalle altre terapie del suono.
È vero infatti che in tutta la materia, vivente o inanimata, gli atomi vibrano, ma lo fanno innanzi tutto in maniera disordinata e casuale (solo in determinate condizioni, come ad esempio in prossimità dello zero assoluto, gli atomi si “sincronizzano”), e in secondo luogo le frequenze rilevate quotidianamente con gli spettri di emissione/assorbimento sono frequenze elettromagnetiche, non sonore.
La differenza è cruciale. Mentre le prime sono onde che si muovono anche nel vuoto, viaggiano a centinaia di migliaia di kilometri al secondo, hanno frequenze virtualmente infinite, possono essere incredibilmente energetiche e così via, le seconde sono onde meccaniche. Estremamente più lente delle prime, necessitano di un mezzo attraverso cui propagarsi, e sono fortemente influenzate dalla natura del mezzo stesso. Affermare, come fa la cimatica, che tutto nell’universo vibra, e identificare nel suono il principio ordinatore e strutturante di tutto ciò che è, non tiene conto di alcuni concetti basilari di fisica. Primo fra tutti il fatto che nel vuoto cosmico, il suono, in quanto onda meccanica, non si propaga.
Le associazioni tra frequenze vibratorie della materia e specifici suoni sono fittizie e ingiustificate, e danno luogo a un’equivalenza profondamente errata. Anche la corrente alternata nelle nostre case ha una frequenza (elettromagnetica) di 50 o 60 hertz, ma l’elettricità non ha nulla a che vedere con la nota musicale caratterizzata dalla stessa frequenza (acustica) e, soprattutto, i due fenomeni non interagiscono tra loro. Per inciso anche l’acqua ha una sua effettiva frequenza di risonanza elettromagnetica: situata a diversi gigahertz, se convertita in frequenza sonora risulterebbe inudibile per qualsiasi essere vivente conosciuto.
Manners e la cimatica
È opportuno chiarire il motivo per cui cimatica e sonoterapia sono state definite consanguinee. Il viaggio alla ricerca di nuove vie terapeutiche, intrapreso da Manners all’inizio della sua carriera, lo portò come già detto in Svizzera, dove lavorò personalmente con Hans Jenny. Anche Manners fu poi iniziato all’antroposofia, e i principi di questa dottrina influenzarono di conseguenza anche la ricerca sonoterapica. L’idea stessa di curare attraverso i suoni era latente già nel lavoro di Jenny, il quale «era interessato a creare forme e immagini con i suoni, e questi coincidevano con le forme e le immagini dell’anatomia e della fisiologia[16]». Ma, dal momento che la rilevazione dei suoni di cellule, organi e tessuti non era mai stata effettuata (e risulta tutt’ora assai improbabile la loro stessa esistenza), la correlazione suono/organo doveva essersi originata da altre osservazioni. Ebbene la deduzione fu questa: se con un certo suono si otteneva una figura che richiamava alla mente una qualche forma nota della biologia, allora ci doveva essere un’effettiva corrispondenza tra quella frequenza e la reale struttura anatomica.
Alcuni esempi dati dallo stesso Manners[17] chiariranno il concetto.
Esempio 1: paragone tra lo sviluppo di una cellula (sotto) e una struttura simile ottenuta con le tecniche cimatiche (più in basso)
Nel commentare queste due immagini Manners sottolinea che in entrambi i casi la massa dei due “emisferi” si muove di continuo verso la fenditura centrale
Esempio 2: zigote ai primi stadi (sotto) e corrispettivo cimatico (più in basso)
Anche in questo caso si specifica che il materiale si muove dall’esterno verso l’interno come fosse “vivo”, sempre «solo e unicamente per le vibrazioni del campo di frequenze che sta sentendo dentro e nient’altro»; «se avessimo una foto animata apparirebbe come un’ameba vivente pulsante e mobile». L’immagine sottostante viene giudicata molto simile, con la sola eccezione del numero di sezioni centrali
Esempio 3: immagine ottenuta con polvere di licopodio
Nel presentare l’ultimo fotogramma Manners lo descrive come «polvere di licopodio mentre vibra a una frequenza simile» [delle cellule neonatali]; le strutture di licopodio «sono quasi una replica delle formazioni cellulari delle dita del bambino»
Da quanto si può dedurre, il principio cardine dei presupposti cimaterapici è proprio questa similitudine estetica. Non è raro incontrare nei siti dedicati all’argomento accostamenti tra immagini provenienti dal mondo naturale e formazioni cimatiche; tali raffronti dovrebbero costituire la “prova” della natura organizzatrice, modellatrice, “creatrice” del suono. Dando per buono questo rapporto causale si deduce quindi che anche le strutture naturali abbiano avuto un’origine “sonora”.
Tuttavia se l’intera impalcatura teorica della cimaterapia poggia su questa limitata somiglianza visiva, tale disciplina non appare molto più solida della teoria delle segnature: una dottrina medica con radici antiche, ma diffusasi particolarmente tra XVI e XVII secolo, secondo cui elementi tratti dal mondo naturale (soprattutto vegetale) avrebbero un potere curativo su quegli organi umani che presentano un’affinità estetica. Confondendo la somiglianza morfologica con un’analogia funzionale, si riteneva ad esempio che piante come la polmonaria o la fegatella fossero utili per curare i malfunzionamenti di polmoni e fegato, o che il frutto della noce potesse curare le malattie mentali per via della sua somiglianza con le circonvoluzioni cerebrali.
Fine della storia?
Nonostante la clinica fondata da Manners abbia chiuso i battenti nel 2005, quattro anni prima della morte del suo fondatore, la sua eredità è ancora viva e vegeta. Operatori di questo e altri ambiti alternativi continuano ad alimentarne la diffusione, del tutto sordi alle sue stridenti incongruenze intestine. A oggi la cimaterapia prospera senza eccessivi intoppi, ignorando anacronisticamente i risultati della ricerca accademica, e sopravvivendo in un mondo a sé stante, una bolla isolata in cui evidentemente non esiste solo una medicina alternativa, ma anche una biologia, una chimica e una fisica non convenzionali su cui fare affidamento.
Per dirla in termini musicali, nella sinfonia consonante delle scoperte scientifiche la cimaterapia continua a suonare il suo assolo dissonante e fuori (dal) tempo.
Note
2) Jenny, H. 2001. Cymatics — A Study of Wave Phenomena and Vibration — Volume 1 (1967). Ed. Macromedia, p. 20
3) Ivi, p. 101. La traduzione di questo passo e di tutti i prossimi tratti dal libro di Jenny sono mie. Il corsivo è mio.
4) Steiner, R. 1998. Anthroposophical Leading Thoughts. London: Rudolf Steiner Press, (1924)
5) Jenny, H. 2001. Cymatics — A Study of Wave Phenomena and Vibration, cit., p. 122
6) Ivi, p. 69
7) Ivi, p.122
8) Rosenthal, R. 1966. Experimenter effects in behavioral research, New York: Appleton; Rosenthal, R., Rabin, D.B. 1978. Interpersonal expectancy effects: the first 345 studies. Behavioral and Brain Sciences, 1: 377-86
9) Cymatics Soundscapes — Part 4 — Experiments in animation with sound & vibration, 1986, distribuito da MACROmedia 219 Grant Road Newmarket, NH. Reperibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=epPb0qMJvAc
10) Jenny, H. Cymatics — A Study of Wave Phenomena and Vibration, cit., p. 21
12) Ibidem.
17) Cymatics Soundscapes — Part 2 — The healing nature of sound, 1986, MACROmedia 219 Grant Road Newmarket, NH 03857