«Guarda, lo so che sembra difficile crederci, ma in quello specchio è rimasta intrappolata la mano di una qualche entità».
L'amico sembrava sincero mentre pronunciava quelle parole, eppure quello che diceva non aveva senso.
«Non capisco cosa vuoi dire» risposi.
«Ti ripeto. Giuliana è andata a trovare questa sua amica e lei le ha raccontato che riceve visite da un fantasma. E, una volta, il fantasma le ha lasciato la sua mano per ricordo!»
«La mano di un fantasma» ripetei.
«Proprio così! E' intrappolata in uno specchio e...»
«Aspetta» lo interruppi. «Che significa intrappolata? Penzola dallo specchio?»
L'amico si spazientì. «Senti, io non te la so descrivere. Se vuoi ti ci accompagno, faccio una telefonata, e così vedi coi tuoi occhi».
L'amico era una persona fidata. Forse un po' incline all'iperbole ogni tanto, ma certo non un bugiardo.
Il mistero mi appassionava da sempre, ma era da poco tempo che avevo iniziato a occuparmene in maniera sistematica. La nascita del CICAP doveva ancora essere formalizzata e io non ero ancora partito per il mio apprendistato negli USA con James Randi. Come indagatore di misteri, insomma, ero ancora alle prime armi.
«D'accordo, andiamo» dissi dunque all'amico.
Lui sorrise, divertito, telefonò alla sua conoscente e pochi minuti dopo eravamo in auto alla volta di Pavia, dove viveva la signora con la mano nello specchio.
Lungo il tragitto fantasticai su che cosa potesse provocare l'inaudito fenomeno.
«Mettiamo che la signora sia in buona fede» dissi ad alta voce. «Come fa una mano a finire dentro uno specchio?»
L'amico, al volante dell'auto, si strinse nelle spalle.
«Ma è solo la sagoma di una mano o la si vede bene?» domandai. «Voglio dire con le unghie, le vene sotto la pelle, i peli.»
«Guarda, non lo so» disse lui sbuffando.
«Com'è messa? Spunta di fuori, con le dita? O la si vede in un riflesso?»
«Senti, è inutile che insisti, non ne ho la più pallida idea».
«Ma l'hai vista o no?»
«Be', no... Ma l'ha vista Giuliana e mi ha raccontato tutto».
Ah, ecco! L'amico non l'aveva vista questa mano benedetta, mi stava solo raccontando quello che a sua volta le aveva riferito qualcun altro. Non riuscii a trattenere la battuta: «Una testimonianza di seconda mano, insomma».
Lui simulò una risatina.
«Ma non ti ha detto altro?» insistei. «E' una mano di uomo o di donna? Grande o piccola?»
L'amico scosse la testa. «Niente, non gliel'ho chiesto. Ma mancano pochi chilometri e poi vedrai coi tuoi occhi».
Per il resto del viaggio rimasi in silenzio, continuando però a immaginare possibili spiegazioni.
Magari la signora non era affatto in buona fede, pensai. Magari aveva voluto fare uno scherzo agli amici. Sì, ma come? Forse aveva preso una di quelle mani di gomma di carnevale, avrà fatto un buco in uno specchio e ce l'avrà infilata dentro? Ma andiamo, chi la prenderebbe sul serio?
Doveva esserci un'altra spiegazione. Forse si trattava di un riflesso. Ma sì, un caso di pareidolia, quel meccanismo per cui cerchiamo un significato nelle forme e negli stimoli ambigui. Come quando si guardano le nuvole in cielo e sembra di vedere un cavallo. Ecco, la signora guardava lo specchio e nei riflessi le sembrava di vedere una mano.
E Giuliana? Anche a lei sarà sembrato di vedere la mano o l'avrà detto solo per farla contenta? Ma se così era, perché parlarne con il mio amico in maniera tanto convinta?
Continuavo a scervellarmi senza riuscire a trovare una spiegazione soddisfacente al mistero. Per fortuna, arrivammo all'indirizzo concordato, un palazzone anni '70 di sei piani. La signora stava all'ultimo.
«Buongiorno, accomodatevi» disse lei accogliendoci sull'uscio con un sorriso. Era un donnone, con la permanente fresca di parrucchiera e un viso pieno di lentiggini.
Pochi minuti dopo, eravamo seduti su un divano a fiori rosa e lillà e ascoltavamo il racconto della signora.
«Io non lo so che cosa succede in questa casa! Me l'avevano detto che era un po' strana, ma io non credo a certe voci.»
«In che senso "strana"?»
La signora fece spallucce. «Non so, forse l'inquilino precedente era uno che faceva delle sedute spiritiche, fatto sta che tutti mi dicevano: "Non comprarla quella casa". Ma io, testarda, invece l'ho voluta prendere. Ce n'è sempre qualcuna, sa? Una volta la tapparella si blocca. Un'altra mi sto facendo la doccia e l'acqua diventa gelida di colpo. Un'altra ancora sto guardando la tele e si spegne.»
Non vedevo il nesso tra quelli che mi sembravano normali incidenti domestici, ma preferii non discutere. «Secondo lei a che cosa sono dovuti questi. episodi?»
«A Camillo!»
«A chi?»
La signora ridacchiò nervosa. «Camillo, è il nome del fantasma».
«Ah! Lo vedi che c'è un fantasma?» intervenne il mio amico puntandomi un dito in faccia.
La signora arrossì.
«Come fa a sapere che c'è un fantasma?» le chiesi.
«Eh, ma da tutte queste piccole cose, no? All'inizio sembrano normali, ma poi quando una ci fa caso vede che sono troppe per essere solo coincidenze!»
Il ragionamento non mi convinceva. Se si dovesse prendere nota di tutti gli inconvenienti che quotidianamente capitano in una casa, sarebbe normale trovarne tanti. Passai oltre.
«E quindi, secondo lei è stato Camillo a lasciarle la mano?»
La signora si drizzò a sedere. «Ma quello è solo uno dei tanti fenomeni. Certo, fa un po' impressione.» Poi, con fare cospiratorio aggiunse: «La vorrebbe vedere?»
«Magari!»
«E allora seguitemi, prego» disse lei alzandosi e facendo strada.
Entrammo in una camera da letto in penombra che profumava di violetta. La signora scostò le spesse tende di velluto alle finestre per lasciare entrare la luce.
«Dica un po', non è incredibile?»
La donna indicò uno specchio con la montatura in legno appoggiato su una cassettiera dove si trovavano confezioni di trucchi, lacche per capelli e creme varie. Mi avvicinai per osservare meglio e dovetti trattenermi per nascondere la mia delusione.
La "mano" non era niente di quanto avevo immaginato e solo allora mi tornarono alla mente le sagge parole di Sherlock Holmes: «È un errore capitale teorizzare prima di avere i dati. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti». Proprio come avevo fatto io.
Sulla superficie dello specchio si vedevano quattro strisce biancastre, che potevano ricordare delle dita scheletriche. Ma, adesso che le vedevo, era palese di che cosa si trattasse. Allungai un dito e toccai una delle strisce. Una sostanza appiccicaticcia mi rimase attaccata al polpastrello. L'annusai.
«Signora, ma questa è crema per mani» dissi.
La donna mi guardò sconcertata. «Lei dice?»
Il mio amico, imbarazzato, fece di tutto per evitare il mio sguardo.
«Eh sì, signora» risposi. «Annusi lei stessa».
Lei si avvicinò e, quasi a malincuore, confermò con un cenno del capo.
Era evidente cos'era successo. Forse, una sera, la signora era venuta alla cassettiera per mettersi un po' di crema e, senza accorgersene, doveva avere urtato lo specchio con il dorso di una mano, lasciando quelle strisce di glicerina. Poi, magari il giorno seguente, avrà notato quell'impronta e, già convinta di suo di convivere con un fantasma, avrà scambiato la macchia per un segno del suo Camillo.
«Va be', ma se è così allora basta passare uno straccio e viene via» esclamò il mio amico, avvicinandosi allo specchio con un fazzoletto in mano.
«Ma no» lo fermai. «Lascia che sia la signora a occuparsene».
Lei ci guardava spaesata, come se iniziasse a non essere più tanto sicura di tante cose. Chissà, forse nemmeno lei prendeva poi tanto sul serio quelle fantasie sul fantasma. Probabilmente erano solo un modo per riempirsi le giornate. Il fatto che il letto fosse a una piazza e che in casa non ci fossero indizi della presenza di altre persone che vivevano con lei, mi faceva pensare che la signora fosse sola. Forse molto sola.
Quando uscimmo da quell'appartamento, lo sguardo allegro con cui la donna ci aveva accolto era svanito e, per la prima volta, mi resi conto che non era sempre divertente svelare i misteri.
Le vicende qui raccontate sono realmente accadute. Solo i nomi sono stati cambiati.
L'amico sembrava sincero mentre pronunciava quelle parole, eppure quello che diceva non aveva senso.
«Non capisco cosa vuoi dire» risposi.
«Ti ripeto. Giuliana è andata a trovare questa sua amica e lei le ha raccontato che riceve visite da un fantasma. E, una volta, il fantasma le ha lasciato la sua mano per ricordo!»
«La mano di un fantasma» ripetei.
«Proprio così! E' intrappolata in uno specchio e...»
«Aspetta» lo interruppi. «Che significa intrappolata? Penzola dallo specchio?»
L'amico si spazientì. «Senti, io non te la so descrivere. Se vuoi ti ci accompagno, faccio una telefonata, e così vedi coi tuoi occhi».
L'amico era una persona fidata. Forse un po' incline all'iperbole ogni tanto, ma certo non un bugiardo.
Il mistero mi appassionava da sempre, ma era da poco tempo che avevo iniziato a occuparmene in maniera sistematica. La nascita del CICAP doveva ancora essere formalizzata e io non ero ancora partito per il mio apprendistato negli USA con James Randi. Come indagatore di misteri, insomma, ero ancora alle prime armi.
«D'accordo, andiamo» dissi dunque all'amico.
Lui sorrise, divertito, telefonò alla sua conoscente e pochi minuti dopo eravamo in auto alla volta di Pavia, dove viveva la signora con la mano nello specchio.
Lungo il tragitto fantasticai su che cosa potesse provocare l'inaudito fenomeno.
«Mettiamo che la signora sia in buona fede» dissi ad alta voce. «Come fa una mano a finire dentro uno specchio?»
L'amico, al volante dell'auto, si strinse nelle spalle.
«Ma è solo la sagoma di una mano o la si vede bene?» domandai. «Voglio dire con le unghie, le vene sotto la pelle, i peli.»
«Guarda, non lo so» disse lui sbuffando.
«Com'è messa? Spunta di fuori, con le dita? O la si vede in un riflesso?»
«Senti, è inutile che insisti, non ne ho la più pallida idea».
«Ma l'hai vista o no?»
«Be', no... Ma l'ha vista Giuliana e mi ha raccontato tutto».
Ah, ecco! L'amico non l'aveva vista questa mano benedetta, mi stava solo raccontando quello che a sua volta le aveva riferito qualcun altro. Non riuscii a trattenere la battuta: «Una testimonianza di seconda mano, insomma».
Lui simulò una risatina.
«Ma non ti ha detto altro?» insistei. «E' una mano di uomo o di donna? Grande o piccola?»
L'amico scosse la testa. «Niente, non gliel'ho chiesto. Ma mancano pochi chilometri e poi vedrai coi tuoi occhi».
Per il resto del viaggio rimasi in silenzio, continuando però a immaginare possibili spiegazioni.
Magari la signora non era affatto in buona fede, pensai. Magari aveva voluto fare uno scherzo agli amici. Sì, ma come? Forse aveva preso una di quelle mani di gomma di carnevale, avrà fatto un buco in uno specchio e ce l'avrà infilata dentro? Ma andiamo, chi la prenderebbe sul serio?
Doveva esserci un'altra spiegazione. Forse si trattava di un riflesso. Ma sì, un caso di pareidolia, quel meccanismo per cui cerchiamo un significato nelle forme e negli stimoli ambigui. Come quando si guardano le nuvole in cielo e sembra di vedere un cavallo. Ecco, la signora guardava lo specchio e nei riflessi le sembrava di vedere una mano.
E Giuliana? Anche a lei sarà sembrato di vedere la mano o l'avrà detto solo per farla contenta? Ma se così era, perché parlarne con il mio amico in maniera tanto convinta?
Continuavo a scervellarmi senza riuscire a trovare una spiegazione soddisfacente al mistero. Per fortuna, arrivammo all'indirizzo concordato, un palazzone anni '70 di sei piani. La signora stava all'ultimo.
«Buongiorno, accomodatevi» disse lei accogliendoci sull'uscio con un sorriso. Era un donnone, con la permanente fresca di parrucchiera e un viso pieno di lentiggini.
Pochi minuti dopo, eravamo seduti su un divano a fiori rosa e lillà e ascoltavamo il racconto della signora.
«Io non lo so che cosa succede in questa casa! Me l'avevano detto che era un po' strana, ma io non credo a certe voci.»
«In che senso "strana"?»
La signora fece spallucce. «Non so, forse l'inquilino precedente era uno che faceva delle sedute spiritiche, fatto sta che tutti mi dicevano: "Non comprarla quella casa". Ma io, testarda, invece l'ho voluta prendere. Ce n'è sempre qualcuna, sa? Una volta la tapparella si blocca. Un'altra mi sto facendo la doccia e l'acqua diventa gelida di colpo. Un'altra ancora sto guardando la tele e si spegne.»
Non vedevo il nesso tra quelli che mi sembravano normali incidenti domestici, ma preferii non discutere. «Secondo lei a che cosa sono dovuti questi. episodi?»
«A Camillo!»
«A chi?»
La signora ridacchiò nervosa. «Camillo, è il nome del fantasma».
«Ah! Lo vedi che c'è un fantasma?» intervenne il mio amico puntandomi un dito in faccia.
La signora arrossì.
«Come fa a sapere che c'è un fantasma?» le chiesi.
«Eh, ma da tutte queste piccole cose, no? All'inizio sembrano normali, ma poi quando una ci fa caso vede che sono troppe per essere solo coincidenze!»
Il ragionamento non mi convinceva. Se si dovesse prendere nota di tutti gli inconvenienti che quotidianamente capitano in una casa, sarebbe normale trovarne tanti. Passai oltre.
«E quindi, secondo lei è stato Camillo a lasciarle la mano?»
La signora si drizzò a sedere. «Ma quello è solo uno dei tanti fenomeni. Certo, fa un po' impressione.» Poi, con fare cospiratorio aggiunse: «La vorrebbe vedere?»
«Magari!»
«E allora seguitemi, prego» disse lei alzandosi e facendo strada.
Entrammo in una camera da letto in penombra che profumava di violetta. La signora scostò le spesse tende di velluto alle finestre per lasciare entrare la luce.
«Dica un po', non è incredibile?»
La donna indicò uno specchio con la montatura in legno appoggiato su una cassettiera dove si trovavano confezioni di trucchi, lacche per capelli e creme varie. Mi avvicinai per osservare meglio e dovetti trattenermi per nascondere la mia delusione.
La "mano" non era niente di quanto avevo immaginato e solo allora mi tornarono alla mente le sagge parole di Sherlock Holmes: «È un errore capitale teorizzare prima di avere i dati. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti». Proprio come avevo fatto io.
Sulla superficie dello specchio si vedevano quattro strisce biancastre, che potevano ricordare delle dita scheletriche. Ma, adesso che le vedevo, era palese di che cosa si trattasse. Allungai un dito e toccai una delle strisce. Una sostanza appiccicaticcia mi rimase attaccata al polpastrello. L'annusai.
«Signora, ma questa è crema per mani» dissi.
La donna mi guardò sconcertata. «Lei dice?»
Il mio amico, imbarazzato, fece di tutto per evitare il mio sguardo.
«Eh sì, signora» risposi. «Annusi lei stessa».
Lei si avvicinò e, quasi a malincuore, confermò con un cenno del capo.
Era evidente cos'era successo. Forse, una sera, la signora era venuta alla cassettiera per mettersi un po' di crema e, senza accorgersene, doveva avere urtato lo specchio con il dorso di una mano, lasciando quelle strisce di glicerina. Poi, magari il giorno seguente, avrà notato quell'impronta e, già convinta di suo di convivere con un fantasma, avrà scambiato la macchia per un segno del suo Camillo.
«Va be', ma se è così allora basta passare uno straccio e viene via» esclamò il mio amico, avvicinandosi allo specchio con un fazzoletto in mano.
«Ma no» lo fermai. «Lascia che sia la signora a occuparsene».
Lei ci guardava spaesata, come se iniziasse a non essere più tanto sicura di tante cose. Chissà, forse nemmeno lei prendeva poi tanto sul serio quelle fantasie sul fantasma. Probabilmente erano solo un modo per riempirsi le giornate. Il fatto che il letto fosse a una piazza e che in casa non ci fossero indizi della presenza di altre persone che vivevano con lei, mi faceva pensare che la signora fosse sola. Forse molto sola.
Quando uscimmo da quell'appartamento, lo sguardo allegro con cui la donna ci aveva accolto era svanito e, per la prima volta, mi resi conto che non era sempre divertente svelare i misteri.
Le vicende qui raccontate sono realmente accadute. Solo i nomi sono stati cambiati.