Nell’articolo precedente, Movimenti misteriosi, si è accennato al fatto che i movimenti involontari possono essere sfruttati non solo dai "lettori muscolari" umani, ma anche da animali. L’esempio classico di ciò è l’astuto Hans, di cui si è già parlato su questa rivista (Vezzani 2004).
Hans era un cavallo russo di proprietà del signor Wilhelm von Osten di Berlino, un insegnante di matematica in pensione, il quale lo acquistò nel 1900 con l'intento di educarlo. Lo scelse per la sua fronte molto bombata, in ossequio alla frenologia.
Von Osten era convinto che se la psiche di un cavallo sembrava così diversa da quella umana era soltanto perché gli esseri umani venivano educati in modo molto diverso da come venivano addestrati i cavalli. La soluzione per far emergere la fondamentale somiglianza tra cavalli e persone era semplice: si doveva educare gli equini allo stesso modo dei fanciulli.
Per quattro anni von Osten educò Hans come se fosse un bambino, con enorme pazienza e gentilezza. Ecco ad esempio come gli insegnò a contare:
"Il maestro metteva un birillo davanti al cavallo; poi, inginocchiatosi, prendeva ed alzava una delle zampe anteriori del cavallo, indi la abbassava facendo battere lo zoccolo per terra. Contemporaneamente indicava con la mano libera il birillo e diceva: "Uno". Dopo alcune settimane proseguì con 2, 3 e più birilli e a poco a poco ottenne che il cavallo contasse, cioè battesse a richiesta con lo zoccolo il numero di colpi corrispondenti alla cifra detta." (Assagioli 1912).
Nel frattempo non si parlò mai di Hans pubblicamente, ma, infine, il cavallo fu pronto. Il 7 luglio del 1904 comparve su di un quotidiano un articolo in cui l'illustre generale Zobel ne descriveva i formidabili poteri mentali. La fama del generale catturò l'attenzione del pubblico, e da quel momento il cavallo divenne noto come "kluge (intelligente, o astuto) Hans". Molti si recarono a vedere le sue esibizioni pubbliche, e la sua fama si diffuse rapidamente in Europa e in America.
Che cosa sapeva fare Hans? Tanto per cominciare conosceva l’aritmetica, e comprendeva il tedesco sia scritto che parlato. Se gli veniva chiesto, da von Osten ma anche da altri, "quanto fa 3x4?", Hans batteva lo zoccolo sul terreno per dodici volte. Oppure, in risposta alla domanda "per quali numeri è divisibile il 14?", Hans batteva lo zoccolo, in sequenza, per due, sette e quattordici volte.
Ma aveva anche altre competenze. Se gli si mostravano un cerchio, una freccia ed un quadrato su tre lavagne diverse e gli si chiedeva "qual è il cerchio?", Hans si portava verso la lavagna con il cerchio. Se poi gli si chiedeva "quanti lati ha il cerchio?", Hans scuoteva la testa lateralmente, per indicare che il cerchio non ha lati, mentre se gli si chiedeva "quanti lati ha il quadrato?" Hans batteva quattro volte lo zoccolo. Se si mettevano diversi uomini in fila e gli si chiedeva di indicare quello che indossava un'uniforme, Hans si portava di fronte all'unico uomo che indossava appunto un'uniforme. Hans sembrava avere anche poteri paranormali: se ad una persona veniva chiesto di pensare un numero, e questa pensava ad esempio 8, Hans batteva otto colpi.
Come era possibile tutto ciò? La risposta di von Osten era semplice: Hans pensava allo stesso modo di un essere umano, e riusciva a farlo perché era l’unico cavallo che fino ad allora fosse stato educato appunto come un essere umano. Era l'educazione a determinare la capacità di pensare, non la natura umana piuttosto che equina dell'allievo. Solo la capacità di parlare distingueva Hans da un ragazzo di dodici anni.
Le capacità dimostrate dal cavallo erano però talmente inverosimili che molti sospettarono la frode. Si insinuò che von Osten si servisse di segnali. Tra questi scettici c'erano molti addestratori professionisti, anche perché Hans eccelleva proprio in quelle abilità in cui eccellevano i loro animali addestrati. Nessuno, però, malgrado l'osservazione più attenta, riusciva a cogliere nemmeno il più piccolo dei segnali. Era questo il fatto cruciale che distingueva Hans da tanti animali che venivano esibiti nei circhi ed in altri spettacoli, e che lo rendeva interessante dal punto di vista scientifico. Ad esempio, nello stesso periodo si esibiva a Berlino una giumenta, "kluge Rosa", con capacità analoghe a quelle di Hans, ma nel suo caso era abbastanza evidente che l’addestratore segnalava al cavallo di smettere di battere lo zoccolo muovendo il busto in avanti.
Altri ancora cercarono spiegazioni perfino più straordinarie di quella di von Osten. Una di queste si basava sulla telepatia, con qualche dato a supporto, come si è visto. Oppure, c'era forse una rete elettrica sotto il terreno che agiva sugli zoccoli del cavallo? Un'ulteriore spiegazione si basava sui raggi N, che allora erano di moda dopo essere stati "scoperti" l'anno prima da R. Blondlot, ma venne abbandonata quando, di lì a poco, venne dimostrato che i raggi N non esistevano.
Il 12 settembre 1904 si riunì una commissione scientifica volta ad indagare sulle accuse di frode rivolte a von Osten, e solo su di esse. La conclusione fu che von Osten era onesto, tant’è che Hans rispondeva correttamente anche in sua assenza.
Una seconda commissione si riunì in ottobre per decidere se Hans fosse davvero capace di pensiero astratto. Ne facevano parte lo psicologo Carl Stumpf e due suoi allievi, E. von Hornbostel e Oskar Pfungst. Quest’ultimo svolse la parte del protagonista.
Pfungst effettuò molti esperimenti, in ciascuno dei quali vi erano due condizioni: una "con conoscenza", in cui l'esaminatore di Hans conosceva la risposta corretta al quesito, ed una "senza conoscenza", in cui l'esaminatore non la conosceva.
Pfungst dimostrò che Hans rispondeva correttamente solo nelle condizioni "con conoscenza". Oltre alla conoscenza della risposta da parte dell’esaminatore, un’altra condizione necessaria perché Hans rispondesse correttamente era che il cavallo potesse vedere chi lo interrogava. Era invece indifferente che Hans potesse udire o meno la domanda che gli veniva posta.
Tutto sembrava suggerire, insomma, che chi interrogava il cavallo gli fornisse, senza rendersene conto, qualche informazione visiva che Hans percepiva e che gli segnalava sia quando doveva cominciare a battere lo zoccolo che quando doveva smettere. Pfungst accertò che, in effetti, chi interrogava il cavallo, subito dopo aver formulato la domanda, piegava molto leggermente in avanti testa e tronco. In risposta a questo comportamento Hans cominciava a battere lo zoccolo. Quando il cavallo raggiungeva il numero corretto di colpi, la testa di chi lo interrogava eseguiva un leggerissimo movimento verso l'alto. Hans percepiva questo movimento e smetteva di battere lo zoccolo.
Questi segnali erano veramente minuti, inferiori ad un millimetro, ed era per questa ragione che fino ad allora non erano stati individuati da nessuno. Inoltre, venivano emessi inconsapevolmente. Pfungst, però, una volta divenutone consapevole, imparò a controllarli, confermando che, in assenza degli indizi critici, Hans falliva. Era anche facile indurre il cavallo in errore producendo i movimenti critici in momenti sbagliati.
Si spiegava così anche come Hans fosse apparentemente in grado di leggere nella mente delle persone. Anche chi formulava la domanda solo internamente, infatti, emetteva i segnali. Come si è visto nell’articolo precedente, lo stesso Pfungst, dopo aver imparato da Hans come servirsi dei movimenti involontari dei suoi soggetti, divenne in grado di "leggere la mente".
Sono chiare le analogie tra Hans e i "lettori muscolari" di cui si è parlato nell’articolo sui Movimenti misteriosi. Si è visto che anche se la maggioranza di questi "lettori della mente" aveva bisogno di un contatto fisico, alcuni avevano successo senza contatto. In particolare, Eugen de Rubini si serviva di indizi solo visivi, proprio come Hans.
Del resto Mountjoy e Lewandowski (1984) ci informano che W. F. Pichbeck, in un libro dell'inizio dell'Ottocento, spiegava come addestrare un maiale a rispondere a segnali prima evidenti e poi sempre più deboli, finché esso "sembrerà leggere i vostri pensieri", perché risponderà a segnali che l'addestratore non si rende nemmeno conto di emettere. Von Osten ottenne proprio questo risultato con il suo Hans: si era illuso di averlo educato come un bambino, ma gli aveva solo insegnato ad iniziare e smettere di battere lo zoccolo in risposta a movimenti che egli stesso non si rendeva conto di compiere. Von Osten fu insomma l’ennesima vittima dei propri movimenti involontari e inconsapevoli.
Per chi volesse addestrare il proprio cane a "leggere la mente" senza che nessuno possa scoprire il trucco, Burlingame (1904/2002) spiega come riuscirci.
Il 9 dicembre 1904 furono rese pubbliche le conclusioni della seconda commissione che era stata chiamata a pronunciarsi su Hans: il cavallo non era capace di pensiero astratto ed indipendente. Il risultato fu che ogni discussione pubblica cessò. La meteora Hans, durata pochi mesi, passò apparentemente senza lasciare traccia.
L’indagine sperimentale di Pfungst, da lui poi narrata in un libro (Pfungst 1907), fu forse il maggior successo della psicologia sperimentale fino a quel tempo. Da allora l'influenza di sottili indizi da parte di chi interroga sul comportamento di chi risponde è noto come "clever Hans effect", ed è una delle principali ragioni che hanno portato, tra l’altro, all'adozione del noto metodo del doppio cieco.
Qualcuno però non fu convinto da Pfungst, e nella primavera del 1905 si mise in contatto con von Osten: Karl Krall, un ricco gioielliere di Elberfeld, una città tedesca non distante dal confine olandese.
Krall e von Osten iniziarono a lavorare assieme, e cercarono di confutare la teoria di Pfungst dotando Hans di un paraocchi che consentiva di interagire col cavallo senza fornirgli indizi visivi. Da quel momento, Hans si dimostrò stranamente refrattario ad un'educazione ulteriore, tant'è che per parecchie settimane i risultati diedero ragione a Pfungst. Poi le cose cominciarono a cambiare, almeno un poco, ma a quanto pare non venne presa in considerazione la possibilità che, in seguito all'ulteriore addestramento, Hans stesse imparando a rispondere a segnali non visivi.
Il 29 giugno 1909 von Osten morì maledicendo Hans, che considerava responsabile del discredito totale in cui era caduta la sua teoria. Il cavallo fu lasciato in eredità a Krall, ma era ormai diventato quasi intrattabile, per cui Krall concentrò i propri sforzi educativi su due stalloni arabi, Muhamed e Zarif, acquistati nel 1908.
Krall cominciò a tenere lezioni ai due cavalli per un paio d'ore al giorno tutti i giorni, e ben presto le loro prestazioni superarono quelle dello stesso Hans. I cavalli impararono non solo le quattro operazioni aritmetiche, ma anche ad estrarre radici in pochi secondi.
Non si limitavano a ripetere meccanicamente quanto veniva loro insegnato, ma risolvevano problemi nuovi. Ad esempio, Krall gli insegnò prima che 5x5=25, e poi che Ö25 = 5. Da pochi esempi come questo i cavalli capirono il concetto di radice di un numero, ed impararono ad estrarre la radice di numeri nuovi. Erano insomma capaci di pensiero astratto.
Muhamed e Zarif comunicavano principalmente, come Hans, battendo lo zoccolo, ma Krall perfezionò il metodo di von Osten: un colpo dello zoccolo destro stava per un'unità, uno dello zoccolo sinistro per una decina, un nuovo colpo dello zoccolo destro per un centinaio, e così via. Il numero 312 veniva dunque espresso con due colpi dello zoccolo destro, uno di quello sinistro ed altri tre di quello destro.
Muhamed e Zarif impararono anche a comprendere ed a "parlare" il tedesco. A ciascuna lettera corrispondeva un numero. La lettera "e", ad esempio, veniva espressa col numero 11, cioè con un colpo dello zoccolo sinistro ed uno di quello destro.
Muhamed e Zarif rimasero sempre gli allievi migliori, ma a loro due e all'ormai anziano Hans si aggiunsero nel tempo altri quattro cavalli. Nel loro complesso, questi equini passarono alla storia come i "cavalli di Elberfeld". Uno di essi, Berto, doveva servire come una confutazione diretta della teoria di Pfungst, perché era cieco.
L'educazione dei cavalli di Elberfeld proseguì per anni in privato. Le cose cambiarono radicalmente, però, nel 1912, quando Krall pubblicò un libro, Denkende Tiere (Animali pensanti), in cui descriveva i suoi risultati e le sue teorie.
Il libro ebbe una risonanza rapida e straordinaria, sia in Europa che in America, e anche nel mondo scientifico e intellettuale. Vennero fondate la rivista Tierseele (Psiche animale) e la Gesellschaft für Tierpsychologie (Società di psicologia animale), interamente dedicate agli animali ragionanti e sapienti.
Krall cominciò a tenere sedute pubbliche con i cavalli, sempre frequentatissime, in cui Zarif e Muhamed dimostravano capacità superiori perfino a quelle di molti esseri umani. In pochissimi secondi erano in grado di risolvere problemi come il seguente, presentati sia verbalmente che per iscritto su una lavagna: Ö4536 - Ö1849 * (Ö196 - Ö144).
Facevano molti errori, e spesso sembravano approssimarsi man mano alla soluzione. Ad esempio, alla domanda "quanto fa ?", Muhamed una volta diede prima le risposte errate 163, 143, 135 (al posto di 153?), 133 e infine quella giusta 123. Non si sarebbe forse comportato allo stesso modo un essere umano? Non a caso, Agostino Gemelli (1913) propose che, per comprendere il comportamento dei cavalli, sarebbe stato molto opportuno studiare Krall, e gli errori che lui faceva quando calcolava a mente: magari si sarebbe trovato che si trattava di errori dello stesso tipo di quelli dei cavalli... Naturalmente, Gemelli era memore dei risultati di Pfungst e sospettava che Krall, senza rendersene conto, fornisse indizi ai cavalli.
Anche le loro capacità linguistiche lasciavano a bocca aperta, ed erano soprattutto queste che li faceva ritenere dotati di una psiche molto simile a quella umana; infatti, alcuni non consideravano molto probanti le loro capacità matematiche, dal momento che, si diceva, anche tra gli esseri umani i grandi calcolatori non sono necessariamente molto intelligenti, ed anzi spesso sono degli idioti.
Certo, le loro manifestazioni linguistiche non erano sempre facili da interpretare. Ad esempio, Zarif aveva i seguenti modi di scrivere "nicht" o "nichts": nein, ne-in, nien, nen, nieein, nicht, nig, nigd, nigt, nihjs, nigst, nych, nycht, neigt, ngeit. I cavalli, poi scrivevano la parola "Pferd" (cavallo) in più di cento modi diversi! Insomma, uno scettico potrebbe parlare qui di pareidolia: non sembra improbabile che le interpretazioni date alle produzioni verbali degli equini avessero qualcosa a che vedere, almeno a volte, con le figure che tutti riconosciamo nelle nuvole.
Proprio come von Osten, Krall e i suoi sostenitori ritenevano che i cavalli "hanno ricevuto una vera e propria educazione, ed hanno imparato a pensare come noi" (Mackenzie 1912). Come nel caso di Hans non mancarono, comunque, anche spiegazioni basate sulla telepatia: forse qualche contenuto passava direttamente dai cervelli dei presenti a quelli dei cavalli?
Il campione dell'evoluzionismo in Germania, Ernst Haeckel, scrisse a Krall: "Le vostre ricerche attente e critiche mostrano in modo convincente l'esistenza della ragione negli animali, che per me non è mai stata in dubbio".
Tante altre autorevoli personalità, scientifiche e non, si recarono ad Elberfeld per osservare i cavalli. Dopo averli visti, l'influente neurologo Ludwig Edinger fu entusiasta nel suo supporto alle teorie di Krall. Non meno entusiasta fu l'illustre psicologo Édouard Claparède, il quale arrivò a scrivere che la pubblicazione del libro di Krall "è certamente l'evento più sensazionale mai avvenuto nella psicologia animale, e forse nella psicologia in generale" (Claparède 1912). Anche tra gli zoologi, non pochi sposarono la causa di Krall: ad esempio L. Plate, P. Sarasin, K. Gruber e soprattutto l'attivissimo H. E. Ziegler.
A livello internazionale gli interventi scientifici furono numerosissimi; in una bibliografia parziale, Mackenzie (1914) ne elenca 84 tra il 1912 e il 1913.
Tanti altri scienziati ed intellettuali, però, ritenevano ingiustificata l'eco avuta dai cavalli di Elberfeld negli ambienti scientifici e culturali. Ad esempio, uno dei padri della psicologia della Gestalt sosteneva che "tutti i resoconti entusiastici sono dovuti ad un'attenzione insufficiente per le fonti di errori sia sperimentali che di calcolo delle probabilità" (Köhler 1912). Anche il padre della scuola psicologica del comportamentismo, John B. Watson (1914), che dedicò un intero capitolo del suo Behavior agli animali sapienti, era molto scettico. Al Congresso Internazionale di Zoologia di Monaco del 1913, poi, ben ventiquattro scienziati di rango firmarono addirittura un documento di protesta, in cui si deplorava soprattutto che le idee di Krall si diffondessero malgrado l'assenza totale di studi seri sui suoi cavalli.
Degli animali in questione si parlò parecchio anche negli ambienti scientifici italiani (una bibliografia italiana parziale può essere trovata a questo indirizzo: http://tinyurl.com/yeadgpb ). Roberto Assagioli e William Mackenzie, pur consapevoli di rischiare il ridicolo, sostennero in modo entusiastico le tesi di Krall. Il genovese William Mackenzie (1877-1970), filosofo e biologo, è piuttosto ben noto a chi si occupa di paranormale; tra le altre cose, negli anni '50 fu presidente della Società Italiana di Parapsicologia, e curatore della rivista Parapsicologica. Roberto Assagioli (1888-1974) coltivava un forte interesse per occultismo e spiritismo; fu il fondatore della psicosintesi, uno dei cui concetti è l'inconscio transpersonale, dal quale scaturiscono, tra gli altri, i poteri paranormali.
Giulio Cesare Ferrari (1867-1932), amico personale di William James e fondatore della Rivista di Psicologia, era cautamente a favore della causa di Krall, e tentò anche di educare un cavallo col metodo seguito a Elberfeld (Ferrari 1913). Invece il già citato Agostino Gemelli (1878-1959), poi fondatore dell'Università Cattolica, era fortemente critico, lamentando soprattutto l'assenza di un'indagine seria.
Come se non bastasse, alla confusione si aggiunse ben presto un cane. Quando William Mackenzie andò ad Elberfeld, Krall gli segnalò il caso di Rolf, un terrier di proprietà della famiglia Moekel di Mannheim con capacità abbastanza simili a quelle dei suoi cavalli. Mackenzie si recò a Mannheim per studiarlo, e grazie ai suoi scritti (Mackenzie 1913, 1914) anche la fama di Rolf si diffuse rapidamente nel mondo.
Il cane si esprimeva battendo la zampa su un cartone tenuto in mano dalla signora Moekel; era capace di far di conto, ma soprattutto brillava per le sue capacità linguistiche, ed aveva anche una certa tendenza a filosofare. Sapeva esprimere concetti complessi, anche se in un linguaggio scarno, "stenografico", come del resto i cavalli di Elberfeld. Ci si può rendere conto del suo stile in questa lettera che Rolf scrisse a Krall nel periodo natalizio, dettandola alla signora Moekel, in risposta ad un libro che Krall gli aveva inviato e che conteneva una figura di animali a scuola: "Caro. Contento di libro. Daisy (il gatto della famiglia Moekel) deve vedere. Animali amano imparare, editori, novellieri. Molti gentiluomini erano là. Cristo bambino (Babbo Natale) arrivando. Mamma lo porta. Anche le case hanno un albero. Rolf ti dà piccolo Rolf (una fotografia). Molti baci". Per inciso, Rolf scrisse molte altre lettere, le quali vennero in seguito raccolte in un volume e pubblicate (Moekel 1920).
Ma come reagì Pfungst ai nuovi animali sapienti? Si espresse una sola volta sui cavalli di Elberfeld, durante il V Congresso di Psicologia Sperimentale del 1912, in cui riferì anche dei suoi studi sul cane parlante Don (Pfungst, 1912a). Egli disse solo che confermava la sua teoria, lamentando il fatto che Krall avesse respinto ben tre sue richieste di studiare i cavalli (Pfungst 1912b).
Pfungst non fu l'unico a cui Krall impedì di esaminare i cavalli. Gemelli poté vederli solo presentandosi sotto mentite spoglie, dopo essersi visto respingere due richieste, in quanto a Krall era stato riferito che si trattava di persona ostile (Gemelli 1914). Inoltre:
"Il Prof. Schilling, il Dott. Pfungst ambedue di Berlino e il Dott. Ettlinger di Monaco, hanno più volte fatto al Sig. Krall la seguente proposta. Essi dovrebbero di comune accordo col sig. Krall compilare il piano di un certo numero di esperienze atte ad escludere nel modo più assoluto - il che finora non si è fatto - che si tratti di segni involontari. (...) Ma il sig. Krall si è rifiutato ostinatamente. Egli chiude inesorabilmente le porte della stalla e dei suoi cavalli a quanti sa sono contrai alle sue vedute." (Gemelli 1913).
Proprio così: Krall non permetteva di studiare i suoi cavalli a chi riteneva prevenuto. Sembra di notare una certa analogia con quei sensitivi che rifiutano di farsi studiare dal CICAP...
Ciò che non fu mai possibile ottenere, nel caso dei cavalli di Elberfeld, fu la prova che non si verificasse, anche nel loro caso, l'effetto "clever Hans". A tal fine si sarebbe dovuto porre ai cavalli domande alle quali nessuno dei presenti fosse in grado di rispondere (la condizione "senza conoscenza" di Pfungst). Come si è visto nell’articolo sui Movimenti misteriosi, infatti, già Chevreul aveva capito che l’unico modo certo per non farsi gabbare dai movimenti inconsapevoli consiste nel mettersi nella condizione di non poter avere aspettative riguardo al risultato.
L'uso di paraocchi, naturalmente, non era sufficiente. E’ vero che Hans si serviva di indizi solo visivi, ma non v'era certo ragione di escludere che i cavalli di Elberfeld si servissero di indizi d'altro tipo. Ad esempio, Pieron (1913) suggerì che forse i cavalli notavano alterazioni nella respirazione dei presenti; quest’ipotesi non era così peregrina: nell’articolo precedente si è visto che il lettore del pensiero John Dalton si serviva della respirazione della sua guida per trovare oggetti nascosti.
A dire il vero, Krall fece tentativi di questo tipo. Sentiamo in proposito la testimonianza del neurologo Edinger, riportata da Mackenzie (1914):
"mi sono ... accordato col Sig. Krall per una serie di esperimenti, nei quali egli stesso abbia ad ignorare quale possa essere la risposta del cavallo. Di tali esperimenti egli ne ha già fatto parecchi, tempo addietro: ieri però preferì di non riprenderli, dichiarando che i suoi soggetti rifiutano la risposta, appena si accorgono che egli non la conosce (...) Certo è che ci troviamo davanti a qualche cosa di grande."
In altre occasioni Krall dichiarò che se i cavalli si accorgevano che chi li interrogava non conosceva le risposte, perdevano ogni rispetto per il loro interlocutore, e si sentivano in diritto di non rispondere, o di rispondere in modo errato (Hövelmann 1989).
In seguito furono fatti altri tentativi, che a quanto ci viene detto riuscirono, ma in condizioni del tutto inadeguate. In generale, le testimonianze autorevoli abbondavano, mentre gli esperimenti rigorosi erano assenti.
Nel 1912, perfino uno psicologo di rango come Claparède, dopo aver visto i cavalli per la prima volta, rilasciò a Krall la seguente dichiarazione scritta: "I cavalli hanno dato risposte giuste in circostanze tali da escludere assolutamente l'ipotesi di segnali volontari od involontari." (Mackenzie 1914). Lo stesso Claparède, però, nel 1913 fece una seconda visita ad Elberfeld. Egli poté studiare i cavalli in assenza di Krall ed ottenne qualche prova che si era in presenza di un effetto "clever Hans": le risposte furono in buona parte errate in generale, ma soprattutto furono sempre errate quando nessuna delle persone presenti conosceva le risposte corrette. È comunque probabile, come dice Assagioli (1913a), che "all'epoca della seconda visita del Claparède i cavalli fossero in uno dei loro non rari periodi di cattiva disposizione, tanto più che appunto allora stavano mutando pelo". In effetti i cavalli di Elberfeld si ammalavano con una frequenza impressionante, e non erano quasi mai in grado di esprimersi al meglio... Secondo lo zoologo Ziegler, fervente avvocato della causa dei cavalli, coloro che dubitavano delle capacità degli animali erano per ciò stesso quasi condannati a fallire nei loro esperimenti (Hövelmann 1989).
Per quanti accettavano che i cavalli di Elberfeld e Rolf sapessero far di conto ed usare il linguaggio umano, la teoria di Pfungst dei segnali inconsci era da ritenersi ampiamente confutata dai fatti, come tanti illustri osservatori avevano testimoniato dopo aver visto i cavalli con i propri occhi. (Quest'ultimo punto era sempre sottolineato: essi avevano visto con i propri occhi! Ma naturalmente aver visto non equivale ad aver visto e capito tutto.)
Come scriveva Mackenzie (1914), la teoria dei segnali inconsci di Pfungst è "quella che più facilmente si può confutare alla luce dei fatti... Ormai la teoricissima teoria dei segnali è morta per chiunque si avvicini senza pregiudizi alla realtà delle cose... Ciò che stupisce in tutta la questione è che tanta superficialità 'scientifica' condita del più assoluto dogmatismo abbia potuto, in apparenza, chiudere una qualsiasi controversia (quella relativa ad Hans)". Infatti c'era chi sosteneva, come appunto Mackenzie, che la teoria di Pfungst non si applicasse nemmeno ad Hans stesso.
Negli anni ’20 Ziegler insegnò al proprio cane Awa a far di conto e a nominare oggetti e persone. Il cane aveva però uno strano difetto: sbagliava quando gli venivano rivolte domande alle quali il suo padrone non sapeva come rispondere. Ziegler scrisse a Carita Borderieux:
"(...) il mio Awa dà risposte migliori quando io conosco il risultato. Se un'altra persona propone un'addizione all'infuori di me, Awa dà spesso delle risposte errate. Ciò prova ch'egli profitta della telepatia, che in quel caso diventa invece impossibile" (Tegani 1939)
Piuttosto che dar ragione a Pfungst e accettare che influenzava il proprio cane senza rendersene conto, Ziegler preferiva pensare che il cane fosse telepate!
Insomma: "ora si può dire che la realtà e la genuinità dei risultati ottenuti dal Krall sono accertate in modo sicuro e definitivo". Dati i fatti, "l'unica loro possibile interpretazione è che i cavalli posseggono una vera intelligenza, capace di indurre, dedurre, generalizzare, astrarre, capace insomma di eseguire le ordinarie operazioni logiche della mente umana" (Assagioli 1912). Chi non ammetteva ciò aveva evidentemente difficoltà ad abbandonare abitudini di pensiero millenarie relative alla psiche animale, e del resto, come la storia della scienza insegna, ogni grande novità si impone solo con fatica, dovendo vincere resistenze fortissime da parte dei misoneisti (Assagioli 1913b).
Poi venne la Grande Guerra. Come tutti i cavalli tedeschi anche quelli di Elberfeld vennero arruolati, e morirono nelle Fiandre su un campo di battaglia. Non fu mai possibile studiarli seriamente, dunque, per cui la questione delle loro capacità intellettive rimase formalmente aperta.
Il caso di Hans si chiuse nel giro di pochi mesi, perché von Osten consentì uno studio serio del cavallo. Krall invece si oppose ad uno studio analogo, e probabilmente fece bene, dal suo punto di vista, perché così non si giunse mai ad un verdetto definitivo, ed egli non uscì umiliato e sconfitto dalla vicenda, come invece capitò al povero von Osten, di cui lui aveva conosciuto da vicino il destino.
Di fatto, però, dopo la guerra le polemiche finirono, anche se dei cavalli di Elberfeld si continuò a parlare di tanto in tanto.
Rolf, invece, dopo la morte della signora Moekel fu studiato seriamente da W. Neumann. Negli esperimenti di Neumann, il cane diede risposte sempre giuste quando le risposte erano note ai membri della famiglia Moekel, e sempre sbagliate quando non lo erano. Inoltre, se il cartone su cui Rolf batteva la zampa era tenuto da Neumann, e tenuto sempre immobile, il cane continuava a battere praticamente all'infinito (Neumann 1916). Dunque la teoria dei segnali di Pfungst spiegava le prestazioni di Rolf.
Naturalmente ci fu chi non accettò questi risultati (Ziegler 1917), ma almeno Mackenzie li accettò: "Devo dichiarare che le scoperte del dottor Neumann hanno creato in me dubbi molto spiacevoli sulla reale genuinità dell'intero insieme di 'risultati' ottenuti con il cane di Mannheim". D'altro canto " la mia certezza è però ancora grande come è sempre stata che i risultati ottenuti da me stesso e da molti altri ad Elberfeld con i cavalli del signor Krall sono perfettamente genuini e affidabili" (Mackenzie 1919).
Rolf morì, ma lasciò dietro di sé prole molto dotata. Tra i suoi figli si distinse Lola, che raggiunse nuove vette grazie all'educazione ricevuta da Henny Kindermann (Kindermann 1919).
Anche a causa delle performance di Lola, Mackenzie scrisse: "a questo punto debbo dire anch'io: 'troppo, troppo'!" (Mackenzie 1920). Pure a lui sembrò impossibile, infine, che degli animali fossero realmente capaci di imprese di quel livello, per cui rinunciò all’idea che essi fossero dotati di un intelletto simile a quello umano. Vi rinunciò anche per i cavalli di Elberfeld, e si convinse che la spiegazione più probabile dei fatti doveva essere di tipo medianico, o al limite telepatico, e passò direttamente allo studio dei medium umani (Mackenzie 1923).
Krall, da parte sua, smise di sperimentare, anche se continuò a parlare e scrivere dei suoi cavalli di un tempo. Pubblicò articoli sulla comunicazione telepatica tra animali e uomo sulla rivista Zeitschrift für Parapsychologie, e si dedicò allo spiritismo, sua grande passione. Inventò anche un sistema per impedire ai medium di alzarsi di nascosto dal tavolo durante le sedute spiritiche, sistema che però non impedì il verificarsi di prodigi quando Harry Price ne fece uso col noto medium Rudi Schneider nel 1929, con buona pace degli scettici.
Sugli eredi di Hans scese un silenzio che da quel momento fu sì rotto di quando in quando, ma senza aggiungere nulla di nuovo alla polemica.
Vale la pena di commentare un poco, infine, il legame stretto che vi fu all'epoca tra la credenza negli animali sapienti e quella nel paranormale.
Come si è visto, Krall stesso era un ardente spiritista, e Assagioli e Mackenzie avevano simpatie dichiarate per il paranormale, ma tanti altri seguaci di Krall non erano certo da meno.
Il più famoso tra questi fu il belga Maurice Maeterlinck, premio Nobel per la letteratura nel 1911. Egli respinse fin da subito, saggiamente, l'idea che i cavalli di Elberfeld pensassero allo stesso modo degli esseri umani. Piuttosto, egli propendeva inizialmente per una spiegazione di tipo telepatico, ma dopo aver visto con i propri occhi i cavalli nel 1912, si convinse che la spiegazione doveva essere di tipo medianico. Maeterlinck riservò ai cavalli di Elberfeld, ed un poco anche a Rolf, un lungo capitolo di un libro interamente dedicato al sovrannaturale (Maeterlinck 1914).
Un altro esempio fu il biologo e zoologo Karl Gruber, membro della Gesellschaft für Tierpsychologie e devoto dell'occultismo e dello spiritismo (Gruber 1930). E poi C. de Vesme, H. Kindermann (la padrona di Lola), C. Borderieux e tanti altri.
Tra quanto erano scettici riguardo alle reali capacità degli animali sapienti, invece, pare che nessuno avesse simpatie dichiarate per il paranormale. Anzi, proprio il contrario. Ad esempio, Albert Moll era un noto debunker dell’occulto, e Wilhelm Wundt, uno dei padri della psicologia sperimentale e tra i firmatari, nel 1913, del documento di protesta contro le teorie di Karl Krall, riteneva che lo spiritismo fosse "un segno della barbarie culturale del nostro tempo" (Wundt 1885), ed in generale aveva pochissima pazienza verso tutto ciò che rientrava nella categoria "occulto".
Perché questa correlazione tra la credenza negli animali pensanti e quella nel paranormale? Una delle principali ragioni è bene espressa da Mackenzie (1914, pagg. 5-6) quando parla dell'"amore al meraviglioso", e lo contrappone allo "scetticismo ad oltranza". Evidentemente, queste persone erano particolarmente ben disposte verso qualunque tipo di fenomeni nuovi e meravigliosi, e quindi tanto verso gli animali sapienti quanto verso la telepatia, lo spiritismo ecc. Ciò rimane vero ancora oggi: si vedano ad esempio le voci "Animals" e "Elberfeld horses" in Melton (2001) e Spence (2003).
Ma oltre a questa, che è di tipo motivazionale, vi sono altre somiglianze tra la credenza negli animali sapienti e quella nel paranormale. Come sostiene Sanford (1914), in entrambi i casi abbiamo (a) fenomeni insoliti che (b) sono osservabili da alcuni soggetti ma non da altri, e che (c) somigliano ai risultati ottenuti con "trucchi" da addestratori in un caso e da maghi nell'altro. Inoltre, in entrambi i casi (d) i protagonisti sono persone entusiaste e in buona fede, ma non sono disposte a seguire un metodo scientifico, o non ne sono in grado, per cui (e) c'è da parte loro una mancanza di disponibilità a consentire esperimenti risolutivi, e (f) c'è anzi da parte loro la pretesa di affermare le proprie ragioni servendosi di testimonianze, preferibilmente di persone autorevoli.
E qui si chiude la storia.
Per chi volesse consultare documenti dell'epoca si consiglia questo sito: http://www.denkende-tiere.de/ . Molto materiale è in tedesco, ma vi si può trovare anche il libro di Mackenzie del 1914.
Bibliografia
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