Le onde dell’estasi

Come produrre onde delta da svegli. E ancora: Velo di Manoppello, sleep paralysis e una curiosità sul "miracolo" di San Gennaro

Sono una studentessa di lingue e letterature straniere e sto studiando il sonno e il sogno come argomenti legati alla letteratura inglese e spagnola. È già argomento molto complesso dal mio punto di vista e inoltre sto anche studiando le onde cerebrali in quanto durante il sonno si ha quasi tutto lo spettro delle onde cerebrali di un individuo "sano": dalle onde beta della veglia sino alle onde delta del sonno profondo. Ho letto che le onde delta sono fisiologiche nel sonno profondo mentre in altre situazioni sono patologiche (se prodotte quando si è svegli esse denotano ad esempio la sindrome di Wolf Parkinson White e altre patologie anche gravi purtroppo). Navigando sul web ho trovato ottimi siti che affermano che le onde delta sono anche le cosiddette onde dell’"estasi" e alcuni sostengono che dei maestri yoga sono arrivati a produrre onde delta "da svegli" oppure mi sono imbattuta in siti come questo: www.subodhgupta.com/testimonials.html in cui addirittura si "insegna" alle persone come produrre onde delta da svegli. Quello che voglio sapere è: ma tutto ciò è possibile? Mi sembra un fenomeno alquanto bizzarro. Se producessi onde delta da sveglia mi preoccuperei seriamente e inoltre dobbiamo ricordare che le onde delta sono le onde cerebrali che caratterizzano il coma! Allora perché mai vi sono delle scuole in giro o delle discipline che promettono alle persone tali cose?

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È vero che attraverso la meditazione yoga si può insegnare a una persona a produrre onde delta?

Risponde Sergio Della Sala, Professore di Human Cognitive Neuroscience all’Università di Edimburgo, Gran Bretagna:
Il desiderio di analizzarsi e di migliorarsi è ammirevole. Purtroppo spesso questa encomiabile aspirazione si accompagna al tentativo di trovare scorciatoie per raggiungere scopi altrimenti faticosi e che richiederebbero anni di studio. Quindi compriamo cassette e dvd con le più improbabili proposte per diventare più intelligenti, accrescere la nostra memoria, e la nostra autostima, in generale per diventare persone migliori. In questo mercato molto redditizio si situano i cosiddetti "brain tuners", cioè esercizi che ci insegnerebbero a regolare il nostro ritmo cerebrale, per asservirlo ai nostri bisogni. Questo mercato fiorisce anche grazie alla poca consuetudine che molti di noi hanno con termini solo apparentemente semplici, quali elettricità o energia. È sufficiente usare termini moderni dal potere quasi magico quali "meccanica quantistica" per evocare false spiegazioni di fenomeni indimostrati. C’è un bellissimo lavoro di colleghi dell’università di Yale che sarà fra poco pubblicato sul Journal of Cognitive Science che dimostra elegantemente questo punto. Gli autori hanno redatto una serie di affermazioni in linguaggio simil-scientifico, ma che seguivano una logica palesemente circolare e hanno chiesto a delle persone non esperte in neuroscienza e a dei neuroscienziati di valutarne la cogenza. Ma a metà dei partecipanti hanno presentato le stesse affermazioni con l’aggiunta di una frasetta che conteneva riferimenti al funzionamento del cervello con termini di facile presa ma completamente irrilevanti a sostenere l’affermazione. Mentre gli esperti non hanno avuto difficoltà a riconoscere la circolarità dell’argomento presentato, con o senza la frasetta sul cervello, le persone meno esperte hanno riconosciuto la fallacia delle affermazioni quando erano presentate senza i termini associati al cervello, ma si sono fatte ingannare quando gli argomenti erano apparentemente sostenuti da qualche parola chiave riferita al cervello. Quindi se volete vendere fuffa, vendete fuffa che "scientificamente dimostri un aumento dell’energia cerebrale".
Venendo al merito della domanda posta dalla gentile lettrice, la meditazione in quanto tale, può apportare dei benefici. Si può tramite la meditazione modificare le onde cerebrali? La parte del leone l’hanno fatta per anni le onde alfa, la cui produzione durante la meditazione era considerata segno del raggiungimento della ineffabile "coscienza alfa" creando un’industria inattaccata dalle rimostranze della comunità scientifica. Da qualche tempo, sono le onde lente (da 0.5 a 4 Hertz), cosiddette "delta" a essere desiderabili, cioè le onde della pennichella. La lettrice giustamente afferma che si preoccuperebbe non poco se producesse onde lente essendo completamente sveglia e ha ragione. Queste infatti caratterizzano, negli adulti, stati patologici cerebrali. Dovremmo preoccuparci anche se usassimo solo il 10 per cento del nostro cervello, o se avessimo bisogno di stimolare la sua metà creativa. Ma questo non impedisce il fiorire di un mercato di esercizi, pratiche, corsi e libri destinati a deludere acquirenti in buona fede e propagandati con ammirevole nonchalance. Il mio preferito è un corso che per ?soli’ 400 euro stimola la creatività insegnando a respirare dalla narice sinistra, una pratica che dovrebbe ossigenare l’emisfero destro del cervello (che la gente pensa essere la parte artistica dell’encefalo). Peccato che le coane nasali siano aperte, che l’aria vada nei polmoni (non nel cervello!), e che non ci sia prova alcuna che l’emisfero destro sia connesso con la creatività. Meditate gente, meditate.

Ancora sul Velo di Manoppello


In riferimento all’articolo di G.M. Rinaldi "La leggenda del colore che non c’era", pubblicato nel numero 74 di luglio/agosto 2007 di S&P, vorrei osservare quanto segue. A pag. 64: «Queste fotografie. sono ancora lontane dal mostrare le particelle di pigmento». Vorrei aggiungere che con i normali microscopi ottici non è possibile ottenere ingrandimenti superiori a circa 300x perché il vetro del reliquiario, interposto fra obiettivo e Velo, non è asportabile. Le particelle più grandi sono visibili in corrispondenza degli occhi; in altre zone le particelle formano una incrostazione superficiale facilmente visibile.
A pag. 67: «Concordiamo sul parallelo fra Manoppello e Guadalupe: non c’è dubbio che le due immagini sono altrettanto soprannaturali!». Escludendo l’ironia che non si addice ad articoli scientifici, mi sorprende il fatto che non ci sia alcun dubbio. Su quali basi si fondano queste certezze?
A pag. 67: «Saremmo curiosi di sapere quali sono le sue considerazioni sull’inspiegabilità». Premesso che per il momento non ci sono prove certe e che le analisi scientifiche sono appena iniziate, una serie di indizi, anche basati sul confronto diretto con altre immagini achiropite come il Fazzoletto di Padre Pio, mi fa propendere per l’ipotesi dell’immagine di origine soprannaturale. Non mi è possibile essere sufficientemente chiaro in questo spazio concessomi perché sarebbe utile anche qualche fotografia, ma cerco ugualmente di fornire qualche indicazione.
L’immagine del Velo, secondo la "Relazione historica" del 1640, fu portata a Manoppello in circostanze misteriose nel 1506 che fanno pensare al soprannaturale. Il Velo di Manoppello presenta l’immagine di un volto su entrambi i lati; le due immagini sono tra loro molto simili e a prima vista sembrano il risultato di un normale dipinto. Analisi più dettagliate pongono però qualche dubbio su conclusioni affrettate. Prima di tutto il Fazzoletto presenta diversi nodi evidenti nella trama che avrebbero fatto scartare il tessuto da un qualsiasi pittore. Le evidenti "pennellate" in corrispondenza di barba, baffi e capelli non combaciano sui due lati, ma la tela è così sottile da fare pensare che una "pennellata" passerebbe da parte a parte per capillarità; per ottenere due immagini diverse sui due lati si deve pensare a un meccanismo più complesso, non normale per un pittore. Il "dipinto" è composto di sostanze coloranti non note, ma aventi diverse tonalità di colore che vanno dal giallo al marroncino chiaro, dal rosso-arancio al marroncino scuro e nero. Non note perché gli esperti, dopo averle analizzate, non le hanno riconosciute fra i pigmenti pittorici normalmente utilizzati, e nemmeno hanno riconosciuto la presenza dei normali leganti usati per amalgamare i pigmenti, come è confermato dall’analisi all’ultravioletto: anche l’immagine achiropita della Madonna di Guadalupe ha caratteristiche analoghe. Da una sovrapposizione in trasparenza del volto del Velo di Manoppello e del volto della Sindone il prof. Pfeiffer e suor Blandina Schlömer scoprirono la somiglianza fra diverse ferite e diverse fattezze anatomiche che corrispondono per forma e posizione; sulla Sindone però sono riportate anche altre ferite, molto evidenti, che non sono presenti sul Velo. È più semplice pensare che le due immagini corrispondano al volto di Gesù raffigurato in momenti diversi piuttosto che pensare a un ipotetico pittore che abbia copiato sul Velo alcune ferite meno evidenti dimenticandosene altre molto vistose come la ferita a "e" della fronte del volto sindonico. L’analisi in luce infrarossa dimostra l’assenza di bozze preventive o correzioni che sono tipiche di un artista. Non è facile poi, se non impossibile dipingere un tessuto di bisso con i dettagli che si osservano sul Velo senza ottenere qualche sbavatura. Quale geniale pittore e perché avrebbe dovuto realizzare un’opera così particolare? Non è più semplice pensare che sia stato Chi ha creato l’universo, e noi stessi, per dare un segno della Sua presenza a chi non si pone arrogantemente come il padrone della Terra?
A pag. 67: «Già Fanti in un primo momento aveva tentato di dire che il colore era presente solo in zone circoscritte.». Anche se alcuni scrittori mi hanno fatto dire cose che non risultano dalle mie ricerche dirette, non ho "tentato" di dire ciò. Ho affermato che in corrispondenza degli occhi e di qualche altra zona limitata ho trovato tracce di colore perché in quelle zone estremamente limitate ho fatto le mie prime fotografie. A pag. 68: «Potrà anche succedere che qualcuno ipotizzi la presenza di sporcizia, batteri, muffe, tracce di insetti.». È già successo perché io stesso, in occasione delle riprese della televisione ZDF in gennaio 2007, ho fotografato la presenza di acari e altra sporcizia racchiusa fra i due vetri che contengono il Velo.
A pag. 68: «Non ci si deve meravigliare se [Fanti] adduce motivi tanto inverosimili: questo è tipico per chi ha una certa mentalità.». Questa dichiarazione potrebbe essere intesa come un’offesa gratuita rivolta a un professore universitario, ma ho già avuto un parziale chiarimento privato nel quale la "mentalità" sembra solo essere riferita a questioni di fede. L’osservazione mi sembra però fuorviante in una sede dove si discutono argomenti scientifici. Rimane ancora non dimostrata l’inverosimiglianza.
Prof. Giulio Fanti
Università di Padova

Risponde Gian Marco Rinaldi, autore dell’articolo:
Commenterò un paio di punti della lettera.
Il professor Fanti cita la mia frase: «Già Fanti, in un primo momento, aveva tentato di dire che il colore era presente solo in zone circoscritte, come le pupille degli occhi, ed era attribuibile a "ritocchi medievali"», ma la lascia incompleta e taglia le ultime parole relative ai ritocchi medievali, proprio quelle rilevanti nel contesto. Fanti sembra ora negare di essersi mai espresso in tal senso, ma già nel mio articolo citavo due sue frasi che erano esplicite. La prima: «... si notano alcune zone, limitate alle pupille ed ai capelli, dove la presenza di pigmenti è accertata, almeno per quanto riguarda possibili ritocchi medievali». La seconda: «Almeno in alcuni punti corrispondenti a possibili ritocchi medievali, le fibrille dell’immagine del Volto Santo presentano evidenti tracce di cementazione fra fibrille.» Le due frasi, come spiegavo, erano prese da un testo di Fanti, fino ad allora inedito, riprodotto entro un articolo di Roberto Falcinelli apparso sulla rivista Hera del settembre 2005. Si tratta di una "Relazione tecnica" che Fanti preparò dopo avere esaminato il Velo nel 2001.
Falcinelli ha presentato una analoga versione di questo articolo, che include le due frasi citate sopra, a un congresso di sindonologi a Dallas nel settembre 2005 (si può leggere in una non perfetta traduzione inglese all’indirizzo www.shroud.com/pdfs/roberto.pdf ). In entrambe le occasioni, Falcinelli ringraziava Fanti per avergli concesso il permesso di riprodurre gli stralci dalla sua relazione inedita. Aggiungo che negli scorsi mesi è apparso, in una pagina del sito di Andreas Resch (www.igw-resch-verlag.at/aktuelles/dateien/veronika.html ), un testo ripreso da un manoscritto di Fanti del febbraio 2007 con il resoconto degli esami da lui condotti sul Velo durante il convegno del 25 gennaio a Manoppello. Il testo è stato tradotto in tedesco da Resch. Ritraduco alla lettera. Vi si legge che «in alcune zone» dell’immagine è stata rilevata la presenza di pigmenti «che potrebbero essere stati aggiunti da un pittore medievale per ravvivare la tonalità del colore già sbiadito». Nel suo ultimo capoverso, Fanti si riferisce a una mia frase, a proposito di «una certa mentalità», e dice che «questa dichiarazione potrebbe essere intesa come un’offesa gratuita rivolta a un professore universitario...». La "mentalità", come è implicito, è quella di chi è propenso a vedere lo straordinario al posto dell’ordinario, di chi cerca spiegazioni mirabolanti invece di accontentarsi di spiegazioni semplici e banali (non mi riferivo in alcun modo alla fede religiosa, infatti analoghi atteggiamenti ricorrono in ambiti del tutto estranei alle religioni). Nel contesto dell’articolo, stavo considerando le motivazioni avanzate da Fanti per considerare "acheropita" l’immagine di Manoppello. Per esempio aveva scritto: «l’esperta tessile Chiara Vigo ha osservato che il Velo presenta più nodi ed esso sarebbe quindi scartato da un pittore». Mettiamo sui piatti della bilancia le due ipotesi. Da un lato, un pittore ha dipinto un telo anche se c’era qualche nodo (non appariscente) nei fili. Dall’altro, la figura non è stata dipinta da un pittore ma si è prodotta in modo soprannaturale. Quale ipotesi è più probabile? Fanti predilige la seconda ipotesi e dimostra appunto di avere quella mentalità di cui parliamo. Ancor più singolare era un altro dei suoi argomenti, secondo cui l’immagine del Velo non è stata dipinta perché non vi compare il segno a forma di epsilon sulla fronte. Se Fanti ha questo modo di ragionare, significa che lo considera valido, e quindi non dovrebbe sentirsi offeso se qualcun altro dissente: sarà l’altro a sbagliarsi! Però non dovrebbe meravigliarsi se c’è qualcuno che considera il suo atteggiamento, per così dire, piuttosto strano.
La mia frase «saremmo curiosi di sapere quali sono le sue considerazioni sull’inspiegabilità» si riferiva a Donato Vittore, non a Fanti. Comunque è stato utile che Fanti ne abbia tratto occasione per esporre le sue argomentazioni, dando così più ampia dimostrazione di quale sia la sua mentalità.

La sleep paralysis

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Il fenomeno della sleep paralisys può contribuire a spiegare certe apparenti visioni di fantasmi
Ho letto nel numero 74 di Scienza e Paranormale la risposta che, a pagina 19, Silvano Fuso dà a quel lettore che ha visto un fantasma in camera da letto. Vorrei suggerire un’altra possibile spiegazione. Alcuni anni fa ho scritto un articolo sui Quaderni di Parapsicologia, intitolato "La sleep paralysis e gli alieni". La sleep paralysis è una situazione abbastanza diffusa che rientra nella categoria degli incubi allucinatori. Praticamente tutti, almeno una volta nella vita, ne facciamo esperienza. Specialmente sul finire del sonno può capitare, per ragioni ancora non chiarite, che una persona si svegli parzialmente e abbia un certo tipo di allucinazione molto realistica, tanto da sembrare assolutamente vera. Il più delle volte si tratta della percezione di una presenza invisibile, oppure di un essere indefinito. Altre volte sembra una persona vera e propria sino ad arrivare a vedere un essere mostruoso che si avvicina al letto e che cerca di soffocare il poveretto comprimendogli il petto. Ugualmente frequenti sono le allucinazioni uditive sotto forma di voci e rumori sinistri che si propagano nella stanza o nell’orecchio del dormiente. Quest’ultimo, terrorizzato, non può muoversi né chiedere aiuto perché il suo corpo è interamente paralizzato. Questo fatto è del tutto naturale in quanto quando sognamo il nostro corpo è completamente incapace del seppur minimo movimento. Infatti, se così non fosse, rischieremmo di compiere chissà quali sobbalzi e movimenti inconsulti nel momento in cui stiamo sognando. Da qui il nome di questa condizione, per niente patologica, di sleep paralysis, ossia paralisi nel sonno, con allucinazioni. Su questa base sono nate tantissime leggende che hanno arricchito, nei secoli, il folklore popolare con mostri, gnomi, folletti e fantasmi che nel sonno vengono a tormentarci. Nell’antichità venivano indicati con i termini di Incubus e Succubus, a seconda del sesso di queste presenze (credo) e che potevano anche costringerci a sottostare ad abusi sessuali. Nei paesi anglosassoni il visitatore notturno viene indicato con il nomignolo di Old Hag ed è assai popolare. A grandi linee, questa tipologia di fenomeno è sempre uguale sia nei vari periodi storici, sia nelle diverse parti del mondo. Sembra che queste esperienze compaiono più frequentemente nei momenti meno tranquilli della nostra vita: dopo un lutto, un divorzio, un cambio di lavoro, eccetera. Altre volte non si sa come associarle a qualcosa di particolare. Possono anche interessare una parte cospicua della nostra vita, ma più spesso si manifestano solo per limitati periodi. Per alcuni ci sarebbe un collegamento tra sleep paralysis e narcolessia. Il fatto poi che anche la moglie del lettore a cui risponde Fuso abbia veduto lo stesso volto visto dal marito sarei tentato di spiegarlo come un fatto telepatico, ma non lo faccio anche perché la descrizione della vicenda che fa il lettore è alquanto sommaria. Nel mio articolo faccio anche un piccolo riferimento agli alieni perché sembra che questi incubi notturni si adeguino ai tempi. Anziché dalle tenebrose presenze care ai nostri avi, ora il nostro sonno sembra che sia interrotto da inquietanti presenze più al passo con l’immaginario attuale. Ora sono gli alieni che sempre più approfittano degli umani dormienti per visitarli o, addirittura, per rapirli, condurli nelle loro astronavi, fare su di essi chissà quali interventi chirurgici e, alla fine, riportarli nei loro letti con il trauma bene impresso di questa orripilante esperienza. Ho creduto di fare cosa gradita commentando un fatto che sembra abbastanza comune, anche se nessuno ne parla. Può contribuire a rassicurare tanti lettori della vostra rivista che hanno vissuto queste impressionanti esperienze e che non sanno come spiegarle. Nel corso di una conferenza ho chiesto ai presenti se avessero mai avuto esperienze del genere. Almeno due o tre persone hanno confermato di avere avuto questo tipo di incubo, proprio nei termini con i quali lo avevo descritto io.
Bruno Severi
Direttore Scientifico del CSP (Centro Studi Parapsicologici) di Bologna

Risponde Silvano Fuso, autore dell’articolo:
Ringrazio il dott. Severi per la sua lettera. Conosciamo bene la sleep paralysis. È sicuramente un’esperienza sconcertante che può essere all’origine di molte credenze paranormali. Io stesso ho fatto riferimento a essa in diverse risposte date a lettori che raccontavano le loro inquietanti esperienze notturne. In questo caso però escluderei che all’origine dell’apparizione che ha turbato il sonno del lettore ci possa essere la sleep paralysis. Il motivo che mi porta a escluderlo è proprio il fatto che anche la moglie del lettore abbia visto lo stesso identico volto. Ora, che due soggetti siano contemporaneamente vittime di una sleep paralysis e che percepiscano la stessa identica visione mi sembra francamente molto poco probabile. Egualmente improbabile mi sembra anche la possibilità che si sia verificata una trasmissione telepatica tra marito e moglie, come il dott. Severi è tentato di ipotizzare. Infatti, nessuno ha mai dimostrato l’esistenza di una simile comunicazione tra cervelli, svegli o dormienti che siano.

E quando il miracolo non avviene?

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La festa di San Gennaro a New York
Ho letto sul sito del CICAP il vostro articolo sul miracolo del sangue di San Gennaro e avrei una domanda da porvi su una questione che non è trattata nell’articolo stesso. Secondo voi come può spiegarsi il fatto che in alcune circostanze nel corso del rito il "miracolo" non avvenga?
Tina G.

Risponde Luigi Garlaschelli:
Una spiegazione potrebbe essere che una sostanza tissotropica non si liquefa fino a quando non riceve un urto di energia sufficiente. In altri termini, se si maneggia delicatamente l’ampolla, anche a lungo, la liquefazione non avviene. Infatti noi abbiamo proposto dei test di "impatto controllato", ovvero fornire all’ampolla di Napoli sollecitazioni di energia misurabile e riproducibile. Viceversa: si dice che talvolta il "sangue" sia estratto dalla cassaforte già liquido. Anche in questo caso, in assenza di osservazioni molto precise, non si può escludere che un qualunque maneggiamento un po’ violento non ne inneschi immediatamente il cambiamento di stato.
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