Nota Introduttiva di Andrea Ferrero
Noi scettici siamo così abituati a criticare i ragionamenti sbagliati delle pseudoscienze da correre il rischio di pensare che il nostro modo di ragionare sia ormai perfettamente collaudato e non abbia più bisogno di verifiche: se è andato bene per l'astrologia, funzionerà benissimo anche per l'Intelligent Design e l'archeologia misteriosa, e così via. In realtà le cose non sono così semplici: come mostra l'articolo di Michael D. Sofka pubblicato negli ultimi numeri di S&P (vedi n. 71 e 72), anche tra gli scettici sono diffusi pregiudizi ed errori logici, magari non gravi come quelli che critichiamo, ma comunque insidiosi. L'articolo di Sofka voleva essere l'inizio di una riflessione sulla validità delle nostre argomentazioni; l'esperimento ci è piaciuto e abbiamo pensato di dare vita a una rubrica che, una volta tanto, non esamini gli errori degli pseudoscienziati, ma approfondisca il punto di vista degli scettici, per esercitare il nostro spirito critico anche verso noi stessi e imparare a ragionare in modo più accurato.
Continuiamo quindi con un articolo di Alvaro Caso pubblicato su Skeptical Inquirer, che analizza tre principi molto citati ma non sempre compresi a fondo: l'onere della prova, il rasoio di Occam e la cosiddetta "bilancia di Sagan" (cioè il principio che affermazioni straordinarie richiedano prove straordinarie).
Una nota linguistica: nelle traduzioni (come nel caso di questo articolo), abbiamo scelto di lasciare il termine inglese believer, perché in italiano "credente" è generalmente usato in senso specificamente religioso (a differenza del termine inglese), mentre le possibili alternative come "credulone" hanno una connotazione decisamente dispregiativa.
Noi scettici siamo così abituati a criticare i ragionamenti sbagliati delle pseudoscienze da correre il rischio di pensare che il nostro modo di ragionare sia ormai perfettamente collaudato e non abbia più bisogno di verifiche: se è andato bene per l'astrologia, funzionerà benissimo anche per l'Intelligent Design e l'archeologia misteriosa, e così via. In realtà le cose non sono così semplici: come mostra l'articolo di Michael D. Sofka pubblicato negli ultimi numeri di S&P (vedi n. 71 e 72), anche tra gli scettici sono diffusi pregiudizi ed errori logici, magari non gravi come quelli che critichiamo, ma comunque insidiosi. L'articolo di Sofka voleva essere l'inizio di una riflessione sulla validità delle nostre argomentazioni; l'esperimento ci è piaciuto e abbiamo pensato di dare vita a una rubrica che, una volta tanto, non esamini gli errori degli pseudoscienziati, ma approfondisca il punto di vista degli scettici, per esercitare il nostro spirito critico anche verso noi stessi e imparare a ragionare in modo più accurato.
Continuiamo quindi con un articolo di Alvaro Caso pubblicato su Skeptical Inquirer, che analizza tre principi molto citati ma non sempre compresi a fondo: l'onere della prova, il rasoio di Occam e la cosiddetta "bilancia di Sagan" (cioè il principio che affermazioni straordinarie richiedano prove straordinarie).
Una nota linguistica: nelle traduzioni (come nel caso di questo articolo), abbiamo scelto di lasciare il termine inglese believer, perché in italiano "credente" è generalmente usato in senso specificamente religioso (a differenza del termine inglese), mentre le possibili alternative come "credulone" hanno una connotazione decisamente dispregiativa.
Tutti gli scettici dovrebbero avere una "cassetta degli attrezzi" piena di strumenti di discussione per aiutarli e guidarli nei dibattiti con i believer di ogni genere. In questa cassetta ci dovrebbe essere una bussola modello "onere della prova," un utile aggeggio che punta verso chiunque debba dimostrare le proprie affermazioni. Dev'essere tarato accuratamente, altrimenti rischia di puntare sempre lontano dal proprietario. Serve anche un rasoio, della ditta Occam, per tagliare attraverso il grasso molliccio delle entità non necessarie. Bisogna che sia affilato - le entità non necessarie sono tenere ma possono formare spessi cuscinetti intorno all'osso. Ci sono altri strumenti di precisione, ma se volete il meglio della tecnologia scettica vi dovete procurare l'ultima moda: la bilancia di Sagan. Questo raffinato strumento è progettato per misurare la straordinarietà di un'affermazione, perché non vi dovete accontentare di una prova meno straordinaria dell'affermazione che pretende di dimostrare. Così equipaggiati, siete pronti a farvi largo nel mondo, pronti ad affrontare qualsiasi individuo irrazionale della vostra comunità. Ma fate attenzione, perché prima o poi incontrerete un rompiscatole come me che metterà alla prova i vostri attrezzi. Ogni volta che tirerete fuori la bilancia e direte: «Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie», io metterò la vostra bilancia sulla mia, rispondendo: «Ecco un'affermazione straordinaria! Avete delle prove?» Ogni volta che la vostra bussola punterà verso di me, io ne mostrerò una che punta verso di voi, dicendo che voi avete l'onere di dimostrare che l'onere è mio. E ogni volta che tirerete fuori il vostro rasoio di Occam, io tirerò fuori il mio, chiedendo se il vostro rasoio non sia dopotutto un'entità superflua, che dovrebbe essere tagliata via. Sareste pronti a giustificare l'uso dei vostri attrezzi? La mia triste esperienza nelle chat, nelle mailing list, nelle aule scolastiche e da ogni altra parte è che non molti lo sarebbero. Ma, come i venditori di fede fanno in fretta a sottolineare, se gli scettici non sanno giustificare razionalmente il loro punto di vista, non sono migliori di coloro che fondano orgogliosamente le proprie pretese sulla fede. Diamo allora un'occhiata più attenta a ognuno di questi strumenti. Se la mia analisi è sbagliata, argomentare contro di me vi chiarirà comunque le idee, affilando così i vostri attrezzi.
Il rasoio di Occam
Cominciamo con il venerabile rasoio. Perché esattamente dovremmo preferire la teoria A alla B ogni volta che la teoria A è più economica? Ho trovato che la ragione più spesso citata è che la natura è parsimoniosa; che preferisce l'economia di mezzi. Questa è nel migliore dei casi una posizione metafisica molto curiosa, oltre che sbagliata. Se viene preso come un "assioma della ragione" senza offrire ulteriori giustificazioni, davvero non è niente più di un atto di fede, perché negarlo non è affatto autocontraddittorio. Quando si fa notare questo, molti fanno marcia indietro verso un meno drastico empirismo: sappiamo per induzione che di fatto la natura è economica nei suoi mezzi. Tuttavia, mi sembra che questo sia semplicemente falso. Trovo che la natura sia piuttosto esuberante: ci sono milioni e milioni di stelle in ogni galassia, e di galassie ce ne sono milioni. Ogni giorno si scoprono molte nuove specie, e di solito più di una compete per la stessa nicchia ecologica. Molti organismi si riproducono a centinaia se non a migliaia, così che pochi raggiungeranno l'età adulta. Gli organismi hanno spesso organi sovrabbondanti per la sopravvivenza (due reni, due polmoni, eccetera, quando si può vivere con uno solo). Gli organismi hanno un patrimonio genetico del quale grosse sezioni non codificano nulla. Ci sono più di cento elementi, molti dei quali sono perfettamente stabili. Ci sono molte dozzine di particelle elementari. Se avete un debole per la teoria delle superstringhe, vi serviranno non meno di dieci dimensioni. Niente da fare, la natura non è semplice.
Ma se è così, perché dovremmo preferire le teorie economiche? Non dovremmo davvero tagliare via il rasoio? Al contrario, è precisamente perché sappiamo che la natura è complessa che dovremmo preferire le teorie semplici.
Supponiamo di avere un apparato epistemico (organi di senso e connessioni cerebrali) che ci permetta di conoscere in tutta la sua complessità qualsiasi parte della natura a cui desiderassimo dedicare attenzione. La natura ci potrebbe apparire noiosamente semplice, ma non ci sarebbe alcuna ragione per preferire le teorie semplici a quelle complesse. Potremmo immediatamente affermare com'è la natura in tutti i suoi complessi dettagli. Ma non possiamo farlo. Cominciamo invece notando certe regolarità, "unioni costanti", come direbbe Hume, sequenze ricorrenti di eventi. Inizialmente postuliamo una connessione causale tra gli eventi, ma spesso non abbiamo idea di come si generino tali regolarità. Poi, con duro lavoro, possiamo concepire delle leggi che descrivano quanto sono regolari queste regolarità, ma possiamo ancora essere completamente all'oscuro di quali siano i meccanismi dietro queste regolarità. Poi, se siamo fortunati, possiamo forse intravedere il meccanismo, puntando a regolarità più fini che non erano state notate in precedenza, ma ancora non abbiamo idea di come si comportino le nuove regolarità, eccetera. Cioè, impariamo a conoscere il mondo raffinando ciò che sappiamo già.
Per esempio, impariamo tutti abbastanza in fretta che gli oggetti senza sostegno cadono a terra. Ma descrivere come lo fanno non è stato affatto un gioco da ragazzi: giganti del pensiero come Aristotele e Tommaso d'Aquino si sbagliarono. Galileo cominciò a intuirlo e Newton fece un eccellente lavoro che Einstein aggiustò un pochino. Tuttavia, lo stesso Newton confessò esplicitamente che non aveva idea di come funzionasse la gravità, e non era per niente contento dell'idea di azione a distanza. Arrivato Einstein e raffinata la descrizione di Newton, l'idea dell'azione a distanza è rimasta valida, e molti ancora non sono contenti. Allora c'è una particella elementare per la gravità? O è lo spazio che si piega intorno alla materia? Tentacoli spirituali invisibili, forse? Magari nessuna di queste spiegazioni va bene? Immaginate che Newton avesse sostenuto che gli oggetti sono tenuti insieme da fili indistruttibili perfettamente elastici, così sottili che non si possono scoprire: la teoria di Newton sarebbe stata peggiore. Chiaramente non è saggio sostenere ipotesi prive di solide prove a sostegno, ma il problema non è tutto qui. Se Newton avesse parlato di fili sottili, il successo predittivo della teoria avrebbe potuto cullarci nel pensiero che l'ipotesi dei fili sottili fosse giusta; nel confessare la propria ignoranza sulla natura della gravità, Newton indicò la strada per la ricerca successiva. Non sappiamo ancora con certezza cosa sia la gravità, ma alcune delle menti migliori stanno lavorando su ipotesi interessanti. Ed è importante che ci stiano lavorando; se pensassimo di sapere già cos'è la gravità, forse non lo farebbero. Nell'indagare su come funziona il mondo, è essenziale la consapevolezza non solo di ciò che sappiamo, ma anche di ciò che non sappiamo. Il rasoio di Occam, nel vietarci di andare oltre la più semplice descrizione possibile, è uno strumento metodologico (certamente non una massima metafisica) che ci aiuta a riconoscere la nostra ignoranza, che ci assicura che le nostre teorie sono incomplete, ma correggibili. E questo è il meglio che possiamo fare con il nostro apparato epistemologico.
Diamo ora un'occhiata al prossimo oggetto della cassetta degli attrezzi.
La bussola dell'onere della prova
Verso cosa punta la bussola dell'"onere della prova"? Molti hanno un modello difettoso, che punta verso chiunque faccia un'affermazione positiva, cioè assegnano l'onere della prova al soggetto A se A afferma X e B afferma non-X, indipendentemente dal contenuto di X. Questo è chiaramente un errore linguistico, perché molte affermazioni, se non tutte, possono essere enunciate in modo da includere un "non" nella loro formulazione. Per esempio, la frase «gli atomi di oro hanno settantanove protoni», che varrebbe come "affermazione positiva", può essere riformulata come «gli atomi di oro hanno non più e non meno di settantanove protoni», rendendola così una "affermazione negativa", o meglio due affermazioni negative. Se le bussole "onere della prova" funzionassero così, tutti esprimerebbero le loro affermazioni in forma negativa, evitando l'onere della prova, per cui non è così che funzionano.
Un modello altrettanto difettoso ma in qualche modo più sofisticato punta verso chiunque dica qualcosa che implica una "affermazione esistenziale positiva" (cioè l'affermazione che una determinata cosa esista, N.d.T.). Questo sembra risolvere la difficoltà, perché entrambe le formulazioni precedenti implicano la stessa affermazione esistenziale. Il meccanismo dietro a questa bussola è basato sull'idea che le affermazioni esistenziali negative non possano essere dimostrate: siccome sarebbe irrazionale chiedere a qualcuno di fare qualcosa che non si può fare, chi fa un'affermazione esistenziale positiva avrebbe l'onere della prova. Ma di nuovo, queste bussole sono difettose.
Se la bussola puntasse solo verso chi fa affermazioni esistenziali, il suo uso sarebbe molto limitato. Ci lascerebbe all'oscuro di chi ha l'onere della prova quando non c'è disaccordo esistenziale. Per esempio, «gli atomi di oro hanno settantanove protoni» implica che esista l'oro, che esistano gli atomi, e che esistano i protoni. Implica anche che gli atomi che hanno settantanove protoni costituiscano ciò che chiamiamo oro, ma questa non è un'affermazione esistenziale. Ora supponiamo che arrivi il professor Chimico Pazzo, dicendo che gli atomi di oro hanno settantotto protoni invece di settantanove. Intuitivamente vorremmo dire che l'onere della prova spetta a Chimico Pazzo, ma non glielo possiamo appioppare. La sua affermazione implica che esista l'oro, che esistano gli atomi, e che esistano i protoni, ma il disaccordo è che, secondo Chimico Pazzo, gli atomi che hanno settantotto protoni costituiscono ciò che chiamiamo oro. Ma di nuovo, questa non è un'affermazione esistenziale, perciò non avrebbe l'onere della prova. Inoltre, Chimico Pazzo potrebbe fare il furbo e sostenere che chiunque dica che l'oro ha settantanove protoni sta sostenendo l'esistenza di un protone più di lui, perciò l'onere della prova spetterebbe agli scienziati sani. Non va bene.
Una seconda obiezione contro l'idea che la bussola "onere della prova" punti verso chi fa l'affermazione esistenziale positiva è che uno sguardo veloce alla storia della scienza rivela che non è così: ci sono molti esempi di entità delle quali si è dovuta dimostrare la non esistenza. Il flogisto è forse l'esempio più noto, insieme con l'inesistente "calorico" che ipoteticamente spiegava il comportamento del calore, ma ce ne sono molti altri. Perciò no, la bussola non dovrebbe puntare verso la persona che fa un'affermazione positiva di esistenza.
Le affermazioni precedenti mostrano che il meccanismo di base di queste bussole è difettoso; il fatto è che si può dimostrare un'affermazione esistenziale negativa. La presunta asimmetria tra dimostrare un'affermazione esistenziale negativa e una positiva è così diffusa che può valere la pena di elaborarla un po'. L'idea è che se ti chiedi se l'entità X esiste, devi cercare X. Se trovi X, ecco qui, hai dimostrato la sua esistenza, mentre se non lo trovi hai dimostrato solo che X non era dove lo cercavi, ma non che X non esiste. Ma le cose in realtà non sono così semplici. Prima di tutto, si può avere una teoria che predice che X deve manifestarsi date certe circostanze; se non si manifesta non esiste. O attraverso considerazioni teoriche si può limitare il numero di posti dove cercare, cosicché se X non appare in nessuno di questi posti, non esiste, perché non si manifesterà da nessun'altra parte. Oppure si può avere qualche idea teorica degli effetti che X dovrebbe produrre: niente effetto, niente X. Senza queste restrizioni teoriche, se davvero bisogna cercare X in ogni angolo e fessura dell'universo, probabilmente non c'è alcuna ragione teorica per supporre che X esista davvero, nel qual caso si usa il rasoio di Occam e X sparisce.
Ma, un momento - potreste dire - questo è barare: se la teoria predice che X apparirà qui e non appare, può darsi che X non esista, ma può anche darsi che la teoria sia sbagliata e X dopotutto esista davvero, perciò non ci sono prove che X non esista. Ma questo non è barare. Guardate tutte le prove che ci sono per l'esistenza degli atomi (un'affermazione positiva di esistenza). Anch'essa dipende dalla correttezza di questa o quella teoria accettata. Tutte le dimostrazioni, incluse quelle di affermazioni positive di esistenza, dipendono dalla teoria. Naturalmente, ciò significa che le prove non sono mai certe al 100 per cento, ma è così che devono essere, perché la certezza è irraggiungibile. Torniamo all'onere della prova. Siamo ora nella posizione di poter vedere quale dovrebbe essere il meccanismo corretto per una bussola di qualità. Una buona bussola dell'"onere della prova" dovrebbe puntare verso chiunque faccia un'affermazione che contraddice le teorie consolidate, andando contro le migliori prove accumulate. La ragione è semplicemente che le teorie si confermano con ogni esperimento riuscito, ogni predizione accurata, ogni spiegazione soddisfacente; una teoria consolidata non ha l'onere della prova perché è già stata (provvisoriamente) dimostrata. Un'affermazione che vada contro teorie consolidate dovrebbe non solo essere dimostrata, ma preferibilmente includere in forma perfezionata la teoria già ben stabilita precedentemente, oppure offrire qualche spiegazione di perché sembrava funzionare.
Un avvertimento: non è sempre facile determinare quali siano le prove migliori. Peggio, non è sempre facile determinare quali dati siano una prova a favore o contro. Siate pronti allora a cimentarvi in dettagliate dispute fattuali e logiche, perché la vostra bussola "onere della prova" tenderà a portarvi in territori inesplorati piuttosto che al di fuori di essi.
La bilancia di Sagan
Passiamo ora alla bilancia di Sagan. Da un lato, l'idea che affermazioni straordinarie richiedano prove straordinarie appare per lo meno straordinaria essa stessa. Vorremmo poter dire di essere equanimi, che giudichiamo ogni affermazione strettamente sulla base della forza delle prove a favore o contro, indipendentemente dal fatto che sia ordinaria o straordinaria, noiosa o stravagante. Qualunque affermazione necessita di buone prove robuste, niente di più e niente di meno. D'altro canto, supponete di osservare una macchina che passa lungo una strada; questa è una prova abbastanza robusta del fatto che ci sia effettivamente un'automobile sulla strada. Supponete ora di vedere un elefante rosa, semitrasparente e coperto di lentiggini verdi che cammina sulla stessa strada. Perché questa non è una prova sufficientemente buona della presenza di un simile animale? La natura della prova è la stessa in entrambi i casi. Come scegliamo di comportarci, in maniera equanime (prendendo ciascuna osservazione così com'è) o seguendo il buon senso (considerando il pachiderma come uno scherzo, una trovata pubblicitaria o addirittura la manifestazione di un cervello difettoso)? Per rispondere alla domanda dobbiamo capire che cosa consideriamo straordinario. Migliaia di precedenti esempi di auto che si muovono lungo una strada ci dicono che le strade sono di solito popolate da automobili, a tal punto che una strada completamente priva di auto è inquietante. Al contrario, consideriamo straordinario l'avvistamento dell'elefante rosa perché l'esperienza passata ci dice che gli elefanti si trovano raramente sulle strade, solitamente non sono rosa, e che in genere i vertebrati non sono semitrasparenti. Perciò è sbagliato affermare, come ho fatto poco sopra, che le prove sono le stesse nei due casi. L'avvistamento dell'elefante è straordinario proprio perché le prove accumulate sembrerebbero indicare che un simile animale non esista, mentre al contrario indicano che esistono le automobili. Perciò, seguendo il buon senso ed essendo anche equanimi, dovremo scartare l'elefante come fittizio e considerare reale l'automobile. In questo senso, la bilancia di Sagan è "solo" una tautologia: le affermazioni straordinarie sono proprio quelle che maggiormente richiedono prove straordinarie, perché quello che le rende straordinarie è la passata esperienza del contrario. Ma le tautologie possono essere informative e utili: in questo caso, la bilancia di Sagan ci ricorda che la conoscenza è un'impresa interpersonale cumulativa, non una eroica ricerca personale e soggettiva.
Queste considerazioni possono gettare un po' di luce sulla ricorrente domanda che ogni scettico al limite della pazienza si pone di tanto in tanto: «Perché i believer credono, a dispetto di tutte le ostinate prove a sfavore?» L'esperienza passata e le considerazioni teoriche non forniscono solo una spiegazione alle nostre esperienze, ma determinano anche cosa va considerato una genuina esperienza e cosa possiamo scartare come effetto di artefatto, miraggio, coincidenza, allucinazione o complotto. Tessiamo una fitta rete di credenze, altamente interconnesse tra loro, che si supportano a vicenda; chiunque abbia passato la vita a interpretare le coincidenze come poltergeist, demoni, "forze", "energie" e simili tenderà a spiegare una finestra mal chiusa che si apre all'improvviso come la visita di uno spettro. Allo stesso modo, tenderà a scartare o razionalizzare qualunque prova del contrario: dopo tutto, dato il bagaglio epistemologico della persona in questione, è la cosa più razionale da fare. È anche la ragione per la quale gli scettici sono spesso accusati di fare solo demistificazione, senza avere una mentalità davvero aperta: l'accusa gioca sull'ambiguità dell'espressione "mentalità aperta". Spesso si intende «avvicinarsi a un argomento senza preconcetti»: in questo senso, l'accusa è corretta ma innocua. È corretta perché davanti all'affermazione che una casa è infestata da un poltergeist, non le assegniamo una probabilità del 50 per cento di essere corretta. La nostra risposta, fin troppo caritatevole, è «uhm, probabilmente no». È vero che tendiamo con disinvoltura a scartare simili fenomeni come artefatti, ma sulla base di buone ragioni teoriche e di preconcetti derivati dall'induzione. L'accusa è innocua perché nessuno affronta alcunché senza alcun preconcetto: tutti interpretiamo il mondo attraverso le nostre passate esperienze. D'altro canto, l'espressione "mente aperta" può anche indicare la riluttanza a cambiare le nostre opinioni, lasciando che i preconcetti prevalgano sull'esperienza. In questo senso, l'accusa di limitarsi a cercare di demistificare è ingiustificata se rivolta allo scetticismo in generale (anche se questo certamente non vale per tutti gli scettici). È non solo possibile, ma anche l'unico atteggiamento razionale, affrontare un argomento con la disponibilità a cambiare opinione se le prove a disposizione lo richiedono, ma con forti idee preconcette sul risultato della nostra ricerca.
Per cambiare l'opinione di qualcuno, scettico o believer che sia, è necessario modificare una larga parte della rete di credenze che quella persona si è creata. Una parte del bagaglio di esperienze passate dovrebbe essere reinterpretata attraverso spiegazioni completamente differenti, estranee al modo di pensare di quella persona, obbligandola a gettar via alcune esperienze per recuperarne altre precedentemente scartate come artefatti: un processo molto difficile.
Il fatto che le teorie sono incomplete e inconclusive, che l'osservazione è dipendente dalla teoria, e che le credenze sono strettamente intrecciate a formare una rete non implica assolutamente l'impossibilità di decidere tra due visioni del mondo, né a maggior ragione che tutte le teorie abbiano lo stesso valore, o che la "narrazione" scientifica sia solo una tra le molte possibili, o altre simili assurdità. Al contrario, è proprio perché la conoscenza è provvisoria e suscettibile di correzioni che dobbiamo controllare e ricontrollare le nostre spiegazioni e, di tanto in tanto, guardare criticamente alle nostre teorie preferite. Questo però significa che in epistemologia non esiste "l'arma finale": l'unico modo di procedere è il corpo a corpo, affrontando il dibattito razionale con infinita pazienza, ma armati di strumenti sempre affilati e ben calibrati. n
Alvaro Caso
Universidad Nacional
Autonoma de México
Tratto da Skeptical Inquirer, ''26, pp. 37-41, gennaio-febbraio 2002.