Cerchiamo di fare chiarezza su leggende metropolitane assai diffuse, e insieme di conoscere meglio un rettile da sempre calunniato e accusato, da innocente, di ogni tipo di nefandezza.
L'elicottero volteggia su nel cielo. Spesso in montagna, qualche volta anche in pianura e persino intorno a paesi e case isolate. Poi si abbassa cauto, apre i portelloni e... piovono vipere: è una delle leggende metropolitane più diffuse, secondo la quale ci sarebbe chi organizza ripopolamenti di rettili velenosi spargendoli nel territorio con una opportuna serie di lanci. I dettagli variano: nelle varie versioni le vipere sarebbero contenute in scatole di cartone, buste o cassette di plastica, che poi qualcuno recupererebbe da terra, o in contenitori di materiale biodegradabile destinato a sparire col tempo. Molta fantasia anche nella individuazione dei “colpevoli” e delle loro motivazioni: le vipere sarebbero lanciate dal WWF, dai Verdi o dalla Forestale (oggi, dopo l’accorpamento, dai Carabinieri-Forestali) per aumentarne la presenza nel territorio; ma anche dai cercatori di tartufi per tenere lontana la concorrenza o dai cacciatori per contrastare l’eccessiva presenza di turisti; un tempo, quando si consigliava agli escursionisti di portarsi nello zaino una confezione di siero anti-vipera, c’era inoltre chi puntava l’indice anche sulle case farmaceutiche, interessate alla materia prima, il veleno, indispensabile, prima che si riuscisse a sintetizzarlo in laboratorio, per la produzione dell’antidoto. Nulla di vero, ovviamente. Ma l’insistenza era tale che negli ultimi decenni dello scorso secolo alcune aree protette e persino qualche comando locale del Corpo Forestale dello Stato arrivarono a diffondere comunicati stampa per smentire l’esistenza di una simile pratica[1]. Né possiamo illuderci che siano storie vecchie, desuete: ancora nel giugno scorso la Societas Herpetologica Italica, la società scientifica che raccoglie gli studiosi italiani di Anfibi e Rettili, è stata costretta a intervenire con una propria nota per smentire la fake-news che voleva le vipere divenute più “audaci” a causa del lockdown da Covid-19 e anche quella, rispolverata per l’occasione, dei rettili paracadutati per aumentarne il numero[2].
Dove è nata questa leggenda? Si legge spesso di una presunta origine francese, ipotesi nata da uno studio della sociologa Véronique Campion-Vincent[3] nel quale si indicava il 1976 come data del “debutto” pubblico della storia. Un recente e ben documentato articolo, firmato da Roberto Labanti, Sofia Lincos, Giuseppe Stilo e Paolo Toselli[4],ne retrodata l’origine collocandola al 1970, quando, in Svizzera, esattamente il 7 settembre, il presunto ripopolamento ebbe l’onore di essere oggetto di un’interpellanza al Gran Consiglio (il parlamento cantonale) del Ticino.
Ripopolamento misterioso, con finalità non chiare, su cui riferiva una “fonte ben informata”: gli ingredienti ci sono quasi tutti; manca solo l’elicottero. Quello, peraltro comparso in articoli pubblicati già nei giorni seguenti, potrebbero averlo prestato gli USA, accusati negli anni ’50 del secolo scorso di usarlo, insieme agli aerei, per paracadutare nella Germania dell’Est grandi quantità di Dorifora delle patate, un parassita estremamente dannoso, con l’evidente scopo di affamare un Paese del blocco comunista nel pieno di quella che è passata alla storia come guerra fredda[5].
Come che sia, certamente già più di quarant’anni fa di lanci di vipere si parlava anche in Italia: nel Parco del Circeo, per esempio, o in Abruzzo, dove però i rettili dovevano aspettare il loro turno, visto che da quelle parti si dice che dell’elicottero usufruiscano, sempre per i ripopolamenti, anche i lupi. Chissà, magari loro, più grandi, con paracadute individuali... Se ne parla dunque da decenni, e non è raro incontrare persone di buona cultura che danno credito a questa diceria. Se poi si va a fondo e si prova a cercare testimoni diretti dell’evento si scopre, come del resto per qualsiasi leggenda metropolitana, che non si può arrivare oltre resoconti di seconda o terza mano: “No, non l’ho visto direttamente, ma un amico di mio cugino, persona serissima, ha saputo che...” e via col racconto. Al più, qualche volta vi diranno con convinzione: “Sì, ho trovato la busta: certo i serpenti non c’erano più ma la busta è quella del lancio, lo posso giurare”. Testimonianze che in un Tribunale non sarebbero prese in alcuna considerazione, ma che perdurano e si tramandano. In questo caso, si badi bene, non si può demonizzare il web, che pure fa la sua parte: questa fake-news è nata molto prima di internet e continua a circolare nel mondo virtuale come in quello reale, complice a volte persino qualche ingenuo cronista. Né vi basta, se volete smentirla, spiegare che non esiste al mondo un allevamento in grado di fornire vipere in tal numero da rendere possibile un ripopolamento o appellarvi al buon senso osservando che, se proprio si dovesse organizzare una simile azione, perché mai dovrebbe essere necessario far ricorso a un elicottero? Fatica sprecata: chi vuol credere all’inverosimile continuerà a farlo.
Se però poi si trovano anche le “prove”, qualche dubbio forse è legittimo? Nel 1989 La Stampa ha raccontato (con tanto di fotografia) del ritrovamento, in Val Susa, di inquietanti scatole, corredate da un improbabile mini-paracadute, apparentemente destinate a ospitare varie specie di vipere. Una scoperta che ha allarmato il dentista e il pediatra intervistati dall’autore dell’articolo[6], e che invece è stata considerata opera di burloni dal direttore dell’epoca del Parco dell’Orsiera e da una guardia ecologica. Da una parte professionisti certamente qualificati nei rispettivi mestieri, ma che nulla hanno a che fare con questioni ambientali; dall’altra dei naturalisti. Decidete un po’ voi, tenendo conto dell’argomento in esame, a chi vi sembra più giusto dare credito...
Anche un gruppo di studenti dell’Università della Tuscia potrebbe tuttavia contestare il mio scetticismo: loro, in visita in un’area protetta sulle montagne abruzzesi, l’Abetina di Rosello (CH), una vipera piovuta dal cielo l’hanno vista davvero. È caduta proprio in mezzo al gruppo destando, potete immaginarlo, sconcerto e timore. Una conferma dei lanci dall’elicottero? Beh, bisogna aggiungere che si trattava di un animale morto e per giunta senza testa: decisamente poco utile per un ripopolamento! Un serpente piovuto dall’alto è segnalato però anche a Pescara, in viale Kennedy, pieno centro urbano: lo ha visto e fotografato qualche anno fa, a dir poco con molto stupore, uno stimato avvocato proprio davanti alle finestre di casa. Niente paura: si trattava di un ofide innocuo, un biacco, Hierophis viridiflavus la denominazione scientifica, peraltro pure lui morto. Due indizi non fanno ancora una prova, ma una spiegazione certamente ci vuole. E per scoprirla bisogna guardare davvero verso il cielo, non alla ricerca di un rumoroso elicottero, ma di una coppia di rapaci. Già, perché tra questi splendidi uccelli è d’uso che il maschio durante il periodo degli amori cerchi di ingraziarsi la compagna offrendole doni (vi ricorda qualcosa?) e quale cadeau migliore di un appetitoso serpente? Il corteggiamento avviene in volo e qualche volta, per inesperienza o per l’eccitazione del momento, il regalo sfugge di mano, pardon... di zampe, e precipita al suolo. Non è solo un’ipotesi: a Rosello, su suggerimento dell’esperta guida, gli studenti hanno subito alzato lo sguardo e possono testimoniare che sulle loro teste volteggiavano due poiane, Buteo buteo. Questo spiega anche la testa mozza: il grande rapace non è certo immune al veleno e perciò il maschio, una volta catturata una vipera, l’ha messa in condizioni di non nuocere, neppure per caso, prima di porgere il pranzo alla compagna.
Vi ho appena raccontato una storia strana, ma vera. Altrettanto vero è il fatto che la vipera in una ipotetica classifica sui protagonisti di credenze e leggende metropolitane figurerebbe certamente ai primi posti, tante se ne dicono e raccontano sul suo conto.
Una delle più antiche è quella che vuole l’ultimo suo figlio velenosissimo e così infame da cercare nei primi istanti di vita di infliggere un morso letale alla propria stessa madre. La poverina, per salvarsi la pelle, sarebbe costretta a partorire arrampicata su un cespuglio o, meglio, su un albero in modo da liberarsi subito dell’incomodo neonato lasciandolo cadere al suolo. Una storia così affascinante che quasi dispiace dover sottolineare che la vipera è immune al veleno che essa stessa produce...
Molto diffusa, e altrettanto antica, è anche la falsa notizia che vuole i serpenti ghiotti di latte. Diverse specie, in tutto il mondo, godono di analoga fama. In Abruzzo questa predilezione alimentare è attribuita in particolare al cervone, Elaphe quatuorlineata, non a caso detto anche “pasturavacche” proprio per la sua presunta capacità, addirittura, di servirsi direttamente dalle mammelle mungendo le mucche al pascolo... Di lui si dice persino che si incuneerebbe nelle culle per ingannare madri evidentemente piuttosto distratte sostituendosi al poppante, messo a tacere offrendogli la punta della sua coda a mo’ di ciuccio. Assurdo, vero? Eppure c’è chi ci crede e non è difficile imbattersi nel web in chi consiglia proprio il latte come esca per catturare serpenti. Un paio di estati fa, curiosando su internet, ho trovato, per esempio, questo suggerimento: «Mi hanno raccontato che un metodo utilizzato per catturare le vipere è il seguente: riempire per un quarto una bottiglia di birra con latte zuccherato e lasciarla distesa per terra. Il latte attirerà la vipera che entrerà nella bottiglia, ma dopo averlo bevuto si ingrosserà non potendo uscire dal collo stretto. Avrai un po' di tempo per portare la bottiglia in un luogo sicuro, dove la vipera pian piano riuscirà a liberarsi». Per chi vorrà provarci almeno un risultato è garantito: lo spreco di tempo e di un po’ di latte.
Se andiamo più a ritroso negli anni possiamo del resto imbatterci in tante leggende popolari su vipere e altri serpenti variamente mostruosi: crestati, con più code, con testa di gatto[7] o giganteschi che andrebbero a caccia di prede in certe particolari notti dell’anno. Secondo una particolare versione, la vipera incontrata la notte di Natale (come raccontava con convinzione un’anziana zia, a me e a decine di altri bambini che l’ascoltavano rapiti nelle sere d’estate in un paesino tra Abruzzo e Molise) potrebbe anche parlarci. Chissà mai per dirci cosa... Ancora: si narra che lo sguardo di una vipera possa paralizzare l’incauto che osa affrontarla; che quando se ne incontra un individuo bisogna scappare in salita o correre a zig zag; che potreste trovare avvelenata l’acqua di un ruscello se prima di voi è stata una vipera a dissetarsi (una variante racconta di effetti nefasti a causa di una vipera caduta nel vino o, ancora una volta, nel latte[8]); che in autunno sono meno pericolose perché a fine estate il loro veleno diventerebbe meno potente; che per inseguire le prede, questa è bella, sarebbero addirittura in grado di muoversi rotolando come una ruota di bicicletta con la coda in bocca, presumo soltanto in discesa.
Sicuramente non le ho elencate tutte, ma penso di aver reso l’idea.
La verità è che i serpenti in genere, e le vipere in particolare, esercitano un fascino speciale su tutti noi. Sarà perché sono profondamente diversi, sarà perché mediamente li conosciamo poco, sarà per via della cultura che ci circonda… Provate a pensarci: a chi spetta il ruolo del tentatore nel paradiso terrestre? E quale animale rappresenta il demonio schiacciato dal calcagno della Vergine nella iconografia cattolica? Serpente come personificazione del male. E tra i serpenti più temuti e maltrattati, ovviamente, ci sono quelli velenosi, potenzialmente pericolosi per noi: in Italia, la vipera.
Non bastasse la religione, ecco anche i film western di cassetta che in decine di pellicole hanno associato la falsità dei conquistatori bianchi alla lingua biforcuta dei serpenti. Si tratta in realtà di un efficientissimo recettore chimico che ha quella particolare forma bifida perché la struttura deputata a “leggere” i messaggi olfattivi raccolti, il cosiddetto “organo di Jacobson”, collocato in una fossetta in alto all’interno della bocca, ha a sua volta due recettori.
Fascino quasi sempre negativo, talvolta anche positivo. Ma è comunque raro che i serpenti lascino indifferenti. Come erpetologo e divulgatore ho partecipato a decine di incontri pubblici sul mondo degli Anfibi e dei Rettili, con adulti e nelle scuole. Ebbene, posso garantirvi che sempre l’attenzione si centuplica quando l’argomento scivola sugli ofidi. E viene accolta con stupore un’informazione che i più trovano sconcertante: i serpenti sono privi di zampe perché le hanno perse nel corso dell’evoluzione, inutile intralcio per il loro stile di vita. Difficile crederci per un animale che ha scelto per se stesso un nome di grande prestigio, Homo sapiens, e che è intimamente convinto di essere l’incarnazione della perfezione. L’evoluzione non è una scala che porta sempre più in alto, ma semplicemente un meccanismo che consente a ciascuna specie di successo di adattarsi al meglio alle condizioni ambientali che deve affrontare. Da questo punto di vista i serpenti non hanno nulla di cui lamentarsi, tant’è che vivono sul pianeta Terra, più o meno immutati, dal Giurassico medio, circa 165 milioni di anni fa, mentre l’uomo anatomicamente moderno è comparso meno di 200mila anni or sono.
La mancanza di zampe è, appunto, il carattere distintivo più evidente: i serpenti non le hanno più da circa 100 milioni di anni (alcune specie probabilmente anche da prima), e ci sono sauri che li hanno, per così dire, “imitati” (l’orbettino, comunissimo anche in Italia, ad esempio, è una lucertola priva di arti) o si sono avviati sulla stessa strada: la luscengola, sempre per restare alla fauna italiana, ha aspetto serpentiforme ma con piccoli e pressoché inutilizzati arti residuali. Una differenza di rilievo rispetto ai sauri è la mancanza di palpebre: la cornea degli ofidi è protetta da una membrana trasparente che, accoppiata alla ridotta mobilità del bulbo oculare, dà al serpente uno sguardo fisso, che a noi, abituati come siamo al nostro frenetico movimento delle palpebre, appare freddo e tale da incutere spavento.
Un’altra caratteristica che stupisce è la capacità di ingoiare prede anche notevolmente più grandi di loro. Questo perché gli ofidi, tutti e certamente non solo le vipere, hanno le mandibole unite solo da pelle e muscoli e non da articolazioni ossee: una soluzione geniale, che consente alla bocca una apertura enorme rispetto alle dimensioni dell’animale. A completare il tutto ci sono le scaglie sovrapposte come tegole di un tetto e al di sotto delle quali la pelle è ripiegata verso l’interno, una struttura che dà notevoli possibilità di “allargare” il corpo.
Il dubbio legittimo a questo punto è uno solo: il veleno delle vipere rappresenta davvero un pericolo mortale per l’uomo? Potenzialmente sì, ma molto meno di quanto di solito si creda. Intanto i decessi attribuibili al morso di un serpente sono mediamente in Italia circa uno all’anno, con una mortalità, rispetto alle persone morse (già di per sé molto poche) calcolata dalla letteratura medica intorno allo 0,1%. In più l’esito letale avviene spesso per anafilassi o per complicazioni da situazioni sanitarie pregresse e non per gli effetti del veleno in sé. Se volete un termine di paragone sappiate che nel nostro Paese si contano, ad esempio, tra le 10 e le 20 morti annue per punture di insetti. Eppure nessuno demonizza più di tanto api, vespe e calabroni.
Le vipere usano il veleno per la caccia e la digestione; soltanto in casi estremi per difesa. Seguendo alcune semplici precauzioni si evita ogni problema: calzature adatte, restare sui sentieri, evitare di sedersi su una pietraia assolata, camminare facendo vibrare il terreno con passi “pesanti” o magari con l’aiuto di un bastone, non frugare a mani nude tra i cespugli, fermarsi e darle il tempo di allontanarsi se casualmente se ne incontra una… Usare insomma un pizzico di buon senso quando si frequentano ambienti in cui la loro presenza è segnalata. E sapendo comunque che un uomo (e ovviamente anche una donna) adulto, in buona salute, anche se morso difficilmente rischierebbe di perdere la vita. Maggiori attenzioni sono necessarie per chi soffre di qualche patologia e per i bambini, per via del minor peso corporeo.
Farsi mordere in ogni caso non è facile: qualche anno fa c’è riuscito un mio conoscente vittima indiretta di una fake-news. Aveva letto di persone capaci di afferrare al volo una vipera nell’istante in cui scatta per colpire. Un’impresa semplicemente impossibile: in fase di attacco corpo e testa si muovono con una velocità (è stato accertato sperimentalmente da ricercatori dell’Università della Louisiana su alcuni crotali americani, appartenenti alla stessa famiglia, Viperidae, delle vipere nostrane) che sfiora i 3 metri al secondo! Vuol dire che la vipera colpisce in tempi variabili tra i 50 e i 90 millisecondi, una rapidità incredibile che l’occhio umano neppure percepisce. Giusto per avere un termine di confronto, un battito di ciglia avviene in circa 220 millisecondi: come a dire che mentre le battete una volta sola la vipera avrebbe tempo per colpirvi due volte!
Lo aveva letto ed era convinto di essere altrettanto abile, a tal punto da provarci di nuovo dopo il primo ovvio fallimento. Risultato: ha rimediato più di un morso ed è finito in ospedale per le cure del caso. Già, perché è insistendo che si possono correre seri pericoli, come dimostra la vicenda del 1855 che vi raccontiamo in queste stesse pagine. La vipera ha un saggio timore nei nostri confronti e se appena può ci evita. Se proprio costretta, perché impossibilitata alla fuga, prima ci minaccia sollevando il capo e sibilando, poi si concede un primo morso, di avvertimento, il più delle volte “a secco”, cioè senza inoculare veleno. Il suo apparato velenifero funziona infatti proprio come una siringa: c’è un’apposita muscolatura che spinge il veleno dalle ghiandole in fondo al palato attraverso i suoi efficientissimi denti cavi. La vipera non ha interesse alcuno a sprecarlo con un bestione come noi che certamente non potrà mangiare. Se però proprio non vogliamo smettere di darle fastidio, beh, voi che fareste?
Certo, può capitare pure d’esser morsi per caso. Ve ne racconto un’altra, di storia, anche questa per testimonianza quasi diretta: una decina d’anni or sono una vedova si era recata nel cimitero di Pretoro, un bel paesino sul massiccio della Majella, in provincia di Chieti, in Abruzzo, per accudire la tomba del marito. La prima cosa da fare per lei era recuperare la paletta, il vaso per i fiori e altra piccola attrezzatura che aveva nascosto in un cespuglio dove ha infilato tranquillamente la mano. Ora provate a mettervi dal punto di vista del serpente, un giovane individuo che ha da poco catturato una preda e se ne sta tranquillo al caldo, nascosto proprio in quel cespuglio, a cercare di digerirla. Vede una grossa mano che cala verso di lui e se ne preoccupa. Reagisce come sa, sollevando il capo e sibilando in un attacco simulato che si solito è sufficiente per impressionare l’avversario. La mano però non si spaventa ed è ancora lì, a muoversi tra i rami. Al rettile non restano altre soluzioni, e morde. Probabilmente a secco, ma non abbiamo certezze in tal senso. La signora mi ha raccontato di aver avvertito soltanto una “pizzicata” e di essersi sentita “un po’ male” solo dopo, quando un suo parente “serparo” (Pretoro è uno dei due paesi d’Abruzzo in cui sopravvivono riti ofidici – vedi box) ha catturato il rettile e le ha detto che si trattava di una vipera. La signora se l’è cavata, state tranquilli, con qualche giorno di ricovero in ospedale e ha poco tempo dopo partecipato, come testimone diretta, agli incontri che il sindaco dell’epoca ha voluto organizzare in paese con alcuni esperti erpetologi per far meglio conoscere ai suoi concittadini un animale nel quale evidentemente da quelle parti è possibile imbattersi.
A questo punto sarà bene specificare che oggi il protocollo applicato in Pronto Soccorso nel caso di un presunta morsicatura da vipera prevede semplicemente che il paziente venga messo a riposo in attesa che compaiano gli eventuali sintomi, in presenza dei quali – e solo in questo caso – si interviene. Prima di arrivarci, nel reparto di pronto soccorso di un ospedale, quel che si può fare come intervento d’emergenza immediata è mettere il più possibile a riposo la persona ferita, toglierle anelli, orologi e bracciali e, se possibile, praticare una fasciatura moderatamente compressiva che interessi tutto l’arto colpito (cosiddetto “metodo australiano”). E raggiungere il più velocemente possibile un posto nel quale ottenere assistenza medica qualificata. Tutto il resto, pure se tuttora reperibile in vecchie pubblicazioni, persino in datati manuali sanitari di primo soccorso, va archiviato nel novero delle pratiche antiche, da evitare. A cominciare dall’uso in prima persona del siero anti-vipera, oggi non più liberamente commercializzato in farmacia, col quale si rischia di fare assai più danno (da shock anafilattico) che col veleno. Del tutto inutile e anzi potenzialmente dannoso pure il consiglio di legare il braccio o la gamba colpiti a monte della ferita per rallentare il deflusso del sangue: il veleno si diffonde per vie linfatiche! Meno che mai bisogna incidere la parte interessata e far defluire il sangue o, peggio, succhiarlo e sputarlo via. Si vede spesso nei film, e lasciamo tranquillamente che siano gli attori a fingere di farlo: vantaggi zero per il paziente, tanti potenziali rischi per il soccorritore.
Vi ho convinti? Ora sapete tutti che le vipere in Italia rappresentano una fonte insignificante di pericolo; che vederle in natura non è facile; che rimediare un morso accidentale è ancora più complesso; che comunque, anche se vi ha morso, correte davvero pericolo solo se pesate meno di venti chili o se siete in cattive condizioni fisiche; che non c’è ragione alcuna per demonizzare i serpenti, siano o meno velenosi.
Se nonostante queste informazioni siete ancora ammaliati da una delle fake-news che avete letto o di cui qualcuno vi ha parlato, basta, mi arrendo. Anzi vi confido una formula, ben collaudata nelle campagne d’Abruzzo e Molise[9], per non incontrare serpenti: prima di mettervi in cammino mangiate uno dopo l’altro 3-9 fichi secchi o altrettanti chicchi d’uva. Non funziona, ovviamente. Ma... buon appetito.
Per saperne di più sulle vipere e più in generale sugli ofidi italiani segnalo infine tre volumi, citati in ordine cronologico:
Il genere Vipera comprende serpenti, tutti dotati di veleno, di piccole dimensioni: tra i 45 e i 90 cm con poche specie in grado di superare il metro. Ofidi dal corpo corto e tozzo, sono caratterizzati da testa sub-triangolare ben distinta dal collo, coda corta, squame dorsali ben carenate, placche cefaliche dorsali piccole e disposte irregolarmente, occhio con pupilla ellittica verticale. Abitualmente terricole, sedentarie e lente negli spostamenti, le vipere sono attive sia di giorno che di notte, e sono diffuse dal livello del mare sino in alta montagna. Le femmine sono ovovivipare: le uova si sviluppano e schiudono all’interno del corpo della madre che mette al mondo piccoli, di solito tra 5 e 12, subito perfettamente in grado di cavarsela da soli.
Sono cinque le specie di Vipera presenti sul territorio italiano: tre sono esclusive delle regioni alpine; una vive soltanto in poche montagne dell’Appennino centrale; un’unica specie può vantare una diffusione veramente nazionale.
Sono pochi, in Italia, coloro che non hanno mai sentito parlare di un minuscolo paese, Cocullo (AQ), nel cuore dell’Appennino abruzzese. Un paese che conta 217 abitanti appena ma che, una volta l’anno, viene letteralmente preso d’assalto da migliaia di persone, e da fotografi e troupe televisive di ogni angolo del mondo, in occasione della “processione dei serpari”. Il primo maggio (secondo tradizione il primo giovedì del mese ma dal 2012 è stata opportunamente scelta una data festiva) la statua di San Domenico, taumaturgo per il quale si ripropongono le medesime prodigiose qualità un tempo attribuite alla dea Angizia, viene infatti portata in processione avvolta da serpenti. Tanto basta per dare a quell’evento, e al paese che lo ospita, una risonanza planetaria.
Una festa analoga, meno nota, ha luogo anche a Pretoro (CH), sempre in Abruzzo, la prima domenica di maggio. Qui però il rito dei serpenti (che non vengono avvolti intorno alla statua di San Domenico ma portati dai serpari) è secondario rispetto alla rievocazione in costume di un miracolo del santo che convince un lupo a restituire ai suoi genitori un bimbo in fasce da poco rapito.
Entrambe le feste sono consentite in deroga alla legge locale che tutela anfibi e rettili (oggi norme simili esistono in molte regioni italiane); vengono utilizzate, ovviamente, soltanto specie innocue.
L'elicottero volteggia su nel cielo. Spesso in montagna, qualche volta anche in pianura e persino intorno a paesi e case isolate. Poi si abbassa cauto, apre i portelloni e... piovono vipere: è una delle leggende metropolitane più diffuse, secondo la quale ci sarebbe chi organizza ripopolamenti di rettili velenosi spargendoli nel territorio con una opportuna serie di lanci. I dettagli variano: nelle varie versioni le vipere sarebbero contenute in scatole di cartone, buste o cassette di plastica, che poi qualcuno recupererebbe da terra, o in contenitori di materiale biodegradabile destinato a sparire col tempo. Molta fantasia anche nella individuazione dei “colpevoli” e delle loro motivazioni: le vipere sarebbero lanciate dal WWF, dai Verdi o dalla Forestale (oggi, dopo l’accorpamento, dai Carabinieri-Forestali) per aumentarne la presenza nel territorio; ma anche dai cercatori di tartufi per tenere lontana la concorrenza o dai cacciatori per contrastare l’eccessiva presenza di turisti; un tempo, quando si consigliava agli escursionisti di portarsi nello zaino una confezione di siero anti-vipera, c’era inoltre chi puntava l’indice anche sulle case farmaceutiche, interessate alla materia prima, il veleno, indispensabile, prima che si riuscisse a sintetizzarlo in laboratorio, per la produzione dell’antidoto. Nulla di vero, ovviamente. Ma l’insistenza era tale che negli ultimi decenni dello scorso secolo alcune aree protette e persino qualche comando locale del Corpo Forestale dello Stato arrivarono a diffondere comunicati stampa per smentire l’esistenza di una simile pratica[1]. Né possiamo illuderci che siano storie vecchie, desuete: ancora nel giugno scorso la Societas Herpetologica Italica, la società scientifica che raccoglie gli studiosi italiani di Anfibi e Rettili, è stata costretta a intervenire con una propria nota per smentire la fake-news che voleva le vipere divenute più “audaci” a causa del lockdown da Covid-19 e anche quella, rispolverata per l’occasione, dei rettili paracadutati per aumentarne il numero[2].
Dove è nata questa leggenda? Si legge spesso di una presunta origine francese, ipotesi nata da uno studio della sociologa Véronique Campion-Vincent[3] nel quale si indicava il 1976 come data del “debutto” pubblico della storia. Un recente e ben documentato articolo, firmato da Roberto Labanti, Sofia Lincos, Giuseppe Stilo e Paolo Toselli[4],ne retrodata l’origine collocandola al 1970, quando, in Svizzera, esattamente il 7 settembre, il presunto ripopolamento ebbe l’onore di essere oggetto di un’interpellanza al Gran Consiglio (il parlamento cantonale) del Ticino.
Ripopolamento misterioso, con finalità non chiare, su cui riferiva una “fonte ben informata”: gli ingredienti ci sono quasi tutti; manca solo l’elicottero. Quello, peraltro comparso in articoli pubblicati già nei giorni seguenti, potrebbero averlo prestato gli USA, accusati negli anni ’50 del secolo scorso di usarlo, insieme agli aerei, per paracadutare nella Germania dell’Est grandi quantità di Dorifora delle patate, un parassita estremamente dannoso, con l’evidente scopo di affamare un Paese del blocco comunista nel pieno di quella che è passata alla storia come guerra fredda[5].
Come che sia, certamente già più di quarant’anni fa di lanci di vipere si parlava anche in Italia: nel Parco del Circeo, per esempio, o in Abruzzo, dove però i rettili dovevano aspettare il loro turno, visto che da quelle parti si dice che dell’elicottero usufruiscano, sempre per i ripopolamenti, anche i lupi. Chissà, magari loro, più grandi, con paracadute individuali... Se ne parla dunque da decenni, e non è raro incontrare persone di buona cultura che danno credito a questa diceria. Se poi si va a fondo e si prova a cercare testimoni diretti dell’evento si scopre, come del resto per qualsiasi leggenda metropolitana, che non si può arrivare oltre resoconti di seconda o terza mano: “No, non l’ho visto direttamente, ma un amico di mio cugino, persona serissima, ha saputo che...” e via col racconto. Al più, qualche volta vi diranno con convinzione: “Sì, ho trovato la busta: certo i serpenti non c’erano più ma la busta è quella del lancio, lo posso giurare”. Testimonianze che in un Tribunale non sarebbero prese in alcuna considerazione, ma che perdurano e si tramandano. In questo caso, si badi bene, non si può demonizzare il web, che pure fa la sua parte: questa fake-news è nata molto prima di internet e continua a circolare nel mondo virtuale come in quello reale, complice a volte persino qualche ingenuo cronista. Né vi basta, se volete smentirla, spiegare che non esiste al mondo un allevamento in grado di fornire vipere in tal numero da rendere possibile un ripopolamento o appellarvi al buon senso osservando che, se proprio si dovesse organizzare una simile azione, perché mai dovrebbe essere necessario far ricorso a un elicottero? Fatica sprecata: chi vuol credere all’inverosimile continuerà a farlo.
Se però poi si trovano anche le “prove”, qualche dubbio forse è legittimo? Nel 1989 La Stampa ha raccontato (con tanto di fotografia) del ritrovamento, in Val Susa, di inquietanti scatole, corredate da un improbabile mini-paracadute, apparentemente destinate a ospitare varie specie di vipere. Una scoperta che ha allarmato il dentista e il pediatra intervistati dall’autore dell’articolo[6], e che invece è stata considerata opera di burloni dal direttore dell’epoca del Parco dell’Orsiera e da una guardia ecologica. Da una parte professionisti certamente qualificati nei rispettivi mestieri, ma che nulla hanno a che fare con questioni ambientali; dall’altra dei naturalisti. Decidete un po’ voi, tenendo conto dell’argomento in esame, a chi vi sembra più giusto dare credito...
Anche un gruppo di studenti dell’Università della Tuscia potrebbe tuttavia contestare il mio scetticismo: loro, in visita in un’area protetta sulle montagne abruzzesi, l’Abetina di Rosello (CH), una vipera piovuta dal cielo l’hanno vista davvero. È caduta proprio in mezzo al gruppo destando, potete immaginarlo, sconcerto e timore. Una conferma dei lanci dall’elicottero? Beh, bisogna aggiungere che si trattava di un animale morto e per giunta senza testa: decisamente poco utile per un ripopolamento! Un serpente piovuto dall’alto è segnalato però anche a Pescara, in viale Kennedy, pieno centro urbano: lo ha visto e fotografato qualche anno fa, a dir poco con molto stupore, uno stimato avvocato proprio davanti alle finestre di casa. Niente paura: si trattava di un ofide innocuo, un biacco, Hierophis viridiflavus la denominazione scientifica, peraltro pure lui morto. Due indizi non fanno ancora una prova, ma una spiegazione certamente ci vuole. E per scoprirla bisogna guardare davvero verso il cielo, non alla ricerca di un rumoroso elicottero, ma di una coppia di rapaci. Già, perché tra questi splendidi uccelli è d’uso che il maschio durante il periodo degli amori cerchi di ingraziarsi la compagna offrendole doni (vi ricorda qualcosa?) e quale cadeau migliore di un appetitoso serpente? Il corteggiamento avviene in volo e qualche volta, per inesperienza o per l’eccitazione del momento, il regalo sfugge di mano, pardon... di zampe, e precipita al suolo. Non è solo un’ipotesi: a Rosello, su suggerimento dell’esperta guida, gli studenti hanno subito alzato lo sguardo e possono testimoniare che sulle loro teste volteggiavano due poiane, Buteo buteo. Questo spiega anche la testa mozza: il grande rapace non è certo immune al veleno e perciò il maschio, una volta catturata una vipera, l’ha messa in condizioni di non nuocere, neppure per caso, prima di porgere il pranzo alla compagna.
Figli ingrati e serpenti ghiotti di latte
Vi ho appena raccontato una storia strana, ma vera. Altrettanto vero è il fatto che la vipera in una ipotetica classifica sui protagonisti di credenze e leggende metropolitane figurerebbe certamente ai primi posti, tante se ne dicono e raccontano sul suo conto.
Una delle più antiche è quella che vuole l’ultimo suo figlio velenosissimo e così infame da cercare nei primi istanti di vita di infliggere un morso letale alla propria stessa madre. La poverina, per salvarsi la pelle, sarebbe costretta a partorire arrampicata su un cespuglio o, meglio, su un albero in modo da liberarsi subito dell’incomodo neonato lasciandolo cadere al suolo. Una storia così affascinante che quasi dispiace dover sottolineare che la vipera è immune al veleno che essa stessa produce...
Molto diffusa, e altrettanto antica, è anche la falsa notizia che vuole i serpenti ghiotti di latte. Diverse specie, in tutto il mondo, godono di analoga fama. In Abruzzo questa predilezione alimentare è attribuita in particolare al cervone, Elaphe quatuorlineata, non a caso detto anche “pasturavacche” proprio per la sua presunta capacità, addirittura, di servirsi direttamente dalle mammelle mungendo le mucche al pascolo... Di lui si dice persino che si incuneerebbe nelle culle per ingannare madri evidentemente piuttosto distratte sostituendosi al poppante, messo a tacere offrendogli la punta della sua coda a mo’ di ciuccio. Assurdo, vero? Eppure c’è chi ci crede e non è difficile imbattersi nel web in chi consiglia proprio il latte come esca per catturare serpenti. Un paio di estati fa, curiosando su internet, ho trovato, per esempio, questo suggerimento: «Mi hanno raccontato che un metodo utilizzato per catturare le vipere è il seguente: riempire per un quarto una bottiglia di birra con latte zuccherato e lasciarla distesa per terra. Il latte attirerà la vipera che entrerà nella bottiglia, ma dopo averlo bevuto si ingrosserà non potendo uscire dal collo stretto. Avrai un po' di tempo per portare la bottiglia in un luogo sicuro, dove la vipera pian piano riuscirà a liberarsi». Per chi vorrà provarci almeno un risultato è garantito: lo spreco di tempo e di un po’ di latte.
Se andiamo più a ritroso negli anni possiamo del resto imbatterci in tante leggende popolari su vipere e altri serpenti variamente mostruosi: crestati, con più code, con testa di gatto[7] o giganteschi che andrebbero a caccia di prede in certe particolari notti dell’anno. Secondo una particolare versione, la vipera incontrata la notte di Natale (come raccontava con convinzione un’anziana zia, a me e a decine di altri bambini che l’ascoltavano rapiti nelle sere d’estate in un paesino tra Abruzzo e Molise) potrebbe anche parlarci. Chissà mai per dirci cosa... Ancora: si narra che lo sguardo di una vipera possa paralizzare l’incauto che osa affrontarla; che quando se ne incontra un individuo bisogna scappare in salita o correre a zig zag; che potreste trovare avvelenata l’acqua di un ruscello se prima di voi è stata una vipera a dissetarsi (una variante racconta di effetti nefasti a causa di una vipera caduta nel vino o, ancora una volta, nel latte[8]); che in autunno sono meno pericolose perché a fine estate il loro veleno diventerebbe meno potente; che per inseguire le prede, questa è bella, sarebbero addirittura in grado di muoversi rotolando come una ruota di bicicletta con la coda in bocca, presumo soltanto in discesa.
Sicuramente non le ho elencate tutte, ma penso di aver reso l’idea.
Il fascino dei serpenti
La verità è che i serpenti in genere, e le vipere in particolare, esercitano un fascino speciale su tutti noi. Sarà perché sono profondamente diversi, sarà perché mediamente li conosciamo poco, sarà per via della cultura che ci circonda… Provate a pensarci: a chi spetta il ruolo del tentatore nel paradiso terrestre? E quale animale rappresenta il demonio schiacciato dal calcagno della Vergine nella iconografia cattolica? Serpente come personificazione del male. E tra i serpenti più temuti e maltrattati, ovviamente, ci sono quelli velenosi, potenzialmente pericolosi per noi: in Italia, la vipera.
Non bastasse la religione, ecco anche i film western di cassetta che in decine di pellicole hanno associato la falsità dei conquistatori bianchi alla lingua biforcuta dei serpenti. Si tratta in realtà di un efficientissimo recettore chimico che ha quella particolare forma bifida perché la struttura deputata a “leggere” i messaggi olfattivi raccolti, il cosiddetto “organo di Jacobson”, collocato in una fossetta in alto all’interno della bocca, ha a sua volta due recettori.
Fascino quasi sempre negativo, talvolta anche positivo. Ma è comunque raro che i serpenti lascino indifferenti. Come erpetologo e divulgatore ho partecipato a decine di incontri pubblici sul mondo degli Anfibi e dei Rettili, con adulti e nelle scuole. Ebbene, posso garantirvi che sempre l’attenzione si centuplica quando l’argomento scivola sugli ofidi. E viene accolta con stupore un’informazione che i più trovano sconcertante: i serpenti sono privi di zampe perché le hanno perse nel corso dell’evoluzione, inutile intralcio per il loro stile di vita. Difficile crederci per un animale che ha scelto per se stesso un nome di grande prestigio, Homo sapiens, e che è intimamente convinto di essere l’incarnazione della perfezione. L’evoluzione non è una scala che porta sempre più in alto, ma semplicemente un meccanismo che consente a ciascuna specie di successo di adattarsi al meglio alle condizioni ambientali che deve affrontare. Da questo punto di vista i serpenti non hanno nulla di cui lamentarsi, tant’è che vivono sul pianeta Terra, più o meno immutati, dal Giurassico medio, circa 165 milioni di anni fa, mentre l’uomo anatomicamente moderno è comparso meno di 200mila anni or sono.
La mancanza di zampe è, appunto, il carattere distintivo più evidente: i serpenti non le hanno più da circa 100 milioni di anni (alcune specie probabilmente anche da prima), e ci sono sauri che li hanno, per così dire, “imitati” (l’orbettino, comunissimo anche in Italia, ad esempio, è una lucertola priva di arti) o si sono avviati sulla stessa strada: la luscengola, sempre per restare alla fauna italiana, ha aspetto serpentiforme ma con piccoli e pressoché inutilizzati arti residuali. Una differenza di rilievo rispetto ai sauri è la mancanza di palpebre: la cornea degli ofidi è protetta da una membrana trasparente che, accoppiata alla ridotta mobilità del bulbo oculare, dà al serpente uno sguardo fisso, che a noi, abituati come siamo al nostro frenetico movimento delle palpebre, appare freddo e tale da incutere spavento.
Un’altra caratteristica che stupisce è la capacità di ingoiare prede anche notevolmente più grandi di loro. Questo perché gli ofidi, tutti e certamente non solo le vipere, hanno le mandibole unite solo da pelle e muscoli e non da articolazioni ossee: una soluzione geniale, che consente alla bocca una apertura enorme rispetto alle dimensioni dell’animale. A completare il tutto ci sono le scaglie sovrapposte come tegole di un tetto e al di sotto delle quali la pelle è ripiegata verso l’interno, una struttura che dà notevoli possibilità di “allargare” il corpo.
Un pericolo reale?
Il dubbio legittimo a questo punto è uno solo: il veleno delle vipere rappresenta davvero un pericolo mortale per l’uomo? Potenzialmente sì, ma molto meno di quanto di solito si creda. Intanto i decessi attribuibili al morso di un serpente sono mediamente in Italia circa uno all’anno, con una mortalità, rispetto alle persone morse (già di per sé molto poche) calcolata dalla letteratura medica intorno allo 0,1%. In più l’esito letale avviene spesso per anafilassi o per complicazioni da situazioni sanitarie pregresse e non per gli effetti del veleno in sé. Se volete un termine di paragone sappiate che nel nostro Paese si contano, ad esempio, tra le 10 e le 20 morti annue per punture di insetti. Eppure nessuno demonizza più di tanto api, vespe e calabroni.
Le vipere usano il veleno per la caccia e la digestione; soltanto in casi estremi per difesa. Seguendo alcune semplici precauzioni si evita ogni problema: calzature adatte, restare sui sentieri, evitare di sedersi su una pietraia assolata, camminare facendo vibrare il terreno con passi “pesanti” o magari con l’aiuto di un bastone, non frugare a mani nude tra i cespugli, fermarsi e darle il tempo di allontanarsi se casualmente se ne incontra una… Usare insomma un pizzico di buon senso quando si frequentano ambienti in cui la loro presenza è segnalata. E sapendo comunque che un uomo (e ovviamente anche una donna) adulto, in buona salute, anche se morso difficilmente rischierebbe di perdere la vita. Maggiori attenzioni sono necessarie per chi soffre di qualche patologia e per i bambini, per via del minor peso corporeo.
Farsi mordere in ogni caso non è facile: qualche anno fa c’è riuscito un mio conoscente vittima indiretta di una fake-news. Aveva letto di persone capaci di afferrare al volo una vipera nell’istante in cui scatta per colpire. Un’impresa semplicemente impossibile: in fase di attacco corpo e testa si muovono con una velocità (è stato accertato sperimentalmente da ricercatori dell’Università della Louisiana su alcuni crotali americani, appartenenti alla stessa famiglia, Viperidae, delle vipere nostrane) che sfiora i 3 metri al secondo! Vuol dire che la vipera colpisce in tempi variabili tra i 50 e i 90 millisecondi, una rapidità incredibile che l’occhio umano neppure percepisce. Giusto per avere un termine di confronto, un battito di ciglia avviene in circa 220 millisecondi: come a dire che mentre le battete una volta sola la vipera avrebbe tempo per colpirvi due volte!
Lo aveva letto ed era convinto di essere altrettanto abile, a tal punto da provarci di nuovo dopo il primo ovvio fallimento. Risultato: ha rimediato più di un morso ed è finito in ospedale per le cure del caso. Già, perché è insistendo che si possono correre seri pericoli, come dimostra la vicenda del 1855 che vi raccontiamo in queste stesse pagine. La vipera ha un saggio timore nei nostri confronti e se appena può ci evita. Se proprio costretta, perché impossibilitata alla fuga, prima ci minaccia sollevando il capo e sibilando, poi si concede un primo morso, di avvertimento, il più delle volte “a secco”, cioè senza inoculare veleno. Il suo apparato velenifero funziona infatti proprio come una siringa: c’è un’apposita muscolatura che spinge il veleno dalle ghiandole in fondo al palato attraverso i suoi efficientissimi denti cavi. La vipera non ha interesse alcuno a sprecarlo con un bestione come noi che certamente non potrà mangiare. Se però proprio non vogliamo smettere di darle fastidio, beh, voi che fareste?
Certo, può capitare pure d’esser morsi per caso. Ve ne racconto un’altra, di storia, anche questa per testimonianza quasi diretta: una decina d’anni or sono una vedova si era recata nel cimitero di Pretoro, un bel paesino sul massiccio della Majella, in provincia di Chieti, in Abruzzo, per accudire la tomba del marito. La prima cosa da fare per lei era recuperare la paletta, il vaso per i fiori e altra piccola attrezzatura che aveva nascosto in un cespuglio dove ha infilato tranquillamente la mano. Ora provate a mettervi dal punto di vista del serpente, un giovane individuo che ha da poco catturato una preda e se ne sta tranquillo al caldo, nascosto proprio in quel cespuglio, a cercare di digerirla. Vede una grossa mano che cala verso di lui e se ne preoccupa. Reagisce come sa, sollevando il capo e sibilando in un attacco simulato che si solito è sufficiente per impressionare l’avversario. La mano però non si spaventa ed è ancora lì, a muoversi tra i rami. Al rettile non restano altre soluzioni, e morde. Probabilmente a secco, ma non abbiamo certezze in tal senso. La signora mi ha raccontato di aver avvertito soltanto una “pizzicata” e di essersi sentita “un po’ male” solo dopo, quando un suo parente “serparo” (Pretoro è uno dei due paesi d’Abruzzo in cui sopravvivono riti ofidici – vedi box) ha catturato il rettile e le ha detto che si trattava di una vipera. La signora se l’è cavata, state tranquilli, con qualche giorno di ricovero in ospedale e ha poco tempo dopo partecipato, come testimone diretta, agli incontri che il sindaco dell’epoca ha voluto organizzare in paese con alcuni esperti erpetologi per far meglio conoscere ai suoi concittadini un animale nel quale evidentemente da quelle parti è possibile imbattersi.
Le cose da fare (e da non fare) in caso di morso
A questo punto sarà bene specificare che oggi il protocollo applicato in Pronto Soccorso nel caso di un presunta morsicatura da vipera prevede semplicemente che il paziente venga messo a riposo in attesa che compaiano gli eventuali sintomi, in presenza dei quali – e solo in questo caso – si interviene. Prima di arrivarci, nel reparto di pronto soccorso di un ospedale, quel che si può fare come intervento d’emergenza immediata è mettere il più possibile a riposo la persona ferita, toglierle anelli, orologi e bracciali e, se possibile, praticare una fasciatura moderatamente compressiva che interessi tutto l’arto colpito (cosiddetto “metodo australiano”). E raggiungere il più velocemente possibile un posto nel quale ottenere assistenza medica qualificata. Tutto il resto, pure se tuttora reperibile in vecchie pubblicazioni, persino in datati manuali sanitari di primo soccorso, va archiviato nel novero delle pratiche antiche, da evitare. A cominciare dall’uso in prima persona del siero anti-vipera, oggi non più liberamente commercializzato in farmacia, col quale si rischia di fare assai più danno (da shock anafilattico) che col veleno. Del tutto inutile e anzi potenzialmente dannoso pure il consiglio di legare il braccio o la gamba colpiti a monte della ferita per rallentare il deflusso del sangue: il veleno si diffonde per vie linfatiche! Meno che mai bisogna incidere la parte interessata e far defluire il sangue o, peggio, succhiarlo e sputarlo via. Si vede spesso nei film, e lasciamo tranquillamente che siano gli attori a fingere di farlo: vantaggi zero per il paziente, tanti potenziali rischi per il soccorritore.
Vi ho convinti? Ora sapete tutti che le vipere in Italia rappresentano una fonte insignificante di pericolo; che vederle in natura non è facile; che rimediare un morso accidentale è ancora più complesso; che comunque, anche se vi ha morso, correte davvero pericolo solo se pesate meno di venti chili o se siete in cattive condizioni fisiche; che non c’è ragione alcuna per demonizzare i serpenti, siano o meno velenosi.
Se nonostante queste informazioni siete ancora ammaliati da una delle fake-news che avete letto o di cui qualcuno vi ha parlato, basta, mi arrendo. Anzi vi confido una formula, ben collaudata nelle campagne d’Abruzzo e Molise[9], per non incontrare serpenti: prima di mettervi in cammino mangiate uno dopo l’altro 3-9 fichi secchi o altrettanti chicchi d’uva. Non funziona, ovviamente. Ma... buon appetito.
Note
1) Ne ho già parlato in: La leggenda metropolitana “Quelle strane serpi lanciate dall’elicottero”. Il Tempo. Cronache italiane. 22 giugno 2003, pag. 9
2) Il comunicato stampa è reperibile al link: https://bit.ly/35qyCmx
3) È stato pubblicato nel 1990 sulla rivista Ethnologie Française, vol. 20, n. 2, pp. 143-155
4) L’articolo è: “1970: l’anno in cui le vipere iniziarono a volare”, consultabile a questo link https://bit.ly/31wgOFx . Uno degli autori, Paolo Toselli, ha anche firmato il volume: “La famosa invasione delle vipere volanti, e altre leggende metropolitane dell’Italia di oggi”, edizione aggiornata e rivista, Ledizioni, Milano, 2018.
5) La storia della dorifora usata come “arma biologica” è magistralmente narrata da Sofia Lincos e Giuseppe Stilo in: https://bit.ly/37NjpyX
6) L’articolo, a firma di Fulvio Morello, con il titolo “Dove volano le vipere”, è apparso sulla seconda pagina della Cronaca di Torino de La Stampa venerdì 13 ottobre 1989.
7) Il panorama dei rettili mostruosi è molto vario. Si possono, ad esempio, leggere in proposito alcune particolari storie piemontesi ai link: https://bit.ly/3kVNUpY https://bit.ly/2JyonW6 https://bit.ly/383mGds
8) Consiglio vivamente la lettura dell’articolo “Latte di vipera” di Sofia Lincos, reperibile al link: https://bit.ly/35pUzCh - Molto interessante anche Ermacora D., 2017. The comparative milk-suckling reptile, in Arena F., Foehr-Janssens Y., Papaikonomou I. & Prescendi F. (eds), "Allaitement entre humains et animaux : représentations et pratiques de l’Antiquité à aujourd’hui". Anthropozoologica 52 (1): 59-81, che si può scaricare al link: https://bit.ly/3dQHmWV
9) Cfr. Di Tizio L. (2018): Anfibi e Rettili tra credenze e leggende metropolitane, pp. 25-30. In: Capula M., Di Tizio L., De Lisio L., Carafa M., Brugnola L. (Eds). Anfibi e Rettili del Molise atlante e guida. Ianieri Edizioni, Pescara, 280 pp.
Per saperne di più sulle vipere e più in generale sugli ofidi italiani segnalo infine tre volumi, citati in ordine cronologico:
- Sindaco R., Doria G., Razzetti E. & Bernini F. (eds), 2006 - Atlante degli Anfibi e dei Rettili d’Italia / Atlas of Italian Amphibians and Reptiles. Societas Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa, Firenze, 792 pp.
- Corti C., Capula M., Luiselli L., Razzetti E. & Sindaco R. (eds), 2011 – Fauna d’Italia Reptilia. Calderini-Edizioni Calderini de Il Sole-24 ORE, Bologna, XII + 869 pp.
- Grano M., Meier G., Cattaneo C., 2017 - Vipere italiane. Gli ultimi studi sulla sistematica, l'ecologia e la storia naturale. Gruppo Editoriale Castel Negrino, Arenzano, GE, 198 pp.
Cenni di biologia
Il genere Vipera comprende serpenti, tutti dotati di veleno, di piccole dimensioni: tra i 45 e i 90 cm con poche specie in grado di superare il metro. Ofidi dal corpo corto e tozzo, sono caratterizzati da testa sub-triangolare ben distinta dal collo, coda corta, squame dorsali ben carenate, placche cefaliche dorsali piccole e disposte irregolarmente, occhio con pupilla ellittica verticale. Abitualmente terricole, sedentarie e lente negli spostamenti, le vipere sono attive sia di giorno che di notte, e sono diffuse dal livello del mare sino in alta montagna. Le femmine sono ovovivipare: le uova si sviluppano e schiudono all’interno del corpo della madre che mette al mondo piccoli, di solito tra 5 e 12, subito perfettamente in grado di cavarsela da soli.
Le vipere “italiane”
Sono cinque le specie di Vipera presenti sul territorio italiano: tre sono esclusive delle regioni alpine; una vive soltanto in poche montagne dell’Appennino centrale; un’unica specie può vantare una diffusione veramente nazionale.
- Vipera ammodytes, detta “vipera dal corno” per la presenza di una tipica protuberanza squamosa all’apice del muso, è presente soltanto nel settore nord-orientale della penisola: Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
- Vipera berus, conosciuta come “marasso”, è uno dei serpenti più ampiamente diffusi al mondo, ma in Italia è attualmente segnalato solo sull’arco alpino, con maggiore uniformità nelle Alpi centrali e orientali.
- Vipera walser, molto simile alla precedente, è stata elevata a specie solamente nel 2016: vive esclusivamente in aree ristrette delle Alpi Occidentali nei pressi di Biella.
- Vipera ursinii, piccola e praticamente innocua per l’uomo, è presente con popolazioni relitte in appena una ventina di località isolate sui monti dell’Appennino centrale tra Umbria, Marche, Lazio e soprattutto Abruzzo.
- Vipera aspis, detta non a caso “vipera comune” è diffusa, dal livello del mare sino a 2800 m di quota, in tutta la penisola, in Sicilia e in alcune isole minori. Assente in Sardegna, dove del resto non è mai stata segnalata alcuna specie di vipera.
La statua di San Domenico circondata da serpenti durante il tradizionale rito di Cocullo ©Luciano Di Tizio
I paesi dei “serpari” in Abruzzo
Sono pochi, in Italia, coloro che non hanno mai sentito parlare di un minuscolo paese, Cocullo (AQ), nel cuore dell’Appennino abruzzese. Un paese che conta 217 abitanti appena ma che, una volta l’anno, viene letteralmente preso d’assalto da migliaia di persone, e da fotografi e troupe televisive di ogni angolo del mondo, in occasione della “processione dei serpari”. Il primo maggio (secondo tradizione il primo giovedì del mese ma dal 2012 è stata opportunamente scelta una data festiva) la statua di San Domenico, taumaturgo per il quale si ripropongono le medesime prodigiose qualità un tempo attribuite alla dea Angizia, viene infatti portata in processione avvolta da serpenti. Tanto basta per dare a quell’evento, e al paese che lo ospita, una risonanza planetaria.
Una festa analoga, meno nota, ha luogo anche a Pretoro (CH), sempre in Abruzzo, la prima domenica di maggio. Qui però il rito dei serpenti (che non vengono avvolti intorno alla statua di San Domenico ma portati dai serpari) è secondario rispetto alla rievocazione in costume di un miracolo del santo che convince un lupo a restituire ai suoi genitori un bimbo in fasce da poco rapito.
Entrambe le feste sono consentite in deroga alla legge locale che tutela anfibi e rettili (oggi norme simili esistono in molte regioni italiane); vengono utilizzate, ovviamente, soltanto specie innocue.