Tra il Settecento e il Novecento, alchimisti e medici noti come "pietrificatori" erano in grado di trattare e conservare cadaveri umani trasformandoli in pietra: il segreto delle loro tecniche è finito sepolto con loro?
Tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento visse un piccolo numero di ricercatori, di scienziati, di medici che si dedicarono a sperimentare metodi per la conservazione indefinita di tessuti animali, e anche di interi corpi umani, tramite la loro cosiddetta pietrificazione. Un'attività che il gusto del macabro del XIX secolo tollerava ancora, ma che oggi sarebbe difficile praticare per ragioni di "correttezza politica".
Si intende comunemente (ma impropriamente) per "pietrificazione" di tessuti animali la loro trasformazione a durezza lapidea, ottenuta grazie a vari metodi, ma soprattutto per impregnazione con sali minerali.
Essa dunque va distinta dall'imbalsamazione, che ha il solo scopo di conservare il corpo senza decomposizione, di solito per periodi più brevi, grazie all'utilizzo di sostanze fissative o antisettiche. E nemmeno va confusa con la conservazione dei reperti museali sotto liquido, con la tassidermia (pelli di animali impagliate, con ricostruzione di uno scheletro interno di legno e metallo). La mummificazione è invece un trattamento più complesso, che di solito comprende (se artificiale) eviscerazione e disidratazione dei corpi, e che può avvenire talvolta anche grazie a processi naturali in particolari condizioni ambientali.
La tecnica che più si avvicina alla pietrificazione è forse la cosiddetta preparazione a secco, nella quale si isolano parti anatomiche, di solito ossa, muscoli e cartilagini, e le si lasciano disidratare fino a quando non assumono consistenza coriacea.
Da quando iniziarono gli studi di anatomia umana, tra il XVI e il XVII secolo, furono sviluppate molte tecniche per illustrare gli organi umani senza dovere fare ricorso ogni volta a una autopsia : tavole anatomiche, modelli iperrealistici di cera - alcuni dei quali raggiungevano i vertici dell'arte - preparazioni sotto spirito e, dalla prima metà dell' 800, preparazioni a scopo museale e didattico su organi o apparati.
Queste ultime, per esempio quelle ancora visibili al Museo di Anatomia "Scarpa" di Pavia, comportavano procedimenti piuttosto complessi, che comprendevano l'isolamento dell'organo, il suo trattamento con sostanze conservanti, la disidratazione e a volte iniezioni in esso di materiale ceroso.[1]
La pietrificazione si inserisce a buon titolo in questo filone. Tuttavia, essa fa in un certo senso storia a sé stante. I pietrificatori operavano solitamente al di fuori dell'ambiente accademico ufficiale. Sperimentavano senza rivelare i loro metodi, spesso cambiando tecniche e ricette, circondati da un alone di segretezza. Erano per questo oggetto di timore reverenziale da parte della popolazione, dando origine a vere e proprie leggende.
Tutto ciò, insieme al mistero circa la natura chimica delle loro tecniche, ha suscitato la curiosità di chi scrive. Quanto segue è una carrellata concisa ma aggiornata su questi affascinanti temi, sulle ricerche in corso e sui risultati ottenuti o sperati.
Tra i primi pietrificatori, o forse per primo, è d'obbligo citare, anche se indebitamente, il celebre principe che visse a Napoli nella prima metà del Settecento: militare, artista, stampatore, ingegnere, massone, forse alchimista. Multiforme inventore di fuochi artificiali, carrozze acquatiche e mantelli impermeabili, pare che avesse anche riprodotto il miracolo di San Gennaro, grazie una sostanza che si scioglieva come il famoso "sangue". I Gesuiti non glielo perdonarono mai; ma tra Gesuiti e Massoni è sempre corso - è il caso di dirlo - cattivo sangue.
Appena prima che i Gesuiti convincessero il re Carlo III a vietare la Massoneria, Raimondo de Sangro se ne tirò fuori, ritrattando la sua fede massonica. Molti massoni lo considerarono un traditore, ma il re, che in fondo lo ammirava molto, si limitò a dare loro una solenne ammonizione.
A Napoli sorge la Cappella Sansevero, uno dei capolavori del tardo barocco, ricolma di statue meravigliose e allegoriche, e di simboli poco decifrabili.
Ai nostri scopi, interessano alcuni pezzi. Uno è il celebre Cristo velato del Sanmartino: la statua di un corpo umano disteso, coperto da ciò che sembra un velo, o un sottile telo bagnato, con un incredibile effetto di trasparenza.
Tanto incredibile, che qualcuno sostenne che non era stata ricavata da un unico frammento di marmo, ma che il Principe avesse commissionato allo scultore solo il corpo, e poi lo avesse coperto con un vero telo, impregnato di sostanze pietrificanti, che avrebbe in breve tempo costituito un unico blocco col marmo sottostante.
Gli studiosi seri non prestano credito a queste leggende. Infatti esistono i bozzetti di preparazione della statua, già completi di lenzuolo; inoltre nella stessa cappella si trova una seconda statua velata: la Pudicizia del Corradini, scultore che ne produsse anche altre. In pratica, si tratta di uno strabiliante virtuosismo barocco.
Altri pezzi famosi sono le Macchine anatomiche, che si trovano nel sotterraneo della Cappella, dentro due armadi di vetro. Si tratta di due scheletri umani, uno maschile e uno femminile, sui quali è stato ricostruito tutto il sistema circolatorio, arterioso e venoso. Naturalmente attorno a queste impressionanti Macchine (esposte in posizione eretta, con occhi di vetro, simili a due zombie) sono fiorite leggende orribili: per esempio che il Sansevero le avesse ottenute iniettando nelle vene dei suoi servi - addirittura ancora vivi - una misteriosa soluzione metallizzante. Non sono mai state analizzate chimicamente, ma l'opinione comune è che si tratti di modelli realizzati, sopra due scheletri autentici, con filo di ferro, spago e cera. I piccoli vasi non hanno ramificazioni ma sono un ammasso di fili, e nei vasi grandi si vedono screpolature e altri indizi di artificialità.
In realtà, le macchine anatomiche non furono costruite da lui, bensì dal suo medico di fiducia, Giuseppe Salerno.
Cartografo, naturalista, viaggiatore: come sostiene Donatella Lippi [rif. 8, p. 77], "il bellunese Segato fu veramente spirito eclettico, figlio del Settecento classificatore e razionalista, curioso e dissacratore. Studioso di chimica e di mineralogia, tornò dai suoi viaggi in Egitto con la passione per la mummificazione e con l'ambizione di sfidare il tempo, elaborando una tecnica che consentisse la conservazione dei corpi dopo la morte.
Questo procedimento di apparente "pietrificazione" è ancora avvolto nel mistero (portò il suo segreto nella tomba), in quanto egli non volle rivelarlo, nonostante le critiche dei suoi contemporanei e i numerosi tentativi di imitazione. Le sue realizzazioni sono oggi raccolte in gran parte nel Museo del Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze, a cui il Museo di Storia della Scienza di Firenze e il Museo Civico di Belluno hanno affidato la conservazione dei loro reperti".
Alcuni preparati sembrano impregnati di sostanze minerali, altri sembrano solo disidratati. Sono diventati famosi un busto di giovane donna, un tavolino nel quale l'intarsio, invece che da frammenti di minerali, è costituito da sezioni di organi umani, e una scatola con altri pezzi, tra cui sezioni di uteri, reni, e una bellissima fetta di salame...
Famosissimo ai suoi tempi , a Segato furono dedicate opere teatrali e odi in versi. Visse gli ultimi anni della sua vita a Firenze, ed è sepolto a Santa Croce, tra i grandi della patria, accanto a Michelangelo e Machiavelli.
Un recentissimo convegno tenuto presso il Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze, a cura della prof.ssa Lippi [4], ha rilanciato la figura e l'opera di Segato. Vari preparati sono stati ora radunati in questa sede, classificati, e molti sono in attesa di restauro per i danni subiti durante l'alluvione di Firenze del 1966.
Pavese di nascita, Paolo Gorini finì per legarsi visceralmente a Lodi, città d'adozione, che, poco dopo la sua scomparsa, innalzò in suo onore il monumento che ancora oggi si trova davanti all'Ospedale Vecchio; un monumento che dona, a chi lo osserva, lo sguardo severo e insieme ironico dello sperimentatore.
Gorini svolse attività di ricerca e divulgazione in campo matematico, geologico e anatomico. In particolare lo scienziato mostrò vivo interesse per la conservazione e il dissolvimento della materia organica (a Lodi costruì anche il primo forno crematorio d'Italia) in un periodo storico decisivo per le sorti del Paese e caratterizzato da un intenso fervore nei confronti dei misteri della vita.
Paolo Gorini si rese autore, nel 1872, della pietrificazione del grande patriota e cospiratore Giuseppe Mazzini e due anni più tardi dello scrittore Giuseppe Rovani.
In questo senso, lo studioso si lega fortemente alle tensioni creative che mossero buona parte della letteratura italiana coeva. La figura e l'opera di Paolo Gorini sembrano infatti intrecciarsi alle prose e ai versi di certa Scapigliatura che, tra lezioni di anatomia e suggestioni baudelairiane, andava sviluppandosi a Milano, come ha sostenuto Alberto Carli. [6]
Il museo "Paolo Gorini" ospita oggi quello che resta di una più estesa collezione anatomica che Gorini approntò nell'arco della sua vita: i numerosi preparati esposti testimoniano, a chi sa osservare, che l'intento di Gorini non era quello di un necrofilo, ma la precisa volontà di uno studioso perfettamente inserito in un certo milieu scientifico del secondo Ottocento.
La salma di Pasquale Barbieri, preparata nel 1843, riposa ancora incorrotta fra le mura dell'Ospedale Vecchio. Così come i due neonati che Gorini inviò a Milano perché fossero esaminati da una commissione presieduta dell'Accademia di Scienze e Lettere (oggi Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti). La collezione goriniana non si deve dunque intendere come un museo dell'orrore, ma come una raccolta scientifica di prima importanza e un bene storico, testimonianza preziosa di una Lodi dispersa nel tempo. [7]
La passione e la perseveranza dell'attuale conservatore del Museo, il citato dottor Carli, hanno reso possibile la realizzazione del primo Catalogo del Museo [8], comprendente una ricca documentazione fotografica e importanti contributi.
Nell'archivio Storico di Lodi e presso la Biblioteca Comunale sono inoltre stati recentemente ritrovati alcuni manoscritti inediti di Luigi Rovida, che di Gorini fu amico e medico personale, i quali riportano in un certo dettaglio i metodi del pietrificatore, che glieli confidò negli ultimi anni di vita. Questo interessantissimo ritrovamento ha rilanciato una collaborazione, già avviata in precedenza, tra il Museo Gorini e l'Università di Pavia. Con il patrocinio dell'ASL di Lodi e la partecipazione di una studentessa in chimica è iniziata una serie di esperimenti volti a verificare la riproducibilità dei metodi goriniani. I primi test, condotti su piccoli pezzi di tessuti animali, si sono rivelati promettenti e verranno presto estesi.
L'ultimo pietrificatore fu direttore della Clinica Ostetrica dell'ateneo senese; pluridecorato durante la guerra, fu Preside della Facoltà medica senese (1932-1934 e 1938-1939) e Presidente dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena (1934-1944 e 1952-1960), poi Rettore dell'Università di Siena dal 1939 al 1943.
L'Accademia dei Fisiocritici conserva una collezione di circa settanta pezzi da lui trattati nella prima metà del secolo scorso. Spirito fu il solo ad aver lasciato, in diversi suoi lavori pubblicati su riviste scientifiche, descrizioni abbastanza dettagliate dei metodi da lui impiegati.
Il passaggio principale, preceduto da altri di disidratazione dei tessuti e da trattamenti di decolorazione e sgrassaggio, consiste nell'impregnazione dei pezzi con una soluzione di silicato di sodio, composto chimico grazie al quale "la massa assume un aspetto e una consistenza lapidea che con l'evaporazione diventa una massa vetrosa trasparente".
Dopo settant'anni, alcuni pezzi di Spirito mostrano alcuni segni di degrado, dovuto a efflorescenze formatesi su di essi per contatto con l'atmosfera. Chi scrive ha iniziato una collaborazione con l'Accademia dei Fisiocritici di Siena in vista di un'analisi e di un restauro di tali pezzi, ripetendo anche, per verifica, gli stessi procedimenti su nuovi pezzi di tessuti animali.
Luigi Garlaschelli
Chimico, Ricercatore presso il dipartimento di chimica organica dell'Università di Pavia
Si ringraziano: dott. Paolo Boschetti, Università di Pavia; dott. Alberto Carli e l'ASL di Lodi; Gigliola Domenicali (fotografie); prof.ssa Donatella Lippi, Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze; dott.ssa Vannozzi, Accademia dei Fisiocritici di Siena; Sojartze Zabaleta (studentessa con borsa di studio Erasmus presso il Dipartimento di Chimica Organica dell'Università di Pavia).''
Tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento visse un piccolo numero di ricercatori, di scienziati, di medici che si dedicarono a sperimentare metodi per la conservazione indefinita di tessuti animali, e anche di interi corpi umani, tramite la loro cosiddetta pietrificazione. Un'attività che il gusto del macabro del XIX secolo tollerava ancora, ma che oggi sarebbe difficile praticare per ragioni di "correttezza politica".
Si intende comunemente (ma impropriamente) per "pietrificazione" di tessuti animali la loro trasformazione a durezza lapidea, ottenuta grazie a vari metodi, ma soprattutto per impregnazione con sali minerali.
Essa dunque va distinta dall'imbalsamazione, che ha il solo scopo di conservare il corpo senza decomposizione, di solito per periodi più brevi, grazie all'utilizzo di sostanze fissative o antisettiche. E nemmeno va confusa con la conservazione dei reperti museali sotto liquido, con la tassidermia (pelli di animali impagliate, con ricostruzione di uno scheletro interno di legno e metallo). La mummificazione è invece un trattamento più complesso, che di solito comprende (se artificiale) eviscerazione e disidratazione dei corpi, e che può avvenire talvolta anche grazie a processi naturali in particolari condizioni ambientali.
La tecnica che più si avvicina alla pietrificazione è forse la cosiddetta preparazione a secco, nella quale si isolano parti anatomiche, di solito ossa, muscoli e cartilagini, e le si lasciano disidratare fino a quando non assumono consistenza coriacea.
Da quando iniziarono gli studi di anatomia umana, tra il XVI e il XVII secolo, furono sviluppate molte tecniche per illustrare gli organi umani senza dovere fare ricorso ogni volta a una autopsia : tavole anatomiche, modelli iperrealistici di cera - alcuni dei quali raggiungevano i vertici dell'arte - preparazioni sotto spirito e, dalla prima metà dell' 800, preparazioni a scopo museale e didattico su organi o apparati.
Queste ultime, per esempio quelle ancora visibili al Museo di Anatomia "Scarpa" di Pavia, comportavano procedimenti piuttosto complessi, che comprendevano l'isolamento dell'organo, il suo trattamento con sostanze conservanti, la disidratazione e a volte iniezioni in esso di materiale ceroso.[1]
La pietrificazione si inserisce a buon titolo in questo filone. Tuttavia, essa fa in un certo senso storia a sé stante. I pietrificatori operavano solitamente al di fuori dell'ambiente accademico ufficiale. Sperimentavano senza rivelare i loro metodi, spesso cambiando tecniche e ricette, circondati da un alone di segretezza. Erano per questo oggetto di timore reverenziale da parte della popolazione, dando origine a vere e proprie leggende.
Tutto ciò, insieme al mistero circa la natura chimica delle loro tecniche, ha suscitato la curiosità di chi scrive. Quanto segue è una carrellata concisa ma aggiornata su questi affascinanti temi, sulle ricerche in corso e sui risultati ottenuti o sperati.
Indice |
Raimondo de Sangro, principe di Sansevero (1710-1771)
[2]Tra i primi pietrificatori, o forse per primo, è d'obbligo citare, anche se indebitamente, il celebre principe che visse a Napoli nella prima metà del Settecento: militare, artista, stampatore, ingegnere, massone, forse alchimista. Multiforme inventore di fuochi artificiali, carrozze acquatiche e mantelli impermeabili, pare che avesse anche riprodotto il miracolo di San Gennaro, grazie una sostanza che si scioglieva come il famoso "sangue". I Gesuiti non glielo perdonarono mai; ma tra Gesuiti e Massoni è sempre corso - è il caso di dirlo - cattivo sangue.
Appena prima che i Gesuiti convincessero il re Carlo III a vietare la Massoneria, Raimondo de Sangro se ne tirò fuori, ritrattando la sua fede massonica. Molti massoni lo considerarono un traditore, ma il re, che in fondo lo ammirava molto, si limitò a dare loro una solenne ammonizione.
A Napoli sorge la Cappella Sansevero, uno dei capolavori del tardo barocco, ricolma di statue meravigliose e allegoriche, e di simboli poco decifrabili.
Ai nostri scopi, interessano alcuni pezzi. Uno è il celebre Cristo velato del Sanmartino: la statua di un corpo umano disteso, coperto da ciò che sembra un velo, o un sottile telo bagnato, con un incredibile effetto di trasparenza.
Tanto incredibile, che qualcuno sostenne che non era stata ricavata da un unico frammento di marmo, ma che il Principe avesse commissionato allo scultore solo il corpo, e poi lo avesse coperto con un vero telo, impregnato di sostanze pietrificanti, che avrebbe in breve tempo costituito un unico blocco col marmo sottostante.
Gli studiosi seri non prestano credito a queste leggende. Infatti esistono i bozzetti di preparazione della statua, già completi di lenzuolo; inoltre nella stessa cappella si trova una seconda statua velata: la Pudicizia del Corradini, scultore che ne produsse anche altre. In pratica, si tratta di uno strabiliante virtuosismo barocco.
Altri pezzi famosi sono le Macchine anatomiche, che si trovano nel sotterraneo della Cappella, dentro due armadi di vetro. Si tratta di due scheletri umani, uno maschile e uno femminile, sui quali è stato ricostruito tutto il sistema circolatorio, arterioso e venoso. Naturalmente attorno a queste impressionanti Macchine (esposte in posizione eretta, con occhi di vetro, simili a due zombie) sono fiorite leggende orribili: per esempio che il Sansevero le avesse ottenute iniettando nelle vene dei suoi servi - addirittura ancora vivi - una misteriosa soluzione metallizzante. Non sono mai state analizzate chimicamente, ma l'opinione comune è che si tratti di modelli realizzati, sopra due scheletri autentici, con filo di ferro, spago e cera. I piccoli vasi non hanno ramificazioni ma sono un ammasso di fili, e nei vasi grandi si vedono screpolature e altri indizi di artificialità.
In realtà, le macchine anatomiche non furono costruite da lui, bensì dal suo medico di fiducia, Giuseppe Salerno.
Girolamo Segato (1792-1836)
[3]Cartografo, naturalista, viaggiatore: come sostiene Donatella Lippi [rif. 8, p. 77], "il bellunese Segato fu veramente spirito eclettico, figlio del Settecento classificatore e razionalista, curioso e dissacratore. Studioso di chimica e di mineralogia, tornò dai suoi viaggi in Egitto con la passione per la mummificazione e con l'ambizione di sfidare il tempo, elaborando una tecnica che consentisse la conservazione dei corpi dopo la morte.
Questo procedimento di apparente "pietrificazione" è ancora avvolto nel mistero (portò il suo segreto nella tomba), in quanto egli non volle rivelarlo, nonostante le critiche dei suoi contemporanei e i numerosi tentativi di imitazione. Le sue realizzazioni sono oggi raccolte in gran parte nel Museo del Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze, a cui il Museo di Storia della Scienza di Firenze e il Museo Civico di Belluno hanno affidato la conservazione dei loro reperti".
Alcuni preparati sembrano impregnati di sostanze minerali, altri sembrano solo disidratati. Sono diventati famosi un busto di giovane donna, un tavolino nel quale l'intarsio, invece che da frammenti di minerali, è costituito da sezioni di organi umani, e una scatola con altri pezzi, tra cui sezioni di uteri, reni, e una bellissima fetta di salame...
Famosissimo ai suoi tempi , a Segato furono dedicate opere teatrali e odi in versi. Visse gli ultimi anni della sua vita a Firenze, ed è sepolto a Santa Croce, tra i grandi della patria, accanto a Michelangelo e Machiavelli.
Un recentissimo convegno tenuto presso il Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze, a cura della prof.ssa Lippi [4], ha rilanciato la figura e l'opera di Segato. Vari preparati sono stati ora radunati in questa sede, classificati, e molti sono in attesa di restauro per i danni subiti durante l'alluvione di Firenze del 1966.
Paolo Gorini (1831-1881)
[5]Pavese di nascita, Paolo Gorini finì per legarsi visceralmente a Lodi, città d'adozione, che, poco dopo la sua scomparsa, innalzò in suo onore il monumento che ancora oggi si trova davanti all'Ospedale Vecchio; un monumento che dona, a chi lo osserva, lo sguardo severo e insieme ironico dello sperimentatore.
Gorini svolse attività di ricerca e divulgazione in campo matematico, geologico e anatomico. In particolare lo scienziato mostrò vivo interesse per la conservazione e il dissolvimento della materia organica (a Lodi costruì anche il primo forno crematorio d'Italia) in un periodo storico decisivo per le sorti del Paese e caratterizzato da un intenso fervore nei confronti dei misteri della vita.
Paolo Gorini si rese autore, nel 1872, della pietrificazione del grande patriota e cospiratore Giuseppe Mazzini e due anni più tardi dello scrittore Giuseppe Rovani.
In questo senso, lo studioso si lega fortemente alle tensioni creative che mossero buona parte della letteratura italiana coeva. La figura e l'opera di Paolo Gorini sembrano infatti intrecciarsi alle prose e ai versi di certa Scapigliatura che, tra lezioni di anatomia e suggestioni baudelairiane, andava sviluppandosi a Milano, come ha sostenuto Alberto Carli. [6]
Il museo "Paolo Gorini" ospita oggi quello che resta di una più estesa collezione anatomica che Gorini approntò nell'arco della sua vita: i numerosi preparati esposti testimoniano, a chi sa osservare, che l'intento di Gorini non era quello di un necrofilo, ma la precisa volontà di uno studioso perfettamente inserito in un certo milieu scientifico del secondo Ottocento.
La salma di Pasquale Barbieri, preparata nel 1843, riposa ancora incorrotta fra le mura dell'Ospedale Vecchio. Così come i due neonati che Gorini inviò a Milano perché fossero esaminati da una commissione presieduta dell'Accademia di Scienze e Lettere (oggi Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti). La collezione goriniana non si deve dunque intendere come un museo dell'orrore, ma come una raccolta scientifica di prima importanza e un bene storico, testimonianza preziosa di una Lodi dispersa nel tempo. [7]
La passione e la perseveranza dell'attuale conservatore del Museo, il citato dottor Carli, hanno reso possibile la realizzazione del primo Catalogo del Museo [8], comprendente una ricca documentazione fotografica e importanti contributi.
Nell'archivio Storico di Lodi e presso la Biblioteca Comunale sono inoltre stati recentemente ritrovati alcuni manoscritti inediti di Luigi Rovida, che di Gorini fu amico e medico personale, i quali riportano in un certo dettaglio i metodi del pietrificatore, che glieli confidò negli ultimi anni di vita. Questo interessantissimo ritrovamento ha rilanciato una collaborazione, già avviata in precedenza, tra il Museo Gorini e l'Università di Pavia. Con il patrocinio dell'ASL di Lodi e la partecipazione di una studentessa in chimica è iniziata una serie di esperimenti volti a verificare la riproducibilità dei metodi goriniani. I primi test, condotti su piccoli pezzi di tessuti animali, si sono rivelati promettenti e verranno presto estesi.
Francesco Spirito (1885-1962)
[9]L'ultimo pietrificatore fu direttore della Clinica Ostetrica dell'ateneo senese; pluridecorato durante la guerra, fu Preside della Facoltà medica senese (1932-1934 e 1938-1939) e Presidente dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena (1934-1944 e 1952-1960), poi Rettore dell'Università di Siena dal 1939 al 1943.
L'Accademia dei Fisiocritici conserva una collezione di circa settanta pezzi da lui trattati nella prima metà del secolo scorso. Spirito fu il solo ad aver lasciato, in diversi suoi lavori pubblicati su riviste scientifiche, descrizioni abbastanza dettagliate dei metodi da lui impiegati.
Il passaggio principale, preceduto da altri di disidratazione dei tessuti e da trattamenti di decolorazione e sgrassaggio, consiste nell'impregnazione dei pezzi con una soluzione di silicato di sodio, composto chimico grazie al quale "la massa assume un aspetto e una consistenza lapidea che con l'evaporazione diventa una massa vetrosa trasparente".
Dopo settant'anni, alcuni pezzi di Spirito mostrano alcuni segni di degrado, dovuto a efflorescenze formatesi su di essi per contatto con l'atmosfera. Chi scrive ha iniziato una collaborazione con l'Accademia dei Fisiocritici di Siena in vista di un'analisi e di un restauro di tali pezzi, ripetendo anche, per verifica, gli stessi procedimenti su nuovi pezzi di tessuti animali.
Luigi Garlaschelli
Chimico, Ricercatore presso il dipartimento di chimica organica dell'Università di Pavia
Si ringraziano: dott. Paolo Boschetti, Università di Pavia; dott. Alberto Carli e l'ASL di Lodi; Gigliola Domenicali (fotografie); prof.ssa Donatella Lippi, Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale dell'Università degli Studi di Firenze; dott.ssa Vannozzi, Accademia dei Fisiocritici di Siena; Sojartze Zabaleta (studentessa con borsa di studio Erasmus presso il Dipartimento di Chimica Organica dell'Università di Pavia).''
Note
1) Dubini, A. (1837), Trattato di antropotomia e dell'arte di eseguire e conservare le preparazioni anatomiche, Milano: Tipogr. Molina.
2) Cioffi R. (1994), La Cappella Sansevero, Salerno: Ed. 10/17.- Capecelatro G. (2000), Un sole nel labirinto, Milano: Il Saggiatore.
3) Pocchiesa I., Fornaro M. (1992), Girolamo Segato - esploratore dell'ignoto, scienziato viaggiatore cartografo. Inventò un metodo di pietrificazione dei cadaveri e portò il suo segreto nella tomba (1792-1836), Belluno: Media Diffusion Editrice. www.web dolomiti.net/ storia/Girolamo_Segato.htm
5) www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDCategoria=617&IDNotizia=165 www.asl.lodi.it/pages/museo%20gorini/ www.daltramontoallalba.it/personaggi/paologorini.htm
6) Carli A. (2004), Anatomie scapigliate. L'estetica della morte tra letteratura, arte e scienza, Novara: Interlinea.
7) Carli A. (2003), Carlo Dossi e Paolo Gorini. Letteratura e scienza scapigliata, Rendiconti dell'Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti, n. 135, fasc. II, pp. 328-360.
8) Carli A. (a cura di) (2005), Storia di uno scienziato. La collezione anatomica Paolo Gorini, Bergamo: Bolis Edizioni.