Quando Andrea Ferrero, uno degli organizzatori del convegno sulle Leggende urbane, che si terrà a Torino il 6 e il 7 novembre, mi ha chiesto di scrivere un articolo di presentazione dell'iniziativa per i lettori di Scienza&Paranormale, mi è venuto in mente un brano di un romanzo scritto da Evelyn Waugh nel 1944 e intitolato L'inviato speciale. Si tratta di un libro che presenta più di un motivo d'interesse per chi si occupa di voci, storie e credenze e che ha anche il pregio di essere scritto con quella grazia e quel senso dell'ironia, o, spesso, dell'autoironia, che caratterizza la buona letteratura inglese. In breve, è la storia di un paese immaginario, Ismaelia, in cui, secondo alcune voci che si diffondono in Occidente di bocca in bocca e di giornale in giornale, starebbe per scoppiare una guerra. In realtà, a ben guardare, della guerra non vi è ancora nessuna traccia concreta, ma il susseguirsi e l'amplificarsi delle voci sull'imminenza del conflitto spinge frotte di giornalisti a recarsi in Ismaelia per essere sicuri di trovarsi pronti a raccontare l'evento in maniera adeguata senza scoprirsi impreparati rispetto ai colleghi concorrenti. Una volta giunti sul posto, però, un po' per rispondere alle frequenti sollecitazioni dei loro direttori, che a fronte delle ingenti spese per mantenerli all'estero pretendono di ricevere dettagliati racconti della guerra o dei suoi preparativi, e un po' per il desiderio di "bucare" i giornali concorrenti, questi inviati cominciano a raccontare un conflitto che in realtà non esiste, ma che ormai tutti sembrano desiderare. Quando poi arriva nel paese anche un celebre giornalista americano, Wenlock James, tutti si convincono di trovarsi al posto giusto e nel momento giusto, vista la sua riconosciuta capacità di "trasformare ogni posto nel centro mondiale della notizia". Per comprendere il suo straordinario potere è sufficiente un esempio, e così veniamo finalmente al brano di cui vi avevo accennato all'inizio di questo articolo. "Una volta Jakes", racconta Waugh, "è andato a fare la cronaca di una rivoluzione in una capitale balcanica. Sul treno si è addormentato e si è svegliato alla stazione sbagliata, ma non se ne è reso conto. È sceso, è andato diritto in un albergo e ha telegrafato un articolo di mille parole in cui si parlava di barricate per le strade, chiese in fiamme, mitragliatrici che facevano da sottofondo al ticchettio della sua macchina per scrivere, un bambino morto che sembrava una bambola rotta spiaccicata sulla strada deserta sotto la sua finestra, cose così.
"Bene, al suo giornale sono rimasti un tantino sorpresi di ricevere una articolo del genere dal Paese sbagliato, ma si sono fidati di Jakes e l'hanno sparato su sei giornali a diffusione nazionale. E quello stesso giorno, ogni inviato speciale dell'Europa ha avuto l'ordine di precipitarsi verso la nuova rivoluzione. Sono arrivati a branchi. Tutto sembrava perfettamente tranquillo, ma non faceva certo parte del loro mestiere dirlo, con Jakes che ogni giorno spediva mille parole di tuoni e sangue, perciò si sono adeguati. Le azioni governative sono crollate, panico finanziario, dichiarazione di stato d'emergenza, mobilitazione dell'esercito, fame, rivolta e, in meno di una settimana c'era davvero una rivoluzione bella e buona in pieno corso, esattamente come aveva detto Jakes".
Il brano sintetizza bene molte delle ragioni per le quali, secondo me, vale la pena occuparsi di voci e leggende, dei processi della loro formazione e dei loro esiti, soprattutto per chi, come i soci del CICAP, ha un interesse particolare per come si creano e si diffondono le false credenze e le affermazioni non provate. Quel che qui viene riferito alla sola stampa è in effetti un processo di ordine più generale, che descrive, e quindi aiuta a capire, come i desideri o i bisogni si possano trasformare in storie e testimonianze, come sia difficile smascherare una affermazione falsa, perché non ne hai l'interesse a farlo o perché non hai modo di verificarla personalmente, e come i racconti possano generare effettivamente una realtà, rendendo davvero difficile discriminare con chiarezza il bianco della realtà dal nero della finzione.
Da questo punto di vista, conoscere, studiare e analizzare voci e leggende è in primo luogo stimolante perché è un esercizio di senso critico, allena la nostra capacità di continuare ad interrogarci di fronte ad affermazioni per qualche ragione incredibili o "troppo belle per non essere vere" che provengono dalle fonti più accreditate o a noi più vicine.
È in secondo luogo utile, perché ci aiuta a individuare i bisogni e i desideri che attraverso questi racconti si esprimono e in questo senso ci offre una chiave d'accesso alla comprensione di orientamenti e tendenze sociali rilevanti. E infine è in terzo luogo interessante perché aiuta a capire come queste credenze si diffondono, sfruttando i canali più tradizionali come il passaparola, ma anche quelli più innovativi come, in particolare, la rete.
Occuparsi di leggende, quindi, aldilà del carattere apparentemente frivolo del tema, può servire anche a riflettere su di noi, sulla nostra società e sulla nostra cultura, sugli strumenti attraverso cui costruisce rappresentazioni della realtà e sullo straordinario potere della narrazione di rendere queste rappresentazioni più o meno divertenti e interessanti, ma comunque sempre significative.
Per questo, per raccontare delle storie, per condividerle e per rifletterci sopra insieme, vi invitiamo a partecipare al convegno di Torino. Perché, potremmo dire riprendendo ciò che scriveva in Tracce Ernst Bloch commentando un racconto della tradizione chassidica, se queste storie non sono niente, appartengono a chi le ha raccontate; se sono qualcosa appartengono a noi tutti.
Arrivederci a Torino!
Lorenzo Montali
Ricercatore, Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca.
Già Segretario Nazionale del CICAP, fa oggi parte del Consiglio direttivo del Comitato.