Obbligati a capire

Non basta essere intelligenti e colti, bisogna avere una cultura adatta al proprio ambiente e al proprio tempo. Qualunque esso sia

Oggi noi viviamo in un mondo che è proprio il frutto delle trasformazioni che noi stessi abbiamo operato sull'ambiente. L'abbiamo dipinto noi, per così dire, il mondo in cui viviamo. Spesso senza neppure volerlo progettare così come è venuto fuori. Ora, però, dobbiamo viverci dentro, e siamo obbligati a capirlo. Proprio per evitare crisi e collisioni.

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Quindi la nostra cultura deve essere capace di comprendere e orientare queste trasformazioni. Per non esserne vittime. Infatti non basta essere intelligenti e colti: bisogna avere una cultura adatta al proprio ambiente. E al proprio tempo. Qualunque esso sia.

Se per esempio noi ci trovassimo di colpo nudi nella foresta dell'Amazzonia, tutta la nostra cultura e tutte le nostre competenze non ci servirebbero a niente. Saremmo in pratica degli analfabeti, facili prede di animali, insetti, malattie, sabbie mobili.

Un indio invece, saprebbe cavarsela benissimo: saprebbe orientarsi, difendersi dagli animali, trovar cibo, usare erbe medicamentose, evitare i pericoli. Ma, inversamente, questa sua cultura non gli servirebbe a niente se fosse posto di colpo di fronte ai problemi di una società industriale. Rapidamente sarebbe lui a essere vittima delle sabbie mobili.

Il problema è quindi di essere culturalmente adatti al proprio ambiente e al proprio tempo. Cioè avere una struttura mentale che consenta di capire il proprio sistema per dirigerlo meglio. E per vivere meglio.

Sappiamo tutti, per esempio, che uno dei problemi di una società industriale, qualunque essa sia, è quello di procurarsi energia.

Cominciamo col dire che la maggior parte delle fonti energetiche sono in realtà solo tecnologia, cioè struttura. Per esempio il petrolio non servirebbe a niente se non esistesse il motore; perché il petrolio è in realtà solo un componente del motore, una delle tante parti che lo compongono; e così l'uranio non servirebbe a niente senza i reattori nucleari, ecc. Ebbene a parte ciò, anche se l'energia fosse disponibile in gran quantità non servirebbe a niente se il sistema in cui si inserisce fosse privo di un'informazione adeguata.

Tanto per fare un esempio: occorre la stessa quantità di energia, lavoro e fatica per inviare un telegramma con tutte le lettere mescolate (e quindi incomprensibili) oppure per inviare un telegramma in cui le lettere siano nel giusto ordine, e quindi comprensibili.

Analogamente occorre la stessa quantità di energia, denaro e lavoro per costruire un'automobile che non funziona oppure un'automobile che funziona. Basta che due soli fili siano incrociati perché tutto il lavoro sia inutile e il sistema non giri.

Anche nei sistemi biologici, quando l'informazione, cioè la struttura, ha un difetto, un errore, o non è adeguata, tutto il sistema entra in crisi, anche se si dispone di cibo e energia.

In una molecola di emoglobina, per esempio, basta che solo due o tre dei suoi diecimila atomi siano in una posizione sbagliata perché l'individuo si ammali e muoia.

Tutto ciò spiega bene perché dei sistemi complessi, come sono le nostre società industriali, richiedano un continuo flusso non solo di energia ma di software, cioè di competenza, creatività, intelligenza: sia se certi modelli si vogliono mantenere, sia (ancor più) se si vogliono modificare o orientare.

Questa informazione che continuamente occorre aggiungere al sistema si chiama, in definitiva, cultura.

Oggi abbiamo molte difficoltà a tenere il passo con questo crescente sviluppo della complessità. Ma se, come sembra, ben pochi hanno voglia di tornare indietro nel passato, la soluzione che ci rimane è quella di sviluppare la capacità di gestire il presente, per preparare possibilmente un buon futuro. Più "informato".

Piero Angela
Giornalista e scrittore

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