Procediamo verso la scoperta del teschio da parte di Anna, giunta a Lubaantun dopo alcuni anni di scavi.
Anna (nota anche con il soprannome famigliare di "Sammy") non è figlia naturale di Mitchell-Hedges ma un'orfanella franco-canadese: nata Le Guillon nel 1910 a Toronto e adottata da "Mike" a sette anni, quando stava essere per essere affidata a un istituto caritatevole. Al suo arrivo sta per compiere diciassette anni ed è proprio in corrispondenza del suo compleanno che il Teschio del Destino - come abbiamo già accennato - avrebbe fatto la sua fatidica apparizione.
Dell'episodio - partendo dalla prima intervista del 1962 alla fine degli anni novanta - esistono varie versioni, con parecchie modifiche e discrepanze: alcune anche assai clamorose, ma assai difficili da attribuire con sicurezza alla protagonista oppure ai suoi vari intervistatori.
Scegliamone due: la più ufficiale e la più dettagliata.
Ecco la versione contenuta nel cosiddetto "affidavit" (cioè dichiarazione giurata resa dinnanzi a un notaio) del 17 febbraio 1968. In realtà non si tratta di un vero e proprio "affidavit" ma di una semplice lettera indirizzata all'amico ed esperto di cristallografia Frank Dorland, da lei incaricato di condurre una serie di test sul teschio. Degna comunque di particolare attenzione, in quanto unica testimonianza sull'episodio resa per iscritto e recante la firma della protagonista.
"Il Teschio di cristallo ,scrive Anna ,comparve per la prima volta durante la nostra spedizione a Lubaantun nel 1926. Arrivammo nel corso del 1926 e tornammo prima della stagione delle piogge, nel 1927. Trovammo l'edificio; e scavando nel tempio rimovemmo un pesante muro che era crollato sull'altare. Questo richiese molto tempo perché le rocce erano cosi pesanti che potevamo spostarne solo circa sei al giorno e terminavamo totalmente esausti. Scoprii il teschio per caso, seppellito sotto l'altare, ma solo circa tre mesi più tardi fu ritrovata la mandibola a circa otto metri di distanza".
Ecco come invece l'episodio sarebbe stato raccontato a Chris Morton & Ceri Louis Thomas nel corso dell'inchiesta condotta per conto delle BBC nel 1996, poi trasferita in volume dal titolo The Mystery of the Crystal Skulls (Londra 1997).
"Un pomeriggio, qualche settimana prima del mio diciassettesimo compleanno, mentre tutti dormivano nel caldo soffocante pensai che era il momento giusto per salire in cima alla costruzione più alta. Mi era stato categoricamente proibito di salirvi perché le pietre erano sconnesse e quindi insidiose. Ma avevo sentito dire che dall'alto di una di quelle piramidi si poteva dominare il paesaggio intorno per kilometri e kilometri e la cosa mi stuzzicava [...].
"Giunta alla sommità [...] sarei rimasta lassù per non so quanto, ma il sole scottava e qualcosa rifletteva una luce sul mio viso. Da un buco molto profondo [...]. Ancora non so come feci a scendere (dalla piramide), ma appena giunsi alle capanne svegliai mio padre e gli dissi che avevo scoperto qualcosa. [...]
"La mattina seguente mio padre raccolse tutti gli uomini e prima ancora che fossi sveglia li aveva già messi tutti a spostare le pietre dalla sommità della piramide, dato che era impossibile penetrarvi dalla base. Ci vollero diverse settimane [...] per togliere le pietre e aprire un passaggio sufficientemente largo.
"(Il giorno del diciassettesimo compleanno), dopo avermi legato due corde attorno alla vita e assicurato una torcia (elettrica) sulla testa, mi calarono nel buio. [...] Quando fui in fondo, tornai a vedere qualcosa di luccicante che rifletteva la luce della torcia. Presi in mano (l'oggetto), lo infilai nella camicia per non danneggiarlo e gridai che mi facessero risalire".
Era, naturalmente, il Teschio di cristallo. Sempre secondo Anna, "Mike" prende il Teschio, e lo alza in alto mentre gli operai cadono in ginocchio per baciare la terra. La sera, alla luce dei falò e fra rulli di tamburo, seguono danze riti e cerimonie attorno all'altare dove è stato collocato il teschio mentre dalle foreste affluiscono altri maya. "Non capisco come avessero potuto essere informati del ritrovamento,è il commento di Anna, ma loro sapevano".
"Ci dissero che era copia della testa di un grande sacerdote vissuto molte migliaia di anni prima... (Un vecchio) aggiunse che si poteva far parlare quel teschio, ma lui non sapeva come". Su consiglio di Gann il teschio viene affidato ai maya, mentre gli scavi continuano sinché tre mesi dopo "a otto metri sotto l'altare di una camera sotterranea" viene finalmente scoperta anche la mandibola del teschio.
Sempre secondo l'intervista rilasciata da Anna il prezioso reperto sarà infine restituito dai maya a Mitchell-Hedges al momento del suo rientro Inghilterra "per ringraziarlo di quanto aveva fatto per loro, per le medicine, gli utensili e le altre cose..."
L'episodio ha destato parecchie perplessità e sospetti, che merita di riassumere rapidamente prima di procedere oltre:
a) la datazione. Come abbiamo visto, l'anno canonico della scoperta secondo Anna è il 1927 (anche se sono state proposte altre cronologie incongruenti: come il 1924 per il ritrovamento e ben "tre anni" (sic) di soggiorno del Teschio nei luoghi di culto degli attuali Maya). Ma anche il 1927 contrasta con quanto affermato da Frederick Mitchell-Hedges in Danger My Ally : "Nel tardo 1926 rientrai a Londra dalla mia ultima visita a Lubaantun". Un lapsus? Ma di chi? È concepibile che l'esploratore abbia avuto un simile scivolone di memoria? Ma è possibile che Anna abbia fatto confusione fra il 1926 e il 1927 visto che la scoperta era avvenuta in occasione del suo diciassettesimo compleanno (1910 + 17 = 1927)?
b) Maya o Azteco? La querelle dura ormai da mezzo secolo. La maggior parte degli archeologi ha infatti trovato strano che a Lubaantun sia stato rinvenuto l'unico cranio di cristallo della cultura maya (caratterizzata da un'abbondante presenza di teschi a carattere cultuale ma soltanto in materiali diversi); e per di più con evidenti tratti stilistici riconducibili alla cultura azteca (caratterizzata invece da un profluvio di reperti analoghi). Questa anomalia è stata sottolineata - seppure con qualche variante caso per caso - da personalità autorevoli come D.R. Barrett del Dipartimento etnografico del British Museum, Gordon Ekholm del Dipartimento antropologico dell'American Museum of Natural History e George Kennedy dell'Institute of Geophysic & Planetary Sciences della prestigiosa Università di California (UCLA). Qualche tentativo è stato fatto per spiegare questa bizzarra trasmigrazione del reperto dalla valle del Messico sino alla penisola dello Yucatan in Centro America: ma nessuno è stato in grado di superare in modo soddisfacente l'obiezione di fondo avanzata dall'esperto di culture precolombiane Norman Hammond circa l'impossibilità storica del ritrovamento di un reperto dalle inequivocabili caratteristiche stilistiche addirittura tardo-azteche (e quindi da collocare cronologicamente fra il XIV e il XV secolo d.C.) in un tempio maya, sicuramente abbandonato verso la metà del IX secolo d.C.
c) il "silenzio del cane" delle fonti a proposito del Teschio, salvo le testimonianze rese dalla stessa protagonista e dal suo poco affidabile papà.
Il Teschio risulta infatti - spiegabilmente - ignorato da Norman Hammond nel suo Lubaantun: A Classic Maya Realm (1975); ma neanche viene mai citato dal più autorevole esperto di archeologia maya, J.Eric Thompson, fra l'altro in visita nel sito proprio sul finire degli anni venti; e neppure è ricordato da Thomas Gann (al cui consiglio sarebbe stata addirittura dovuta la consegna del reperto ai discendenti maya) nell'opera The History of the Maya, pubblicata nel 1931 vale a dire appena pochi anni dopo la famosa "scoperta".
Non solo, ma il Teschio è assente ingiustificato persino dal primo libro di memorie di Mitchell-Hedges, Land of Wonder & Fear (1931), malgrado i vari riferimenti alla spedizione archeologica di qualche anno prima.
The Skull non figura - neppure a titolo aneddotico - nei diari degli altri membri della spedizione; così come mai risulta fotografato da Lady Richmond Brown, sul posto durante gli scavi e fanatica della camera oscura (nel cui album fra l'altro non figura mai neanche la stessa Anna, tanto da suscitare nell'invelenito Hammond il sospetto che "Sammy" non avesse mai neanche messo piede nell'Honduras britannico durante l'intero periodo).
E, peggio di tutto, il Teschio risulta ignorato anche dalla documentazione burocratica relativa all'impresa: a partire dai rapporti del capitano Joyce sino alla lista completa degli oggetti riportati alla luce.
Come mai? Secondo Anna la risposta è semplice: per tenerlo nascosto. Ma da chi e perché? Il sito archeologico era stato concesso in esclusiva alla spedizione dal Consiglio Legislativo dell'Honduras per venti anni e per un'area di settanta miglia quadrate attorno alle rovine di Lubaantun: e i manufatti repertoriati per i due musei sponsor degli scavi erano stati "migliaia" (Mitchell-Hedges).
C'era forse stato allora un occultamento a danno dei musei? L'ipotesi, adombrata fra le righe dalla stessa Anna, spiegherebbe il "buco" relativo al teschio nei processi verbali relativi alle saltuarie ispezioni affidate al capitano Joyce; ma comporterebbe l'improbabile omertà di tutti gli altri membri della spedizione, compreso il capo equipe dottor Gann, forse addirittura reo di favoreggiamento attivo dell'appropriazione indebita.
d) L'ipotesi del regalo. La scarsa credibilità di questo scenario collegata con la bizzarra coincidenza fra il ritrovamento e il compleanno di Anna ha indotto il dottor David Pendergast, esperto maya del Royal Ontario Museum of Toronto ad avanzare la tesi di uno "scherzo" da parte di Mitchell-Hedges. Il Teschio, insomma, sarebbe stato un "regalo" per i diciassette anni della figlia, sistemato in modo da esser ritrovato al momento opportuno. L'ipotesi ha trovato qualche credito, ma ha sollevato anche numerose obiezioni per l'aleatorietà della scoperta, la scarsa credibilità del ritrovamento in due tempi e soprattutto la difficoltà di spiegare come Mitchell-Hedges avesse potuto ritrovarsi nel cassetto un reperto così prezioso.
Nel 1972 Sibley Morris ha cercato di rispondere a quest'ultimo interrogativo con il volume Ambrose Bierce, F.A. Mitchell-Hedges & the Crystal Skull, dove suggerisce che il teschio poteva esser stato conservato sin dal tempo della mitica partecipazione di Mitchell-Hedges alla Rivoluzione messicana.
Morris riesuma la storia di Pancho Villa e affianca Mitchell-Hedges ad Ambrose Bierce (il geniale scrittore USA effettivamente scomparso in Messico) per supporre che il Teschio fosse stato regalato al nostro "Indiana Jones" dal "general" che ne sarebbe venuto in possesso saccheggiando un antico tesoro azteco, nascosto dal dittatore Porfirio Diaz prima della sua deposizione nel 1911. Ma è solo uno sparo nel buio: anzi una raffica di spari nel buio, troppo fitta per poter essere presa in considerazione altro che come uno "scherzo nello scherzo" con indice di probabilità sotto lo zero.
Ma riprendiamo la nostra strada. Abbandonato l'Honduras, i Mitchell-Hedges rientrano in Inghilterra: nel 1926 secondo "Mike", o nel 1927 secondo Anna. Una cosa è comunque certa: che nel 1928 Mitchell-Hedges è a Londra per soccombere in una causa di diffamazione intentata contro il Daily Express che l'aveva accusato di aver simulato un furto per farsi pubblicità.
Segue il "silenzio del cane", sino alla fuggevole apparizione del Teschio nella prima edizione di Danger My Ally, preceduta o seguita (ma c'è solo la testimonianza di Anna a farne fede) da alcune esibizioni del reperto con annesse conferenze illustrative nel quadro delle visite alla mostra famigliare di antichità organizzate nella suggestiva dimora del XVII secolo acquistata da Mitchell Hedges nel Berkshire all'inizio degli anni cinquanta.
La fase pubblica nella carriera dello Skull of Doom inizia - come già abbiamo visto - agli inizi degli anni sessanta, ma è soltanto nel corso del decennio successivo che la storia si tinge di "giallo".
È a quel punto che emerge infatti come in quei lunghi anni di silenzio il cane avesse abbaiato almeno una volta: e cioè nel 1936 quando un teschio identico a quello del Destino era stato oggetto di un raffronto con l'analogo reperto del British Museum.
Ecco i risultati quali appaiono in un articolo di G.M. Morant pubblicato sul numero di luglio 1936 del mensile Man organo del Royal Anthropological Institute.
Teschio del British Museum: un solo pezzo di quarzo, denti solo abbozzati, occhiaie troppo circolari.
Teschio del destino: mascella separata, denti ben abbozzati, occhiaie anatomicamente corrette.
A parte ciò, la somiglianza fra i due reperti è definita "notevole" (remarkable). Entrambi mostrano perfetta simmetria bilaterale, assenza di suture craniche e alcuni tratti femminei.
Conclusione: origine comune sulla base di unico modello naturale, oppure copia uno dell'altro.
Ma la cosa più clamorosa è che Morant indica come possessore del Teschio del Destino non Mitchell-Hedges ma Mr. Sydney Burney. E lo stesso Burney è segnalato come proprietario del reperto anche in un secondo articolo sullo numero di Man, mentre tutte le foto recano l'inequivocabile didascalia: "By permission of W.Sydney Burney"
Ma chi è "Mr Sydney Burney"? È un mercante d'arte londinese: lo stesso che di lì ad alcuni anni, nel 1943, offrirà il teschio a un'asta di Sotheby's per trecentoquaranta sterline come prezzo di partenza, salvo esser costretto a recuperarlo, probabilmente perché le offerte erano state inferiori al minimo. Tutto questo risulta da un documento della casa d'aste londinese, che termina con l'annotazione: "Venduto successivamente da Mr Burney a Mr Mitchell-Hedges per quattrocento sterline".
Tutto chiaro?Non esattamente. Nel corso dell'indagine di due anni sul Teschio del Destino condotta da John Nickell e John Fisher - e pubblicata sulla rivista Fate in due parti sui numeri di luglio e agosto 1984 - Anna è stata interrogata sull'episodio, e ha così risposto: "(Burney) lo possedeva per conto di mio padre e non aveva il diritto di metterlo all'asta. L'uomo era un grande amico di mio padre e poiché noi viaggiavamo molto non potevamo portarcelo dietro. Appena mio padre seppe che il teschio era stato messo all'asta si precipitò a Londra, arrabbiatissimo e lo fece ritirare."
Successivamente Anna ha precisato che lo Skull of Doom era stato affidato a Mr Burney quale "garanzia (security) per un prestito destinato a finanziare una spedizione".
Peccato che non esista alcuna pezza d'appoggio, perché tutti i documenti - ha spiegato Anna - sono andati distrutti durante "un ciclone al largo del Capo Hatteras" (spirito di Emilio Salgari dove sei!) oppure più banalmente scomparsi per lo smarrimento di un baule nella stazione di Plymouth.
Nickell & Fisher non si sono però arresi e hanno finito per accertare alcune altre bizzarre circostanze.
Cioè: a) che Burney era risultato quale legittimo proprietario del teschio ininterrottamente dal 1934 al 1944 (presumibile data della vendita del teschio a Mitchell-Hedges); b) che fra il 1936 e il 1947 l'esploratore non risulta aver abbandonato l'Inghilterra per una nuova spedizione archeologica; c) che nel 1936 "Mike" era entrato in possesso di una forte eredità e sarebbe stato quindi in grado di recuperare senza difficoltà il teschio, che era invece rimasto in possesso di Burney ancora per otto anni.
L'episodio insomma rimane se non altro avvolto nella nebbia ma qualche malizioso osservatore potrebbe ritenerlo sufficiente per spiegare un dettaglio altrimenti "inspiegabile": e cioè la cancellazione di ogni riferimento al teschio intervenuta fra l'uscita di Danger My Ally, nel 1954 (cioè tre anni dopo la morte di Burney), e la seconda edizione dell'opera (probabilmente in seguito a proteste da parte di amici ed eredi del mercante d'arte al corrente della situazione).
Ma se il Teschio proveniva dalla collezione di Mr Burney e non da Lubaantun, quale ne era stata l'origine?
Ecco cosa si legge in una lettera datata 21 marzo 1933 con cui Sidney Burney risponde a George Vaillant dell'American Museum of Natural History, curioso circa le origini del reperto: "In risposta alla vostra lettera: il teschio di cristallo di rocca è stato per molti anni (several years ) in possesso del collezionista da cui l'ho comprato; e lui l'aveva a sua volta avuto da un inglese nella cui collezione era rimasto per molti anni. Ma più in là non sono in grado di spingermi".
Noi neanche: e il "caso" resta aperto.
Conclusioni
Arrivati a questo punto la sola strada ancora percorribile è quella dei test sul "corpo del reato" cioè sullo stesso teschio di cristallo.
Il tema esula dall'ambito di questa già sin troppo prolissa ricerca, ma vale la pena di riferire ultrasommariamente che gli esperimenti sin qui condotti non hanno permesso alcuna conclusione definitiva. Abbandonate le apodittiche asserzioni di Mitchell-Hedges (oltre tre millenni e mezzo di età con centocinqunt'anni di lavorazione esclusivamente a sabbia) e nell'impossibilità tecnica di usare sul cristallo di quarzo, la tecnica della datazione al radiocarbonio, le indagini si sono concentrate sulla ricerca di interventi con utensili moderni.
Nel 1964 lo Skull of doom è stato affidato da Anna prima all'esperto di cristalli Frank Dorland (che lo ha trattenuto per sei anni) e poi al laboratorio della Hewlett-Packard di Santa Clara (Cal), impresa leader nel campo dell'elettronica.
Il quarzo è risultato naturale e non sintetico; unico sia per il cranio che per la mascella; originario con ogni probabilità dalla regione messicana di Oaxaca o da una contea californiana (non inappropriatamente denominata Calaveras cioè letteralmente "teschi" in spagnolo) ma senza poter escludere del tutto una provenienza dal Brasile, fonte principale di materiale per i falsi ottocenteschi.
Circa le tecniche di lavorazione, il cranio è apparso indenne da tracce o "vibrazioni" lasciate da strumenti moderni (ma il dato non è ritenuto decisivo vista la possibilità di una lucidatura successiva capace di cancellare ogni indizio sospetto); mentre segni di interventi meccanici sono stati riscontrati sia sui denti della mascella sia sui due fori inferiori destinati a pioli di supporto (ma anche questi dati non sono stati ritenuti del tutto significativi dato l'uso da parte delle culture precolombiane di tecniche basate su utensili di rame, e l'eventualità sempre presente che modifiche potessero essere effettuate in epoca coloniale su un autentico artefatto precolombiano).
Come dire: il teschio è di cristallo, ma non si sa con certezza da dove provenga il materiale; ed è stato lavorato, ma non si sa quando, nè da chi né con quali strumenti.
Ancor più aperto alle supposizioni più selvaggia il tema dei poteri occulti presenti nel Teschio.
Abbiamo già riferito il debunking delle storie sudafricane. Continuano invece a rimanere immuni da qualsiasi controllo a carattere storico, antropologico, archeologico, scientifico e persino parascientifico tutti gli altri "inspiegabili fenomeni" che abbiamo riferito più sopra, nonché l'asserito collegamento fra il reperto di Anna e la leggenda foranea dei cosiddetti "tredici teschi".
Sergio De Santis
Giornalista e storico, è direttore della collana "StoricaMente"
della casa editrice Avverbi
Per saperne di più
1) Garvin, R. 1973. The Crystal Skull, New York.
2) Mitchell-Hedges, F. 1954, 1955. Danger My Ally, London, Boston. (Trad it. 1957, Tesori nascosti e mostri marini, Milano: Baldini & Castoldi).
3) Morrill, S. 1972. Ambrose Bierce, F.A. Mitchell Hedges and the Crystal Skull, London.
4) Morton, C. & Thomas, C.L. 1997. The Mystery of the Crystal Skulls, London. (Trad.it. 1999. Il mistero delle 13 chiavi, Milano: Sonzogno). Il programma televisivo dal titolo The Mystery of the Crystal Skulls è stato trasmesso nel 1996 dalla BBC nella rubrica "Everyman". Una versione ridotta e adattata della stesso programma è stato trasmesso anche dalla rubrica "Top Secret" di RaiTre nel 1997.
5) Nickell, J. 1988. "Gem of Death. Riddle of the Crystal Skull". Secrets of the Supernatural, Buffalo. Il testo è la ristampa dell'articolo di Nickell J. e Fischer, J. 1984 "Crystal Skull of Death", Fate Part I July e Part II August 1984.
6) Ropper, J. 1998. Il segreto dei teschi di cristallo. Casale Monferrato: Piemme.
7) Wilson. C. 1993. "The Skull of Doom. The Strange Tale of the Crystal Skull", Unsolved Mysteries. Past and Present, London.
Articoli
1) Bertolotti, P. 2000. "Il teschio di cristallo". Hera Roma. Parte I Ottobre, Parte II Novembre e Parte III Dicembre 2000 (soltanto la I parte tratta specificamente del Teschio Mitchell-Hedges).
2) De Martino, G. 1996. "I teschi di cristallo". Oltre la conoscenza, Vignolo (Mi) n. 6/1996.
3) De Santis, S. 2001. "I 13 teschi (e altri oggetti misteriosi)". Focus, Milano n. 100, 2.01.
4) Adrian, D. 1936 "Comments on the morphological comparison of two crystal skull". Man, 7.36
5) 1995. "Il teschio del destino" in Ufo Misteri e Verità. Milano: Peruzzo editore. Vol. IV.
7) Morant, G.M. 1936. "A morphological comparison of two crystal skulls". Man, London 7.36.