Un’avvertenza per chi legge: questo articolo racconta una vicenda, quella del mio contributo alla nascita del CICAP, che è già stata raccontata altre volte. In primo luogo da Piero Angela, che la ha ripercorsa in alcuni dei nostri incontri nazionali, tra cui recentemente anche al CICAP Fest di Padova, e che ne ha scritto nel paragrafo della sua ricca autobiografia, intitolato proprio La bella storia del CICAP. Ma, questa volta, la storia verrà raccontata da un altro punto di vista, il mio. Un punto di vista parziale, quindi, e tutto sommato, potrebbe ragionevolmente pensare qualcuno, forse non altrettanto significativo quanto quello del più importante giornalista scientifico italiano. Ma come cercherò di mostrare, anche la mia esperienza può aiutare a capire qualcosa di interessante relativamente alle origini della nostra associazione e ad alcune delle sue caratteristiche tutt’ora attuali.
Questo numero di Query festeggia i trent’anni del CICAP, ufficialmente fondato in uno studio notarile il 12 giugno 1989. Ma, nella mia versione della storia, il CICAP nasce ben prima, nell’autunno del 1987. Un pomeriggio di un giorno qualsiasi, come può esserlo quello di un qualsiasi studente all’ultimo anno di liceo, suona il telefono di casa. Mia madre risponde, mi passa la cornetta e dall’altra parte del filo c’è… Piero Angela! Credo che chiunque possa capire la mia totale sorpresa, subito tramutatasi in quello che posso definire uno stato di parziale confusione mentale, tale per cui ascoltavo quel che mi veniva detto senza una piena comprensione delle parole che sentivo. In pratica, quel signore che al telefono si era presentato come Piero Angela e che avevo in effetti riconosciuto dalla voce, mi stava dicendo che, avendo letto in qualità di giurato un mio elaborato scritto per un concorso a cui avevo partecipato mesi prima, gli sarebbe piaciuto conoscermi visto che sarebbe presto passato da Milano. La mia incredulità per quello che mi era accaduto trovò conferma nei giorni successivi, man mano che raccontavo agli amici di quella telefonata. Per convincere tutti che non ero stato vittima dello scherzo telefonico di un buontempone, prima della fine di quello che per me era l’ultimo anno scolastico, fui praticamente costretto ad invitare Angela a tenere una presentazione al mio Liceo, cosa che per mia fortuna accettò volentieri di fare. Nel frattempo, in una seconda telefonata mi aveva dato appuntamento a Milano, nello studio di Bruno Bozzetto (altra sorpresa per me clamorosa: io vado nello studio di Bozzetto!). In quella telefonata, mi chiese anche di guardare una trasmissione televisiva a cui avrebbe partecipato prima del nostro incontro.
Ora, su quale fosse quella trasmissione i nostri ricordi divergono. Per me si trattava di un Maurizio Costanzo Show, una sorta di uno contro tutti, in cui lui rappresentava le ragioni della scienza mentre vari personaggi, parapsicologi e astrologi in primis, lo attaccavano per il suo scetticismo, difendendo invece le loro rispettive discipline. Secondo Piero, invece, la trasmissione era quella di Andrea Barbato e il confronto fu con una singola astrologa, verso cui a un certo punto del programma lui puntò un cannocchiale che si era messo davanti agli occhi dopo averlo ‘costruito’ nel corso del confronto con un foglio di carta, come a dirle: “Mi sembri fare discorsi lunari” (o almeno questa è la mia libera interpretazione del gesto). In ogni caso, il tema del nostro incontro venne anticipato da quella trasmissione. Quando ci vedemmo, Piero mi parlò di un programma che aveva condotto alcuni anni prima e che si intitolava Viaggio nel mondo del paranormale (vedi l’articolo di pagina 45). In quella trasmissione, mi disse, si era occupato di fenomeni che molti consideravano del tutto acclarati e dimostrati anche sperimentalmente, ma quando aveva approfondito la questione si era reso conto del fatto che quegli stessi fenomeni scomparivano se venivano osservati in condizioni di controllo. Aggiunse che riteneva che la diffusione della credenza in tali fenomeni fosse preoccupante, perché segnalava una incapacità nell’opinione pubblica di distinguere la scienza da pratiche che di scientifico non avevano nulla e una sostanziale incomprensione delle caratteristiche essenziali del metodo scientifico. Mi spiegò che, proprio a partire da questa preoccupazione, che lo assillava anche come giornalista proprio perché molti nei mass-media avallavano acriticamente l’esistenza di questi fenomeni facendo pubblicità a coloro che se ne dichiaravano studiosi o che si presentavano come dotati di poteri straordinari, aveva coinvolto molti importanti scienziati italiani intorno a un documento che preannunciava la nascita di una associazione dedita a portare chiarezza su tali questioni. Il problema era, disse, che ciascuno di quei firmatari era molto impegnato nelle sue attività di studio e di ricerca e quindi quell’associazione non vide la luce, mancando qualcuno che si facesse carico della sua organizzazione (lo racconta proprio l’articolo di Della Sala, a pagina 48). Quel nostro incontro aveva quindi lo scopo di capire se io fossi interessato al tema e ad essere uno dei motori organizzativi di quella possibile associazione: se così fosse stato, lui avrebbe finanziato la mia permanenza a Buffalo, negli USA, dove, mi spiegò, esisteva una associazione che da anni si occupava proprio di queste tematiche. Ancora una volta, per far comprendere il mio punto di vista circa quel che stava accadendo, devo ribadire con che mix di sorpresa e di emozioni accolsi quella proposta, che veniva fatta a me che ero un maturando, di andare per alcuni mesi negli Stati Uniti, un Paese in cui non ero mai stato prima, per un’esperienza di studio e di lavoro. Ci tengo a richiamare questo aspetto perché nell’articolo di Polidoro leggerete che anche il suo coinvolgimento in questo progetto fu molto simile al mio e questo aiuta a capire due cose importanti della nascita del CICAP. La prima è che si trattò certamente di una scommessa, o qualcuno potrebbe dire di un azzardo: quello di affidare a due ragazzi neppure ventenni l’incarico di creare un’associazione nazionale che portasse una nuova prospettiva su certi temi nel dibattito pubblico. E anche a partire da questa esperienza, sono da sempre convinto che la capacità di attivare nuove e giovani risorse e quella di assumerci il rischio di affidare loro compiti importanti sia essenziale per la crescita del Comitato. La seconda è che senza il costante impegno negli anni, l’energia progettuale e anche il sostegno economico personale di Angela nulla di tutto ciò avrebbe potuto vedere la luce.
Partii dunque per Buffalo, avendo ben chiaro che mi aspettava un impegno non da poco, anche perché Angela mi disse subito che avrei dovuto studiare molto per conoscere bene i protagonisti e le vicende di quel mondo vario che ruotava intorno ai fenomeni paranormali. E la ragione era, mi spiegò, che quando avessi dovuto partecipare a un dibattito pubblico su quegli argomenti sarebbe stato necessario avere una padronanza adeguata dei temi e delle persone. In primo luogo per evitare un effetto che gli era capitato di osservare spesso, quando ad intervenire su questi argomenti veniva chiamata una persona molto esperta nel suo ambito, per esempio uno scienziato, che però non aveva una conoscenza specifica rispetto alle questioni del paranormale. Il risultato era infatti che questo interlocutore finiva con il trovarsi spesso in difficoltà perché, paradossalmente, sembrava meno competente di un qualsiasi astrologo o veggente e comunque sembrava agli occhi del pubblico poco convincente perché utilizzava argomenti di tipo generale e non specifico. Si tratta di una lezione che io credo sia rimasta tutt’ora valida: è fondamentale che chi presenta a una conferenza o partecipa a un dibattito a nome del CICAP capisca l’importanza di una preparazione adeguata e approfondita dei temi di cui tratterà. Siamo una associazione di volontari e, come ci ricorda giustamente Marta Annunziata, tutti possono portare un contributo per sostenere e far crescere le attività dell’associazione, ma questo non significa che la passione e la motivazione possano sostituire la competenza e la necessità di una conoscenza approfondita, che sono una priorità assoluta per chiunque si esprima in qualche modo a nome CICAP.
A Buffalo ebbi modo di conoscere molte persone interessanti, tra tutte Barry Karr e Paul Kurtz. Il primo era allora, ed è tuttora, l’Executive director di quello che allora si chiamava CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, ovvero Comitato per l’Indagine Scientifica delle Affermazioni sul Paranormale) e ora CSI (Committee for Skeptical Inquiry, in italiano Comitato per l’Inchiesta Scettica), il secondo era stato il fondatore e l’allora Presidente dello stesso Comitato e della casa editrice collegata, Prometheus book. Proprio la possibilità di collaborare all’interno di una organizzazione strutturata come era quella, per quanto basata anche sul lavoro di molti volontari, mi convinse del fatto che si trattasse di un modello che sarebbe stato utile importare anche nel nostro Paese. Quello cioè di una organizzazione che, per quanto leggera, potesse contare su una sede fisica e su un certo numero di persone che si dedicavano professionalmente a garantire e a sviluppare le sue attività. A sua volta, Kurtz rimase per me un modello di scettico, non solo per la sua cultura – era professore di filosofia all’Università di Buffalo – e per la sua capacità di operare come un intellettuale attivamente impegnato nella promozione del valore della scienza, ma anche per come riusciva a portare avanti questa sua opera. Nella sua visione, che considero una variante contemporanea dell’illuminismo, infatti, la valorizzazione della ragione non ne limita il raggio d’azione alle questioni scientifiche, ma ne fa il fondamento e il riferimento anche rispetto a questioni etiche e valoriali che attraversano il dibattito pubblico e che interrogano ciascuno di noi come essere umano.
Angela venne a Buffalo, proprio mentre mi trovavo lì anche io e fu deciso di inviare una newsletter fotocopiata di quattro pagine agli abbonati italiani allo Skeptical inquirer, la rivista del CSICOP, per invitarli a una riunione in cui si sarebbe prospettata la nascita del Comitato italiano, come spiega anche Della Sala nel suo pezzo. Fin da allora Angela mi espresse un suo timore e cioè che quella nascente associazione avrebbe potuto essere infiltrata da persone che avrebbero avuto interesse a vederla fallire: maghi, astrologi o cartomanti, o magari ancora guaritori alternativi. Per questa ragione, sarebbe stato necessario trovare un meccanismo che garantisse a un ampio numero di persone la possibilità di contribuire attivamente alla vita dell’associazione, limitando però a un ristretto numero di soci la possibilità di intervenire su scelte strategiche essenziali o di esprimersi a nome del Comitato. La soluzione venne poi trovata dal notaio che redasse l’atto costitutivo e lo Statuto del Comitato, attraverso la definizione di due tipologie di soci, i soci ordinari che appunto contribuiscono attivamente alla vita dell’associazione e i soci effettivi che ne eleggono il direttivo. Negli anni questa formula è stata in parte rivista, per garantire anche ai soci ordinari una rappresentanza maggiore attraverso la formula dell’elezione dei rappresentanti dei gruppi locali, ma quel principio iniziale è stato sostanzialmente preservato proprio a tutela delle ragioni che portarono alla costituzione del Comitato.
Quando firmammo quell’atto costitutivo dal notaio si pose subito la questione di dover indicare una sede per la nascente associazione. In mancanza di alternative, la sede di Padova sarebbe venuta molti anni dopo come raccontano Franzosi e Guizzo nel loro articolo a pagina 56, quale indirizzo dell’associazione venne indicata la casa dove al tempo vivevo coi miei genitori. Mal ce ne incolse, quando quell’indirizzo comparve su un quotidiano nazionale che raccontava proprio della nascita del CICAP. Nel giro di poco tempo, venni sommerso di materiale vario e anche di contatti da parte dei personaggi più stravaganti, che si proponevano al telefono o a volte anche di persona, come esperti o portatori di fenomeni misteriosi. Ricordo per esempio ancora oggi un’incredibile serata passata in macchina con una persona che, dopo avermi fatto ascoltare i presunti messaggi ‘dall’aldilà’ che erano stati comunicati attraverso il medium nel corso di alcune sedute spiritiche e che lei aveva provveduto a registrare su una audiocassetta, mi chiedeva: «E questo come lo spiega?». E lo ricordo, oltre che per il fatto che l’incontro si protrasse per ore dato che nel mio entusiasmo da neofita volevo a tutti i costi convincerla dell’assurdità di quella domanda, perché fu la prima volta in cui sperimentai due caratteristiche di quel genere di confronti che avrei poi rivisto decine di volte, e di cui avremmo discusso con molti dei soci CICAP nel corso di diversi incontri in cui si ragiona sulla difficoltà di comunicare il nostro approccio su questi temi. La prima caratteristica era quella che io ritenevo la palese vacuità di quei messaggi, pieni di “qui c’è molta serenità, quindi siate sereni per me”, “vi guardo dall’alto e veglierò su di voi”, “nella vita non ci sono solo i beni materiali, ma è importante coltivare lo spirito”, ma che invece per la persona che me li proponeva costituivano, pur nella loro semplicità, delle risposte a dei quesiti che la assillavano anche personalmente. La seconda era l’incrollabile fede della mia interlocutrice, che non era semplicemente disponibile a considerare la possibilità che quell’autoproclamatosi medium attribuisse una provenienza ultraterrena a dei messaggi che non ne avevano alcuna. E tutto ciò, io credo, ci porta utilmente a ragionare sul ruolo che giocano le motivazioni nell’orientare il nostro pensiero sociale. In questo modo, possiamo evitare di etichettare certe prese di posizione come il risultato di una incapacità di ragionare adeguatamente e possiamo invece riconoscerne l’utilità perlomeno agli occhi di chi le propone. Questo non significa abdicare alla funzione di mettere in evidenza quella che è secondo noi la posizione più adeguata o all’esigenza di presentare una critica motivata alle affermazioni che ci vengono presentate, ma è piuttosto una consapevolezza che può influenzare il modo in cui ci poniamo nei confronti del nostro interlocutore, con rispetto e capacità di ascolto. Avevo le idee così chiare a quel tempo? Ahimè, temo proprio di no. Ero un ventenne animato dal sacro fuoco della militanza per la scienza e la ragione e, se riguardo oggi alcune delle prime trasmissioni televisive a cui partecipai per conto del CICAP, mi rendo ben conto che il mio atteggiamento e i miei ragionamenti erano fondamentalmente ispirati dal desiderio di portare avanti con forza un punto di vista radicalmente critico circa i presunti fenomeni paranormali, in una contrapposizione il più possibile netta con i miei interlocutori che argomentavano circa l’autenticità di quegli stessi fenomeni. Intendiamoci, resto convinto che sul piano dei contenuti quella proposta culturale, che era poi alla base della nascita stessa del Comitato, fosse pienamente adeguata, ma probabilmente avrebbe potuto essere espressa in modo diverso e forse anche più convincente per chi ascoltava.
Un ultimo episodio di quei primi mesi di attività del Comitato. Tra le tante telefonate, quella di una persona che aveva pagato, in momenti successivi, diversi milioni di lire ad un presunto mago, che prometteva, grazie alle sue capacità straordinarie, di far tornare a casa il partner che si era allontanato. Ovviamente, nessuno dei sortilegi aveva avuto l’effetto sperato, e ora quella persona chiamava per capire se potevamo aiutarla a riavere indietro il suo denaro. Fu la prima volta che mi trovai a confronto con il mondo delle vittime, con la loro sofferenza, che è doppia perché si rendono conto di essere state vittime di un raggiro e allo stesso tempo vedono delusa la loro speranza di modificare una situazione che consideravano insostenibile. Ed è forse per questo che invito sempre a non trattare quelle persone alla stregua di creduloni che sono in fondo colpevoli del loro stesso destino, ma a riconoscerne pienamente la natura di vittime, della cui debolezza, pienamente legittima, qualcuno si è approfittato.
Quella telefonata mi fece capire con chiarezza anche cosa il CICAP non avrebbe potuto essere, e cioè uno sportello di ascolto e tutela legale per chi era stato in qualche modo truffato dalle mirabolanti promesse degli operatori del paranormale. E questo perché una simile attività avrebbe richiesto un’organizzazione volta unicamente a questo specifico obiettivo, dati anche i numeri di quel mercato dell’occulto delle cui dimensioni avevo cominciato a rendermi conto; una attività che peraltro era piuttosto distante dalla nostra missione di associazione educativa e scientifica, volta quindi più alla costruzione di una cultura della prevenzione verso certi problemi che alla loro repressione, per quanto anche questa possa avere una sua utilità. Quando però consigliai al mio interlocutore di rivolgersi alla polizia per denunciare quanto gli era accaduto, rimasi spiazzato dalla sua risposta. Mi spiegò, infatti, che si era reso conto che il mago non aveva alcun potere nel far ritrovare il partner perduto, ma poteva ben darsi che invece avesse la capacità di fare qualche sortilegio malefico contro chi gli si fosse messo contro con una denuncia! Racconto questo episodio non perché appunto voglia mettere in cattiva luce quella vittima, ma solo per evidenziare quanto uno schema di riferimento, in questo caso l’idea che ci siano persone dotate di poteri magici, e cioè una convinzione che viene trasmessa culturalmente da migliaia di anni, possa essere potente nell’influenzare la prospettiva di una persona che pure ha personalmente sperimentato, almeno in un certo frangente, la sua inconsistenza.
Ovviamente potrei raccontare molti altri episodi di quei primi mesi, in cui conobbi Massimo Polidoro e poi via via le tante persone che avrebbero contribuito a costruire la storia di questo Comitato. Ma mi fermo qui, in omaggio al titolo di questo articolo e per dare spazio agli altri autori di questa Copertina con la quale vogliamo celebrare i primi trent’anni di una storia che ci auguriamo molto lunga. Lunga vita al CICAP!
Questo numero di Query festeggia i trent’anni del CICAP, ufficialmente fondato in uno studio notarile il 12 giugno 1989. Ma, nella mia versione della storia, il CICAP nasce ben prima, nell’autunno del 1987. Un pomeriggio di un giorno qualsiasi, come può esserlo quello di un qualsiasi studente all’ultimo anno di liceo, suona il telefono di casa. Mia madre risponde, mi passa la cornetta e dall’altra parte del filo c’è… Piero Angela! Credo che chiunque possa capire la mia totale sorpresa, subito tramutatasi in quello che posso definire uno stato di parziale confusione mentale, tale per cui ascoltavo quel che mi veniva detto senza una piena comprensione delle parole che sentivo. In pratica, quel signore che al telefono si era presentato come Piero Angela e che avevo in effetti riconosciuto dalla voce, mi stava dicendo che, avendo letto in qualità di giurato un mio elaborato scritto per un concorso a cui avevo partecipato mesi prima, gli sarebbe piaciuto conoscermi visto che sarebbe presto passato da Milano. La mia incredulità per quello che mi era accaduto trovò conferma nei giorni successivi, man mano che raccontavo agli amici di quella telefonata. Per convincere tutti che non ero stato vittima dello scherzo telefonico di un buontempone, prima della fine di quello che per me era l’ultimo anno scolastico, fui praticamente costretto ad invitare Angela a tenere una presentazione al mio Liceo, cosa che per mia fortuna accettò volentieri di fare. Nel frattempo, in una seconda telefonata mi aveva dato appuntamento a Milano, nello studio di Bruno Bozzetto (altra sorpresa per me clamorosa: io vado nello studio di Bozzetto!). In quella telefonata, mi chiese anche di guardare una trasmissione televisiva a cui avrebbe partecipato prima del nostro incontro.
Ora, su quale fosse quella trasmissione i nostri ricordi divergono. Per me si trattava di un Maurizio Costanzo Show, una sorta di uno contro tutti, in cui lui rappresentava le ragioni della scienza mentre vari personaggi, parapsicologi e astrologi in primis, lo attaccavano per il suo scetticismo, difendendo invece le loro rispettive discipline. Secondo Piero, invece, la trasmissione era quella di Andrea Barbato e il confronto fu con una singola astrologa, verso cui a un certo punto del programma lui puntò un cannocchiale che si era messo davanti agli occhi dopo averlo ‘costruito’ nel corso del confronto con un foglio di carta, come a dirle: “Mi sembri fare discorsi lunari” (o almeno questa è la mia libera interpretazione del gesto). In ogni caso, il tema del nostro incontro venne anticipato da quella trasmissione. Quando ci vedemmo, Piero mi parlò di un programma che aveva condotto alcuni anni prima e che si intitolava Viaggio nel mondo del paranormale (vedi l’articolo di pagina 45). In quella trasmissione, mi disse, si era occupato di fenomeni che molti consideravano del tutto acclarati e dimostrati anche sperimentalmente, ma quando aveva approfondito la questione si era reso conto del fatto che quegli stessi fenomeni scomparivano se venivano osservati in condizioni di controllo. Aggiunse che riteneva che la diffusione della credenza in tali fenomeni fosse preoccupante, perché segnalava una incapacità nell’opinione pubblica di distinguere la scienza da pratiche che di scientifico non avevano nulla e una sostanziale incomprensione delle caratteristiche essenziali del metodo scientifico. Mi spiegò che, proprio a partire da questa preoccupazione, che lo assillava anche come giornalista proprio perché molti nei mass-media avallavano acriticamente l’esistenza di questi fenomeni facendo pubblicità a coloro che se ne dichiaravano studiosi o che si presentavano come dotati di poteri straordinari, aveva coinvolto molti importanti scienziati italiani intorno a un documento che preannunciava la nascita di una associazione dedita a portare chiarezza su tali questioni. Il problema era, disse, che ciascuno di quei firmatari era molto impegnato nelle sue attività di studio e di ricerca e quindi quell’associazione non vide la luce, mancando qualcuno che si facesse carico della sua organizzazione (lo racconta proprio l’articolo di Della Sala, a pagina 48). Quel nostro incontro aveva quindi lo scopo di capire se io fossi interessato al tema e ad essere uno dei motori organizzativi di quella possibile associazione: se così fosse stato, lui avrebbe finanziato la mia permanenza a Buffalo, negli USA, dove, mi spiegò, esisteva una associazione che da anni si occupava proprio di queste tematiche. Ancora una volta, per far comprendere il mio punto di vista circa quel che stava accadendo, devo ribadire con che mix di sorpresa e di emozioni accolsi quella proposta, che veniva fatta a me che ero un maturando, di andare per alcuni mesi negli Stati Uniti, un Paese in cui non ero mai stato prima, per un’esperienza di studio e di lavoro. Ci tengo a richiamare questo aspetto perché nell’articolo di Polidoro leggerete che anche il suo coinvolgimento in questo progetto fu molto simile al mio e questo aiuta a capire due cose importanti della nascita del CICAP. La prima è che si trattò certamente di una scommessa, o qualcuno potrebbe dire di un azzardo: quello di affidare a due ragazzi neppure ventenni l’incarico di creare un’associazione nazionale che portasse una nuova prospettiva su certi temi nel dibattito pubblico. E anche a partire da questa esperienza, sono da sempre convinto che la capacità di attivare nuove e giovani risorse e quella di assumerci il rischio di affidare loro compiti importanti sia essenziale per la crescita del Comitato. La seconda è che senza il costante impegno negli anni, l’energia progettuale e anche il sostegno economico personale di Angela nulla di tutto ciò avrebbe potuto vedere la luce.
Partii dunque per Buffalo, avendo ben chiaro che mi aspettava un impegno non da poco, anche perché Angela mi disse subito che avrei dovuto studiare molto per conoscere bene i protagonisti e le vicende di quel mondo vario che ruotava intorno ai fenomeni paranormali. E la ragione era, mi spiegò, che quando avessi dovuto partecipare a un dibattito pubblico su quegli argomenti sarebbe stato necessario avere una padronanza adeguata dei temi e delle persone. In primo luogo per evitare un effetto che gli era capitato di osservare spesso, quando ad intervenire su questi argomenti veniva chiamata una persona molto esperta nel suo ambito, per esempio uno scienziato, che però non aveva una conoscenza specifica rispetto alle questioni del paranormale. Il risultato era infatti che questo interlocutore finiva con il trovarsi spesso in difficoltà perché, paradossalmente, sembrava meno competente di un qualsiasi astrologo o veggente e comunque sembrava agli occhi del pubblico poco convincente perché utilizzava argomenti di tipo generale e non specifico. Si tratta di una lezione che io credo sia rimasta tutt’ora valida: è fondamentale che chi presenta a una conferenza o partecipa a un dibattito a nome del CICAP capisca l’importanza di una preparazione adeguata e approfondita dei temi di cui tratterà. Siamo una associazione di volontari e, come ci ricorda giustamente Marta Annunziata, tutti possono portare un contributo per sostenere e far crescere le attività dell’associazione, ma questo non significa che la passione e la motivazione possano sostituire la competenza e la necessità di una conoscenza approfondita, che sono una priorità assoluta per chiunque si esprima in qualche modo a nome CICAP.
A Buffalo ebbi modo di conoscere molte persone interessanti, tra tutte Barry Karr e Paul Kurtz. Il primo era allora, ed è tuttora, l’Executive director di quello che allora si chiamava CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, ovvero Comitato per l’Indagine Scientifica delle Affermazioni sul Paranormale) e ora CSI (Committee for Skeptical Inquiry, in italiano Comitato per l’Inchiesta Scettica), il secondo era stato il fondatore e l’allora Presidente dello stesso Comitato e della casa editrice collegata, Prometheus book. Proprio la possibilità di collaborare all’interno di una organizzazione strutturata come era quella, per quanto basata anche sul lavoro di molti volontari, mi convinse del fatto che si trattasse di un modello che sarebbe stato utile importare anche nel nostro Paese. Quello cioè di una organizzazione che, per quanto leggera, potesse contare su una sede fisica e su un certo numero di persone che si dedicavano professionalmente a garantire e a sviluppare le sue attività. A sua volta, Kurtz rimase per me un modello di scettico, non solo per la sua cultura – era professore di filosofia all’Università di Buffalo – e per la sua capacità di operare come un intellettuale attivamente impegnato nella promozione del valore della scienza, ma anche per come riusciva a portare avanti questa sua opera. Nella sua visione, che considero una variante contemporanea dell’illuminismo, infatti, la valorizzazione della ragione non ne limita il raggio d’azione alle questioni scientifiche, ma ne fa il fondamento e il riferimento anche rispetto a questioni etiche e valoriali che attraversano il dibattito pubblico e che interrogano ciascuno di noi come essere umano.
Angela venne a Buffalo, proprio mentre mi trovavo lì anche io e fu deciso di inviare una newsletter fotocopiata di quattro pagine agli abbonati italiani allo Skeptical inquirer, la rivista del CSICOP, per invitarli a una riunione in cui si sarebbe prospettata la nascita del Comitato italiano, come spiega anche Della Sala nel suo pezzo. Fin da allora Angela mi espresse un suo timore e cioè che quella nascente associazione avrebbe potuto essere infiltrata da persone che avrebbero avuto interesse a vederla fallire: maghi, astrologi o cartomanti, o magari ancora guaritori alternativi. Per questa ragione, sarebbe stato necessario trovare un meccanismo che garantisse a un ampio numero di persone la possibilità di contribuire attivamente alla vita dell’associazione, limitando però a un ristretto numero di soci la possibilità di intervenire su scelte strategiche essenziali o di esprimersi a nome del Comitato. La soluzione venne poi trovata dal notaio che redasse l’atto costitutivo e lo Statuto del Comitato, attraverso la definizione di due tipologie di soci, i soci ordinari che appunto contribuiscono attivamente alla vita dell’associazione e i soci effettivi che ne eleggono il direttivo. Negli anni questa formula è stata in parte rivista, per garantire anche ai soci ordinari una rappresentanza maggiore attraverso la formula dell’elezione dei rappresentanti dei gruppi locali, ma quel principio iniziale è stato sostanzialmente preservato proprio a tutela delle ragioni che portarono alla costituzione del Comitato.
Quando firmammo quell’atto costitutivo dal notaio si pose subito la questione di dover indicare una sede per la nascente associazione. In mancanza di alternative, la sede di Padova sarebbe venuta molti anni dopo come raccontano Franzosi e Guizzo nel loro articolo a pagina 56, quale indirizzo dell’associazione venne indicata la casa dove al tempo vivevo coi miei genitori. Mal ce ne incolse, quando quell’indirizzo comparve su un quotidiano nazionale che raccontava proprio della nascita del CICAP. Nel giro di poco tempo, venni sommerso di materiale vario e anche di contatti da parte dei personaggi più stravaganti, che si proponevano al telefono o a volte anche di persona, come esperti o portatori di fenomeni misteriosi. Ricordo per esempio ancora oggi un’incredibile serata passata in macchina con una persona che, dopo avermi fatto ascoltare i presunti messaggi ‘dall’aldilà’ che erano stati comunicati attraverso il medium nel corso di alcune sedute spiritiche e che lei aveva provveduto a registrare su una audiocassetta, mi chiedeva: «E questo come lo spiega?». E lo ricordo, oltre che per il fatto che l’incontro si protrasse per ore dato che nel mio entusiasmo da neofita volevo a tutti i costi convincerla dell’assurdità di quella domanda, perché fu la prima volta in cui sperimentai due caratteristiche di quel genere di confronti che avrei poi rivisto decine di volte, e di cui avremmo discusso con molti dei soci CICAP nel corso di diversi incontri in cui si ragiona sulla difficoltà di comunicare il nostro approccio su questi temi. La prima caratteristica era quella che io ritenevo la palese vacuità di quei messaggi, pieni di “qui c’è molta serenità, quindi siate sereni per me”, “vi guardo dall’alto e veglierò su di voi”, “nella vita non ci sono solo i beni materiali, ma è importante coltivare lo spirito”, ma che invece per la persona che me li proponeva costituivano, pur nella loro semplicità, delle risposte a dei quesiti che la assillavano anche personalmente. La seconda era l’incrollabile fede della mia interlocutrice, che non era semplicemente disponibile a considerare la possibilità che quell’autoproclamatosi medium attribuisse una provenienza ultraterrena a dei messaggi che non ne avevano alcuna. E tutto ciò, io credo, ci porta utilmente a ragionare sul ruolo che giocano le motivazioni nell’orientare il nostro pensiero sociale. In questo modo, possiamo evitare di etichettare certe prese di posizione come il risultato di una incapacità di ragionare adeguatamente e possiamo invece riconoscerne l’utilità perlomeno agli occhi di chi le propone. Questo non significa abdicare alla funzione di mettere in evidenza quella che è secondo noi la posizione più adeguata o all’esigenza di presentare una critica motivata alle affermazioni che ci vengono presentate, ma è piuttosto una consapevolezza che può influenzare il modo in cui ci poniamo nei confronti del nostro interlocutore, con rispetto e capacità di ascolto. Avevo le idee così chiare a quel tempo? Ahimè, temo proprio di no. Ero un ventenne animato dal sacro fuoco della militanza per la scienza e la ragione e, se riguardo oggi alcune delle prime trasmissioni televisive a cui partecipai per conto del CICAP, mi rendo ben conto che il mio atteggiamento e i miei ragionamenti erano fondamentalmente ispirati dal desiderio di portare avanti con forza un punto di vista radicalmente critico circa i presunti fenomeni paranormali, in una contrapposizione il più possibile netta con i miei interlocutori che argomentavano circa l’autenticità di quegli stessi fenomeni. Intendiamoci, resto convinto che sul piano dei contenuti quella proposta culturale, che era poi alla base della nascita stessa del Comitato, fosse pienamente adeguata, ma probabilmente avrebbe potuto essere espressa in modo diverso e forse anche più convincente per chi ascoltava.
Un ultimo episodio di quei primi mesi di attività del Comitato. Tra le tante telefonate, quella di una persona che aveva pagato, in momenti successivi, diversi milioni di lire ad un presunto mago, che prometteva, grazie alle sue capacità straordinarie, di far tornare a casa il partner che si era allontanato. Ovviamente, nessuno dei sortilegi aveva avuto l’effetto sperato, e ora quella persona chiamava per capire se potevamo aiutarla a riavere indietro il suo denaro. Fu la prima volta che mi trovai a confronto con il mondo delle vittime, con la loro sofferenza, che è doppia perché si rendono conto di essere state vittime di un raggiro e allo stesso tempo vedono delusa la loro speranza di modificare una situazione che consideravano insostenibile. Ed è forse per questo che invito sempre a non trattare quelle persone alla stregua di creduloni che sono in fondo colpevoli del loro stesso destino, ma a riconoscerne pienamente la natura di vittime, della cui debolezza, pienamente legittima, qualcuno si è approfittato.
Quella telefonata mi fece capire con chiarezza anche cosa il CICAP non avrebbe potuto essere, e cioè uno sportello di ascolto e tutela legale per chi era stato in qualche modo truffato dalle mirabolanti promesse degli operatori del paranormale. E questo perché una simile attività avrebbe richiesto un’organizzazione volta unicamente a questo specifico obiettivo, dati anche i numeri di quel mercato dell’occulto delle cui dimensioni avevo cominciato a rendermi conto; una attività che peraltro era piuttosto distante dalla nostra missione di associazione educativa e scientifica, volta quindi più alla costruzione di una cultura della prevenzione verso certi problemi che alla loro repressione, per quanto anche questa possa avere una sua utilità. Quando però consigliai al mio interlocutore di rivolgersi alla polizia per denunciare quanto gli era accaduto, rimasi spiazzato dalla sua risposta. Mi spiegò, infatti, che si era reso conto che il mago non aveva alcun potere nel far ritrovare il partner perduto, ma poteva ben darsi che invece avesse la capacità di fare qualche sortilegio malefico contro chi gli si fosse messo contro con una denuncia! Racconto questo episodio non perché appunto voglia mettere in cattiva luce quella vittima, ma solo per evidenziare quanto uno schema di riferimento, in questo caso l’idea che ci siano persone dotate di poteri magici, e cioè una convinzione che viene trasmessa culturalmente da migliaia di anni, possa essere potente nell’influenzare la prospettiva di una persona che pure ha personalmente sperimentato, almeno in un certo frangente, la sua inconsistenza.
Ovviamente potrei raccontare molti altri episodi di quei primi mesi, in cui conobbi Massimo Polidoro e poi via via le tante persone che avrebbero contribuito a costruire la storia di questo Comitato. Ma mi fermo qui, in omaggio al titolo di questo articolo e per dare spazio agli altri autori di questa Copertina con la quale vogliamo celebrare i primi trent’anni di una storia che ci auguriamo molto lunga. Lunga vita al CICAP!