Bianchi e grigi che si susseguono ininterrottamente, senza variazioni; poi, all’improvviso, dalle pareti di ghiaccio e neve ecco apparire un rosso brillante. Sono le “Cascate di sangue”, in Antartide: fiotti di acqua color ruggine che sgorgano dal ghiacciaio Taylor, specie durante la bella stagione, in quelle che vengono chiamate le Valli Secche di McMurdo. Uno spettacolo che dovette sicuramente impressionare Griffith Taylor, il geografo australiano che le scoprì nel 1911 e che per primo esplorò la valle che porta il suo nome.
Ultimamente le Blood Falls hanno fatto parecchio parlare di sé: tra fine aprile e inizio maggio 2017, titoli come Antartide, risolto il mistero delle “cascate di sangue” o Dopo 106 anni svelato il mistero delle “cascate di sangue” hanno riempito le pagine di molti giornali nazionali. Nessuno sembra essersi accorto che, però, il motivo della strana colorazione era già stato trovato diversi anni prima. Se per molto tempo se ne è attribuita l’origine ad alghe, infatti, solo recentemente sono state possibili analisi più precise, in quello che è sicuramente uno degli ambienti più ostili al mondo. Nel 2009 un articolo di Jill Mikucki e collaboratori[1] individuava finalmente la causa di quel rosso acceso nell’alto contenuto di ferro delle acque, e i microrganismi coinvolti nel processo: a grandi linee, le cascate hanno origine da un bacino ricco di sale e ferro, sepolto dai ghiacci, che è stato “intrappolato” durante il periodo del Miocene, oltre cinque milioni di anni fa, quando il livello dei mari era superiore a quello attuale; un lago sotterraneo che riesce a mantenersi allo stato liquido proprio grazie all’elevata salinità, che gli permette di non ghiacciare nonostante le bassissime temperature.
In queste acque fredde e prive di luce, nonostante le condizioni di vita estreme, i carotaggi hanno svelato un’attiva comunità microbica, che sopravvive grazie all’ossidazione dei minerali ricchi di zolfo intrappolati nel lago: processo che produce, come scarto metabolico, grandi quantità di ferro. Quando, durante l’estate antartica, i ghiacci si ritirano, le acque fuoriescono da una fenditura del ghiacciaio Taylor ed entrano in contatto con l’ossigeno atmosferico: è proprio l’ossidazione di questo ferro che porta le acque a tingersi di rosso, un po’ come avviene con la formazione della ruggine.
Perché questo improvviso interesse della stampa, allora? La ragione risiede probabilmente in un piccolo fraintendimento: in occasione di un nuovo studio su quel particolarissimo sistema idrogeologico, reso disponile ad aprile sul sito web del Journal of Glaciology, l’University of Cambridge ha emesso un comunicato stampa in cui si spiegava anche il contesto della ricerca, e il processo che dà origine alle Cascate di Sangue. È molto probabile che i giornalisti abbiano pensato che fosse quello l’elemento di novità, mentre si trattava di un semplice riepilogo di quanto già si sapeva sul tema.
La nuova ricerca[2] di Jessica Badgeley e collaboratori (fra cui Mikucki), invece, era incentrata sull’esplorazione del bacino sotterraneo che dà origine alle cascate tramite un ecoradar, e si inserisce in una serie di studi portati avanti negli ultimi anni per stabilire l’esatta conformazione del sistema idrogeologico che alimenta il ghiacciaio Taylor e collega i laghi sotterranei della regione.
Un ecosistema decisamente interessante, dal momento che le condizioni estreme in cui sopravvivono i microrganismi delle Blood Falls potrebbero avere implicazioni anche per la ricerca della vita su altri pianeti. Secondo le stesse parole di Jill Mikucki: «Se c’è vita sotto a questo ghiacciaio, chi ci dice che non possa esserci anche al di sotto della calotta polare di Marte o di Europa, uno dei satelliti naturali di Giove?»[3].
Ultimamente le Blood Falls hanno fatto parecchio parlare di sé: tra fine aprile e inizio maggio 2017, titoli come Antartide, risolto il mistero delle “cascate di sangue” o Dopo 106 anni svelato il mistero delle “cascate di sangue” hanno riempito le pagine di molti giornali nazionali. Nessuno sembra essersi accorto che, però, il motivo della strana colorazione era già stato trovato diversi anni prima. Se per molto tempo se ne è attribuita l’origine ad alghe, infatti, solo recentemente sono state possibili analisi più precise, in quello che è sicuramente uno degli ambienti più ostili al mondo. Nel 2009 un articolo di Jill Mikucki e collaboratori[1] individuava finalmente la causa di quel rosso acceso nell’alto contenuto di ferro delle acque, e i microrganismi coinvolti nel processo: a grandi linee, le cascate hanno origine da un bacino ricco di sale e ferro, sepolto dai ghiacci, che è stato “intrappolato” durante il periodo del Miocene, oltre cinque milioni di anni fa, quando il livello dei mari era superiore a quello attuale; un lago sotterraneo che riesce a mantenersi allo stato liquido proprio grazie all’elevata salinità, che gli permette di non ghiacciare nonostante le bassissime temperature.
In queste acque fredde e prive di luce, nonostante le condizioni di vita estreme, i carotaggi hanno svelato un’attiva comunità microbica, che sopravvive grazie all’ossidazione dei minerali ricchi di zolfo intrappolati nel lago: processo che produce, come scarto metabolico, grandi quantità di ferro. Quando, durante l’estate antartica, i ghiacci si ritirano, le acque fuoriescono da una fenditura del ghiacciaio Taylor ed entrano in contatto con l’ossigeno atmosferico: è proprio l’ossidazione di questo ferro che porta le acque a tingersi di rosso, un po’ come avviene con la formazione della ruggine.
Perché questo improvviso interesse della stampa, allora? La ragione risiede probabilmente in un piccolo fraintendimento: in occasione di un nuovo studio su quel particolarissimo sistema idrogeologico, reso disponile ad aprile sul sito web del Journal of Glaciology, l’University of Cambridge ha emesso un comunicato stampa in cui si spiegava anche il contesto della ricerca, e il processo che dà origine alle Cascate di Sangue. È molto probabile che i giornalisti abbiano pensato che fosse quello l’elemento di novità, mentre si trattava di un semplice riepilogo di quanto già si sapeva sul tema.
La nuova ricerca[2] di Jessica Badgeley e collaboratori (fra cui Mikucki), invece, era incentrata sull’esplorazione del bacino sotterraneo che dà origine alle cascate tramite un ecoradar, e si inserisce in una serie di studi portati avanti negli ultimi anni per stabilire l’esatta conformazione del sistema idrogeologico che alimenta il ghiacciaio Taylor e collega i laghi sotterranei della regione.
Un ecosistema decisamente interessante, dal momento che le condizioni estreme in cui sopravvivono i microrganismi delle Blood Falls potrebbero avere implicazioni anche per la ricerca della vita su altri pianeti. Secondo le stesse parole di Jill Mikucki: «Se c’è vita sotto a questo ghiacciaio, chi ci dice che non possa esserci anche al di sotto della calotta polare di Marte o di Europa, uno dei satelliti naturali di Giove?»[3].
Note
1) Mikucki, J. A. et al. 2009. A Contemporary Microbially Maintained Subglacial Ferrous "Ocean”. Science, 324(5925), 397-400, doi: 10.1126/science.1167350.
2) Badgeley, J. A. et al. (2017). An englacial hydrologic system of brine within a cold glacier: Blood Falls, McMurdo Dry Valleys, Antarctica. Journal of Glaciology, 1-14. doi:10.1017/jog.2017.16. Disponibile all’url: https://tinyurl.com/kde9zun
3) Marris, E. (2009). Life thrives beneath Antarctic glacier. Nature web site, doi:10.1038/news.2009.368. Disponibile all’url https://tinyurl.com/koodp5g