State dormendo, e vi svegliate di soprassalto. Provate a muovervi, ma vi sentite paralizzati, al punto da non riuscire quasi a respirare. E ad aumentare ancora di più il terrore arrivano loro, figure aliene o demoniache che si avvicinano sempre di più, mentre giacete nel vostro letto senza possibilità di scappare o anche solo di alzare un braccio per difendervi...
È questa la descrizione di un episodio di "paralisi ipnagogica" che si verifica quando, nel passaggio tra sonno e veglia, una persona conserva ancora le immagini oniriche e la paralisi muscolare tipiche della fase REM. Una circostanza niente affatto rara: circa l'8% della popolazione avrebbe vissuto almeno una volta questa esperienza (si veda Query 8).
Visto il contenuto "terrorizzante" che possono assumere le paralisi notturne, non stupisce che nel corso del tempo in molte culture si sia cercata una spiegazione in termini di influssi magici o demoniaci (chiamando ad esempio in causa i jinn, come avviene in Egitto, o il demone Kanashibari, in Giappone).
In linea con queste interpretazioni, anche il folklore abruzzese e marchigiano pare attribuirle all'azione della Pandafeche o Pantafa. Questa strega o demone ha avuto un'improvvisa esplosione di popolarità nel luglio 2015, quando l'università di Padova ha diffuso un comunicato stampa intitolato "Paralisi del sonno? È colpa della Pandafeche"[1], poi ripreso da tutti i maggiori quotidiani italiani. Il comunicato faceva riferimento a uno studio presentato nel corso di un convegno di psicologia a Milano (firmato da Baland Jalal, Andrea Romanelli e Devon Hinton, è stato poi pubblicato sul numero di dicembre di Culture, Medicine and Psychiatry[2]). Nel comunicato si legge:
Il nostro è il primo studio che ha mostrato come una larga percentuale della popolazione in Italia - spiega il dott. Andrea Romanelli, Dipartimento di Psicologia Generale dell'Università di Padova (studente del corso di laurea magistrale "Cognitive Neuroscience and Clinical Neuropsychology") - avalli spiegazioni sovrannaturali della paralisi del sonno, e che ha riportato una specifica interpretazione culturale del fenomeno in Italia, chiamato appunto "attacco della Pandafeche".
È proprio su quella "larga percentuale della popolazione in Italia" che hanno puntato i giornali, arrivando a dire che nel nostro Paese il 38% delle persone dà un'interpretazione paranormale delle paralisi del sonno, e che il 28% ne incolpa proprio la Pandafeche[3].
Presentare i risultati dello studio in quel modo è però improprio, per due ragioni decisive. La prima è che queste percentuali valgono solo all'interno del gruppo di soggetti intervistati. Ma la modalità con cui è stato composto il campione non permette di trarre deduzioni sulla popolazione generale: i 68 volontari sono stati reclutati tramite conoscenze personali e appelli su internet, e chiedendo poi ai primi che avevano risposto di suggerire i nomi di altre persone che potevano aver vissuto la stessa esperienza. È abbastanza ovvio che, con un processo di selezione di questo tipo, la diffusione della credenza nella Pandafeche risulti molto superiore a quella della popolazione generale.
La seconda ragione è che la Pandafeche è soltanto uno dei tanti esemplari che popolano la "fauna dell'incubo" italiana, e si colloca in un contesto culturale ben preciso: quello, come dicevamo, dell'area geografica compresa tra Marche e Abruzzo. Nelle altre regioni italiane, il folklore popolare ha attribuito le paralisi del sonno (con conseguente paralisi e sensazione di un peso sul torace che impedisce la respirazione) a molte altre figure dell'immaginario.
Qualche esempio: a Brescia i folletti-incubo sono i quagg, mentre in Gallura è attestato il pundacciu. In Emilia Romagna è il turno dello stricacuor, lo stritola-cuore. In Piemonte la difficoltà a respirare è frutto della carcaveja ("l'oppressione della vecchia"), «brutta, sparuta, grinzosa, bavosa vecchiaccia» – come scriveva nel 1830 il fisiologo torinese Lorenzo Martini - che si siede sul petto dei dormienti e li opprime con il proprio peso. Molto simili, il calcarello dell'Appennino romagnolo o l'ammuntadore ("colui che monta") sardo, così come il carcùn pavese o il calcatrep (calcatrippe) emiliano. Nelle Marche si incontra il pesarello (colui che pesa), in Veneto il fracariòl (colui che preme). A Lucca è il turno del linchetto, folletto che pigia il petto dei dormienti per farli dormire male. Nelle zone di Belluno e del Cadore si incontrano la smara e il premevenco (che quando non preme il ventre dei dormienti si trasforma in ape e gira intorno ai lumi). A Forlì gli incubi vengono attribuiti al mazapegolo, spirito-folletto dal berretto rosso «che "giace con le donne e può fecondarle, preferendo quelle con occhi e capelli corvini». Nel Vicentino si incontra il sanguanello, «gnomo svelto, malizioso, beffardo, che nella tradizione popolare si rammenta come sempre vestito di rosso». Mentre al confine con la Dalmazia è il turno della morra, strega al tempo stesso maschile e femminile, che succhia il sangue ai dormienti sedendovisi sopra e impedendone il respiro[4].
Accanto a queste personificazioni "tradizionali" dell'incubo, occorrerebbe poi indagare su tutte quelle interpretazioni in chiave moderna, che vedono le paralisi del sonno come il prodotto di abduction aliene ad opera di "grigi" o "rettiliani".
Chiarito quindi che, all'interno della popolazione italiana, quella della Pandafeche è probabilmente un'interpretazione molto più marginale di quanto i titoli dei giornali abbiano fatto credere, cosa c'è di interessante nell'articolo di Culture, Medicine and Psychiatry? Al di là dell'aspetto quantitativo, è quello qualitativo a fornire spunti curiosi. Si scopre ad esempio che la Pandafeche può assumere diverse sembianze a seconda dell'interlocutore: per alcune persone si tratta di una strega, per altre di un demone dall'aspetto di un fantasma, per altre ancora di un terrificante gatto semi-umanoide o di un nano deforme.
Interessanti anche le strategie adottate da alcune persone per difendersi dalla Pandafeche: tra quelle più gettonate dormire in posizione supina, o posizionare una scopa sulla porta della camera da letto. Anche sistemare un sacchetto di sabbia accanto al letto sembra dare risultati: come per i vampiri e altri personaggi del folklore europeo, la Pandafeche sarà costretta a contare uno per uno i granelli di sabbia, e non avrà tempo per fare danni.
È questa la descrizione di un episodio di "paralisi ipnagogica" che si verifica quando, nel passaggio tra sonno e veglia, una persona conserva ancora le immagini oniriche e la paralisi muscolare tipiche della fase REM. Una circostanza niente affatto rara: circa l'8% della popolazione avrebbe vissuto almeno una volta questa esperienza (si veda Query 8).
Visto il contenuto "terrorizzante" che possono assumere le paralisi notturne, non stupisce che nel corso del tempo in molte culture si sia cercata una spiegazione in termini di influssi magici o demoniaci (chiamando ad esempio in causa i jinn, come avviene in Egitto, o il demone Kanashibari, in Giappone).
In linea con queste interpretazioni, anche il folklore abruzzese e marchigiano pare attribuirle all'azione della Pandafeche o Pantafa. Questa strega o demone ha avuto un'improvvisa esplosione di popolarità nel luglio 2015, quando l'università di Padova ha diffuso un comunicato stampa intitolato "Paralisi del sonno? È colpa della Pandafeche"[1], poi ripreso da tutti i maggiori quotidiani italiani. Il comunicato faceva riferimento a uno studio presentato nel corso di un convegno di psicologia a Milano (firmato da Baland Jalal, Andrea Romanelli e Devon Hinton, è stato poi pubblicato sul numero di dicembre di Culture, Medicine and Psychiatry[2]). Nel comunicato si legge:
Il nostro è il primo studio che ha mostrato come una larga percentuale della popolazione in Italia - spiega il dott. Andrea Romanelli, Dipartimento di Psicologia Generale dell'Università di Padova (studente del corso di laurea magistrale "Cognitive Neuroscience and Clinical Neuropsychology") - avalli spiegazioni sovrannaturali della paralisi del sonno, e che ha riportato una specifica interpretazione culturale del fenomeno in Italia, chiamato appunto "attacco della Pandafeche".
È proprio su quella "larga percentuale della popolazione in Italia" che hanno puntato i giornali, arrivando a dire che nel nostro Paese il 38% delle persone dà un'interpretazione paranormale delle paralisi del sonno, e che il 28% ne incolpa proprio la Pandafeche[3].
Presentare i risultati dello studio in quel modo è però improprio, per due ragioni decisive. La prima è che queste percentuali valgono solo all'interno del gruppo di soggetti intervistati. Ma la modalità con cui è stato composto il campione non permette di trarre deduzioni sulla popolazione generale: i 68 volontari sono stati reclutati tramite conoscenze personali e appelli su internet, e chiedendo poi ai primi che avevano risposto di suggerire i nomi di altre persone che potevano aver vissuto la stessa esperienza. È abbastanza ovvio che, con un processo di selezione di questo tipo, la diffusione della credenza nella Pandafeche risulti molto superiore a quella della popolazione generale.
La seconda ragione è che la Pandafeche è soltanto uno dei tanti esemplari che popolano la "fauna dell'incubo" italiana, e si colloca in un contesto culturale ben preciso: quello, come dicevamo, dell'area geografica compresa tra Marche e Abruzzo. Nelle altre regioni italiane, il folklore popolare ha attribuito le paralisi del sonno (con conseguente paralisi e sensazione di un peso sul torace che impedisce la respirazione) a molte altre figure dell'immaginario.
Qualche esempio: a Brescia i folletti-incubo sono i quagg, mentre in Gallura è attestato il pundacciu. In Emilia Romagna è il turno dello stricacuor, lo stritola-cuore. In Piemonte la difficoltà a respirare è frutto della carcaveja ("l'oppressione della vecchia"), «brutta, sparuta, grinzosa, bavosa vecchiaccia» – come scriveva nel 1830 il fisiologo torinese Lorenzo Martini - che si siede sul petto dei dormienti e li opprime con il proprio peso. Molto simili, il calcarello dell'Appennino romagnolo o l'ammuntadore ("colui che monta") sardo, così come il carcùn pavese o il calcatrep (calcatrippe) emiliano. Nelle Marche si incontra il pesarello (colui che pesa), in Veneto il fracariòl (colui che preme). A Lucca è il turno del linchetto, folletto che pigia il petto dei dormienti per farli dormire male. Nelle zone di Belluno e del Cadore si incontrano la smara e il premevenco (che quando non preme il ventre dei dormienti si trasforma in ape e gira intorno ai lumi). A Forlì gli incubi vengono attribuiti al mazapegolo, spirito-folletto dal berretto rosso «che "giace con le donne e può fecondarle, preferendo quelle con occhi e capelli corvini». Nel Vicentino si incontra il sanguanello, «gnomo svelto, malizioso, beffardo, che nella tradizione popolare si rammenta come sempre vestito di rosso». Mentre al confine con la Dalmazia è il turno della morra, strega al tempo stesso maschile e femminile, che succhia il sangue ai dormienti sedendovisi sopra e impedendone il respiro[4].
Accanto a queste personificazioni "tradizionali" dell'incubo, occorrerebbe poi indagare su tutte quelle interpretazioni in chiave moderna, che vedono le paralisi del sonno come il prodotto di abduction aliene ad opera di "grigi" o "rettiliani".
Chiarito quindi che, all'interno della popolazione italiana, quella della Pandafeche è probabilmente un'interpretazione molto più marginale di quanto i titoli dei giornali abbiano fatto credere, cosa c'è di interessante nell'articolo di Culture, Medicine and Psychiatry? Al di là dell'aspetto quantitativo, è quello qualitativo a fornire spunti curiosi. Si scopre ad esempio che la Pandafeche può assumere diverse sembianze a seconda dell'interlocutore: per alcune persone si tratta di una strega, per altre di un demone dall'aspetto di un fantasma, per altre ancora di un terrificante gatto semi-umanoide o di un nano deforme.
Interessanti anche le strategie adottate da alcune persone per difendersi dalla Pandafeche: tra quelle più gettonate dormire in posizione supina, o posizionare una scopa sulla porta della camera da letto. Anche sistemare un sacchetto di sabbia accanto al letto sembra dare risultati: come per i vampiri e altri personaggi del folklore europeo, la Pandafeche sarà costretta a contare uno per uno i granelli di sabbia, e non avrà tempo per fare danni.
Note
2) Jalal, B. et al. 2015. The Pandafeche Attack and Associated Supernatural Beliefs. “Culture, Medicine, and Psychiatry” 39(4), 651-664; doi: 10.1007/s11013-015-9442-y
3) Un titolo di esempio: "Misteriose paralisi del sonno, per il 38% delle vittime è colpa di una bestia fantasma", ADNkronos, 07/07/2015.
4) Qualche titolo, per chi volesse approfondire: Cappello, T. 1957-1958. Le denominazioni italiane dell'«incubo». “Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti” 70, III, Memorie, pp. 56-84; Alimenti, A. 1989. Folletti, streghe, vampiri e altri esseri fantastici: il sonno e la notte disturbati. In: Seppilli, T. (ed.). Medicine e magie. Electa, Milano, pp. 37.42. Più specificatamente, sul folklore emiliano: Barozzi, G. 1981. Incubi folletti enzimi. In: Cultura popolare nell'Emilia Romagna. Medicina, erbe e magia. Silvana Editoriale, pp. 205-217. Su quello romagnolo: Baldini, E. 2014. Tenebrosa Romagna. Mentalità, misteri e immaginario collettivo nei secoli della paura e della «maraviglia». Società Editrice "Il Ponte Vecchio", Cesena, pp. 314-326. Su quello sardo: Caschili, S. 1967. Ammuttadore, ammuntadore e altri nomi dell’incubo in Sardegna. “Bollettino del repertorio e dell'atlante demologico sardo”, 2, pp. 33-37. Su quello veneto: Milani, M. 1994. Streghe, morti ed esseri fantastici nel Veneto. Esedra Editrice, Padova, pp. 252-253, 322-326. Su quello dalmata: Lovrich, Giovanni (1776). Osservazioni di Giovanni Lovrich sopra diversi pezze del Viaggio in Dalmazia del signor abate Alberto Fortis [...]. Presso Francesco Sansoni, Venezia, p. 201.