Molte delle richieste che giungono al CICAP riguardano persone che ritengono di poter “percepire” l’acqua scorrere nel terreno. Tale capacità viene chiamata rabdomanzia. Un rabdomante utilizza spesso delle bacchette in legno o metallo e camminando avanti e indietro per un campo sarebbe in grado di trovare le “vene” d’acqua. (In realtà, nel sottosuolo l'acqua permea ampi volumi di terreno come una spugna, percola fino a uno strato impermeabile e da lì scorre, ma certo non sotto la forma di “vene”, immaginate come ruscelletti sotterranei larghi 50-100 cm).
Sono varie le prove che il CICAP ha studiato per verificare queste abilità; ad esempio percepire l’acqua in una bottiglia nascosta in una scatola tra dieci uguali; oppure distinguere un tubo di plastica appoggiato sul terreno e nel quale l'acqua scorre, da altri nei quali non scorre.
Alcuni rabdomanti, tuttavia, ritengono di percepire l’acqua solamente se scorre sotto terra, nelle presunte “vene”, e di distinguere inoltre i punti in cui vi è presenza di acqua da quelli in cui l'acqua è assente.
Chiaramente, trivellare e scavare un pozzo ogni volta che la persona indica un punto è impensabile - anche se qualcuno ce lo propone, e anche se storicamente un simile controllo, durato molti anni, è stato fatto.[1]
Anche ammettendo che un tale dispendio di forze e denaro sia possibile, risulterebbe piuttosto complesso capire se l’acqua è stata trovata per caso, magari perché il sottosuolo ne è ricco, o per un effettivo potere del soggetto. O meglio, occorrerebbe confrontare un grande numero di divinazioni fornite dal rabdomante con un “bianco” di riferimento, per verificare se egli indovina un numero di volte significativamente maggiore.
Di che natura deve essere questo campione di riferimento? Trivellazioni eseguite su punti scelti a caso nella stessa area? Indicazioni date da un perfetto estraneo, o da un contadino della zona, o da un esperto idrogeologo che conosca la conformazione generale della falda acquifera in quella regione? E inoltre, quale caratteristica dovrà essere considerata? La sola presenza di acqua? o la sua profondità? o la sua temperatura? o la portata del pozzo una volta scavato?
Per ovviare a queste difficoltà, si può ricorrere a una prova particolare, che è stata applicata nel caso del sig. P. M., rabdomante di Firenze, che contattò il CICAP alla fine del 2003, chiedendo di sottoporsi al test per il Premio di James Randi.
P.M. avrebbe dovuto camminare per un campo e indicare vari punti nei quali percepiva l’acqua e altri quali non ne avvertiva la presenza; fatto ciò avrebbe dovuto riconoscere, bendato, i punti precedentemente indicati fornendo, ovviamente, la medesima risposta data in precedenza. Si tratta, quindi, di un test di coerenza: se in un particolare punto il rabdomante percepisce l’acqua, e la risposta non è casuale, allora portato in quel medesimo punto dovrà fornire sempre la stessa risposta.
Il sig. P. M. accettò questa proposta di protocollo e venne anche stabilito di eseguire, prima del test vero e proprio, una prova preliminare per rendersi conto dei problemi pratici che sarebbero potuti sorgere.
Questa prova si svolse in un campo incolto in località "Stagno", nel comune di Collesalvetti (Livorno) il giorno 23 ottobre 2004. Presenti come sperimentatori per il CICAP Luigi Garlaschelli e vari membri del CICAP-Toscana, tra cui Emiliano Giovannetti, Pasqua Gandolfi e Lodovico Marchetti.
Erano stati preparati vari picchetti di legno, ognuno lungo circa 30 centimetri, muniti in cima di una specie di bandierina di carta bianca e numerati. Quelli che sarebbero serviti per marcare i punti nei quali il sig. P. M. avrebbe affermato di percepire acqua avevano la punta - la parte che si sarebbe conficcata nel terreno - dipinta di rosso. Il perché di questo accorgimento sarà chiarito tra poco.
Il sig. P. M. passeggiò per il campo per vari minuti, munito di una bacchetta a Y, portata con sé da casa, che aveva ottenuto da un albero. Vennero così fissati una ventina di punti nei quali egli percepiva, o non percepiva, la presenza di acqua.
Il sig. P. M. fu in seguito bendato in modo ritenuto sicuro. Fu utilizzata una maschera da sub riempita internamente di cotone, e con il vetro anteriore oscurato da carta di alluminio e abbondante nastro adesivo. La preparazione della maschera fu controllata da Marchetti, esperto di illusionismo, per accertarsi che al sig. P. M. non fosse più possibile vedere, magari attraverso piccole fessure lungo i bordi della maschera stessa. Lo stesso Marchetti e Garlaschelli scortarono il sig. P. M. sopra vari picchetti, scelti a caso, e non comunicati al rabdomante. La verifica dei picchetti medesimi sarebbe avvenuta appena questi avrebbe dato il suo responso, estraendo il picchetto stesso dal terreno e verificando il colore della punta. Se anche il sig. P. M. avesse potuto intravvedere qualcosa dal suo bendaggio, avrebbe al massimo visto la bandierina di carta bianca, e non il colore della punta infilata nel terreno.
Si verificarono in tal modo 12 picchetti, ogni volta riportando il sig. P. M. sul bordo del campo, e riportandolo poi verso un altro picchetto segretamente stabilito, facendogli eseguire un cammino più o meno tortuoso per disorientarlo.
Secondo le tabelle utilizzate normalmente dal CICAP per questo genere di test, eseguendo 12 prove in ognuna delle quali la probabilità di indovinare è P=0,5, (acqua o non acqua) si devono richiedere almeno 11 risposte esatte affinché si abbia una probabilità P=0,01 (uno per cento) che le risposte non siano dovute al caso1.
Il sig. P. M. ottenne 10 risposte corrette su 12 prove. Egli ne fu molto felice, e tutti gli altri piuttosto sorpresi. Si trattava infatti di un risultato molto buono (benché, se si fosse trattato di un vero test e non di una prova preliminare, non sufficiente a ritenerlo superato).
Si decise, comunque, di procedere al test “ufficiale” in condizioni più rigorose. Infatti, ci si rese conto che il sig. P.M. avrebbe potuto riconoscere i punti (o alcuni di essi) esaminati grazie a indizi sensoriali non eliminati.
Per esempio, i picchetti che indicavano “acqua” erano disposti lungo una grossolana direttrice che forse rifletteva la presunta presenza di una “vena” sotterranea, mentre gli altri erano sparsi per il campo in maniera più casuale. Dunque si poteva presumere che il rumore delle auto che passavano sulla vicina strada e la posizione del sole, percepibili anche da bendati, avrebbero potuto permettere al sig. P.M. di capire vagamente verso quale zona del campo ci si stava dirigendo. Soprattutto, però, la superficie del campo non era uniforme: terra arata in alcuni punti, erba in altri, piccole sterpaglie in altri ancora. Ricordare le caratteristiche del terreno attorno a un particolare picchetto avrebbe dunque aiutato a fornire più risultati esatti.
Il nuovo protocollo perciò fu elaborato cercando eliminare questi possibili elementi che potevano fornire degli indizi.
La prova “ufficiale” si svolse il giorno 9 luglio 2005 a Camaiore (Viareggio), in un campo di calcio, sempre alla presenza di soci del CICAP Toscana, di Luigi Garlaschelli e di Simone Angioni.
Il terreno del campo era perfettamente piano e uniformemente coperto di erba.
Il sig. P. M. determinò dapprima alcuni punti dove percepiva l’acqua e altri dove non aveva alcun tipo di sensazione; di nuovo, ognuno di essi fu contrassegnato con una bandierina bianca la cui base (piantata nel terreno) era colorata in rosso solo nei punti dove era stata indicata la presenza di acqua.
Per la prova furono scelti solo due dei punti indicati. Essi non erano troppo lontani tra loro, ed erano equidistanti dal punto di partenza al bordo del campo dal quale ogni volta sarebbe partito, bendato, il sig. P. M.
La prova sarebbe consistita nel portare per 20 volte il sig. P.M. presso uno dei due punti, selezionati di volta in volta con il lancio di una moneta. La prova sarebbe stata superata se si fossero ottenute almeno 16 risposte esatte (sempre come da tabella delle probabilità).
Dopo una breve riunione durante la quale Garlaschelli lesse a tutti il protocollo che intendeva applicare e dopo le opportune firme del sig. P. M., degli sperimentatori e dei testimoni, si diede inizio al test. Il sig. P. M. fu di nuovo bendato con una maschera da sub; dopo di che - fatte salve brevi pause per riprendere fiato - ogni prova seguiva questo schema:
- Una persona (in questo caso la figlia del sig. P. M.) lanciava una moneta per stabilire quale dei due punti (acqua-non acqua) far analizzare, e lo indicava senza parlare. Il punto scelto era riportato su una tabella.
- Il sig. P. M. veniva portato, bendato, in prossimità del picchetto scelto, partendo sempre dallo stesso punto a bordo campo. Per essere ulteriormente disorientato, P. M. aveva accettato di buon grado di farsi spingere in giro su una sedia a rotelle. (Garlaschelli era meno felice di spingere le sedia in mezzo all’erba sotto il sole estivo).
- A un paio di metri dal picchetto, il sig. P. M. scendeva dalla carrozzina, era condotto sopra il picchetto stesso col sole alle spalle (condizione da lui richiesta) ed emetteva la sua risposta percependo il movimento della bacchetta che teneva tra le mani.
- La risposta era immediatamente riportata da Simone Angioni, che era accanto a Garlaschelli e al sig. P. M., su un apposito foglio mentre Garlaschelli, sventolando un fazzoletto rosso o bianco, indicava alla testimone a bordo campo la risposta data (rosso=acqua; bianco=non acqua). Non era necessario estrarre il picchetto per scoprire il colore della punta, poiché si sapeva già se esso indicava presenza di acqua o meno.
- La correttezza o meno della risposta non era comunicata al sig. P. M., che veniva riportato al punto base a bordo campo per la prossima prova.
Furono eseguite 20 prove ottenendo 9 risposte esatte e 11 errate.
Il rabdomante aveva ogni volta il 50% delle probabilità di indovinare. Dunque il caso prevedeva circa 10 risposte esatte su 20, mentre – come detto – se ne richiedevano almeno 16 per avere la probabilità dell'1% che le risposte non fossero dovute al caso.
Il test quindi non fu superato.
Terminate le prove, durate in totale un paio di ore, furono confrontate le tabelle per essere certi che non vi fossero stati errori e i risultati furono comunicati al signor P. M. il quale, non troppo deluso, stappò una bottiglia di spumante proponendo comunque un brindisi.
Dopo una giornata sotto un forte sole battente, ci concedemmo una lunga e cordiale chiacchierata col sig. P. M., il quale spiegò che a luglio è difficile trovare l’acqua perché essa è presente in grandi quantità; il periodo ideale per una prova del genere sarebbe stato ottobre quando l’acqua scarseggia.
Tuttavia si deve notare che il campo dove si svolse la prova è situato su un ex terreno paludoso ed è costantemente drenato da tubi che trasportano migliaia di litri di acqua al minuto; quindi a rigor di logica il rabdomante avrebbe dovuto percepire acqua dovunque. La prova, tuttavia, non aveva lo scopo di stabilire dove era presente o meno l’acqua ma, come specificato anche nel protocollo, si trattava solo di una verifica della coerenza di risposte fornite.
Il sig. P. M. ci salutò entusiasta del lavoro del CICAP, della gentilezza e della serietà nel fornire un protocollo rigoroso e totalmente rispettoso delle esigenze dell’esaminato. Ringraziammo a nostra volta il signor P. M. per la disponibilità mostrata e per la sua capacità di accettare il fallimento della prova, mantenendo inalterata la fiducia nel CICAP e nel suo lavoro.
Sono varie le prove che il CICAP ha studiato per verificare queste abilità; ad esempio percepire l’acqua in una bottiglia nascosta in una scatola tra dieci uguali; oppure distinguere un tubo di plastica appoggiato sul terreno e nel quale l'acqua scorre, da altri nei quali non scorre.
Alcuni rabdomanti, tuttavia, ritengono di percepire l’acqua solamente se scorre sotto terra, nelle presunte “vene”, e di distinguere inoltre i punti in cui vi è presenza di acqua da quelli in cui l'acqua è assente.
Chiaramente, trivellare e scavare un pozzo ogni volta che la persona indica un punto è impensabile - anche se qualcuno ce lo propone, e anche se storicamente un simile controllo, durato molti anni, è stato fatto.[1]
Anche ammettendo che un tale dispendio di forze e denaro sia possibile, risulterebbe piuttosto complesso capire se l’acqua è stata trovata per caso, magari perché il sottosuolo ne è ricco, o per un effettivo potere del soggetto. O meglio, occorrerebbe confrontare un grande numero di divinazioni fornite dal rabdomante con un “bianco” di riferimento, per verificare se egli indovina un numero di volte significativamente maggiore.
Di che natura deve essere questo campione di riferimento? Trivellazioni eseguite su punti scelti a caso nella stessa area? Indicazioni date da un perfetto estraneo, o da un contadino della zona, o da un esperto idrogeologo che conosca la conformazione generale della falda acquifera in quella regione? E inoltre, quale caratteristica dovrà essere considerata? La sola presenza di acqua? o la sua profondità? o la sua temperatura? o la portata del pozzo una volta scavato?
Per ovviare a queste difficoltà, si può ricorrere a una prova particolare, che è stata applicata nel caso del sig. P. M., rabdomante di Firenze, che contattò il CICAP alla fine del 2003, chiedendo di sottoporsi al test per il Premio di James Randi.
P.M. avrebbe dovuto camminare per un campo e indicare vari punti nei quali percepiva l’acqua e altri quali non ne avvertiva la presenza; fatto ciò avrebbe dovuto riconoscere, bendato, i punti precedentemente indicati fornendo, ovviamente, la medesima risposta data in precedenza. Si tratta, quindi, di un test di coerenza: se in un particolare punto il rabdomante percepisce l’acqua, e la risposta non è casuale, allora portato in quel medesimo punto dovrà fornire sempre la stessa risposta.
Il sig. P. M. accettò questa proposta di protocollo e venne anche stabilito di eseguire, prima del test vero e proprio, una prova preliminare per rendersi conto dei problemi pratici che sarebbero potuti sorgere.
Questa prova si svolse in un campo incolto in località "Stagno", nel comune di Collesalvetti (Livorno) il giorno 23 ottobre 2004. Presenti come sperimentatori per il CICAP Luigi Garlaschelli e vari membri del CICAP-Toscana, tra cui Emiliano Giovannetti, Pasqua Gandolfi e Lodovico Marchetti.
Erano stati preparati vari picchetti di legno, ognuno lungo circa 30 centimetri, muniti in cima di una specie di bandierina di carta bianca e numerati. Quelli che sarebbero serviti per marcare i punti nei quali il sig. P. M. avrebbe affermato di percepire acqua avevano la punta - la parte che si sarebbe conficcata nel terreno - dipinta di rosso. Il perché di questo accorgimento sarà chiarito tra poco.
Il sig. P. M. passeggiò per il campo per vari minuti, munito di una bacchetta a Y, portata con sé da casa, che aveva ottenuto da un albero. Vennero così fissati una ventina di punti nei quali egli percepiva, o non percepiva, la presenza di acqua.
Il sig. P. M. fu in seguito bendato in modo ritenuto sicuro. Fu utilizzata una maschera da sub riempita internamente di cotone, e con il vetro anteriore oscurato da carta di alluminio e abbondante nastro adesivo. La preparazione della maschera fu controllata da Marchetti, esperto di illusionismo, per accertarsi che al sig. P. M. non fosse più possibile vedere, magari attraverso piccole fessure lungo i bordi della maschera stessa. Lo stesso Marchetti e Garlaschelli scortarono il sig. P. M. sopra vari picchetti, scelti a caso, e non comunicati al rabdomante. La verifica dei picchetti medesimi sarebbe avvenuta appena questi avrebbe dato il suo responso, estraendo il picchetto stesso dal terreno e verificando il colore della punta. Se anche il sig. P. M. avesse potuto intravvedere qualcosa dal suo bendaggio, avrebbe al massimo visto la bandierina di carta bianca, e non il colore della punta infilata nel terreno.
Si verificarono in tal modo 12 picchetti, ogni volta riportando il sig. P. M. sul bordo del campo, e riportandolo poi verso un altro picchetto segretamente stabilito, facendogli eseguire un cammino più o meno tortuoso per disorientarlo.
Secondo le tabelle utilizzate normalmente dal CICAP per questo genere di test, eseguendo 12 prove in ognuna delle quali la probabilità di indovinare è P=0,5, (acqua o non acqua) si devono richiedere almeno 11 risposte esatte affinché si abbia una probabilità P=0,01 (uno per cento) che le risposte non siano dovute al caso1.
Il sig. P. M. ottenne 10 risposte corrette su 12 prove. Egli ne fu molto felice, e tutti gli altri piuttosto sorpresi. Si trattava infatti di un risultato molto buono (benché, se si fosse trattato di un vero test e non di una prova preliminare, non sufficiente a ritenerlo superato).
Si decise, comunque, di procedere al test “ufficiale” in condizioni più rigorose. Infatti, ci si rese conto che il sig. P.M. avrebbe potuto riconoscere i punti (o alcuni di essi) esaminati grazie a indizi sensoriali non eliminati.
Per esempio, i picchetti che indicavano “acqua” erano disposti lungo una grossolana direttrice che forse rifletteva la presunta presenza di una “vena” sotterranea, mentre gli altri erano sparsi per il campo in maniera più casuale. Dunque si poteva presumere che il rumore delle auto che passavano sulla vicina strada e la posizione del sole, percepibili anche da bendati, avrebbero potuto permettere al sig. P.M. di capire vagamente verso quale zona del campo ci si stava dirigendo. Soprattutto, però, la superficie del campo non era uniforme: terra arata in alcuni punti, erba in altri, piccole sterpaglie in altri ancora. Ricordare le caratteristiche del terreno attorno a un particolare picchetto avrebbe dunque aiutato a fornire più risultati esatti.
Il nuovo protocollo perciò fu elaborato cercando eliminare questi possibili elementi che potevano fornire degli indizi.
La prova “ufficiale” si svolse il giorno 9 luglio 2005 a Camaiore (Viareggio), in un campo di calcio, sempre alla presenza di soci del CICAP Toscana, di Luigi Garlaschelli e di Simone Angioni.
Il terreno del campo era perfettamente piano e uniformemente coperto di erba.
Il sig. P. M. determinò dapprima alcuni punti dove percepiva l’acqua e altri dove non aveva alcun tipo di sensazione; di nuovo, ognuno di essi fu contrassegnato con una bandierina bianca la cui base (piantata nel terreno) era colorata in rosso solo nei punti dove era stata indicata la presenza di acqua.
Per la prova furono scelti solo due dei punti indicati. Essi non erano troppo lontani tra loro, ed erano equidistanti dal punto di partenza al bordo del campo dal quale ogni volta sarebbe partito, bendato, il sig. P. M.
La prova sarebbe consistita nel portare per 20 volte il sig. P.M. presso uno dei due punti, selezionati di volta in volta con il lancio di una moneta. La prova sarebbe stata superata se si fossero ottenute almeno 16 risposte esatte (sempre come da tabella delle probabilità).
Dopo una breve riunione durante la quale Garlaschelli lesse a tutti il protocollo che intendeva applicare e dopo le opportune firme del sig. P. M., degli sperimentatori e dei testimoni, si diede inizio al test. Il sig. P. M. fu di nuovo bendato con una maschera da sub; dopo di che - fatte salve brevi pause per riprendere fiato - ogni prova seguiva questo schema:
- Una persona (in questo caso la figlia del sig. P. M.) lanciava una moneta per stabilire quale dei due punti (acqua-non acqua) far analizzare, e lo indicava senza parlare. Il punto scelto era riportato su una tabella.
- Il sig. P. M. veniva portato, bendato, in prossimità del picchetto scelto, partendo sempre dallo stesso punto a bordo campo. Per essere ulteriormente disorientato, P. M. aveva accettato di buon grado di farsi spingere in giro su una sedia a rotelle. (Garlaschelli era meno felice di spingere le sedia in mezzo all’erba sotto il sole estivo).
- A un paio di metri dal picchetto, il sig. P. M. scendeva dalla carrozzina, era condotto sopra il picchetto stesso col sole alle spalle (condizione da lui richiesta) ed emetteva la sua risposta percependo il movimento della bacchetta che teneva tra le mani.
- La risposta era immediatamente riportata da Simone Angioni, che era accanto a Garlaschelli e al sig. P. M., su un apposito foglio mentre Garlaschelli, sventolando un fazzoletto rosso o bianco, indicava alla testimone a bordo campo la risposta data (rosso=acqua; bianco=non acqua). Non era necessario estrarre il picchetto per scoprire il colore della punta, poiché si sapeva già se esso indicava presenza di acqua o meno.
- La correttezza o meno della risposta non era comunicata al sig. P. M., che veniva riportato al punto base a bordo campo per la prossima prova.
Furono eseguite 20 prove ottenendo 9 risposte esatte e 11 errate.
Il rabdomante aveva ogni volta il 50% delle probabilità di indovinare. Dunque il caso prevedeva circa 10 risposte esatte su 20, mentre – come detto – se ne richiedevano almeno 16 per avere la probabilità dell'1% che le risposte non fossero dovute al caso.
Il test quindi non fu superato.
Terminate le prove, durate in totale un paio di ore, furono confrontate le tabelle per essere certi che non vi fossero stati errori e i risultati furono comunicati al signor P. M. il quale, non troppo deluso, stappò una bottiglia di spumante proponendo comunque un brindisi.
Dopo una giornata sotto un forte sole battente, ci concedemmo una lunga e cordiale chiacchierata col sig. P. M., il quale spiegò che a luglio è difficile trovare l’acqua perché essa è presente in grandi quantità; il periodo ideale per una prova del genere sarebbe stato ottobre quando l’acqua scarseggia.
Tuttavia si deve notare che il campo dove si svolse la prova è situato su un ex terreno paludoso ed è costantemente drenato da tubi che trasportano migliaia di litri di acqua al minuto; quindi a rigor di logica il rabdomante avrebbe dovuto percepire acqua dovunque. La prova, tuttavia, non aveva lo scopo di stabilire dove era presente o meno l’acqua ma, come specificato anche nel protocollo, si trattava solo di una verifica della coerenza di risposte fornite.
Il sig. P. M. ci salutò entusiasta del lavoro del CICAP, della gentilezza e della serietà nel fornire un protocollo rigoroso e totalmente rispettoso delle esigenze dell’esaminato. Ringraziammo a nostra volta il signor P. M. per la disponibilità mostrata e per la sua capacità di accettare il fallimento della prova, mantenendo inalterata la fiducia nel CICAP e nel suo lavoro.
Note
1) Rabdomanzia. La ricerca dell'acqua e di altri tesori nascosti.
di Luigi Garlaschelli, Andrea Albini . Avverbi, 2005.