La storia di Rom Houben ha fatto scalpore. Belga, 46 anni, da 23 anni in coma, improvvisamente inizia a comunicare con il mondo esterno; quasi un miracolo. “Io urlavo, ma nessuno mi sentiva” ha titolato Il Corriere della Sera e La Stampa: “Urlavo dal silenzio del coma”, mentre Panorama si è lanciato in un cinematografico “Risvegli: L’uomo che nacque due volte”. Su Medicina & Vita si legge: “La scienza s’inchina alla vita”, accanto all’interrogativo “Se Eluana fosse stata come Rom?”. E così via filosofeggiando senza approfondire.
Vediamo i fatti: per un incidente automobilistico nel 1983 Rom entra in uno stato di coma vegetativo e trattato come tale. Molti anni dopo (Luglio, 2009) un neurologo belga, Steven Laureys, e la sua equipe pubblicano un lavoro scientifico sulla rivista BMC-Neurology in cui avanzano il sospetto che alcuni pazienti diagnosticati in stato vegetativo, cioè in coma molto grave, siano in realtà affetti da una forma di coma più lieve, tecnicamente nota come “minimally conscious state”. In questo articolo non si parla di Rom, ma di un gruppo di 103 pazienti in coma seguiti nel tempo. L’articolo è interessante e pone un problema serio, quello degli errori diagnostici nei vari stati di coma. Lo stesso neurologo, servendosi di sofisticati strumenti di neuro immagini, ha poi supposto che Rom fosse in realtà affetto da una Locked-in Syndrome, che fu descritta da Dumas nel suo Conte di Montecristo come “un corpo morto con occhi vivi”, e che è stata portata all’attenzione dei neurologi e dei rianimatori da Plum e Posner, che l’hanno anche battezzata così come oggi la conosciamo. Questa sindrome, nota anche come sindrome del sepolto vivo, è caratterizzata da una paralisi completa dei quattro arti e della muscolatura del viso, eccetto i movimenti oculari, che sono possibili. La caratteristica nodale però è che la persona affetta è, almeno parzialmente, cosciente: un vero terrore.
Il punto che interessa la nostra discussione, quello ripreso dai giornali e dai periodici, è la capacità del paziente di comunicare con l’esterno. Dopo 23 anni di coma.
Ma, c’è un “ma”. Questa comunicazione si verifica per mezzo di una tecnica chiamata “Facilitated Communication”. Funziona così: un facilitatore guida il dito paralizzato del paziente su una tastiera, o su uno schermo, e aiuta il paziente a scrivere i suoi pensieri. La pratica è stata originariamente proposta per aiutare persone gravemente autistiche. Il problema è che ogni volta che è stata controllata, era chiaro che era il facilitatore medesimo a scrivere, non a tradurre il pensiero della persona con difficoltà motorie. La tecnica è stata sconfessata da ogni società accademica o medica, e viene interpretata come un effetto Ouija: come in una seduta spiritica, l’interprete sceglie cosa far dire ai fantasmi, nel caso in questione alle persone in coma.
Il sospetto che questo sia ciò che si verifica viene amplificato guardando il video di come Rom riesce a comunicare. Guardatelo voi stessi: http://qurl.com/coma . Come potete vedere, la facilitatrice scrive velocissima alla tastiera trascinando il dito del paziente, che però ha gli occhi chiusi e la testa piegata di lato. Insomma, gli dà una mano a resuscitare. Difficile immaginare che il paziente le trasmetta il suo pensiero e sia lui a battere i tasti “aiutato”.
Ne consegue che, prima di usare il caso di Rom in una discussione etica sull’eutanasia, dovremmo aspettare la conferma che il paziente davvero comunica con l’ esterno attraverso la tastiera speciale. Per intanto ne dubitiamo, invitando tutti i commentatori a trovare il tempo di leggere le fonti originarie prima di gridare al miracolo.
Per chi ne volesse sapere di più, direttamente dalle fonti:
Vediamo i fatti: per un incidente automobilistico nel 1983 Rom entra in uno stato di coma vegetativo e trattato come tale. Molti anni dopo (Luglio, 2009) un neurologo belga, Steven Laureys, e la sua equipe pubblicano un lavoro scientifico sulla rivista BMC-Neurology in cui avanzano il sospetto che alcuni pazienti diagnosticati in stato vegetativo, cioè in coma molto grave, siano in realtà affetti da una forma di coma più lieve, tecnicamente nota come “minimally conscious state”. In questo articolo non si parla di Rom, ma di un gruppo di 103 pazienti in coma seguiti nel tempo. L’articolo è interessante e pone un problema serio, quello degli errori diagnostici nei vari stati di coma. Lo stesso neurologo, servendosi di sofisticati strumenti di neuro immagini, ha poi supposto che Rom fosse in realtà affetto da una Locked-in Syndrome, che fu descritta da Dumas nel suo Conte di Montecristo come “un corpo morto con occhi vivi”, e che è stata portata all’attenzione dei neurologi e dei rianimatori da Plum e Posner, che l’hanno anche battezzata così come oggi la conosciamo. Questa sindrome, nota anche come sindrome del sepolto vivo, è caratterizzata da una paralisi completa dei quattro arti e della muscolatura del viso, eccetto i movimenti oculari, che sono possibili. La caratteristica nodale però è che la persona affetta è, almeno parzialmente, cosciente: un vero terrore.
Il punto che interessa la nostra discussione, quello ripreso dai giornali e dai periodici, è la capacità del paziente di comunicare con l’esterno. Dopo 23 anni di coma.
Ma, c’è un “ma”. Questa comunicazione si verifica per mezzo di una tecnica chiamata “Facilitated Communication”. Funziona così: un facilitatore guida il dito paralizzato del paziente su una tastiera, o su uno schermo, e aiuta il paziente a scrivere i suoi pensieri. La pratica è stata originariamente proposta per aiutare persone gravemente autistiche. Il problema è che ogni volta che è stata controllata, era chiaro che era il facilitatore medesimo a scrivere, non a tradurre il pensiero della persona con difficoltà motorie. La tecnica è stata sconfessata da ogni società accademica o medica, e viene interpretata come un effetto Ouija: come in una seduta spiritica, l’interprete sceglie cosa far dire ai fantasmi, nel caso in questione alle persone in coma.
Il sospetto che questo sia ciò che si verifica viene amplificato guardando il video di come Rom riesce a comunicare. Guardatelo voi stessi: http://qurl.com/coma . Come potete vedere, la facilitatrice scrive velocissima alla tastiera trascinando il dito del paziente, che però ha gli occhi chiusi e la testa piegata di lato. Insomma, gli dà una mano a resuscitare. Difficile immaginare che il paziente le trasmetta il suo pensiero e sia lui a battere i tasti “aiutato”.
Ne consegue che, prima di usare il caso di Rom in una discussione etica sull’eutanasia, dovremmo aspettare la conferma che il paziente davvero comunica con l’ esterno attraverso la tastiera speciale. Per intanto ne dubitiamo, invitando tutti i commentatori a trovare il tempo di leggere le fonti originarie prima di gridare al miracolo.
Per chi ne volesse sapere di più, direttamente dalle fonti:
- Hyman R. (2007) Ouija, dowsing and other seductions of ideomotor action. In: S. Della Sala (ed.) Tall Tales. New York: Oxford University Press., Ch. 25, pp. 411-424.
- Plum F. and Posner J.B. (1966). The diagnosis of stupor and coma. F.A. Davis Co. Philadelphia, Pennsylvania, USA.
- Schnakers C, Vanhaudenhuyse A, Giacino J, Ventura M, Boly M, Majerus S, Moonen G and Laureys S (2009). Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment. BMC Neurology, 9: 35