Scriveva Cicerone nel suo De Divinatione: "Io non conosco alcun popolo, civile e colto o selvaggio e barbaro, che non creda che il futuro possa esserci rivelato e che alcuni possano intuirlo e predirlo!" A tale scopo l'uomo è ricorso a indovini, veggenti, profeti, pizie e sibille, auguri e aruspici, druidi e magi, chiromanti e cartomanti, sfere di cristallo e fondi di tè, interpreti dei sogni e, soprattutto, astrologi. Tuttora, numerose pseudoscienze promettono di soddisfare questa irrefrenabile aspirazione, rendendola a pieno titolo materia di studio per il CICAP.
Va subito detto che, ad intorbidire le acque, sussiste da sempre una ambiguità linguistica – ma di fatto concettuale – relativa alla parola "futuro", con la quale si può indicare sia che cosa "potrebbe accadere", sia che cosa "realmente accadrà". La differenza tra i due significati è fondamentale, se si pensa al motivo per cui vorremmo conoscere in anticipo gli eventi: trarne vantaggio o, almeno, evitare sciagure. Nella prima accezione, infatti, il futuro rivelato è uno scenario potenziale, nel quale c'è ancora spazio per decidere a ragion veduta; nella seconda è invece proprio "ciò che avverrà" e, in quanto tale, nulla e nessuno può modificarlo. Ammesso – e decisamente non concesso – che qualcuno possa conoscerlo preventivamente, il futuro "del secondo tipo" è immutabile quanto il passato, altrimenti non sarebbe "il" futuro, ma uno dei tanti possibili futuri!
Chiariamoci con un esempio. Qualche anno fa, ebbe grande successo un romanzo di Tiziano Terzani dal titolo Un indovino mi disse, all'inizio del quale un santone rivela al protagonista – un reporter internazionale molto somigliante all'autore stesso - che perirà in un incidente aereo, entro un anno. Turbato da questa notizia, il giornalista evita quindi per un intero anno di volare, pur dovendo affrontare notevoli disagi, e in tal modo scampa felicemente alla morte e impara ad apprezzare i ritmi di vita orientali. Per essere più convincente il racconto dice poi che effettivamente un aereo, sul quale il nostro sarebbe salito se non fosse stato avvisato, è precipitato, uccidendo i suoi occupanti. Il tutto non sta logicamente in piedi: dal momento che il reporter non ha preso quel volo, né nessun altro, perché l'indovino dovrebbe averlo visto coinvolto nell'incidente, quando invece, al momento del disastro, egli si trovava su un treno, a migliaia di chilometri di distanza? E se il protagonista, un po' meno egocentrico, si fosse premurato di mettere in guardia passeggeri e piloti, tutti come lui fiduciosi negli indovini, quell'aereo non sarebbe nemmeno decollato! Che cosa aveva visto allora l'indovino? Non certo "il" futuro! O forse il santone vede tutti i futuri possibili? Avrebbe un bel daffare, perché in qualunque istante vi è una moltitudine – in pratica un'infinità – di potenziali futuri, come ogni lieve differenza nel rimbalzo del pallone da luogo ad altrettante diverse partite di calcio! Tra questi "futuri del primo tipo", ve ne sarebbero stati certamente anche molti in cui quell'aereo avrebbe portato tranquillamente a termine il proprio viaggio, Terzani compreso! Quella dell'indovino, allora, più che una divinazione sarebbe stata una generica raccomandazione alla prudenza, di quelle che sono solite fare le mamme ai figli in procinto di mettersi in viaggio! Ma non ne sarebbe uscito un successo editoriale!
L'insidioso equivoco tra i due significati permane anche nella definizione di "futuro" riportata dal dizionario Devoto-Oli 2008: "Quanto, nell'ambito della verosimiglianza e della possibilità, dovrà accadere". Quel perentorio "dovrà" sembrerebbe indicare l'interpretazione del secondo tipo: ciò che "effettivamente accadrà"! Ma la frasetta compresa tra le virgole, che invece tira in ballo "verosimiglianza e possibilità", ricorda piuttosto un futuro del primo tipo: quello potenziale e quindi, in qualche modo, ancora modificabile!
Gli indovini di ogni epoca hanno sempre giocato su questa ambiguità: "Ciò che io ti dirò è il futuro, poiché questo mi hai chiesto" essi affermano solennemente, facendo intendere che si tratti di quello del secondo tipo, unico e vero. "Tu, regolati in proposito". Ma, con questo suggerimento, di fatto ammettono che il loro responso descrive invece uno dei futuri possibili, del primo tipo. Infatti, se io posso cambiarlo o approfittarne, possono farlo anche altre volontà oppure l'onnipresente caso: quindi non è più "ciò che accadrà"! Ma se i veggenti dichiarassero di fare delle previsioni – e non delle profezie – perderebbero il loro carisma: ciascuno di noi incessantemente ne fa, ben sapendo che non sono certezze. E meno male che è così, poiché nulla sarebbe frustrante (o angosciante, in caso di prospettive infauste) quanto attendere impotenti un futuro noto, ma assolutamente inevitabile!
Gli antichi greci avevano immaginato il futuro nelle mani del fato, al quale nemmeno gli dei potevano opporsi; ma non furono affatto "fatalisti": i loro eroi insegnarono a combattere ugualmente, fino in fondo, le proprie epiche battaglie!
Torniamo all'oggi ed alla visione scientifica del mondo. Essa afferma che il futuro "non è rigorosamente prevedibile", da nessuno: vuoi per il numero e la complessità delle possibili cause, vuoi per l'incidenza di eventi casuali (cioè al di là delle nostre capacità di tenerne conto, se non statisticamente), vuoi per i limiti di precisione delle misure o per le tolleranze di lavorazione, vuoi infine – anche in linea di principio – per l'indeterminazione quantistica, sia pure apprezzabile solo a livello di particelle elementari. Possiamo invece – ed è quello che scienza e tecnica fanno – esprimere delle "ragionevoli previsioni" sui comportamenti della materia, anche animata, realizzando in tal modo macchine che funzionano, processi che conducono al prodotto desiderato, farmaci o interventi che limitano il dolore o curano le malattie. Ciò equivale a "stabilizzare" il futuro, nei limiti delle nostre possibilità, per altro sempre maggiori con il crescere delle conoscenze e della capacità di avvalersene. Un moderno aereo di linea è costituito da circa un milione di parti, le quali si comporteranno, per decine d'anni e milioni di chilometri, proprio come i progettisti hanno "previsto" che dovessero comportarsi. La rinuncia alle varie pratiche per "vedere il futuro" – per altro dimostratesi del tutto illusorie o truffaldine, se sottoposte a controllo – è stata ben ripagata da una facoltà assai più utile: quella di "determinarlo", sia pure entro certi limiti di precisione e di tempo.
L'importanza della "capacità previsionale" basata sulla conoscenza era stata intuita 25 secoli fa dai soliti greci ed espressa nel mito di Prometeo, che nella loro lingua significava appunto colui che sa prevedere. Egli ne fece dono all'umanità, rubandola dall'Olimpo sotto forma di sacro fuoco, essendo per questo condannato ad un feroce ed eterno supplizio. Grazie ad essa, gli uomini possono essere gli artefici del proprio destino: non con la chiaroveggenza, ma con il sapere; non con ipotetici poteri, ma con la scienza!
Galeazzo Sciarretta
Ingegnere elettronico e biomedico. Attualmente Presidente dell'Accademia delle Scienze di Verona e curatore scientifico della manifestazione Mosaicoscienze. Insieme a Edoardo Boncinelli, è autore del libro Verso l'Immortalità (Raffaello Cortina Editore).
Va subito detto che, ad intorbidire le acque, sussiste da sempre una ambiguità linguistica – ma di fatto concettuale – relativa alla parola "futuro", con la quale si può indicare sia che cosa "potrebbe accadere", sia che cosa "realmente accadrà". La differenza tra i due significati è fondamentale, se si pensa al motivo per cui vorremmo conoscere in anticipo gli eventi: trarne vantaggio o, almeno, evitare sciagure. Nella prima accezione, infatti, il futuro rivelato è uno scenario potenziale, nel quale c'è ancora spazio per decidere a ragion veduta; nella seconda è invece proprio "ciò che avverrà" e, in quanto tale, nulla e nessuno può modificarlo. Ammesso – e decisamente non concesso – che qualcuno possa conoscerlo preventivamente, il futuro "del secondo tipo" è immutabile quanto il passato, altrimenti non sarebbe "il" futuro, ma uno dei tanti possibili futuri!
Chiariamoci con un esempio. Qualche anno fa, ebbe grande successo un romanzo di Tiziano Terzani dal titolo Un indovino mi disse, all'inizio del quale un santone rivela al protagonista – un reporter internazionale molto somigliante all'autore stesso - che perirà in un incidente aereo, entro un anno. Turbato da questa notizia, il giornalista evita quindi per un intero anno di volare, pur dovendo affrontare notevoli disagi, e in tal modo scampa felicemente alla morte e impara ad apprezzare i ritmi di vita orientali. Per essere più convincente il racconto dice poi che effettivamente un aereo, sul quale il nostro sarebbe salito se non fosse stato avvisato, è precipitato, uccidendo i suoi occupanti. Il tutto non sta logicamente in piedi: dal momento che il reporter non ha preso quel volo, né nessun altro, perché l'indovino dovrebbe averlo visto coinvolto nell'incidente, quando invece, al momento del disastro, egli si trovava su un treno, a migliaia di chilometri di distanza? E se il protagonista, un po' meno egocentrico, si fosse premurato di mettere in guardia passeggeri e piloti, tutti come lui fiduciosi negli indovini, quell'aereo non sarebbe nemmeno decollato! Che cosa aveva visto allora l'indovino? Non certo "il" futuro! O forse il santone vede tutti i futuri possibili? Avrebbe un bel daffare, perché in qualunque istante vi è una moltitudine – in pratica un'infinità – di potenziali futuri, come ogni lieve differenza nel rimbalzo del pallone da luogo ad altrettante diverse partite di calcio! Tra questi "futuri del primo tipo", ve ne sarebbero stati certamente anche molti in cui quell'aereo avrebbe portato tranquillamente a termine il proprio viaggio, Terzani compreso! Quella dell'indovino, allora, più che una divinazione sarebbe stata una generica raccomandazione alla prudenza, di quelle che sono solite fare le mamme ai figli in procinto di mettersi in viaggio! Ma non ne sarebbe uscito un successo editoriale!
L'insidioso equivoco tra i due significati permane anche nella definizione di "futuro" riportata dal dizionario Devoto-Oli 2008: "Quanto, nell'ambito della verosimiglianza e della possibilità, dovrà accadere". Quel perentorio "dovrà" sembrerebbe indicare l'interpretazione del secondo tipo: ciò che "effettivamente accadrà"! Ma la frasetta compresa tra le virgole, che invece tira in ballo "verosimiglianza e possibilità", ricorda piuttosto un futuro del primo tipo: quello potenziale e quindi, in qualche modo, ancora modificabile!
Gli indovini di ogni epoca hanno sempre giocato su questa ambiguità: "Ciò che io ti dirò è il futuro, poiché questo mi hai chiesto" essi affermano solennemente, facendo intendere che si tratti di quello del secondo tipo, unico e vero. "Tu, regolati in proposito". Ma, con questo suggerimento, di fatto ammettono che il loro responso descrive invece uno dei futuri possibili, del primo tipo. Infatti, se io posso cambiarlo o approfittarne, possono farlo anche altre volontà oppure l'onnipresente caso: quindi non è più "ciò che accadrà"! Ma se i veggenti dichiarassero di fare delle previsioni – e non delle profezie – perderebbero il loro carisma: ciascuno di noi incessantemente ne fa, ben sapendo che non sono certezze. E meno male che è così, poiché nulla sarebbe frustrante (o angosciante, in caso di prospettive infauste) quanto attendere impotenti un futuro noto, ma assolutamente inevitabile!
Gli antichi greci avevano immaginato il futuro nelle mani del fato, al quale nemmeno gli dei potevano opporsi; ma non furono affatto "fatalisti": i loro eroi insegnarono a combattere ugualmente, fino in fondo, le proprie epiche battaglie!
Torniamo all'oggi ed alla visione scientifica del mondo. Essa afferma che il futuro "non è rigorosamente prevedibile", da nessuno: vuoi per il numero e la complessità delle possibili cause, vuoi per l'incidenza di eventi casuali (cioè al di là delle nostre capacità di tenerne conto, se non statisticamente), vuoi per i limiti di precisione delle misure o per le tolleranze di lavorazione, vuoi infine – anche in linea di principio – per l'indeterminazione quantistica, sia pure apprezzabile solo a livello di particelle elementari. Possiamo invece – ed è quello che scienza e tecnica fanno – esprimere delle "ragionevoli previsioni" sui comportamenti della materia, anche animata, realizzando in tal modo macchine che funzionano, processi che conducono al prodotto desiderato, farmaci o interventi che limitano il dolore o curano le malattie. Ciò equivale a "stabilizzare" il futuro, nei limiti delle nostre possibilità, per altro sempre maggiori con il crescere delle conoscenze e della capacità di avvalersene. Un moderno aereo di linea è costituito da circa un milione di parti, le quali si comporteranno, per decine d'anni e milioni di chilometri, proprio come i progettisti hanno "previsto" che dovessero comportarsi. La rinuncia alle varie pratiche per "vedere il futuro" – per altro dimostratesi del tutto illusorie o truffaldine, se sottoposte a controllo – è stata ben ripagata da una facoltà assai più utile: quella di "determinarlo", sia pure entro certi limiti di precisione e di tempo.
L'importanza della "capacità previsionale" basata sulla conoscenza era stata intuita 25 secoli fa dai soliti greci ed espressa nel mito di Prometeo, che nella loro lingua significava appunto colui che sa prevedere. Egli ne fece dono all'umanità, rubandola dall'Olimpo sotto forma di sacro fuoco, essendo per questo condannato ad un feroce ed eterno supplizio. Grazie ad essa, gli uomini possono essere gli artefici del proprio destino: non con la chiaroveggenza, ma con il sapere; non con ipotetici poteri, ma con la scienza!
Galeazzo Sciarretta
Ingegnere elettronico e biomedico. Attualmente Presidente dell'Accademia delle Scienze di Verona e curatore scientifico della manifestazione Mosaicoscienze. Insieme a Edoardo Boncinelli, è autore del libro Verso l'Immortalità (Raffaello Cortina Editore).