Un lettore scrive: «In rianimazione ho visto tutto quello che si dice a proposito del tunnel di luce, ricordi perfettamente di aver provato fortemente il desiderio di restare "di là", ma sono sicurissimo che tutto ciò non abbia niente di soprannaturale»
Per introdurre la spiegazione è necessario che racconti in breve la mia storia. Ho 43 anni e sono ex tossicodipendente, figlio degli anni ’80, passato per la comunità negli anni ’90 e non completamente riabilitato per alcuni anni successivi, nel senso che, pur senza una forte dipendenza, ho continuato per qualche anno, senza che gravasse pesantemente sulla vita quotidiana, ad assumere le più svariate sostanze.
Nel 2004 sono finito in overdose da metadone, una sera mi sono praticamente addormentato e mi sono risvegliato intubato in rianimazione circa una settimana dopo. Per un errore di valutazione, ho ingerito più metadone di quello che potessi tollerare e sono finito in coma.
A chiamare l’ambulanza è stato mio fratello che mi ha trovato dopo 14 ore, avevo frequenza cardiaca e respiratoria quasi assente e la temperatura del corpo era di 30 gradi. Un record, perché pare che sotto i 32 uno sia già cadavere ma tant’è, sono qui, ce l’ho fatta.
In rianimazione ho visto tutto quello che si dice a proposito del tunnel di luce, mi sono visto dall’alto, ho visto i medici intorno a me, ho provato un senso di pace e calore indescrivibile, ricordo perfettamente di aver provato fortemente il desiderio di restare “di là”, ma sono sicurissimo che tutto ciò non abbia niente di sovrannaturale e soprattutto che non abbia niente a che vedere con l’aldilà.
Ne sono certo proprio perché in virtù di una certa abitudine all’alterazione delle percezioni sensoriali del mio corpo sulla base di sostanze, sono sicuro che quello che ho percepito in quell’occasione sia semplicemente l’effetto di alterazioni di natura fisico-chimica. Non sono sicuro di molte cose, ma ho la piena consapevolezza di saper leggere le sensazioni del mio corpo. Provo a descrivere quello che mi è successo.
Del pre-coma ricordo che ero al computer, un attimo dopo sento, nel buio, una musica techno a basso volume, in lontananza, incessante. Ricordo di essermi chiesto: «ma dove sono?». Sentivo caldo, non vedevo nulla, probabilmente perché ero a occhi chiusi, cercavo di capire il tempo della musica per razionalizzare il contesto in cui mi trovavo. Molto più tardi scoprirò che non si trattava di musica ma del rumore del respiratore artificiale. La mia sensazione era che fossi in una sala di aspetto al buio, non so spiegarmi perché mi immaginassi in una sala d’aspetto ma ricordo di averlo pensato. Dopo un po’ arriva la luce, riesco a vedere tre persone intorno a me, due uomini e una donna, e al contempo sento i battiti del mio cuore aumentare come un tamburo. Li sento nel petto e quasi mi sembra di percepirne il rumore. I tre medici (capisco che sono medici dal camice) parlano fra loro, discutono sulla quantità di un certo farmaco (di cui non ricordo il nome) da somministrarmi. Il cuore impazzisce, penso che se non si sbrigano a somministrarmi quella cosa morirò lì. I battiti aumentano, sembra un mitra, ho una paura tremenda, non ce la faccio più e BUM! un boato, di colpo non sento più nulla, né rumori, né musica, né il mio cuore. All’altezza del mio petto, a una distanza di una trentina di centimetri, si forma un piccolo vortice, sento che sono io che mi sto smaterializzando, mi sto dissolvendo in questo vortice. Come fossi composto da gas percepisco quello che si può definire una levitazione, e mi immagino in una dimensione diversa, sento che sono sospeso in aria, sono circondato da luce bianca intensa. La sensazione è piacevole, non c’è dolore, fa caldo ma non troppo, non ci sono rumori, meglio così che con il cuore a mille. D’un tratto un altro boato, enorme, assordante. Torno sul lettino, il cuore a mille, stesse condizioni. La cosa si ripete tre o quattro volte, vado, torno, rivado e ritorno. Se dovessi quantificare i tempi direi che in questa sospensione ci sono stato per una ventina di secondi alla volta, e qualche minuto con il cuore che mi scoppiava.
Ora, detto questo è facile intuire che con un’esperienza simile, se demandassi tutto al Creatore, se fossi un osservante bigotto, avrei visto l’aldilà. Di fatto mi sento in dovere di precisare che sono del tutto convinto che di reale non ci sia stato assolutamente nulla e che si trattasse di semplici “sensazioni”. Ritengo che, come un decimo di milligrammo di LSD ha il potere di provocare alterazioni sensoriali in una massa corporea di diverse decine di kg, anche un particolare stato psicofisico possa facilmente indurre a percezioni particolari.
«Come fossi composto da gas percepisco quello che si può definire una levitazione, e mi immagino in una dimensione diversa, sento che sono sospeso in aria, sono circondato da luce bianca intensa. La sensazione è piacevole, non c'è dolore, fa caldo ma non troppo, non ci sono rumori, meglio così che con il cuore a mille.»
Alla luce anche dei sogni che si fanno in coma, assolutamente allucinanti, in cui veramente si perde contatto con la realtà (in pratica non si distingue il sogno dalla realtà), è evidente che il coma induce una situazione psichica molto particolare, e non c’è nulla di strano se nei primi momenti di rianimazione il cervello produce certe sensazioni, forti, più acute dei sogni che verranno, probabilmente molto simili per tutti quelli che versano in queste condizioni.
La frase sentita in tv che mi ha spinto a scrivere questa lettera è quella di una sociologa-psicologa che ha detto: «ci sono 15 milioni di persone, dall’aborigeno al manager di Manhattan, che testimoniano tutti la stessa cosa… dobbiamo pensare che qualcosa esiste davvero». Sì, esistono le stesse condizioni per ciascuno di essi. L’aborigeno come il manager vengono rianimati sotto un faro di luce bianca. Dovrebbero provare con un filtro verde e poi farsi raccontare di che colore era il tunnel di luce che hanno visto i resuscitati.
Per poter decifrare quello che succede nei primi momenti di rianimazione dovrebbe essere preso in considerazione quello che si percepisce durante le fasi del risveglio. A me hanno detto che sono stato circa una settimana in coma profondo e altre due in coma assistito, praticamente mi facevano dormire con dei farmaci. Queste due settimane le ricordo come un sogno allucinante continuo, interrotto da alcuni momenti di realtà comunque non vissuti in piena lucidità. I sogni che si fanno in coma sono molto diversi da quelli che si fanno nel sonno. In coma non sono sogni, sono veri, si percepiscono come tali e molto spesso continuano ad occhi aperti. Non mi stupisce affatto che qualcuno scambi la lampada della sala di rianimazione con Dio che chiama.
Fabio Guerrazzi
L’esperienza del signor Guerrazzi è simile a quella resa famosa da innumerevoli riferimenti in testi sul paranormale della signora Pam Reynolds, uno pseudonimo che nasconde la storia vera di una paziente affetta da aneurisma cerebrale (una specie di palloncino che si forma nelle arterie e che può scoppiare con conseguenze devastanti) per il quale fu operata nel 1991. Il racconto della signora è stato più volte considerato la prova definitiva dell’esistenza di un aldilà oltre il tunnel (si veda Light and death di Sabom, 1998). Gerry Woerlee, australiano trapiantato in Olanda, offre invece una spiegazione, accettata dalla maggior parte dei neuroscienziati, più riduttiva e basata interamente sul funzionamento (o malfunzionamento temporaneo) del cervello umano (si veda The Skeptic, la rivista della comunità scettica Britannica, Volume 18, 2005, numero 1, pp. 14-17, e numero 2, pp. 16-20).
Una delle più pregnanti meditazioni sulla morte ci è trasmessa dal poeta inglese Philip Larkin che in Aubade ci ricorda che la morte non ha posa, ed è più vicina oggi di un giorno. E con questo horror vacui dobbiamo confrontarci quotidianamente: «Questa speciale forma di paura/ non nasconde alcun trucco. Ci provava/ la religione, che creò il suo vasto/ broccato musicale, divorato/ oramai dalle tarme, per negare/ che moriremo (Aubade, 1977).
Il sollievo derivante dalle religioni tuttavia si basa su una fede acritica piuttosto che su prove empiriche. Da cui la rilevanza dei fenomeni miracolosi a testimonianza di presenze sovrannaturali. È però chiaro a un numero crescente di persone che quello che ci appare inspiegabile o miracoloso non contraddice le leggi fisiche che conosciamo, ma avviene con leggi fisiche di cui sappiamo ancora poco, individualmente o come conoscenza generale acquisita. I miracoli sono quindi sempre più demodé (nel corso del tempo le apparizioni della Vergine Maria sono inversamente proporzionali agli avvistamenti di UFO) e sono in parte sostituiti da presunte prove scientifiche come i racconti di persone rinvenute da coma profondo, citati quali evidenze che esista una vita oltre la morte. L’esperienza che lei ci riporta è interessante perché riassume un evento relativamente comune nelle sale di rianimazione: il vissuto di persone resuscitate che raccontano del loro viaggio attraverso il “tunnel”. Come spesso accade, mentre il vissuto è comune, la sua interpretazione varia in accordo con il bagaglio di credenze, pregiudizi, speranze, timori, desideri e precedenti esperienze che ognuno di noi ha maturato. Così quello che lei e io interpretiamo come una conseguenza naturale di uno stato cerebrale associato ad arresto cardiaco o anestesia, viene interpretato da altri come la prova dell’esistenza di un aldilà, oltre il tunnel della vita. È utile però ricordare che esperienze simili a quelle che anche lei racconta sono vissute anche da persone la cui vita non è in immediato pericolo, come per esempio piloti in fase di rapida accelerazione, persone affette da psicosi, o consumatori abituali di sostanze psichedeliche quali la N-dimethyltryptamine (DMT), o di allucinogeni, come la ketamina, talvolta usata dagli anestesisti. Inoltre, esperienze simili sono state osservate in seguito a stimolazione dei lobi temporali dell’encefalo durante interventi chirurgici per il trattamento dell’epilessia.
Pim van Lommel, un cardiologo olandese, alcuni anni fa pubblicò con due suoi colleghi (The Lancet, 2001, pp. 2039-45) un interessante lavoro dimostrando che dal 12 al 18 per cento dei pazienti che hanno vissuto un arresto cardiaco a distanza di tempo ricordano episodi simili a quelli del nostro lettore. Gli autori olandesi pongono il quesito se, trattandosi di fenomeni organici, questo vissuto non debba invece riscontrarsi in tutti i pazienti resuscitati. E, pur ammettendo la matrice neurofisiologica del fenomeno, ne sottolineano la straordinarietà. Il lavoro di van Lommel è stato a più riprese criticato per limiti metodologici, ma certamente sottolinea quanto poco sappiamo di noi stessi, della nostra mente e del funzionamento del nostro cervello. Anche se l’argomento che un sintomo dev’essere necessariamente presente in tutti le persone che hanno lo stesso quadro patologico è contraddetto dall’osservazione quotidiana di ogni medico attento.
Racconti come quello del lettore sono spesso considerati la prova dell'esistenza di un aldilà oltre il tunnel.
Potete provare voi stessi a esperire una micro versione dell’OBE. Cercate di ricordare quando l’estate scorsa eravate su una spiaggia, sdraiati comodamente al sole, immaginatevi la scena: molti di voi “vedranno” se stessi sulla sdraio, una memoria visiva impossibile, un’OBE mnestica!
I lettori interessati alla fenomenologia dell’OBE possono anche consultare la rivista di neuropsicologia Cortex che nel numero 1 del 2009 dedicherà una sezione monografica proprio alle neuroscienze dell’OBE (www.elsevier.com/locate/cortex ). La stessa rivista pubblicherà un intero numero (issue 10, 2008) dedicato alle neuroscienze dei fenomeni paranormali, incluse le esperienze di vita oltre la vita, come quella raccontata dal nostro gentile lettore.