Milano. Torniamo a parlare di Vanna Marchi. Durante il processo di febbraio scorso il sostituto procuratore generale Piero De Petris ha chiesto ai giudici della Corte d’Appello una pena di dieci anni e quattro mesi per Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile mentre quattro anni e 19 giorni per Francesco Campana, il compagno della Marchi. Per il mago Mario do Nascimento sono stati invece richiesti quattro anni e due mesi. Gli imputati, ricordiamolo, sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Secondo il procuratore generale le truffe sono una «grande intuizione imprenditoriale e delinquenziale. L’intuizione è stata quella di pensare che se si riesce a creare una struttura, come quella televisiva, per fare leva sulla credulità popolare, si può riuscire a truffare un numero enorme di persone». Secondo De Petris, inoltre, le trasmissioni televisive a cui partecipavano erano «un’esca gettata in mare: si aspetta che il pesce abbocchi ed emerga per poi arpionarlo».
Il 3 aprile 2006 Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile erano state condannate a due anni e sei mesi di reclusione nel processo-bis per truffa aggravata davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Milano: con inoltre l’obbligo di risarcire alcune delle vittime per un ammontare di quasi 40.000 euro. Il 9 maggio dello stesso anno gli imputati furono nuovamente condannati in primo grado dal Tribunale di Milano (stavolta per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata), con condanne rispettivamente di 10, 4 e 10 anni, e al risarcimento delle vittime (oltre 2 milioni di euro). Il risarcimento fu possibile grazie al sequestro di diverse proprietà immobiliari intestate alla figlia Stefania Nobile. Nel frattempo, poco prima dell’ultimo processo, Vanna Marchi è tornata al lavoro ed ha aperto un centro benessere a Carpi in provincia di Modena. E a proposito di risarcimenti: è finita bene per un imprenditore ligure che era caduto nella rete di Marchi & Company. Tutto era iniziato con una crisi economica che ha portato l’imprenditore nel baratro dei debiti e ad una conseguente depressione. Recatosi da Vanna Marchi si era sentito fornire la tipica spiegazione: Malocchio. Da lì il passo successivo è stato breve. E così l’uomo ha iniziato a comperare ogni tipo di oggetto propiziatorio: dalle candele alle pietre, dai numeri del lotto a misteriosi bastoncini di legno. Finché un giorno si è accorto di aver versato ben 25 milioni di lire. I suoi debiti, invece di colmarsi, erano aumentati. Ripresosi dallo choc aveva denunciato il gruppo e, nel frattempo, era iniziato il processo. I giudici del Tribunale di Milano hanno riconosciuto all’imprenditore un risarcimento di 20.000 euro. Bisognerà però aspettare la sentenza definitiva del processo.
Il 3 aprile 2006 Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile erano state condannate a due anni e sei mesi di reclusione nel processo-bis per truffa aggravata davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Milano: con inoltre l’obbligo di risarcire alcune delle vittime per un ammontare di quasi 40.000 euro. Il 9 maggio dello stesso anno gli imputati furono nuovamente condannati in primo grado dal Tribunale di Milano (stavolta per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata), con condanne rispettivamente di 10, 4 e 10 anni, e al risarcimento delle vittime (oltre 2 milioni di euro). Il risarcimento fu possibile grazie al sequestro di diverse proprietà immobiliari intestate alla figlia Stefania Nobile. Nel frattempo, poco prima dell’ultimo processo, Vanna Marchi è tornata al lavoro ed ha aperto un centro benessere a Carpi in provincia di Modena. E a proposito di risarcimenti: è finita bene per un imprenditore ligure che era caduto nella rete di Marchi & Company. Tutto era iniziato con una crisi economica che ha portato l’imprenditore nel baratro dei debiti e ad una conseguente depressione. Recatosi da Vanna Marchi si era sentito fornire la tipica spiegazione: Malocchio. Da lì il passo successivo è stato breve. E così l’uomo ha iniziato a comperare ogni tipo di oggetto propiziatorio: dalle candele alle pietre, dai numeri del lotto a misteriosi bastoncini di legno. Finché un giorno si è accorto di aver versato ben 25 milioni di lire. I suoi debiti, invece di colmarsi, erano aumentati. Ripresosi dallo choc aveva denunciato il gruppo e, nel frattempo, era iniziato il processo. I giudici del Tribunale di Milano hanno riconosciuto all’imprenditore un risarcimento di 20.000 euro. Bisognerà però aspettare la sentenza definitiva del processo.