Cominciamo con un po’ di storia: come nasce l’European Council of Skeptical Organisations (ECSO)?
Tutto parte da una realtà preesistente, l’European Skeptics Congress (ESC), il congresso internazionale in cui gli scettici europei avevano cominciato a incontrarsi nel 1989, e che tra l’altro proprio quest’anno, a maggio, ha festeggiato a Lione la sua ventesima edizione (per inciso, nel 1992 si tenne in Italia, a Saint Vincent, e coincise con il secondo congresso italiano del CICAP). Tuttavia, dopo alcune edizioni dell’ESC emerse l’esigenza di avere uno scambio più frequente e continuativo tra le associazioni, tenuto conto che all’epoca, quando Internet e la posta elettronica erano ancora un fenomeno limitatissimo, la comunicazione avveniva più che altro per lettera. Di conseguenza, e anche a seguito dell’esempio di successo dello CSICOP negli Stati Uniti, si decise di fondare il Consiglio delle Associazioni Scettiche Europee, in sigla inglese ECSO.
Chi sono stati i fondatori e quali erano i principi fondamentali a cui si ispiravano?
La data ufficiale è il 25 settembre 1994, quando, durante la sesta edizione dell’ESC in corso in Belgio, a Ostenda, i rappresentanti di sei gruppi scettici decidono di formalizzare la nascita di un’organizzazione “ombrello” che svolga il ruolo di punto di incontro tra le associazioni scettiche europee, da cui appunto la sigla ECSO, European Council of Skeptical Organisations.
I sei fondatori sono Amardeo Sarma per il GWUP tedesco, Michael Howgate per gli UK Skeptics, Miguel Angel Sabadell per l’ARP spagnolo, Tim Trachet (SKEPP) e Arlette Fougnies (Comité Para), entrambi dal Belgio e Cornelis de Jager per lo Stichting Skepsis olandese, e firmano un manifesto comune in tre punti. Più precisamente, si impegnano a «proteggere il pubblico dalla diffusione di affermazioni e terapie che non sono sottoposte a controllo, e potrebbero quindi costituire un pericolo», «indagare attraverso test ed esperimenti sotto controllo le affermazioni straordinarie che si collocano ai margini del sapere scientifico oppure che lo contraddicono, con particolare riferimento ai fenomeni solitamente identificati come fenomeni “paranormali” o “pseudoscientifici” rendendone pubblici i risultati (con la garanzia di non respingere a priori nessuna affermazione, spiegazione o teoria senza prima una valutazione obiettiva)» e infine a «promuovere la ricerca scientifica, il pensiero critico, l’educazione scientifica e le politiche pubbliche basate sulle buone pratiche nei campi della scienza e della medicina». Infine, l’ECSO si è impegnato a portare avanti l’organizzazione dell’ESC ogni due anni, insieme all’associazione del paese che ospita il congresso.
A trent’anni dalla nascita, come è cambiato l’ECSO?
Anzitutto, attualmente le associazioni che fanno parte del Consiglio sono 14, con una notevole adesione, negli ultimi anni, dei paesi dell’est. Per quel che riguarda lo scopo e i principi del Consiglio non ci sono stati cambiamenti di rilievo, ma di recente abbiamo aggiornato lo statuto per adeguarlo ai cambiamenti normativi intervenuti nel frattempo in Germania, dove è registrata e ha sede legale l’associazione, un po’ come abbiamo dovuto fare da poco con lo statuto del CICAP. Sono stati inseriti degli aggiornamenti legati ai mezzi di comunicazione, per esempio la possibilità di riunirsi e prendere decisioni in remoto, e c’è stato qualche svecchiamento delle formulazioni rispetto a termini divenuti obsoleti, ancora una volta in modo analogo a come abbiamo fatto al CICAP. Nel complesso però si è trattato di un processo di aggiornamento tecnico, mentre i principi su cui si fonda l’associazione sono rimasti invariati.
E invece a livello più generale, che cosa è cambiato nel mondo degli scettici europei?
L’aria di cambiamento che sta invadendo le organizzazioni scettiche europee ha cominciato a spirare qualche anno fa, grosso modo da poco prima della pandemia. Non è stato solo il CICAP, infatti, ad avere cambiato nel tempo obiettivi, metodi e organizzazione, e dove forse la svolta principale è stata sottolineata dal passaggio nel nome da “paranormale” a “pseudoscienza”, cioè il passaggio dal contrasto al dilagare sui media di affermazioni sul paranormale degli anni ’80 a una divulgazione e promozione a più ampio respiro della scienza e del pensiero critico. Il medesimo genere di svolta si sta verificando ora in Europa; in alcuni paesi più velocemente e in altri meno, ma sta avvenendo. Una nuova generazione di scettici sta prendendo in mano l’organizzazione di nuove e vecchie associazioni e dell’ECSO stesso, portando nuova linfa assieme ai nuovi temi.
Questo cambiamento si sente soprattutto all’ESC, il congresso europeo, dove già dal 2019, a fianco di sessioni su temi classici come l’astrologia o la rabdomanzia, ci sono state sessioni dedicate ai nuovi temi legati più alla scienza e alle pseudoscienze, per esempio su fonti energetiche e agricoltura. L’unico tema che a quanto pare purtroppo non passa mai di moda è l’omeopatia, e in generale il problema delle pseudomedicine.
Quindi non è un caso se tra i temi trattati a Lione è comparso un argomento “difficile” come il nucleare?
Non è affatto un caso, anzi, è la seconda volta che lo affrontiamo all’ESC, e mi sembra molto interessante che la comunità scettica voglia occuparsi di nucleare per cercare di riportare il discorso pubblico in Europa a confrontarsi scientificamente con l’argomento. Va detto che su questo ha molto pesato quello che sta succedendo in Germania e la posizione in merito degli scettici tedeschi. Lì le centrali nucleari le avevano e il governo le sta dismettendo, non per motivi scientifici ma solo per motivi populistici, secondo gli scettici, i quali quindi combattono per far cambiare l’opinione popolare attorno al nucleare, spingendo verso scelte più informate e razionali. Di nucleare, per la verità, ho provato a parlarne anche al CICAP, ma ho registrato il timore di essere confusi all’esterno con alcune realtà nazionali che, specie negli anni scorsi, hanno affrontato il tema con un taglio forse troppo propagandistico.
Questo ci porta al punto sensibile dei rapporti tra mondo scettico e politica e delle scelte sulla posizione da prendere nel dibattito pubblico.
Si tratta di un problema molto sentito, a cui già due anni fa all’ESC abbiamo dedicato una sessione, nella quale si è parlato anche dei possibili rapporti con l’Unione Europea. L’esigenza di entrare in qualche misura nella politica e nel discorso pubblico è sentita un po’ da tutti, anche se è più marcata nei paesi dell’est, dove ci sono politiche di estrema destra, antiscientifiche, negazioniste sul clima, le vaccinazioni, eccetera: il presidente dell’associazione scettica ungherese, András G. Pintér, si è addirittura candidato alle elezioni con un partito di universitari che hanno cercato di contrastare quello di Orbán. La grande domanda è se passando da un’iniziativa scettica a una posizione di attivismo non si corra il rischio di perdere l’impegno al rispetto del rigore scientifico: è successo per esempio in Germania, dove agli eventi sul nucleare a volte le associazioni scettiche hanno portato personaggi legati alla propaganda di parte più che alla scienza.
Su questo tema è in corso un dibattito molto acceso nel mondo dello scetticismo europeo. C’è chi spinge per “scendere in campo” ed entrare in politica e chi invece vuole mantenere una posizione esterna ai partiti e alla politica, assumere una posizione super partes e limitarsi a presentare il parere scientifico. A questo si controbatte che fornire quel parere non spetta a un’associazione scettica, ma alla comunità scientifica, il che però apre il problema di quale può essere allora il ruolo degli scettici.
Un altro argomento a favore di un maggiore attivismo è che ci sono realtà del mondo della comunicazione scientifica, per esempio Sense about science, che hanno aperto un dialogo diretto con le istituzioni europee e che quindi cercare di portare una voce scettica all’interno del Parlamento Europeo è possibile. Anche in questo caso, però, sorge un problema che per esempio è stato sollevato all’ESC da persone che hanno partecipato a quelle attività di dialogo. In realtà, è stato detto, i parlamentari europei, dopo aver ascoltato e applaudito, una volta usciti dall’aula seguono ciascuno i propri interessi e le proprie priorità; andare a “istruirli” non serve a nulla perché tanto chi viene ad ascoltare poi obbedirà a direttive di convenienza.
In sintesi, la discussione gira intorno a questi due punti: da un lato c’è quest’idea bella delle associazioni scettiche che vanno a portare i contenuti e le istanze della comunicazione scientifica al Parlamento Europeo e dall’altro lato il timore che questo non serva a nulla o sia persino controproducente. È una questione non banale, su cui ci si è interrogati e ci si sta interrogando ancora, sia all’interno di alcune associazioni, incluso il CICAP, sia a livello europeo, benché le due posizioni in effetti non siano in equilibrio: l’orientamento attuale, nel suo complesso, sembra andare più verso l’idea di un maggiore attivismo, sostenuta sia dai paesi dell’est, sia dagli scettici tedeschi, per le ragioni già citate per entrambi i casi.
Nelle grandi linee, quali sono le differenze tra le associazioni scettiche in Europa e quali gli elementi in comune?
Ogni paese ha la sua specificità, quindi ci sono somiglianze e ci sono diversità. I francesi, per esempio, hanno un percorso più simile a quello italiano e lo stesso vale per i tedeschi, anche se sono un po’ più attivisti di noi, riuscendo a coinvolgere anche associazioni di professionisti esterne all’ambiente scettico (vedi i gruppi di promozione del nucleare o l’INH, associazione di medici mobilitati contro l’omeopatia, che ha ottenuto l’enorme risultato di far estromettere l’omeopatia dal servizio sanitario nazionale tedesco). Noi del CICAP ci distinguiamo come capacità di raccogliere volontari e come organizzazione sul territorio, però non siamo bravi altrettanto nella raccolta fondi: ci sono associazioni che, in proporzione, hanno più soci “paganti” (Svezia, Francia) o maggiori contributi statali (Germania), o ancora riescono a vendere un maggior numero di copie della loro rivista (di nuovo Francia, o Inghilterra). Con l’Inghilterra in realtà non è facile fare confronti perché non esiste un’unica associazione di carattere nazionale: ci sono tanti piccoli gruppi indipendenti che fanno però singole cose fatte bene — per citarne solo una molto di rilievo, a Manchester organizzano la conferenza QED, evento di riferimento per scettici da tutta Europa — mentre la principale rivista di riferimento è The Skeptic, supportata più da una redazione di scettici di più associazioni che da una associazione nazionale come Query dal Cicap. Gli scettici inglesi spiegano la loro particolarità dicendo di essere molto individualisti e più bravi a lavorare da soli con il loro gruppetto piuttosto che a coordinarsi su tutto il territorio nazionale, come invece sappiamo fare noi.
Le maggiori differenze probabilmente sono con i paesi dell’est, dove spesso le associazioni hanno un carattere più secolarista, più laico, che scettico in senso stretto. Bisogna sempre ricordare che mentre in Italia, e in Europa occidentale in generale, viviamo in uno stato sostanzialmente laico, i paesi dell’est subiscono molto più di noi le ingerenze della religione nel governo e nello Stato, a tutti i livelli. Dove la presenza della religione nelle istituzioni, e nella cultura in generale, ha molto peso, per le associazioni scettiche è vitale parlare di laicità e concentrare il proprio impegno in quella direzione.
Ma al di là di questi aspetti, nella comunità scettica europea siamo tanto diversi quanto alla fine spinti dalle stesse leve. Evolvono le modalità, cambiano alcuni temi, sono diverse le culture, la storia e la lingua, ma quello che conta, i valori e le motivazioni che ci spingono a portare avanti questa nostra “inutile ma essenziale” battaglia, sono esattamente gli stessi e sono ciò che ci consente di continuare a farlo insieme.
Tutto parte da una realtà preesistente, l’European Skeptics Congress (ESC), il congresso internazionale in cui gli scettici europei avevano cominciato a incontrarsi nel 1989, e che tra l’altro proprio quest’anno, a maggio, ha festeggiato a Lione la sua ventesima edizione (per inciso, nel 1992 si tenne in Italia, a Saint Vincent, e coincise con il secondo congresso italiano del CICAP). Tuttavia, dopo alcune edizioni dell’ESC emerse l’esigenza di avere uno scambio più frequente e continuativo tra le associazioni, tenuto conto che all’epoca, quando Internet e la posta elettronica erano ancora un fenomeno limitatissimo, la comunicazione avveniva più che altro per lettera. Di conseguenza, e anche a seguito dell’esempio di successo dello CSICOP negli Stati Uniti, si decise di fondare il Consiglio delle Associazioni Scettiche Europee, in sigla inglese ECSO.
Chi sono stati i fondatori e quali erano i principi fondamentali a cui si ispiravano?
La data ufficiale è il 25 settembre 1994, quando, durante la sesta edizione dell’ESC in corso in Belgio, a Ostenda, i rappresentanti di sei gruppi scettici decidono di formalizzare la nascita di un’organizzazione “ombrello” che svolga il ruolo di punto di incontro tra le associazioni scettiche europee, da cui appunto la sigla ECSO, European Council of Skeptical Organisations.
I sei fondatori sono Amardeo Sarma per il GWUP tedesco, Michael Howgate per gli UK Skeptics, Miguel Angel Sabadell per l’ARP spagnolo, Tim Trachet (SKEPP) e Arlette Fougnies (Comité Para), entrambi dal Belgio e Cornelis de Jager per lo Stichting Skepsis olandese, e firmano un manifesto comune in tre punti. Più precisamente, si impegnano a «proteggere il pubblico dalla diffusione di affermazioni e terapie che non sono sottoposte a controllo, e potrebbero quindi costituire un pericolo», «indagare attraverso test ed esperimenti sotto controllo le affermazioni straordinarie che si collocano ai margini del sapere scientifico oppure che lo contraddicono, con particolare riferimento ai fenomeni solitamente identificati come fenomeni “paranormali” o “pseudoscientifici” rendendone pubblici i risultati (con la garanzia di non respingere a priori nessuna affermazione, spiegazione o teoria senza prima una valutazione obiettiva)» e infine a «promuovere la ricerca scientifica, il pensiero critico, l’educazione scientifica e le politiche pubbliche basate sulle buone pratiche nei campi della scienza e della medicina». Infine, l’ECSO si è impegnato a portare avanti l’organizzazione dell’ESC ogni due anni, insieme all’associazione del paese che ospita il congresso.
A trent’anni dalla nascita, come è cambiato l’ECSO?
Anzitutto, attualmente le associazioni che fanno parte del Consiglio sono 14, con una notevole adesione, negli ultimi anni, dei paesi dell’est. Per quel che riguarda lo scopo e i principi del Consiglio non ci sono stati cambiamenti di rilievo, ma di recente abbiamo aggiornato lo statuto per adeguarlo ai cambiamenti normativi intervenuti nel frattempo in Germania, dove è registrata e ha sede legale l’associazione, un po’ come abbiamo dovuto fare da poco con lo statuto del CICAP. Sono stati inseriti degli aggiornamenti legati ai mezzi di comunicazione, per esempio la possibilità di riunirsi e prendere decisioni in remoto, e c’è stato qualche svecchiamento delle formulazioni rispetto a termini divenuti obsoleti, ancora una volta in modo analogo a come abbiamo fatto al CICAP. Nel complesso però si è trattato di un processo di aggiornamento tecnico, mentre i principi su cui si fonda l’associazione sono rimasti invariati.
E invece a livello più generale, che cosa è cambiato nel mondo degli scettici europei?
L’aria di cambiamento che sta invadendo le organizzazioni scettiche europee ha cominciato a spirare qualche anno fa, grosso modo da poco prima della pandemia. Non è stato solo il CICAP, infatti, ad avere cambiato nel tempo obiettivi, metodi e organizzazione, e dove forse la svolta principale è stata sottolineata dal passaggio nel nome da “paranormale” a “pseudoscienza”, cioè il passaggio dal contrasto al dilagare sui media di affermazioni sul paranormale degli anni ’80 a una divulgazione e promozione a più ampio respiro della scienza e del pensiero critico. Il medesimo genere di svolta si sta verificando ora in Europa; in alcuni paesi più velocemente e in altri meno, ma sta avvenendo. Una nuova generazione di scettici sta prendendo in mano l’organizzazione di nuove e vecchie associazioni e dell’ECSO stesso, portando nuova linfa assieme ai nuovi temi.
Questo cambiamento si sente soprattutto all’ESC, il congresso europeo, dove già dal 2019, a fianco di sessioni su temi classici come l’astrologia o la rabdomanzia, ci sono state sessioni dedicate ai nuovi temi legati più alla scienza e alle pseudoscienze, per esempio su fonti energetiche e agricoltura. L’unico tema che a quanto pare purtroppo non passa mai di moda è l’omeopatia, e in generale il problema delle pseudomedicine.
Quindi non è un caso se tra i temi trattati a Lione è comparso un argomento “difficile” come il nucleare?
Non è affatto un caso, anzi, è la seconda volta che lo affrontiamo all’ESC, e mi sembra molto interessante che la comunità scettica voglia occuparsi di nucleare per cercare di riportare il discorso pubblico in Europa a confrontarsi scientificamente con l’argomento. Va detto che su questo ha molto pesato quello che sta succedendo in Germania e la posizione in merito degli scettici tedeschi. Lì le centrali nucleari le avevano e il governo le sta dismettendo, non per motivi scientifici ma solo per motivi populistici, secondo gli scettici, i quali quindi combattono per far cambiare l’opinione popolare attorno al nucleare, spingendo verso scelte più informate e razionali. Di nucleare, per la verità, ho provato a parlarne anche al CICAP, ma ho registrato il timore di essere confusi all’esterno con alcune realtà nazionali che, specie negli anni scorsi, hanno affrontato il tema con un taglio forse troppo propagandistico.
Questo ci porta al punto sensibile dei rapporti tra mondo scettico e politica e delle scelte sulla posizione da prendere nel dibattito pubblico.
Si tratta di un problema molto sentito, a cui già due anni fa all’ESC abbiamo dedicato una sessione, nella quale si è parlato anche dei possibili rapporti con l’Unione Europea. L’esigenza di entrare in qualche misura nella politica e nel discorso pubblico è sentita un po’ da tutti, anche se è più marcata nei paesi dell’est, dove ci sono politiche di estrema destra, antiscientifiche, negazioniste sul clima, le vaccinazioni, eccetera: il presidente dell’associazione scettica ungherese, András G. Pintér, si è addirittura candidato alle elezioni con un partito di universitari che hanno cercato di contrastare quello di Orbán. La grande domanda è se passando da un’iniziativa scettica a una posizione di attivismo non si corra il rischio di perdere l’impegno al rispetto del rigore scientifico: è successo per esempio in Germania, dove agli eventi sul nucleare a volte le associazioni scettiche hanno portato personaggi legati alla propaganda di parte più che alla scienza.
Su questo tema è in corso un dibattito molto acceso nel mondo dello scetticismo europeo. C’è chi spinge per “scendere in campo” ed entrare in politica e chi invece vuole mantenere una posizione esterna ai partiti e alla politica, assumere una posizione super partes e limitarsi a presentare il parere scientifico. A questo si controbatte che fornire quel parere non spetta a un’associazione scettica, ma alla comunità scientifica, il che però apre il problema di quale può essere allora il ruolo degli scettici.
Un altro argomento a favore di un maggiore attivismo è che ci sono realtà del mondo della comunicazione scientifica, per esempio Sense about science, che hanno aperto un dialogo diretto con le istituzioni europee e che quindi cercare di portare una voce scettica all’interno del Parlamento Europeo è possibile. Anche in questo caso, però, sorge un problema che per esempio è stato sollevato all’ESC da persone che hanno partecipato a quelle attività di dialogo. In realtà, è stato detto, i parlamentari europei, dopo aver ascoltato e applaudito, una volta usciti dall’aula seguono ciascuno i propri interessi e le proprie priorità; andare a “istruirli” non serve a nulla perché tanto chi viene ad ascoltare poi obbedirà a direttive di convenienza.
In sintesi, la discussione gira intorno a questi due punti: da un lato c’è quest’idea bella delle associazioni scettiche che vanno a portare i contenuti e le istanze della comunicazione scientifica al Parlamento Europeo e dall’altro lato il timore che questo non serva a nulla o sia persino controproducente. È una questione non banale, su cui ci si è interrogati e ci si sta interrogando ancora, sia all’interno di alcune associazioni, incluso il CICAP, sia a livello europeo, benché le due posizioni in effetti non siano in equilibrio: l’orientamento attuale, nel suo complesso, sembra andare più verso l’idea di un maggiore attivismo, sostenuta sia dai paesi dell’est, sia dagli scettici tedeschi, per le ragioni già citate per entrambi i casi.
Nelle grandi linee, quali sono le differenze tra le associazioni scettiche in Europa e quali gli elementi in comune?
Ogni paese ha la sua specificità, quindi ci sono somiglianze e ci sono diversità. I francesi, per esempio, hanno un percorso più simile a quello italiano e lo stesso vale per i tedeschi, anche se sono un po’ più attivisti di noi, riuscendo a coinvolgere anche associazioni di professionisti esterne all’ambiente scettico (vedi i gruppi di promozione del nucleare o l’INH, associazione di medici mobilitati contro l’omeopatia, che ha ottenuto l’enorme risultato di far estromettere l’omeopatia dal servizio sanitario nazionale tedesco). Noi del CICAP ci distinguiamo come capacità di raccogliere volontari e come organizzazione sul territorio, però non siamo bravi altrettanto nella raccolta fondi: ci sono associazioni che, in proporzione, hanno più soci “paganti” (Svezia, Francia) o maggiori contributi statali (Germania), o ancora riescono a vendere un maggior numero di copie della loro rivista (di nuovo Francia, o Inghilterra). Con l’Inghilterra in realtà non è facile fare confronti perché non esiste un’unica associazione di carattere nazionale: ci sono tanti piccoli gruppi indipendenti che fanno però singole cose fatte bene — per citarne solo una molto di rilievo, a Manchester organizzano la conferenza QED, evento di riferimento per scettici da tutta Europa — mentre la principale rivista di riferimento è The Skeptic, supportata più da una redazione di scettici di più associazioni che da una associazione nazionale come Query dal Cicap. Gli scettici inglesi spiegano la loro particolarità dicendo di essere molto individualisti e più bravi a lavorare da soli con il loro gruppetto piuttosto che a coordinarsi su tutto il territorio nazionale, come invece sappiamo fare noi.
Le maggiori differenze probabilmente sono con i paesi dell’est, dove spesso le associazioni hanno un carattere più secolarista, più laico, che scettico in senso stretto. Bisogna sempre ricordare che mentre in Italia, e in Europa occidentale in generale, viviamo in uno stato sostanzialmente laico, i paesi dell’est subiscono molto più di noi le ingerenze della religione nel governo e nello Stato, a tutti i livelli. Dove la presenza della religione nelle istituzioni, e nella cultura in generale, ha molto peso, per le associazioni scettiche è vitale parlare di laicità e concentrare il proprio impegno in quella direzione.
Ma al di là di questi aspetti, nella comunità scettica europea siamo tanto diversi quanto alla fine spinti dalle stesse leve. Evolvono le modalità, cambiano alcuni temi, sono diverse le culture, la storia e la lingua, ma quello che conta, i valori e le motivazioni che ci spingono a portare avanti questa nostra “inutile ma essenziale” battaglia, sono esattamente gli stessi e sono ciò che ci consente di continuare a farlo insieme.
PAOLA DE GOBBI è stata a lungo caporedattore e social manager della rivista Coelum Astronomia, e attualmente si occupa di comunicazione aziendale. Da sempre appassionata di mistero e di scienza, ha ricoperto vari ruoli nell’amministrazione del CICAP e nella gestione degli eventi. Fa parte del direttivo dell’ECSO in rappresentanza del CICAP