La breve rassegna sul “mondo scettico” che troverete in queste pagine non ha pretese di completezza o di sistematicità. Ammesso di trovare un accordo unanime su cosa significhi l’aggettivo “scettico” applicato a individui o a gruppi come quelli di cui ci occuperemo, la galassia a cui viene attribuito presenta variazioni di ogni genere. Poiché siamo davanti a un panorama complesso, che come molti dei panorami più interessanti ha i suoi aspetti insoliti e le sue aree impervie, questo articolo si limiterà quindi a tentare di perseguire due obiettivi. Il primo è quello di far intuire le diversità d’intenti, di linguaggi e di aree d’interesse tra gli scettici, e, attraverso queste differenze, accennare ad alcune questioni di fondo sulle quali può essere utile riflettere. Il secondo obiettivo è mostrare come la presenza online dello scetticismo, un movimento d’opinione ormai di portata planetaria, rappresenti una vasta, preziosa risorsa per chi vuol “fare” lo scettico, vale a dire informarsi, formarsi, studiare, reperire fonti e studi, applicare al proprio contesto metodi e modi di ragionare: se si riesce a orientarsi (la qualità della presenza scettica su Internet è assai diseguale), la Rete consente di fare tutte queste cose con relativa facilità.
Cominciamo da una questione di fondo. Di che tipo di pensiero stiamo parlando? In altri termini: parliamo di scetticismo, d’accordo, ma quale scetticismo? Com’è noto, l’espressione ha avuto moltissime e illustri declinazioni, soprattutto in ambito filosofico e religioso, fin dai tempi della scuola di Pirrone di Elide, nel IV sec. a.C. Ma sebbene tutti gli scetticismi siano in rapporto fra loro, il “nostro” scetticismo in senso stretto è lo scetticismo scientifico.
Un modo possibile per descrivere questa variante di un mondo vastissimo è concepirlo come un movimento collettivo, tipico del mondo moderno e contemporaneo, nato come conseguenza a lungo termine della rivoluzione scientifica del Seicento e del Settecento. Lo scetticismo scientifico propugna i metodi delle scienze come sistema migliore per studiare tutte quelle affermazioni che mancano di evidenza empirica.
Chi vi aderisce di solito agisce in due aree, entrambe vastissime. Con la prima, mette in discussione senza timori reverenziali le affermazioni controverse che vengono dagli stessi addetti ai lavori delle scienze (la scienza non è la vacca sacra dello scettico, anzi, è il soggetto primo della sua critica); con la seconda, di norma studia, analizza, testa e decostruisce le pseudoscienze e tutto ciò che gli sta intorno.
Questo modo di parlare dello scetticismo non è teorico, ma fenomenologico. Non prescrive, ma descrive quello che fa, nel suo complesso, chi pratica lo scetticismo scientifico. E si tenga sempre presente che ciò di cui parliamo è un movimento sociale dalla storia relativamente recente, e sempre in trasformazione tumultuosa. In queste pagine, dunque, saranno presentate alcune pratiche esistenti, non un corpo dottrinale “scettico”.
C’è poi un altro punto di cui è bene tenere conto, e cioè che, nel panorama internazionale, il CICAP non è un caso tipico. Presenta come dato anomalo, per esempio, il fatto di essere un’associazione con ambizioni nazionali, che però, nel corso di una storia lunga ormai 35 anni, ha puntato anche sul radicamento territoriale locale, il che, a livello globale, non accade di frequente.
Vediamo ora alcune questioni lungo le quali il movimento scettico ha incontrato spesso dei crinali scoscesi.
La gamma delle posizioni sull’atteggiamento che dovrebbero tenere gli scettici verso le convinzioni religiose è forse la più ampia in assoluto, e nessuna è scevra da inconvenienti. Accenniamo solo ad alcuni casi che si collocano lungo un continuum ideale, quello che va dall’idea che lo scettico debba assumere una posizione esplicitamente antireligiosa, e in sostanza atea, a quella che propone l’indifferenza verso le fedi personali, limitando il campo d’azione a manifestazioni e fenomeni esaminabili in maniera empirica (il “miracolo” del guarito al santuario, la statua sacra che trasuda, lo stato alterato di coscienza di chi si dice in rapporto col soprannaturale, e così via). Questa è, da molto tempo, la linea del CICAP, che pure, almeno stando a un sondaggio del 2014, ha fra le sue fila molti soci che si dichiarano atei o agnostici[1].
Nel lessico italiano, sulla base dell’influenza francese, è d’uso corrente il termine “laicità”.
A ben vedere, questo lemma significa molte cose, e ci si potrebbe chiedere se, nel caso dello scetticismo scientifico, la parola "laicità" sia applicabile facilmente al problema della “religione”. Sul piano internazionale, un certo numero di organizzazioni e di singoli scettici fa ricorso all’espressione inglese humanist per descrivere il proprio punto di vista rispetto alle fedi religiose. In questo caso, siamo assai prossimi alla promozione di punti di vista non religiosi, o, a volte, esplicitamente antireligiosi. Di humanism, per esempio, si può parlare per una delle più note associazioni scettiche al mondo, il CSI statunitense, che promuove viaggi di studio con un ateo celebre come Richard Dawkins. Fra le organizzazioni scettiche più recenti e di altre parti del mondo, invece, un caso interessante è quello dell’associazione rumena ASUR (Asocia?ia Secular-Umanist? din România), che fa debunking e promuove la mentalità scientifica, ma, al tempo stesso, è impegnata in azioni fra le più laiche: il sostegno a una totale separazione fra poteri pubblici e confessioni religiose, e la richiesta della fine di ogni privilegio per quelle che ancora li detengono.
Prima di addentrarci in concreto fra i gruppi scettici, tuttavia, è necessario spiegare che cos’è lo pseudoscetticismo. Ed è importante farlo perché, come hanno argomentato studiosi come il sociologo Marcello Truzzi (1935-2003) e la psicologa Susan Blackmore, lo pseudoscetticismo è un problema per lo scetticismo autentico.
Nel 1987, quando Truzzi riportò in auge il termine “pseudoscetticismo” (che esisteva fin dall’Ottocento), lo associò a un’idea di fondo: lo scettico “autentico”, quando indaga un’affermazione straordinaria (“ho capacità telepatiche”; “la Terra è visitata da astronavi aliene”), dopo aver svolto le opportune ricerche non asserisce che quell’affermazione è smentita, ma che non è provata. Secondo Truzzi, il fardello che il vero scettico si porta addosso è leggero, perché non deve provare nulla. Nella costruzione della sua mappa cognitiva, scriveva Truzzi in un celebre articolo[2], lo scettico può semplicemente ignorare le affermazioni “meravigliose” fatte da tanti sostenitori delle pseudoscienze.
Al contrario, lo pseudoscettico porta un fardello faticoso da sostenere. Il motivo è che ogni volta che studia un’affermazione straordinaria, rischia di generare ipotesi negative, ossia affermazioni teoriche importanti ma senza portare prove a sostegno. Per fare solo un esempio, una tipica dichiarazione pseudoscettica sarebbe «poiché questi avvistamenti di fantasmi volanti erano in realtà dovuti a un rapace notturno, dunque abbiamo dimostrato che i fantasmi non possono esistere». C’è poi anche un altro tipo di pseudoscetticismo, quello che, pur di spiegare un fenomeno a tutti i costi e non ammettere di non avere una soluzione al mistero, si aggrappa a cause complicate, difficili da dimostrare e, con tutta probabilità, sbagliate. A proposito di UFO, per esempio, capita a volte di sentire scettici e scienziati avanzare per alcuni casi delle spiegazioni che non stanno in piedi: proporre un fenomeno controverso come un fulmine globulare per spiegare una luce nel cielo dovuta in realtà a un bolide meteorico, oppure un complesso fenomeno di ottica atmosferica per render conto di un avvistamento causato dalle luci d’atterraggio di un comune aereo.
Lo pseudoscettico potrà anche aver ragione nel dire che un certo fenomeno non era davvero “misterioso”, ma — a causa del suo approccio teorico, della scarsa propensione all’analisi empirica e della sottovalutazione dell’importanza esperienziale, spesso centrale per chi vive “cose strane” — sbaglia la mira, e si rivela inefficace. Lo scettico autentico, al contrario, non spara nel mucchio da una posizione teorica di privilegio. Prende bene la mira, in maniera concreta, sui singoli eventi e sui singoli soggetti coinvolti. E, almeno in questa parte della sua attività, non pretende di fare niente di più.
Un resoconto del panorama internazionale dello scetticismo [si veda anche la “mappa” a pag. 48] non può non partire da un cenno doveroso a quella che è un po’ la “madre” delle organizzazioni di questo genere: il Comité Para belga, nato nel 1949 per contrastare in modo sistematico le affermazioni dei presunti sensitivi in auge in quegli anni. In forme adeguate all’oggi, attualmente è assai attivo sul Web, da dove si può accedere alla sua rivista, Scepticisme scientifique. Va però detto che altri preferiscono porre all’origine dello scetticismo moderno un famoso libro di Martin Gardner, comparso nel 1952 con il titolo In the Name of Science, e ripubblicato in edizione riveduta nel 1957 come Fads and Fallacies in the Name of Science.
Per “misurare” lo scetticismo scientifico attuale, però, il primo, vero, inevitabile riferimento è senza dubbio lo CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal): nato nel 1976 insieme alla sua rivista (The Zetetic, poi Skeptical Inquirer), e ora noto come CSI (Committee for Skeptical Inquiry), oggi rappresenta il nucleo centrale della “famiglia” del Center For Inquiry (CFI), di cui ha promosso la creazione.
La storia dello CSICOP/CSI, dei suoi successi, dei suoi limiti e dei ragionamenti sul senso e la portata dell’azione di chi si riconosce nel mondo scettico è una storia lunga e complessa e davvero paradigmatica del dibattito scettico.
Tra i fondatori dello CSICOP ci fu il sociologo Marcello Truzzi, di cui si è già detto; fu lui a creare The Zetetic, una rivistina i cui numeri, ancora oggi, possono essere fonte di riflessioni preziose per lo studioso scettico. Ebbene, se The Zetetic diventò Skeptical Inquirer, lo si deve anche al fatto che Truzzi auspicava un confronto e una collaborazione fra scettici e “credenti” nelle più varie pseudoscienze, pur restando convinto che l’obiettivo fosse dimostrare l’infondatezza delle pseudoscienze. Semplificando, la sua era una linea un po’ più “morbida” di quella di altri (Truzzi voleva far entrare studiosi di parapsicologia nell’associazione), ma fu ben presto sconfitta, e portò all’uscita del sociologo dallo CSICOP. A torto o a ragione, William T. Jarvis (1935-2016), uno dei padri della lotta moderna alle pseudomedicine, ha collocato Truzzi nel solco della tradizione dello scetticismo di Pirrone di Elide, che prevede la sospensione totale del giudizio rispetto alle credenze.
Ecco dunque un argomento di riflessione anche per gli scettici di altre parti del mondo: il dialogo mancato fra gli scettici fondatori dello CSICOP e i parapsicologi razionali americani avrebbe potuto portare a esiti significativi? Da un eventuale rapporto non apertamente conflittuale con gli studiosi seri del paranormale avrebbero potuto derivare buoni frutti per la definizione dei problemi e per il chiarimento di questioni controverse? Comunque sia, lo scettico che vuole documentarsi ha il dovere di consultare spesso il sito web del CFI/CSI e, magari, di leggere Skeptical Inquirer: disponibile in abbonamento su carta e in versione digitale, una parte dei suoi articoli è comunque accessibile liberamente online.
Per ovvi motivi linguistici, anche il resto dello scetticismo anglofono è quello più alla portata della maggior parte di noi. Nel Regno Unito è di grande rilievo la rivista The Skeptic, espressione della Good Thinking Society. Copre un ventaglio di argomenti e di punti di vista davvero assai ampio, e mostra in maniera interessante le diversità che l’analisi scettica può assumere quando non ci si preoccupa troppo di apparire una schiera unica e compatta sul campo di battaglia. The Skeptic ha un sottotitolo degno di nota, Reason with compassion: la ragione, accompagnata dall’empatia e dalla comprensione per chi, come tutti noi, crede a cose infondate, o, a volte, a idee persino pericolose.
La situazione del Regno Unito mostra bene un altro fattore già accennato in precedenza: la dimensione organizzativa nazionale dei gruppi scettici è più un’eccezione che la regola. Lo conferma un’altra importante realtà, i Cambridge Skeptics, che con i loro eventi dal vivo in una dimensione “locale”, sostenuti da un podcast e da un blog, hanno acquistato vasta fama e hanno ispirato l’azione di altre, numerose, associazioni britanniche indipendenti, molto attive e autorevoli.
Down under, nell’altro emisfero, ecco il caso degli scettici australiani, la cui l’associazione, Australian Skeptics, fondata nel 1980, pone l’accento sulla natura federativa dei vari gruppi scettici presenti nel Nuovissimo Continente: l’associazione, dunque, come contenitore e coordinamento di voci diverse, unite da un obiettivo comune di fondo. Anche loro pubblicano un ottimo trimestrale, purtroppo quasi omonimo di altre testate anglofone, cioè The Skeptic (lo si ottiene su abbonamento, ma dopo un anno i numeri diventano tutti accessibili come file pdf).
Una nota non del tutto lieta è invece necessaria per un altro gruppo scettico importante, la GWUP tedesca (Gesellschaft zur wissenschaftlichen Untersuchung von Parawissenschaften, Società per l’investigazione scientifica delle parascienze). In tempi recenti, questa ottima realtà associativa, che produce la rivista Skeptiker, è stata segnata da polemiche assai forti che, fra le conseguenze, hanno spinto alle dimissioni uno scettico celebre come il medico Edzard Ernst.
Il motivo dei contrasti è una controversia sul legame fra scetticismo e idee politiche. È lecito a un’associazione scettica schierarsi in modo esplicito su questioni di tipo politico? Nel caso specifico, la diatriba è esplosa violenta su questioni come l’antirazzismo, le posizioni femministe e l’attivismo climatico, tanto da spingere alcuni esponenti della GWUP a parlare, a torto o a ragione, di una progressiva trasformazione da associazione scettica a espressione del pensiero woke, come talvolta si indica con intento polemico quell’insieme di idee e di convinzioni.
Al di là del caso particolare, le vicende recenti della GWUP possono essere oggetto di riflessione a ogni latitudine: in quale misura l’azione dello scettico è un’azione “politica”? E, di converso, certe posizioni politiche, se diventano prevalenti in un gruppo scettico, possono introdurre in modo surrettizio idee discutibili dal punto di vista scientifico?
Il peso di un gruppo americano come il CSI, che non a caso abbiamo ricordato per primo, è anche la pietra di paragone per un altro fenomeno che segna oggi più che mai la galassia scettica. In molte parti del mondo ci sono realtà associative in cui si opera in maniera più o meno coesa, ma comunque sempre in gruppo. Eppure, gli scettici non sfuggono alla personalizzazione delle loro attività. Spesso la visibilità dello scetticismo si deve anzitutto a personaggi fortemente presenti nel mercato librario e sui media: basti ricordare, soprattutto in passato, il peso di nomi come Richard Dawkins o Daniel Dennett. Venendo all’oggi, ecco alcuni esempi, importanti anche per la qualità della loro presenza e dei loro lavori; se si vuole essere al corrente dei dibattiti più caldi, si tratta di persone da seguire con attenzione.
Il primo è Michael Shermer, autore di un gran numero di libri (uno, recente e importante, è Conspiracy, del 2022) e cofondatore della Skeptics Society, che pubblica dal 1992 la rivista Skeptic di cui Shermer è direttore, anch’essa una lettura imperdibile per lo scettico informato. Shermer è anche l’esponente più noto dello Skeptic Research Center (SRC), che realizza interessanti sondaggi sulle più varie questioni connesse alla percezione sociale della scienza e alle credenze pseudoscientifiche. Un altro personaggio da seguire è Brian Dunning — uno fra gli scettici particolarmente interessati agli UFO — che produce un podcast sempre molto aggiornato su ogni controversia (skeptoid.com), da cui ha tratto anche una serie video, mentre in una posizione un po’ più ellittica rispetto al mainstream scettico è Jason Colavito, specializzato nella critica delle idee pseudoarcheologiche (un ottimo esempio è il suo volume del 2021 Legends of the Pyramids) e delle teorie degli Antichi Alieni: due ambiti nei quali, peraltro, la presenza scettica non è massiccia.
Merita attenzione anche l’inglese Michael Marshall, che si è esposto in prima persona in una serie di campagne di contrasto alle pseudoscienze – come la famosa campagna internazionale di informazione sull’omeopatia “10:23”, in cui i manifestanti si “suicidano” pubblicamente in massa con una “overdose” di prodotti omeopatici — ma anche in iniziative di confronto con i loro sostenitori.
Marshall dirige The Skeptic (attenzione a non confonderla con The Skeptic australiano!), la rivista della Good Thinking Society, fondata nel 2012 da un altro personaggio di spicco, il fisico e saggista Simon Singh. Nel 2008, Singh, all’epoca già noto per alcuni libri di divulgazione (le contiguità, ma anche le differenze, tra scetticismo e divulgazione scientifica meriterebbero un articolo a sé), fu querelato per diffamazione dall’associazione britannica dei chiropratici a causa di un articolo molto critico. Perse la prima istanza, ma il caso fece scalpore e sollevò una tale mobilitazione che, oltre a risolversi alla fine in suo favore, spinse il Parlamento britannico a modificare la legge sulla diffamazione.
Dato il clima culturale dei nostri tempi, attento a prendere le distanze in ogni modo possibile dalla lunga era di dominio occidentale su tante parti del mondo, allo scettico che riflette potrebbe anche sorgere un altro dubbio: non sarà che il movimento al quale aderiamo è un riflesso di posizioni filosofiche legate al razionalismo occidentale e alla sua concezione dell’economia, del progresso e della scienza? Non sarà, insomma, che lo scetticismo è un lusso per ricchi occidentali?
La domanda è lecita, ma, anche sotto questo riguardo, il panorama è assai articolato e non mancano gli scettici che declinano il proprio impegno per l’approccio scientifico e la critica alle pseudoscienze in maniera autonoma e con linee di pensiero originali rispetto a quelle “occidentali”.
Un esempio è lo studioso nigeriano Leo Igwe, autore nel 2012 di un Manifesto for Skeptical Africa[3]. Attraverso l’organizzazione Advocacy for Alleged Witches[4], che opera, oltre che in Nigeria, in Ghana, Kenya, Malawi e Zimbabwe, Igwe è impegnato nella lotta alla superstizione e nella protezione delle persone sospettate di stregoneria, un’accusa che spesso porta ad atti di violenza e anche alla morte. Lo stesso Igwe è stato più volte arrestato per le sue attività in difesa dei diritti civili.
Un’importante realtà di scetticismo non occidentale è la Federation of Indian Rationalist Associations (FIRA). Fondata nel 1997 per coordinare le attività dei gruppi razionalisti, atei, scettici e laici presenti nelle regioni e negli stati dell’India, attualmente la federazione raccoglie un’ottantina di gruppi, il cui numero complessivo di aderenti e simpatizzanti — circa 10 milioni — farebbe impallidire qualsiasi analogo occidentale. Un nome di spicco dello scetticismo indiano è Sadal Edamaruku, assai attivo nella verifica di presunti “miracoli” avvenuti sia in ambito induista sia cristiano, il che gli è costato un’accusa di blasfemia e l’esilio volontario in Finlandia. Infatti, benché l’India ufficialmente sia una democrazia laica, il suo codice penale prevede ancora il reato di blasfemia e la diffusione del fanatismo religioso fa sì che nel paese praticare lo scetticismo comporti dei rischi molto seri: nel 2013, Narendra Dabholkar, fondatore del MANS (Comitato per l’eradicazione della superstizione nel Maharashtra) è stato assassinato da estremisti induisti e vari membri della FIRA sono stati oggetto di minacce e violenze.
Per concludere, due parole sulla situazione italiana. Per quanto divulgatori della scienza e debunkers svolgano un’azione meritoria nei confronti di credenze infondate di ogni genere, sul piano associazionistico anche in Italia ci sono alcune realtà che lo scettico informato dovrebbe conoscere.
La prima è il CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, che dal 1990 si occupa del folklore dei nostri tempi. Il Centro fa capo allo studioso Paolo Toselli, ed è un riferimento importante per la quantità di questioni trattate e per l’ampiezza dei suoi archivi. Tuttavia, pur trattando in generale di “falsità” e di ciò che è infondato, non fa un lavoro di debunking, ma di studio, e non è collocabile sotto il cappello dell’attivismo scettico. Lo stesso vale per l’unica realtà critica e demistificatoria dell’ufologia italiana, il Centro Italiano Studi Ufologici (CISU). Lo scettico che vuole capire perché un caso UFO è spiegabile, o perché una storia mirabolante è priva di fondamento, può passare da quella realtà associativa, piccola ma solidissima: ne uscirà con argomentazioni più forti di quanto a volte si sente e, comunque, con uno sguardo più acuto.
Un discorso un po’ speciale va fatto per l’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti). L’UAAR non è definibile come un gruppo che ha al centro della sua azione lo scetticismo, eppure, al di là delle convinzioni religiose dei singoli, è senz’altro vero che spesso pubblica analisi e riflessioni prossime nel metodo e negli intenti a quelle del CICAP. Anche in questo caso, dunque, uno sguardo a una realtà somigliante ma diversa risulta senz’altro utile.
In tutto ciò, non bisogna dimenticare la presenza di una realtà “federativa” degli scettici europei, sia pure nel senso più generale del termine: il suo sito parla di an umbrella of skeptical organizations. Si tratta dell’ECSO, l’European Council of Skeptical Organizations, fondato nel 1994 e a cui oggi aderiscono una ventina di associazioni di ogni parte del continente: a esso è dedicata l’intervista a pagina 50. Grazie alla passione per ECSO che ha da sempre Paola De Gobbi, socia effettiva CICAP, questa connessione sovranazionale è stata coltivata con cura dal Comitato.
A chiusura di questa brevissima “guida” per lo scettico italiano che vuole informarsi volgendo lo sguardo fuori dai nostri confini, è indispensabile sottolineare che gran parte delle associazioni qui citate (e, ricordiamo, si tratta di una selezione estrema di quello che c’è nella realtà) produce riviste, newsletter e pubblicazioni più o meno regolari molto spesso disponibili a tutti, oppure reperibili a costi assai modesti.
Eppure, lo scambio sistematico e il dialogo con queste pubblicazioni non sembra ancora una delle priorità del mondo scettico italiano. Ma abituarsi a frequentare lo scetticismo globale può rivelarsi assai proficuo. Nel marzo del 2023, il documento Costruire il CICAP del futuro[5] ha inserito nel capitolo sui “Valori di riferimento” di chi fa parte dell’associazione un paragrafo relativo alle competenze. Quel paragrafo si apriva con questa affermazione: “Le persone che aderiscono al CICAP riconoscono nello studio e nel continuo aggiornamento la base del loro agire”. In questo senso, disporre di un repertorio essenziale su quello che fanno gli scettici nel mondo dovrebbe essere al centro della nostra attenzione: di noi tutti, che facciamo il CICAP.
Dicesi scetticismo…
Cominciamo da una questione di fondo. Di che tipo di pensiero stiamo parlando? In altri termini: parliamo di scetticismo, d’accordo, ma quale scetticismo? Com’è noto, l’espressione ha avuto moltissime e illustri declinazioni, soprattutto in ambito filosofico e religioso, fin dai tempi della scuola di Pirrone di Elide, nel IV sec. a.C. Ma sebbene tutti gli scetticismi siano in rapporto fra loro, il “nostro” scetticismo in senso stretto è lo scetticismo scientifico.
Un modo possibile per descrivere questa variante di un mondo vastissimo è concepirlo come un movimento collettivo, tipico del mondo moderno e contemporaneo, nato come conseguenza a lungo termine della rivoluzione scientifica del Seicento e del Settecento. Lo scetticismo scientifico propugna i metodi delle scienze come sistema migliore per studiare tutte quelle affermazioni che mancano di evidenza empirica.
Chi vi aderisce di solito agisce in due aree, entrambe vastissime. Con la prima, mette in discussione senza timori reverenziali le affermazioni controverse che vengono dagli stessi addetti ai lavori delle scienze (la scienza non è la vacca sacra dello scettico, anzi, è il soggetto primo della sua critica); con la seconda, di norma studia, analizza, testa e decostruisce le pseudoscienze e tutto ciò che gli sta intorno.
Questo modo di parlare dello scetticismo non è teorico, ma fenomenologico. Non prescrive, ma descrive quello che fa, nel suo complesso, chi pratica lo scetticismo scientifico. E si tenga sempre presente che ciò di cui parliamo è un movimento sociale dalla storia relativamente recente, e sempre in trasformazione tumultuosa. In queste pagine, dunque, saranno presentate alcune pratiche esistenti, non un corpo dottrinale “scettico”.
C’è poi un altro punto di cui è bene tenere conto, e cioè che, nel panorama internazionale, il CICAP non è un caso tipico. Presenta come dato anomalo, per esempio, il fatto di essere un’associazione con ambizioni nazionali, che però, nel corso di una storia lunga ormai 35 anni, ha puntato anche sul radicamento territoriale locale, il che, a livello globale, non accade di frequente.
Vediamo ora alcune questioni lungo le quali il movimento scettico ha incontrato spesso dei crinali scoscesi.
L’atteggiamento verso la religione
La gamma delle posizioni sull’atteggiamento che dovrebbero tenere gli scettici verso le convinzioni religiose è forse la più ampia in assoluto, e nessuna è scevra da inconvenienti. Accenniamo solo ad alcuni casi che si collocano lungo un continuum ideale, quello che va dall’idea che lo scettico debba assumere una posizione esplicitamente antireligiosa, e in sostanza atea, a quella che propone l’indifferenza verso le fedi personali, limitando il campo d’azione a manifestazioni e fenomeni esaminabili in maniera empirica (il “miracolo” del guarito al santuario, la statua sacra che trasuda, lo stato alterato di coscienza di chi si dice in rapporto col soprannaturale, e così via). Questa è, da molto tempo, la linea del CICAP, che pure, almeno stando a un sondaggio del 2014, ha fra le sue fila molti soci che si dichiarano atei o agnostici[1].
Nel lessico italiano, sulla base dell’influenza francese, è d’uso corrente il termine “laicità”.
A ben vedere, questo lemma significa molte cose, e ci si potrebbe chiedere se, nel caso dello scetticismo scientifico, la parola "laicità" sia applicabile facilmente al problema della “religione”. Sul piano internazionale, un certo numero di organizzazioni e di singoli scettici fa ricorso all’espressione inglese humanist per descrivere il proprio punto di vista rispetto alle fedi religiose. In questo caso, siamo assai prossimi alla promozione di punti di vista non religiosi, o, a volte, esplicitamente antireligiosi. Di humanism, per esempio, si può parlare per una delle più note associazioni scettiche al mondo, il CSI statunitense, che promuove viaggi di studio con un ateo celebre come Richard Dawkins. Fra le organizzazioni scettiche più recenti e di altre parti del mondo, invece, un caso interessante è quello dell’associazione rumena ASUR (Asocia?ia Secular-Umanist? din România), che fa debunking e promuove la mentalità scientifica, ma, al tempo stesso, è impegnata in azioni fra le più laiche: il sostegno a una totale separazione fra poteri pubblici e confessioni religiose, e la richiesta della fine di ogni privilegio per quelle che ancora li detengono.
Scettici vs pseudoscettici
Prima di addentrarci in concreto fra i gruppi scettici, tuttavia, è necessario spiegare che cos’è lo pseudoscetticismo. Ed è importante farlo perché, come hanno argomentato studiosi come il sociologo Marcello Truzzi (1935-2003) e la psicologa Susan Blackmore, lo pseudoscetticismo è un problema per lo scetticismo autentico.
Nel 1987, quando Truzzi riportò in auge il termine “pseudoscetticismo” (che esisteva fin dall’Ottocento), lo associò a un’idea di fondo: lo scettico “autentico”, quando indaga un’affermazione straordinaria (“ho capacità telepatiche”; “la Terra è visitata da astronavi aliene”), dopo aver svolto le opportune ricerche non asserisce che quell’affermazione è smentita, ma che non è provata. Secondo Truzzi, il fardello che il vero scettico si porta addosso è leggero, perché non deve provare nulla. Nella costruzione della sua mappa cognitiva, scriveva Truzzi in un celebre articolo[2], lo scettico può semplicemente ignorare le affermazioni “meravigliose” fatte da tanti sostenitori delle pseudoscienze.
Al contrario, lo pseudoscettico porta un fardello faticoso da sostenere. Il motivo è che ogni volta che studia un’affermazione straordinaria, rischia di generare ipotesi negative, ossia affermazioni teoriche importanti ma senza portare prove a sostegno. Per fare solo un esempio, una tipica dichiarazione pseudoscettica sarebbe «poiché questi avvistamenti di fantasmi volanti erano in realtà dovuti a un rapace notturno, dunque abbiamo dimostrato che i fantasmi non possono esistere». C’è poi anche un altro tipo di pseudoscetticismo, quello che, pur di spiegare un fenomeno a tutti i costi e non ammettere di non avere una soluzione al mistero, si aggrappa a cause complicate, difficili da dimostrare e, con tutta probabilità, sbagliate. A proposito di UFO, per esempio, capita a volte di sentire scettici e scienziati avanzare per alcuni casi delle spiegazioni che non stanno in piedi: proporre un fenomeno controverso come un fulmine globulare per spiegare una luce nel cielo dovuta in realtà a un bolide meteorico, oppure un complesso fenomeno di ottica atmosferica per render conto di un avvistamento causato dalle luci d’atterraggio di un comune aereo.
Lo pseudoscettico potrà anche aver ragione nel dire che un certo fenomeno non era davvero “misterioso”, ma — a causa del suo approccio teorico, della scarsa propensione all’analisi empirica e della sottovalutazione dell’importanza esperienziale, spesso centrale per chi vive “cose strane” — sbaglia la mira, e si rivela inefficace. Lo scettico autentico, al contrario, non spara nel mucchio da una posizione teorica di privilegio. Prende bene la mira, in maniera concreta, sui singoli eventi e sui singoli soggetti coinvolti. E, almeno in questa parte della sua attività, non pretende di fare niente di più.
Un mondo frastagliato
Un resoconto del panorama internazionale dello scetticismo [si veda anche la “mappa” a pag. 48] non può non partire da un cenno doveroso a quella che è un po’ la “madre” delle organizzazioni di questo genere: il Comité Para belga, nato nel 1949 per contrastare in modo sistematico le affermazioni dei presunti sensitivi in auge in quegli anni. In forme adeguate all’oggi, attualmente è assai attivo sul Web, da dove si può accedere alla sua rivista, Scepticisme scientifique. Va però detto che altri preferiscono porre all’origine dello scetticismo moderno un famoso libro di Martin Gardner, comparso nel 1952 con il titolo In the Name of Science, e ripubblicato in edizione riveduta nel 1957 come Fads and Fallacies in the Name of Science.
Per “misurare” lo scetticismo scientifico attuale, però, il primo, vero, inevitabile riferimento è senza dubbio lo CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal): nato nel 1976 insieme alla sua rivista (The Zetetic, poi Skeptical Inquirer), e ora noto come CSI (Committee for Skeptical Inquiry), oggi rappresenta il nucleo centrale della “famiglia” del Center For Inquiry (CFI), di cui ha promosso la creazione.
La storia dello CSICOP/CSI, dei suoi successi, dei suoi limiti e dei ragionamenti sul senso e la portata dell’azione di chi si riconosce nel mondo scettico è una storia lunga e complessa e davvero paradigmatica del dibattito scettico.
Tra i fondatori dello CSICOP ci fu il sociologo Marcello Truzzi, di cui si è già detto; fu lui a creare The Zetetic, una rivistina i cui numeri, ancora oggi, possono essere fonte di riflessioni preziose per lo studioso scettico. Ebbene, se The Zetetic diventò Skeptical Inquirer, lo si deve anche al fatto che Truzzi auspicava un confronto e una collaborazione fra scettici e “credenti” nelle più varie pseudoscienze, pur restando convinto che l’obiettivo fosse dimostrare l’infondatezza delle pseudoscienze. Semplificando, la sua era una linea un po’ più “morbida” di quella di altri (Truzzi voleva far entrare studiosi di parapsicologia nell’associazione), ma fu ben presto sconfitta, e portò all’uscita del sociologo dallo CSICOP. A torto o a ragione, William T. Jarvis (1935-2016), uno dei padri della lotta moderna alle pseudomedicine, ha collocato Truzzi nel solco della tradizione dello scetticismo di Pirrone di Elide, che prevede la sospensione totale del giudizio rispetto alle credenze.
Ecco dunque un argomento di riflessione anche per gli scettici di altre parti del mondo: il dialogo mancato fra gli scettici fondatori dello CSICOP e i parapsicologi razionali americani avrebbe potuto portare a esiti significativi? Da un eventuale rapporto non apertamente conflittuale con gli studiosi seri del paranormale avrebbero potuto derivare buoni frutti per la definizione dei problemi e per il chiarimento di questioni controverse? Comunque sia, lo scettico che vuole documentarsi ha il dovere di consultare spesso il sito web del CFI/CSI e, magari, di leggere Skeptical Inquirer: disponibile in abbonamento su carta e in versione digitale, una parte dei suoi articoli è comunque accessibile liberamente online.
Per ovvi motivi linguistici, anche il resto dello scetticismo anglofono è quello più alla portata della maggior parte di noi. Nel Regno Unito è di grande rilievo la rivista The Skeptic, espressione della Good Thinking Society. Copre un ventaglio di argomenti e di punti di vista davvero assai ampio, e mostra in maniera interessante le diversità che l’analisi scettica può assumere quando non ci si preoccupa troppo di apparire una schiera unica e compatta sul campo di battaglia. The Skeptic ha un sottotitolo degno di nota, Reason with compassion: la ragione, accompagnata dall’empatia e dalla comprensione per chi, come tutti noi, crede a cose infondate, o, a volte, a idee persino pericolose.
La situazione del Regno Unito mostra bene un altro fattore già accennato in precedenza: la dimensione organizzativa nazionale dei gruppi scettici è più un’eccezione che la regola. Lo conferma un’altra importante realtà, i Cambridge Skeptics, che con i loro eventi dal vivo in una dimensione “locale”, sostenuti da un podcast e da un blog, hanno acquistato vasta fama e hanno ispirato l’azione di altre, numerose, associazioni britanniche indipendenti, molto attive e autorevoli.
Down under, nell’altro emisfero, ecco il caso degli scettici australiani, la cui l’associazione, Australian Skeptics, fondata nel 1980, pone l’accento sulla natura federativa dei vari gruppi scettici presenti nel Nuovissimo Continente: l’associazione, dunque, come contenitore e coordinamento di voci diverse, unite da un obiettivo comune di fondo. Anche loro pubblicano un ottimo trimestrale, purtroppo quasi omonimo di altre testate anglofone, cioè The Skeptic (lo si ottiene su abbonamento, ma dopo un anno i numeri diventano tutti accessibili come file pdf).
Una nota non del tutto lieta è invece necessaria per un altro gruppo scettico importante, la GWUP tedesca (Gesellschaft zur wissenschaftlichen Untersuchung von Parawissenschaften, Società per l’investigazione scientifica delle parascienze). In tempi recenti, questa ottima realtà associativa, che produce la rivista Skeptiker, è stata segnata da polemiche assai forti che, fra le conseguenze, hanno spinto alle dimissioni uno scettico celebre come il medico Edzard Ernst.
Il motivo dei contrasti è una controversia sul legame fra scetticismo e idee politiche. È lecito a un’associazione scettica schierarsi in modo esplicito su questioni di tipo politico? Nel caso specifico, la diatriba è esplosa violenta su questioni come l’antirazzismo, le posizioni femministe e l’attivismo climatico, tanto da spingere alcuni esponenti della GWUP a parlare, a torto o a ragione, di una progressiva trasformazione da associazione scettica a espressione del pensiero woke, come talvolta si indica con intento polemico quell’insieme di idee e di convinzioni.
Al di là del caso particolare, le vicende recenti della GWUP possono essere oggetto di riflessione a ogni latitudine: in quale misura l’azione dello scettico è un’azione “politica”? E, di converso, certe posizioni politiche, se diventano prevalenti in un gruppo scettico, possono introdurre in modo surrettizio idee discutibili dal punto di vista scientifico?
Associazioni o star?
Il peso di un gruppo americano come il CSI, che non a caso abbiamo ricordato per primo, è anche la pietra di paragone per un altro fenomeno che segna oggi più che mai la galassia scettica. In molte parti del mondo ci sono realtà associative in cui si opera in maniera più o meno coesa, ma comunque sempre in gruppo. Eppure, gli scettici non sfuggono alla personalizzazione delle loro attività. Spesso la visibilità dello scetticismo si deve anzitutto a personaggi fortemente presenti nel mercato librario e sui media: basti ricordare, soprattutto in passato, il peso di nomi come Richard Dawkins o Daniel Dennett. Venendo all’oggi, ecco alcuni esempi, importanti anche per la qualità della loro presenza e dei loro lavori; se si vuole essere al corrente dei dibattiti più caldi, si tratta di persone da seguire con attenzione.
Il primo è Michael Shermer, autore di un gran numero di libri (uno, recente e importante, è Conspiracy, del 2022) e cofondatore della Skeptics Society, che pubblica dal 1992 la rivista Skeptic di cui Shermer è direttore, anch’essa una lettura imperdibile per lo scettico informato. Shermer è anche l’esponente più noto dello Skeptic Research Center (SRC), che realizza interessanti sondaggi sulle più varie questioni connesse alla percezione sociale della scienza e alle credenze pseudoscientifiche. Un altro personaggio da seguire è Brian Dunning — uno fra gli scettici particolarmente interessati agli UFO — che produce un podcast sempre molto aggiornato su ogni controversia (skeptoid.com), da cui ha tratto anche una serie video, mentre in una posizione un po’ più ellittica rispetto al mainstream scettico è Jason Colavito, specializzato nella critica delle idee pseudoarcheologiche (un ottimo esempio è il suo volume del 2021 Legends of the Pyramids) e delle teorie degli Antichi Alieni: due ambiti nei quali, peraltro, la presenza scettica non è massiccia.
Merita attenzione anche l’inglese Michael Marshall, che si è esposto in prima persona in una serie di campagne di contrasto alle pseudoscienze – come la famosa campagna internazionale di informazione sull’omeopatia “10:23”, in cui i manifestanti si “suicidano” pubblicamente in massa con una “overdose” di prodotti omeopatici — ma anche in iniziative di confronto con i loro sostenitori.
Marshall dirige The Skeptic (attenzione a non confonderla con The Skeptic australiano!), la rivista della Good Thinking Society, fondata nel 2012 da un altro personaggio di spicco, il fisico e saggista Simon Singh. Nel 2008, Singh, all’epoca già noto per alcuni libri di divulgazione (le contiguità, ma anche le differenze, tra scetticismo e divulgazione scientifica meriterebbero un articolo a sé), fu querelato per diffamazione dall’associazione britannica dei chiropratici a causa di un articolo molto critico. Perse la prima istanza, ma il caso fece scalpore e sollevò una tale mobilitazione che, oltre a risolversi alla fine in suo favore, spinse il Parlamento britannico a modificare la legge sulla diffamazione.
Non solo Occidente
Dato il clima culturale dei nostri tempi, attento a prendere le distanze in ogni modo possibile dalla lunga era di dominio occidentale su tante parti del mondo, allo scettico che riflette potrebbe anche sorgere un altro dubbio: non sarà che il movimento al quale aderiamo è un riflesso di posizioni filosofiche legate al razionalismo occidentale e alla sua concezione dell’economia, del progresso e della scienza? Non sarà, insomma, che lo scetticismo è un lusso per ricchi occidentali?
La domanda è lecita, ma, anche sotto questo riguardo, il panorama è assai articolato e non mancano gli scettici che declinano il proprio impegno per l’approccio scientifico e la critica alle pseudoscienze in maniera autonoma e con linee di pensiero originali rispetto a quelle “occidentali”.
Un esempio è lo studioso nigeriano Leo Igwe, autore nel 2012 di un Manifesto for Skeptical Africa[3]. Attraverso l’organizzazione Advocacy for Alleged Witches[4], che opera, oltre che in Nigeria, in Ghana, Kenya, Malawi e Zimbabwe, Igwe è impegnato nella lotta alla superstizione e nella protezione delle persone sospettate di stregoneria, un’accusa che spesso porta ad atti di violenza e anche alla morte. Lo stesso Igwe è stato più volte arrestato per le sue attività in difesa dei diritti civili.
Un’importante realtà di scetticismo non occidentale è la Federation of Indian Rationalist Associations (FIRA). Fondata nel 1997 per coordinare le attività dei gruppi razionalisti, atei, scettici e laici presenti nelle regioni e negli stati dell’India, attualmente la federazione raccoglie un’ottantina di gruppi, il cui numero complessivo di aderenti e simpatizzanti — circa 10 milioni — farebbe impallidire qualsiasi analogo occidentale. Un nome di spicco dello scetticismo indiano è Sadal Edamaruku, assai attivo nella verifica di presunti “miracoli” avvenuti sia in ambito induista sia cristiano, il che gli è costato un’accusa di blasfemia e l’esilio volontario in Finlandia. Infatti, benché l’India ufficialmente sia una democrazia laica, il suo codice penale prevede ancora il reato di blasfemia e la diffusione del fanatismo religioso fa sì che nel paese praticare lo scetticismo comporti dei rischi molto seri: nel 2013, Narendra Dabholkar, fondatore del MANS (Comitato per l’eradicazione della superstizione nel Maharashtra) è stato assassinato da estremisti induisti e vari membri della FIRA sono stati oggetto di minacce e violenze.
E da noi?
Per concludere, due parole sulla situazione italiana. Per quanto divulgatori della scienza e debunkers svolgano un’azione meritoria nei confronti di credenze infondate di ogni genere, sul piano associazionistico anche in Italia ci sono alcune realtà che lo scettico informato dovrebbe conoscere.
La prima è il CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, che dal 1990 si occupa del folklore dei nostri tempi. Il Centro fa capo allo studioso Paolo Toselli, ed è un riferimento importante per la quantità di questioni trattate e per l’ampiezza dei suoi archivi. Tuttavia, pur trattando in generale di “falsità” e di ciò che è infondato, non fa un lavoro di debunking, ma di studio, e non è collocabile sotto il cappello dell’attivismo scettico. Lo stesso vale per l’unica realtà critica e demistificatoria dell’ufologia italiana, il Centro Italiano Studi Ufologici (CISU). Lo scettico che vuole capire perché un caso UFO è spiegabile, o perché una storia mirabolante è priva di fondamento, può passare da quella realtà associativa, piccola ma solidissima: ne uscirà con argomentazioni più forti di quanto a volte si sente e, comunque, con uno sguardo più acuto.
Un discorso un po’ speciale va fatto per l’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti). L’UAAR non è definibile come un gruppo che ha al centro della sua azione lo scetticismo, eppure, al di là delle convinzioni religiose dei singoli, è senz’altro vero che spesso pubblica analisi e riflessioni prossime nel metodo e negli intenti a quelle del CICAP. Anche in questo caso, dunque, uno sguardo a una realtà somigliante ma diversa risulta senz’altro utile.
In tutto ciò, non bisogna dimenticare la presenza di una realtà “federativa” degli scettici europei, sia pure nel senso più generale del termine: il suo sito parla di an umbrella of skeptical organizations. Si tratta dell’ECSO, l’European Council of Skeptical Organizations, fondato nel 1994 e a cui oggi aderiscono una ventina di associazioni di ogni parte del continente: a esso è dedicata l’intervista a pagina 50. Grazie alla passione per ECSO che ha da sempre Paola De Gobbi, socia effettiva CICAP, questa connessione sovranazionale è stata coltivata con cura dal Comitato.
A chiusura di questa brevissima “guida” per lo scettico italiano che vuole informarsi volgendo lo sguardo fuori dai nostri confini, è indispensabile sottolineare che gran parte delle associazioni qui citate (e, ricordiamo, si tratta di una selezione estrema di quello che c’è nella realtà) produce riviste, newsletter e pubblicazioni più o meno regolari molto spesso disponibili a tutti, oppure reperibili a costi assai modesti.
Eppure, lo scambio sistematico e il dialogo con queste pubblicazioni non sembra ancora una delle priorità del mondo scettico italiano. Ma abituarsi a frequentare lo scetticismo globale può rivelarsi assai proficuo. Nel marzo del 2023, il documento Costruire il CICAP del futuro[5] ha inserito nel capitolo sui “Valori di riferimento” di chi fa parte dell’associazione un paragrafo relativo alle competenze. Quel paragrafo si apriva con questa affermazione: “Le persone che aderiscono al CICAP riconoscono nello studio e nel continuo aggiornamento la base del loro agire”. In questo senso, disporre di un repertorio essenziale su quello che fanno gli scettici nel mondo dovrebbe essere al centro della nostra attenzione: di noi tutti, che facciamo il CICAP.
Note
1) Annunziata, M., 2020. “Volontari del CICAP e fede”, in Query, n. 42
2) Truzzi, M., 1987. “On Pseudo-Skepticism”, in Zetetic Scholar, n. 12/13
3) Igwe, L., 2012. A Manifesto for Skeptical Africa, James Randi Educational Foundation, 27 ottobre, https://tinyurl.com/yd4krw55
4) Igwe, L., 2024. “Witch-Hunting: A Culture War Fought with Skepticism and Compassion”, in Skeptic, vol. 29, n. 2
5) Crupi, V., Cubelli, R., Demarchi, N., Della Sala, S., Di Grazia, S., Ferrero, A., Montali, L., Palazzi, E., Paura, R., Pigliucci, M., Polidoro, M., 2023. Costruire il CICAP del futuro, CICAP, diffusione interna