Maleficia. Storie di streghe dall’Antichità al Rinascimento
di Marina Montesano
Carocci Editore, Roma, 2023
pp. 281, euro 26,00
Traduzione italiana aggiornata della monografia pubblicata dall’autrice in inglese nel 2018, l’opera si propone di “dimostrare come le antiche credenze e le descrizioni della magia e della stregoneria nella letteratura greca e romana abbiano avuto un impatto sulla costruzione dell’immagine della stregoneria in epoca moderna e dunque sulla caccia alle streghe”. Compito arduo, quello che l’autrice si propone, se si pensa che nessuno dei non pochi studi dedicati all’argomento sin dalla metà degli anni ’70 offre analisi approfondite. Tuttavia, tenendosi oculatamente alla larga da quella dilagante metodologia di ricerca di derivazione anglosassone che tende ad accordare un’intrinseca validità a quanto si basa su principi di categorizzazione generalizzabili e viene presentato come necessariamente nuovo dal punto di vista ermeneutico, Montesano riesce a colmare una lacuna storiografica di non poco conto, capitalizzando gli oltre vent’anni di ricerche che il libro ha alle spalle, offrendo un contributo di indubbio valore, che si configura anche come una sintesi dell’intero indirizzo di ricerca. I sette capitoli di Maleficia concorrono così a offrire un’immagine organica dei temi trattati, grazie a una meticolosa contestualizzazione del vastissimo corpus di fonti preso in analisi, la cui densità è inevitabile riflesso di un approccio multidisciplinare obbligato ma sempre coerente.
I primi due capitoli del libro prendono le mosse dalla tradizione letteraria greca e romana, esplorando figure emblematiche di streghe le cui attività risulteranno cruciali, in età medievale, nell’elaborazione di credenze superstiziose e pratiche magiche. Troviamo così, accanto alle celeberrime Medea e Circe, l’oraziana Canidia, la necromante Eritto della Pharsalia di Lucano, nonché Meroe, potente maga le cui oscure gesta vengono narrate nelle Metamorfosi di Apuleio. L’analisi dei personaggi si intreccia con una puntuale discussione circa le fonti giuridiche antiche riguardanti le pratiche magiche e le relative accuse contestate nelle fonti processuali del tempo delle quali rimane testimonianza documentale.
Il terzo capitolo, senza dubbio il più ambizioso dell’opera, punta all’individuazione e a una conseguente valutazione di riferimenti e temi risalenti alla letteratura classica in discussioni sul pensiero magico presso ambienti e autori cristiani fra l’inizio del IV e la fine dell’XI secolo. Di particolare interesse risulta la trattazione filologica incentrata sull’analisi comparativa del lessico adottato sia dallo stato che dalla chiesa per definire rei e reati in ambito magico. Quarto e quinto capitolo compendiano e allo stesso tempo sviluppano lo studio di tematiche già affrontate da Montesano in pubblicazioni precedenti dedicate in particolar modo alla predicazione dei francescani osservanti, come la monografia del 1999 “Supra acqua et supra ad vento”. Superstizioni, maleficia e incantamenta nei predicatori francescani osservanti (Italia, sec, XV).
Mentre la storiografia concernente il ruolo dei frati domenicani nel promuovere la caccia alle streghe è ricca e ben accreditata ormai da diversi decenni, l’autrice fornisce una preziosa analisi circa il ruolo parallelo, assai meno noto, svolto dai francescani osservanti nell’Italia quattrocentesca nel promuovere le persecuzioni contro la stregoneria come parte integrante di una vera e propria campagna di predicazione contro credenze e superstizioni popolari.
Un simile caso studio, oltre a rivestire grande interesse nell’indagine sulla circolazione e la trasmissione di elementi di cultura e magia popolare, le testimonianze dei quali solo da pochi anni hanno acquisito centralità nella ricerca storica, risulta paradigmatico nella disamina degli sviluppi della letteratura demonologica. Infatti, fino al tardo medioevo la principale fonte normativa dedicata alla stregoneria era il breve e ambiguo Canon episcopi (originariamente ritenuto documento accessorio ai codici promulgati durante il Concilio di Ancira del 314 d.C. ma in realtà risalente agli inizi del sec. X), nel quale si stabiliva che, sebbene i fenomeni legati alla stregoneria fossero da ritenersi illusioni diaboliche, le relative pratiche venivano inquadrate come elementi di un culto verso il demonio. Perciò, nonostante il volo notturno, per fare un esempio, fosse ritenuto materialmente impossibile, esso poteva comunque realizzarsi con lo spirito e l’immaginazione, rendendo i praticanti infedeli e perseguibili in quanto tali.
Come illustrato negli ultimi due capitoli del libro anche attraverso una serie di casi specifici, dal tramonto del medioevo e in maniera irreversibile con l’affermarsi della cultura umanistica, si iniziò a chiedersi se nelle narrazioni di malefici e altre imprese stregonesche del patrimonio letterario classico non ci fosse un preoccupante e sostanziale fondo di verità, il quale si sarebbe poi rivelato cruciale nell’elaborazione di concetti cumulativi di strega e stregoneria, vera e propria base concettuale per le persecuzioni dei secoli XVI e XVII e la trattatistica dedicata.