Geniale. 13 lezioni che ho ricevuto da un mago leggendario sull’arte di vivere e pensare
di Massimo Polidoro
Feltrinelli URRA 2022
pp. 255, € 16
Recensione di Fara Di Maio
Nel suo più recente libro Massimo Polidoro condivide con il lettore molti momenti autobiografici e ci racconta, anche, il Randi 'casalingo’, così come lo ha conosciuto lui durante un lungo periodo in cui da giovanissimo ha avuto l’opportunità di vivere in casa sua e fargli da assistente, con l’impossibile compito di mettere in ordine migliaia di documenti conservati da un personaggio geniale, ma con una propria personale idea di organizzazione.
Con molta umiltà l’autore racconta quello che ha appreso non solo dalle parole ma anche e soprattutto dagli esempi e dal lavoro pratico e quotidiano di James Randi (e di altri illustri personaggi con cui ha avuto modo di venire a contatto nel corso della sua esperienza statunitense e non solo). Insegnandoci che non basta avere un grande genio come amico: bisogna, (come diceva il titolo anch’esso geniale di un libro di testo scolastico degli anni ’70), osservare, sperimentare, imparare. Interiorizzare gli insegnamenti ricevuti e proseguire sulla strada personale con le proprie abilità.
Lo abbiamo intervistato per parlare del suo libro.
Massimo, tu hai avuto la grande opportunità di vivere per un lungo periodo in casa di Randi e quindi, come racconti nel volume, hai potuto condividerne la quotidianità. La prima cosa che ho notato è che parli molto dell’importanza di superare comprensibili incertezze e provare a entrare in contatto con le persone di cui ammiriamo il pensiero e il lavoro. Tu l’hai fatto e con risultati sicuramente superiori alle tue stesse aspettative, per esempio con Piero Angela e James Randi. Nel tuo caso questi grandi personaggi hanno risposto a un giovanissimo lettore e da qui è iniziata la tua avventura e la tua carriera. Si potrebbe pensare che con i mezzi oggi a disposizione (social, mail) sia ancora più semplice prendere contatto con scrittori, scienziati e altri personaggi? È così?
Paradossalmente il fatto che oggi sia più semplice prendere contatti rende la cosa più complessa, perché tutti i personaggi pubblici ricevono quantità di messaggi tali che diventa difficile prenderli tutti in considerazione. Una volta, anche solo trovare un recapito a cui scrivere era un’impresa, c’era già una selezione, insomma; adesso, data la mole della corrispondenza, è molto più probabile che una comunicazione vada perduta e che non si riceva risposta. Il consiglio principale è essere brevi, non perdersi in chiacchiere (anche a me arrivano molte mail e messaggi di questo tipo), andare al sodo senza pretendere nulla dal destinatario. Quando ho scritto a Randi e Piero Angela mi sono complimentato con loro, ho ringraziato per quello che i loro libri mi avevano insegnato e le emozioni che mi avevano dato e mi sono messo a disposizione. Si è aperto così un canale, una porta verso il loro mondo.
E per un contatto con Massimo Polidoro? Indirizzo mail o la vecchia cara lettera di carta?
R.: (ride) Personalmente rispondo a tutti per quanto posso e intervengo anche nei commenti ai miei video e ai miei post su YouTube e sui social. Se qualcuno volesse scrivermi, è meglio farlo presso il CICAP, da cui mi vengono girati i messaggi. Ma mi hanno scritto anche su carta!
In un capitolo citi l’invito che hai ricevuto da Randi all’epoca in cui gli facevi da assistente, quando gli avevi parlato della tua passione per lo spiritismo: «Perché non ci scrivi un libro?» ti ha detto. Scrivere delle nostre passioni oggi è sicuramente più agevole rispetto ai tempi in cui hai incominciato tu, quando reperire fonti, testi e altro materiale era molto difficile e complicato. Se qualcuno volesse seguire il consiglio di Randi, che tu hai preso decisamente in parola, ritieni che anche la circolazione di un volume oggi sia facilitata, se non anche la pubblicazione?
È vero che, anche in questo caso, oggi è sicuramente più facile scrivere e magari pubblicare un libro in proprio e farlo circolare, ma paradossalmente diventa più difficile farsi notare proprio perché chiunque può pubblicare qualunque cosa. Meglio provare la strada dell’editore tradizionale, anche se non bisogna aspettarsi subito di essere presi in considerazione, soprattutto da quelli grandi, ma neanche scoraggiarsi. Io stesso, nonostante Piero si fosse offerto di scrivere un’introduzione per quel primo libro sullo spiritismo, non sono riuscito a trovare un editore interessato per quattro anni, dopo che sono rientrato in Italia. Un suggerimento è quello di evitare gli editori che lanciano finti concorsi letterari e richiedono soldi per pubblicare un libro. Non a caso questa editoria è definita vanity press, è cioè un modo per solleticare la vanità dell’autore al fine di trarne un guadagno. Ci si ritrova poi con scatoloni del volume che nessuno si occuperà di distribuire. Ci si può anche auto-pubblicare senza spendere nulla, ad esempio tramite Amazon, stampando e vendendo direttamente i propri libri. Funziona e anch’io, nonostante pubblichi da tanti anni con i più grandi editori, ho scelto di recuperare in questo modo alcuni miei titoli fuori catalogo. Chiaramente, ho già un pubblico che mi segue e che può essere interessato a questo tipo di ristampe; chi è meno conosciuto potrebbe avere maggiori difficoltà a diffondere il proprio lavoro. Ma anche qui, i social possono venire in aiuto, se prima di proporre un libro al pubblico si lavora alla costruzione di una comunità di persone con cui condividere le proprie passioni.
Via social quindi ci si può far conoscere e poi tirare fuori quel libro nel cassetto?
Sì, ma la cosa più importante è dedicarsi alla propria passione e farlo bene. E se la passione è sincera, e si vede, è qualcosa che può attirare anche l’attenzione di un editore. Sono tanti i casi di giovani che hanno avuto un buon successo sui social e, sulla base di questo, sono stati invitati a pubblicare anche con editori molto grandi.
Cambiando argomento, dalla lettura di “Geniale” emergono analogie tra Randi e Leonardo da Vinci, e tu lo fai notare. Anche su Leonardo hai scritto un libro e hai curato gli splendidi documentari andati in onda su Focus TV. In entrambi c’è l’impronta digitale del genio. Ce ne vuoi parlare?
Hai ragione, ho segnalato questo parallelo perché mentre scrivevo su Leonardo, facendo raccontare la storia al suo autentico allievo Francesco Melzi, mi veniva in mente il rapporto tra maestro e allievo che avevo con Randi. Ci sono effettivamente diverse cose che li accomunano, in primis l’estrema curiosità che Randi aveva fatto sua in maniera molto profonda, fin da bambino, interessandosi di tantissime cose per tutta la vita, come del resto anche Leonardo. L’insegnamento che entrambi ne hanno tratto, poi, è quello di far volare la fantasia, ma di restare ancorati ai fatti, senza cedere alle suggestioni, basarsi quindi sull’esperienza, come diceva Leonardo, cioè sulla verifica dei fatti, e non sul sentito dire. Bisogna evitare di lasciarsi esaltare da tante belle ipotesi che però non hanno fondamento. Per quanto, ovviamente, stiamo parlando di due persone molto diverse, sia Leonardo che Randi sono stati due uomini che hanno attraversato la vita incontrando molte difficoltà fin dalla gioventù, perché erano tutti e due degli outsider, autodidatti e di rado incoraggiati a seguire le proprie passioni, ma anzi spesso erano ostacolati.
Nel libro insegni a pensare come persone di scienza e anche su questo argomento hai scritto un libro, uno dei più recenti[1]. Oggi sono sempre più diffusi il complottismo e il negazionismo sia nei confronti della scienza che, molto spesso, dei semplici fatti: prima il Covid, ora la guerra in Ucraina, tanto per citare gli esempi più recenti. Qualche consiglio su come affrontare il complottista che magari abbiamo in casa?
Bisogna innanzi tutto rendersi conto che chi abbraccia le teorie del complotto e rifiuta la scienza o non si fida delle istituzioni spesso ha davvero bisogno di essere compreso, e bisogna capire le motivazioni che portano a questo tipo di rifiuto. Spesso c’è una frustrazione di fondo, insicurezza, paura, ansia generata dall’incertezza, la difficoltà di affrontare situazioni inquietanti e spaventose, ma anche il fatto di sentirsi impotenti e senza voce, di fronte a tutto quello che accade. Queste persone si aggrappano così a chi sembra avere risposte facili e rassicuranti; promettere miracoli e facili soluzioni, oltre a farti credere di essere un genio incompreso in mezzo a una massa di pecoroni, sono ricette che funzionano sempre. Capita con personaggi che vogliono raccogliere un seguito, figure politiche o falsi giornalisti, ad esempio. E quindi il consiglio per dialogare con queste persone è quello di ascoltare molto, evitare di inondarle di fatti e dati, perché non è così che cambieranno mai idea. Se si presta attenzione e ci si mostra attenti e comprensivi, forse si potrà ottenere lo stesso tipo di attenzione quando si proverà a riportare l’argomento su ciò che è verificato. Indubbiamente, serve una grande pazienza...
Passiamo a un’altra nota del libro che mi ha incuriosita: voler essere multitasking, che è un mito della nostra epoca. Lo smonti decisamente e al riguardo fornisci anche dati scientifici. Tu, che produci a ritmo sostenuto libri, articoli, documentari, incontri pubblici, e ovviamente segui anche la tua famiglia, hai qualche suggerimento per chi vorrebbe fare tante cose e pensa di essere in grado di farle tutte nello stesso tempo?
Il multitasking in sé non funziona perché è il nostro cervello che non funziona così. Si desidera fare tante cose contemporaneamente, ma il cervello ha fisiologicamente bisogno di riadattarsi ogni volta che sposta l’attenzione da una cosa all’altra, e così si finisce per perdere molto più tempo. Io ho trovato il modo di seguire tanti progetti solo apparentemente insieme, nel senso che non mi metto a scrivere un libro e contemporaneamente un articolo e contemporaneamente rispondo alle mail, ma suddivido la giornata in diversi momenti e in quei momenti cerco di focalizzarmi per un’ora o due ore solo su una specifica attività. Mi sono reso conto che con questo sistema riesco a fare molto di più in una giornata.
Nel tuo libro emergono alcune caratteristiche positive di Randi come persona dietro al personaggio, all’uomo di spettacolo, suffragate da fatti ed esempi: era giusto, leale, corretto, rispettoso, amorevole. Smascherava i truffatori per amore di verità ma anche e forse soprattutto per rispetto del prossimo. Aveva un approccio amorevole anche nei confronti del truffatore di turno?
Dipendeva dall’imbroglione. C’è una differenza tra chi magari inganna per sentirsi realizzato, per avere una seconda chance da una vita che lo ha messo da parte, e però non crea danni concreti alle persone, rispetto a chi approfitta della fragilità di chi soffre per speculare sul dolore di queste persone. Randi provava molta rabbia nel vedere questi approfittatori prendersi gioco dei più deboli. La cosa che fa più male a chi come lui faceva opera di demistificazione è che le vittime non se ne accorgono; se la prendono anzi spesso con chi smonta le loro illusioni e cerca di metterle in guardia, non vogliono rendersi conto di essere state raggirate e vogliono invece che quei fatti a cui vogliono credere siano veri a tutti i costi. Non è facile, è come cercare di aiutare qualcuno a non affogare e quello, agitandosi di continuo, te lo impedisce.
Sempre a proposito del Randi amorevole e affettuoso c’è un episodio o un dettaglio che ti sta particolarmente a cuore?
Sì, c’è un fatto che mi ha molto colpito. Quando Randi si sottoponeva alla chemio dopo un intervento chirurgico, andava in ospedale e incontrava molte persone, soprattutto signore anziane e sole, che aspettavano il proprio turno o ricevevano il medicinale; lui, nonostante fosse un paziente come loro, proponeva a un certo punto un piccolo gioco di prestigio per attirare l’attenzione, poi faceva sparire una moneta, poi si esibiva in qualche gioco di carte per far passare quel tempo in allegria, per distrarre quelle persone. Quando poi finì i suoi cicli di chemio ha continuato a tornare ogni tanto in ospedale nella pausa pranzo per intrattenere i pazienti. Anche se nessuno glielo chiedeva, si immedesimava nel dolore e nella solitudine che potevano provare quelle persone, e farsi vedere lo sentiva come un dovere.
Nel libro ripeti più volte che bisogna avere coraggio, e lanciarsi nelle attività che ci appassionano. Un vecchio proverbio recita: meglio avere rimorsi che rimpianti. Tu cosa ne pensi?
Avere rimpianti è un peccato: per essersi lasciati sfuggire un’occasione a causa della timidezza, o perché magari ci si è frenati per timore di una brutta figura, perché si teme una risposta negativa o addirittura nessuna risposta... Ma la risposta può essere positiva, cosa c’è da perdere nel tentare?
“Cosa hai da perdere?” lo dici spesso nel testo, e lo diceva anche Randi.
Certo! Potresti ricavarne una piccola ammaccatura al tuo ego, vero, ma se non provi non lo saprai mai. Magari potrebbe andarti bene e, in effetti, tante volte le cose vanno bene!
Note
1) "Pensa come un* scienziat*", Piemme, ottobre 2021.
La malattia da 10 centesimi. Storia della polio e di come ha cambiato la nostra società
di Agnese Collino
Codice Edizioni 2021
pp. 295, € 19
Recensione di Simone Raho
Se c’è un libro che più di altri si adatta alla situazione che tutti noi stiamo vivendo da un paio d’anni a questa parte è proprio questo. Ma attenzione, perché un distinguo è assolutamente necessario: non abbiamo infatti a che fare con un libro nato sotto la spinta di pubblicare a tutti i costi un volume che avesse ad oggetto un’epidemia o la storia di una malattia. Questo libro non nasce da un’esigenza editoriale, ma da un’urgenza narrativa.
Lungi pertanto dall’essere un’operazione “mordi e fuggi”, l’ultimo lavoro di Agnese Collino è invece un’opera superbamente pensata, ragionata e attentamente ricostruita con calma e dedizione: lo dimostra la ricca e corposa bibliografia a corredo per chi volesse approfondire ulteriormente una storia, il cui filo logico e cronologico non è stato affatto semplice da dipanare.
Gli spunti di riflessione che si riescono a trarre da questa diligente ricostruzione sono molteplici e su più livelli.
Uno spunto storico innanzitutto, quello apparentemente più ovvio, rimarcato dallo stesso sottotitolo: scopriamo che la polio ha un’origine molto antica e che le sue ondate epidemiche per lungo tempo non hanno avuto una spiegazione plausibile; l’importanza storica di un malato d’eccezione come il presidente americano Roosevelt per la lotta alla malattia è anch’essa da rimarcare ed egli ritorna spesso nel libro come una figura chiave intorno a cui ruotano molti degli avvenimenti narrati.
Lo spunto sociologico segue di pari passo: il fattore umano con i suoi correlati psicologici ed empatici ha giocato infatti un ruolo determinante nell’orientare favorevolmente sia l’opinione pubblica che i decisori politici nella lotta alla malattia.
Lo spunto scientifico naturalmente. Esso, come è giusto che sia, riveste un ruolo di assoluto primo piano nel racconto dell’autrice, molto abile nell’evidenziare le timide scoperte iniziali, l’entusiasmo per i primi successi, ma anche le battute d’arresto, i clamorosi scivoloni, gli errori madornali e i fallimenti. Il che permette di riportare la scienza, che è pur sempre un’attività umana, alle sue giuste dimensioni, sottolineandone certamente i pregi e i grandi successi, ma senza esaltarla e caricarla di eccessive aspettative. Uno dei meriti più grandi di Collino in questo libro, a parere di chi scrive, è proprio questo: l’aver reso giustizia alla scienza, descrivendola per quella che è, con i suoi grandi valori, gli immensi benefici che ha reso all’umanità, senza altresì nascondere gli insuccessi, le sconfitte o gli errori di presunzione. In questo senso, la storia della poliomielite è uno splendido pretesto e un efficace espediente narrativo con cui l’autrice descrive come avvengono le scoperte e il progredire scientifico.
E per ultimo, ma non ultimo per chi scrive, uno spunto mediatico. Esso riveste un ruolo di primo piano, perché mai prima di allora, una malattia, la ricerca scientifica ad essa collegata e gli scienziati stessi, avevano ricevuto una simile attenzione dai mass media; scienziati che proprio in quegli anni cominciarono a ricoprire un ruolo sempre più rilevante all’interno della società odierna. Ed è facile vedere in questo una sorta di parallelismo con la sovraesposizione mediatica di alcuni scienziati nella gestione dell’attuale pandemia da CoViD-19.
Legato a quello mediatico, e in un certo senso inseparabile da esso perché spesso “sbattuto in prima pagina”, è il lato emotivo e irrazionale, che Collino ci espone nell’ultima parte del libro come una dimensione imprescindibile di ogni vicenda medica. Lascio a chi avrà il piacere di leggere il libro la comprensione delle influenze e il legame che questo aspetto ha avuto nella storia della polio.
Per concludere, questo non è semplicemente un volume di storia della medicina o di progresso scientifico, ma molto di più: narra certamente di scienza e medicina, ma anche di rapporti sociali, di politica, di scelte coraggiose, di errori clamorosi, di diritti negati e conquistati e di tanto altro ancora. Una vicenda fondamentale che certamente ha contribuito a plasmare alcuni degli aspetti che hanno cambiato per sempre la società, mutandola in quella in cui viviamo tutt’oggi.
Il tredicesimo segno. Gloria e miseria dell’Astrologia
di Silvano Fuso
Fefè Editore, 2021
pp. 157, € 12
Recensione di Luca Menichelli
Sfogliando qualsiasi rivista, quotidiano, pubblicazione generalista o facendo zapping in TV è facile imbattersi nelle previsioni di qualche astrolog* che presenta le sue previsioni sulla vita delle persone basate sulla consultazione delle stelle. Di astrologia e della sua diffusione parliamo con Silvano Fuso, autore di un libro che tratta proprio questo argomento con un approccio scientifico.
Tu ti occupi di divulgazione scientifica, i tuoi libri spaziano su vari argomenti, ma sono tutti legati da un filo conduttore che è la necessità di diffondere il pensiero scientifico per contrastare il dilagare delle pseudoscienze. Da quando e perché ti occupi di questi temi?
Innanzitutto grazie per questa chiacchierata. Me ne occupo da tanto tempo: da quasi 30 anni. Ho sempre affiancato la mia attività didattica a quella divulgativa. Nel nostro Paese c’è un grande bisogno di diffondere maggiormente la cultura scientifica e quindi didattica e divulgazione devono impegnarsi per colmare questa lacuna. Al di là dei contenuti disciplinari, è importante far comprendere in che modo operi la scienza e perché le affermazioni scientifiche non sono semplici opinioni espresse da uno scienziato. Uno scienziato può sicuramente avere le sue opinioni su qualsiasi argomento ma, se è intellettualmente onesto e fa bene il suo lavoro, deve esprimere posizioni che siano basate su evidenze concrete raccolte dall’intera comunità scientifica. Un bravo docente e un bravo divulgatore devono fare altrettanto, ovviamente usando un linguaggio che sia comprensibile a chi non è addetto ai lavori. Per comprendere bene il modus operandi della scienza è utile dare uno sguardo alla storia che mostra come certe idee siano nate e si siano sviluppate nel tempo. Per questo nei miei libri (anche in quello di cui stiamo per parlare) dedico ampio spazio agli aspetti storici.
Come ti spieghi la diffusione di teorie pseudoscientifiche?
Alla base della diffusione delle pseudoscienze vi è un fattore principale e molto semplice: le pseudoscienze vanno a soddisfare la nostra sfera emotiva. A chi non piacerebbe che esistessero terapie miracolose e del tutto prive di effetti collaterali? Chi non sarebbe entusiasta di fronte a una nuova fonte di energia economica e totalmente pulita? Chi non esulterebbe di fronte a un nuovo metodo di studio che ci consentisse di imparare rapidamente molte cose e senza fatica?
Le pseudoscienze forniscono generalmente risposte semplici a problemi complessi e hanno successo perché anche una parte del nostro cervello tende a fare altrettanto. Si tratta di quello che lo psicologo israeliano Daniel Kahneman chiama “sistema 1”. Esso opera velocemente e in modo automatico, fornendoci risposte immediate ma molto spesso sbagliate. Per fortuna abbiamo anche un “sistema 2”, che opera più lentamente, segue un percorso razionale e ci consente di raggiungere conclusioni più affidabili. La scienza si basa su questo “sistema 2”. Esso però richiede fatica, non interviene spontaneamente e necessita di una notevole forza di volontà e impegno.
Se le pseudoscienze sono spesso attraenti, le affermazioni della scienza talvolta contrastano con i nostri desideri e con le nostre speranze. Di conseguenza molta gente sviluppa un atteggiamento antiscientifico. Inoltre, molti identificano la scienza con il potere costituito e assumono di conseguenza nei confronti di essa un atteggiamento di diffidenza e ribellione. Tuttavia (e qui interviene la mancata conoscenza di come la scienza operi) non ci si rende conto che la scienza è una delle attività umane maggiormente democratiche, libertarie e, se vogliamo, rivoluzionarie. La scienza non ammette infatti alcun principio di autorità (che non sia quella dei fatti) ed è in grado di spazzar via convinzioni radicate da tempo.
Spesso chi segue idee "alternative" a quella che definisce “scienza ufficiale” sostiene che la scienza è troppo dogmatica e tende a escludere teorie innovative senza nemmeno analizzarle. In fondo, si sostiene, molto di quello che cento anni fa era fantascienza oggi è scienza dimostrata. C'è qualcosa di vero in ciò?
Questo atteggiamento è tipico di chi non conosce il modus operandi della scienza di cui parlavo. Tra tutte le attività umane la scienza è quella più antidogmatica. E la sua storia lo conferma ampiamente. La scienza ha un’evoluzione e si modifica continuamente: se fosse dogmatica questo non accadrebbe. Invece sono proprio le pseudoscienze a rimanere identiche a sé stesse, senza subire alcuna evoluzione.
La scienza si modifica, ma devono esserci valide ragioni per farlo. Se nuove evidenze sperimentali mettono in crisi una teoria, la comunità scientifica non ha alcun problema a cambiare la teoria. Questo è accaduto molte volte. Ma le evidenze sperimentali devono essere solide. Le cosiddette “discipline alternative” presentano invece “evidenze” molto deboli, spesso aneddotiche, ottenute con metodi sperimentali discutibili, ecc. È quindi inevitabile che la comunità scientifica non le accetti (ma non è vero che non le analizzi). Se certe teorie hanno dimostrato la loro validità nell’interpretare numerosissimi fenomeni, non si possono modificare a cuor leggero basandosi su dati incerti e traballanti. Sarebbe insensato farlo. Quindi non c’è nulla di dogmatico e di ideologico nel rifiuto da parte della scienza di certe discipline. Se esse presentassero davvero dati convincenti, verrebbero fatte proprie dalla scienza e cesserebbero immediatamente di essere alternative.
Ora entriamo nel vivo del tuo libro Il tredicesimo segno. Perché Ofiuco, la tredicesima costellazione, non viene mai considerato da chi si occupa di astrologia?
Ofiuco è una costellazione dello Zodiaco al pari delle altre 12. È conosciuta da molto tempo e persino Tolomeo la nomina (ricordiamo comunque che le costellazioni sono solo insiemi convenzionali di stelle).
Lo Zodiaco, tuttavia, fin dai tempi dei Babilonesi, è stato diviso in dodici parti (di 30° ciascuna) che corrispondono ai 12 segni degli astrologi. Probabilmente Ofiuco è stato trascurato perché dividere lo Zodiaco in 13 parti complicava le cose. Inoltre anche i mesi dell’anno sono 12 e risultava quindi molto più comodo considerare solo 12 segni zodiacali. Nel corso della storia c’è stato qualche astrologo che ha provato a introdurre Ofiuco. Tali proposte non hanno però mai trovato seguito.
Il libro si incentra su una domanda fondamentale. Perché malgrado tutto l'astrologia continua ad avere un grosso seguito? Puoi anticiparci qualcosa senza entrare troppo nei dettagli per non togliere il piacere della lettura?
Vale quello che dicevamo prima per le pseudoscienze (categoria cui l’astrologia appartiene): semplicemente a molti piace credervi. Da sempre l’umanità ha desiderato svolgere un ruolo importante nell’universo. La stessa concezione geocentrica aveva un carattere fortemente antropocentrico (pensiamo a quanto ha dovuto faticare l’eliocentrismo per imporsi!).
La scienza ha dimostrato che noi siamo del tutto insignificanti nell’economia dell’intero universo. A molti però questo non piace e continuano a sperare in cuor loro che ci sia una connessione tra il microcosmo di ciascuno di noi e il macrocosmo dell’universo. Da qui la credenza che gli astri possano influenzare la nostra vita. Può essere suggestivo crederci, ma purtroppo tutte le evidenze che abbiamo raccolto ci dicono il contrario.
Inoltre credere che il proprio destino sia già scritto negli astri alleggerisce molte persone dalle proprie responsabilità e questo evidentemente crea loro un certo sollievo. Naturalmente poi ci sono le varie strategie che gli astrologi utilizzano per convincere i propri clienti e che cerco di descrivere nel libro.
Credere in una connessione tra individuo e cosmo è una scelta personale e legittima. Tuttavia i problemi nascono quando da questa credenza soggettiva si fanno derivare scelte che riguardano anche gli altri. Nel libro, ad esempio, parlo di importanti uomini politici che prendevano decisioni in base ai consigli dei loro astrologi di fiducia. O di aziende che selezionano il personale in base al tema natale dei candidati. Queste cose ovviamente non sono accettabili e occorre contrastarle.
Grazie del tuo lavoro, Silvano, e ci sentiamo al prossimo libro.
Grazie a te. A presto!
An Honest Liar
Anno: 2014
Regia: Justin Weinstein, Tyler Measom
Principali interpreti: James Randi, José Alvarez/Deyvi Peña, Penn & Teller, Richard Wiseman, Alice Cooper
Disponibile su Amazon Video con il titolo “Un onesto bugiardo”
Sottotitoli in italiano a cura del CICAP
Recensione di Maria Rosa Pagni
Weinstein e Measom, sceneggiatori, registi e produttori di questo film, hanno avuto motivi personali per trattare il tema dell’inganno e delle convinzioni irrazionali: il primo, con un dottorato in genetica, si era imbattuto nei creazionisti, che rifiutavano il concetto scientifico di evoluzione, quando frequentava il college, mentre Measom si è distaccato dalla sua fede mormone dopo averne preso in esame gli insegnamenti.
Un inganno può essere lecito? È il tema di fondo di questo documentario sulla vita di James Randi. La risposta che viene data all’inizio del film pare chiara: un illusionista mente, ma in maniera onesta, perché fin da subito avvisa il pubblico che lo ingannerà, però lo fa a fin di bene per intrattenerlo e divertirlo. Ben diversi sono gli inganni di truffatori e impostori, che frodano le loro vittime. Un altro genere di inganno è quello fatto allo scopo di insegnare una lezione che aiuti a comprendere meglio il mondo reale e anche questo può essere lecito perché, in fondo, chiunque può essere imbrogliato.
Su questa traccia si dipana il racconto della vita e della carriera di James Randi, dai suoi inizi come illusionista ed escapologo e poi come demistificatore di sedicenti sensitivi e divulgatore scientifico. Ci sono le sue collaborazioni con Alice Cooper, il suo coming out del 2010 e alcuni dei casi più emblematici indagati e sbufalati da Randi (che quasi certamente i lettori di Query già conosceranno): i guaritori filippini, i “channeler” (quando si è avvalso della collaborazione del suo compagno José Alvarez), il predicatore Peter Popoff e Uri Geller. Però, sebbene Geller venga messo pubblicamente all’angolo da Randi, in realtà non perde affatto di popolarità, anzi per anni ha continuato a comparire in televisione vantandosi di essere un vero sensitivo e non un millantatore. Purtroppo il desiderio di “credere” a ogni costo, anche contro ogni evidenza, è difficile da sconfiggere. Se poi ci si mettono pure i ricercatori di fenomeni parapsicologici e paranormali che si fanno trarre in inganno dai presunti sensitivi la battaglia è persa in partenza.
La naturale risposta a tutto questo è stata la burla del “Progetto Alpha”, che senza dubbio è stata una pietra miliare della ricerca sul paranormale. Per chi non la conoscesse, la storia merita di essere brevemente raccontata. Nel 1979, un gruppo di ricercatori di St Louis, negli USA, aveva avviato una serie di test con l’obiettivo di scoprire individui dotati di poteri paranormali. Tra coloro che si presentarono per essere esaminati, due ragazzi offrirono delle dimostrazioni straordinarie, tali appunto da far pensare che fossero in grado di produrre fenomeni incredibili: telecinesi, levitazione di oggetti, piegatura di metalli con la forza del pensiero. James Randi contattò il laboratorio e si offrì di collaborare negli esperimenti condotti coi due ragazzi, spiegando che le sue competenze di prestigiatore avrebbero potuto essere utili per smascherare eventuali trucchi. La sua offerta venne però rifiutata, i ricercatori ritenevano di essere perfettamente in grado di condurre i loro studi. A quel punto Randi convocò una conferenza stampa nella quale spiegò che i due ragazzi erano in effetti suoi collaboratori, giovani prestigiatori che avevano utilizzato i trucchi del loro repertorio per produrre i presunti fenomeni paranormali. I ricercatori ricevettero un duro colpo alla loro credibilità e alla loro professionalità tanto che il laboratorio interruppe le sue attività. A distanza di anni gli stessi complici di Randi ripensano a quella vicenda e spiegano di avere anche dei sensi di colpa per ciò che hanno fatto; in fondo quegli scienziati non erano loro nemici. Ma questa storia ci aiuta a comprendere bene quello Randi stesso dice all’inizio del film: «Non importa quanto tu sia intelligente o acculturato. Tu puoi essere ingannato.» Infatti sul finale arriva un ultimo inatteso colpo di scena, quando il compagno di Randi... e non diremo altro per evitare uno spoiler.
La vicenda avrà ripercussioni legali sulla coppia, ma, alla fine, si risolverà per il meglio.
Randi da imbroglione è divenuto l’imbrogliato? Di certo possiamo dire che tutto quanto era stato premesso all’inizio come in uno spettacolare gioco di prestigio, in cui l’illusionista annuncia fin da subito cosa il pubblico vedrà sul palco e, per quanto sembri incredibile, lo mette in scena.