Naturale è bello, soprattutto per la nostra salute. È quanto sembra credere una quantità sempre crescente di cittadini che si rivolgono alle piante medicinali. Sono noti gli impieghi della fritillaria contro le infezioni delle vie respiratorie, quelli del costo per i problemi cutanei ma anche l'uso dell'iperico contro la depressione. Anche se il numero di farmaci derivati da piante è relativamente basso nella nostra farmacopea, la quantità di pazienti curati con essi è considerevolmente più elevato. Storicamente il mondo vegetale ha giocato un ruolo considerevole nella scoperta di nuovi principi attivi, e sicuramente molti segreti restano ancora da svelare.
In Italia si calcola che la fitoterapia sia utilizzata da oltre il 15% della popolazione; una percentuale bassa rispetto a quella di altri paesi come la Gran Bretagna con il 30% di cittadini che ha provato le erbe medicinali - spendendo 45 milioni di euro - e soprattutto la Germania, dove questo tipo di cure sono molto diffuse[1]. Da quando i prodotti a base di piante medicinali sono diventati alla moda in Occidente, il mercato sta crescendo dal 10 al 20% sia in Europa sia negli USA; senza contare gli altri prodotti erboristici che troviamo comunemente tra i prodotti da banco. Nel 1999, il commercio mondiale dei rimedi a base di erbe ha superato i 19 miliardi di dollari, con l'Europa nel ruolo di mercato più ricco, seguita dall'Asia e dal Nord America [2].
In campo terapeutico, le cure a base di erbe possono essere inserite nel campo della medicina complementare, definita come un metodo di cura che complementa quella ortodossa venendo incontro ad una richiesta che non potrebbe altrimenti essere soddisfatta [3]. Rispetto ad altre pratiche alternative o complementari come la riflessologia, l'aromaterapia o la chiropratica, la fitoterapia è certamente una disciplina per cui esistono esempi di efficacia e di un rapporto rischi-benefici positivo [4]. Varro P. Tyler, professore di farmacologia alla Purdue University, sottolinea che le erbe, considerate come un medicinale e non - ad esempio - come un cibo, sono un farmaco [5]. Rispetto agli agenti purificati e concentrati che siamo abituati a chiamare farmaci, esse sono sicuramente più diluite e, in aggiunta, possono contenere altri principi attivi che talvolta sono apparentati ai costituenti principali responsabili dei loro effetti, ma talvolta possono provocare problemi [6]. La corteccia da cui si ricava il chinino per la cura della malaria, ad esempio, contiene circa 25 alcaloidi, di cui uno agisce come cardiotonico mentre un'altro ha proprietà astringenti.
Diventa quindi importante che le piante per uso medico siano correttamente identificate e che garantiscano uno standard di qualità. Si devono cioè evitare adulterazioni, sofisticazioni e la sostituzione truffaldina del prodotto. La letteratura medica riporta casi in cui questo è avvenuto con esiti infausti: ad Hong Kong, per esempio, alcuni pazienti che pensavano di aver assunto un rimedio cinese a base di erbe preparato con le radici di long-dan-cao (Gentiana rigescens) hanno sviluppato casi di encefalopatia e neuropatia. L'analisi chimica della sostanza ha rivelato che si trattava di un'altra pianta (Podophyllum emodi) [7]. In un altro caso, dovuto probabilmente ad una confusione tra i nomi cinesi dei preparati, 48 persone hanno riporto gravi problemi renali per aver assunto un preparato dimagrante che conteneva guang-fang-ji (Aristlochia fangchi) invece di fang-ji (Stephania tetrandra) [8].
Tyler precisa che, in lotti differenti di una medesima pianta, la concentrazione dei costituenti attivi può variare molto anche in funzione della variabilità genetica, delle condizioni ambientali di crescita e dalla fertilità del suolo [9]. Anche le modalità di produzione dei prodotti possono influire: alcuni componenti sono sensibili al calore per cui le piante devono essere essiccate lentamente mentre, al contrario, altre sostanze sono distrutte dai processi enzimatici se l'essiccazione non è sufficientemente veloce. Da non dimenticare, nel controllo di qualità dei prodotti a base di erbe, è anche l'assenza di contaminanti ed inquinanti. In uno studio, su 2609 campioni di medicine tradizionali cinesi, prelevate da otto ospedali di Taiwan, il 23,7% contenevano adulteranti farmaceutici. In molte medicine cinesi vendute al di fuori dell'Asia sono stati ritrovati farmaci antinfiammatori e benzodiazepine. Una di esse, il Toukuwan, ha contenuto dal 1974, in tempi diversi, ben dieci prodotti farmaceutici diversi [10].
Tyler sostiene che più un'erba è pregiata e costosa, più la sua qualità tende ad essere inferiore, considerando anche che, se si presenta sotto forma di polvere in compresse o capsule, le contraffazioni sono facilitate. Come esempio il ricercatore riporta i risultati di un'indagine pubblicata su una rivista americana nel 1979, in cui su 50 prodotti a base di ginseng, il 25% non contenevano traccia di questa pianta [11]. In uno studio pubblicato nel 1998 sul New England Journal of Medicine, è risultato che su 251 prodotti tradizionali asiatici presi dalle erboristerie della California, 24 contenevano piombo (almeno una parte per milione), 36 contenevano arsenico e 35 contenevano mercurio [12].
Accertato che sappiamo cosa stiamo assumendo, soprattutto se si tratta di nuove erbe esotiche, e che la sostanza sia integra e incontaminata, dobbiamo considerare che in molte erbe conosciute da secoli come piante medicinali la "potenza terapeutica" dei principi attivi (e la possibile tossicità) è modesta, e che quindi l'impossibilità di definire una dose specifica, come avviene normalmente per i farmaci di sintesi, non costituisce generalmente un problema. Questo spiega perché molti rimedi a base di erbe sono più adatti per la cura a lungo termine di sindromi croniche poco accentuate piuttosto che per la rapida guarigione delle malattie acute. Tyler sostiene che le piante medicinali più comuni e utilizzate sono ragionevolmente sicure, perlomeno per quanto riguarda la loro tossicità acuta.
Recentemente, però, si è scoperto che alcune delle erbe più tradizionali possono causare disturbi meno accentuati dopo un uso prolungato. È il caso di certe specie di consolida che contengono alcaloidi tossici (pyrrolizidine) [13].
Accanto agli aspetti di controllo e qualità legati alla raccolta e alla preparazione dei prodotti a base di erbe, bisogna tenere contro dei problemi legati agli usi terapeutici che si fanno con esse. Principalmente è necessario indagare la loro possibile tossicità organica e la possibilità di provocare effetti indesiderati. Questo può essere realizzato sia analizzando il contenuto fitochimico delle piante sia raccogliendo i casi clinici presentati nella letteratura medica.
Secondo Edzard Ernst, un medico di origini tedesche che ha fondato la cattedra di Medicine Complementari all'Università di Exeter, i problemi di sicurezza legati alle erbe medicinali sono complessi e ancora troppo poco studiati [14].
Proprio perché le erbe sono una mistura di molti ingredienti attivi, dei quali non è chiaro quanto siano farmacologicamente attivi; e dato che - come abbiamo detto - i rimedi a base di erbe tendono ad essere assunti da pazienti con disturbi cronici, non è ancora ben chiaro quali possano essere le interazioni tra queste erbe e i farmaci convenzionali che gli stessi pazienti assumono abitualmente. Un caso tipico è l'uso di un lassativo naturale, come la senna, che può interferire con farmaci che sono assorbiti per via intestinale. Altri esempi emergono dallo studio dei casi clinici, come è avvenuto per l'iperico - un'erba usata per curare la depressione - per cui sono stati segnalati parecchi casi di interferenze con il metabolismo e di riduzione dell'efficacia delle terapie anticoagulanti concomitanti [15]. Anche il gingseng se assunto da solo ha pochi effetti collaterali ma, se associato al farmaco warfarina, può provocare un'eccessiva anticoagulazione [16].
Fino ad ora la scarsità di questo tipo di segnalazioni sulle interazioni farmaci-erbe può significare che sono eventi rari o semplicemente che esistono ma non sono sufficientemente segnalati. "I dati sperimentali in questo campo - scrive la ricercatrice Adriane Fugh-Berman - sono limitati e i casi clinici scarsi" [17]. Non è una consolazione sapere che le interazioni farmaco-farmaco sono altrettanto poco conosciute. Si può aggiungere che talvolta i pazienti non informano i loro medici di far uso di erbe perché temono di essere rimproverati. Sotto questo aspetto, i paesi in cui i medici prescrivono abitualmente rimedi fitoterapici, come la Francia e la Germania, hanno potenzialmente un maggior controllo rispetto a quelli, come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Italia, in cui questa pratica non è abituale, e i pazienti scelgono da sé le cure a base di erbe.
In molti paesi, i rimedi a base di erbe sono venduti come supplementi dietetici e quindi sfuggono la rigida regolamentazione sulla qualità e la sicurezza a cui sono sottoposti i prodotti farmaceuti. In Italia la legislazione specifica in materia risale agli anni trenta e anche nelle successive regolamentazioni il "prodotto erboristico" è spesso confuso con gli alimenti e gli integratori, mentre è una realtà che molte tisane, compresse o prodotti sfusi a base di erbe sono usate per curare piccoli malanni o per mantenere lo stato di benessere o le funzioni fisiologiche [18]. Il disegno di legge per la regolazione del settore erboristico, approvato dalla Camera dei Deputati il 16 marzo 2004, prevede che l'etichettatura riporti le eventuali controindicazioni, avvertenze e interazioni farmacologiche nei prodotti dove queste sono necessarie [19].
Secondo Ernst, l'uso di medicine a base di erbe comporta rischi, ma probabilmente meno che quelli derivati dai farmaci di sintesi [20]. Queste terapie sono ben accettate dai pazienti e sono relativamente sicure e relativamente economiche ed efficaci; anche in considerazione del fatto che sono utilizzate principalmente per malanni minori e circoscritti, con i disturbi del sistema respiratorio in cima alla lista. Per Ernst la mancanza di test clinici rigorosi realizzati fino ad ora è dovuta al fatto che il settore erboristico è piccolo e non può affrontare le spese dei test clinici come l'industria farmaceutica [21]. Questo non toglie che incidenti possano verificarsi: con una circolare del 22 gennaio 2002, il Ministero della Salute ha sospeso in modo cautelativo la commercializzazione di prodotti contenenti kava kava (piper methistycum) - una sostanza usata in Italia come ingrediente di prodotti salutistici - dopo alcune segnalazioni di effetti collaterali a carico della funzione epatica che si sono verificati in Svizzera e Germania. A livello comunitario è in corso di elaborazione una Direttiva Europea per portare i "farmaci vegetali tradizionali" agli stessi livelli di sicurezza dei farmaci di sintesi. In Italia, gli erboristi - che ormai sempre in più grande numero vengono formati nei corsi di laurea in Tecniche Erboristiche delle Facoltà di Farmacia - stanno facendo pressione, attraverso le loro organizzazioni di categoria, perché la loro figura professionale si sposti dal settore commerciale a quello della salute [22]. I vantaggi che porterebbe questo cambiamento, insieme a quelli di una formazione da parte dei medici sulla botanica farmaceutica, la farmacologia e la tossicologia delle piante medicinali, sono evidenti.
Una volta risolto il problema della sicurezza, viene spontaneo porci la domanda di quanto siano efficaci i rimedi a base di erbe. Tyler ricorda che circa il 25% della attuale materia medica deriva dallo studio di prodotti erboristici comuni, come la piantaggine e la senna. Non è assurdo aspettarsi che delle circa 13000 specie di piante usate per scopi medicinali nel mondo nel corso dei secoli, molte possano avere proprietà terapeutiche ancora poco studiate [23]. Per molte erbe, la loro efficacia è determinata dalle osservazioni empiriche piuttosto che dai risultati di costosi test clinici, come avviene per i farmaci. Tenendo conto che una medicina fitoterapica razionale è una medicina di tipo convenzionale, diventa importante conoscere i costituenti e i modi d'azione dei principi attivi che vengono assunti, in forma diluita, attraverso le erbe. In Germania, un paese in cui più del 50% della popolazione fa uso di rimedi fitoterapici, nel 1979 l'Agenzia Federale per la Salute (Bundesgesundheitsamt) ha istituito una commissione incaricata di esaminare la sicurezza e l'efficacia di oltre 1400 preparati a base di erbe ricavati da circa 700 specie di piante differenti. Nel 1991, la "commissione E" aveva già pubblicato nella Gazzetta federale (Bundesanzeiger) circa 300 monografie sui rimedi erboristici più diffusi in Germania. È probabile che ad oggi questi risultati costituiscano l'insieme di conoscenze scientifiche più accurate sull'argomento. Prendendo da queste fonti, e dal resto della letteratura scientifica Tyler ha pubblicato due libri in lingua inglese, in cui cerca di fornire una guida sensata e razionale all'impiego medicinale delle erbe [24].
Per quanto riguarda l'efficacia clinica, in un editoriale sul British Medica Journal, Ernst ha affermato che, rivedendo sistematicamente i test clinici randomizzati effettuati (ossia le sperimentazioni più), stanno emergendo prove indicanti che alcune cure a base di erbe sono efficaci [25]. In una serie di meta-analisi si è visto che l'iperico è più efficace del placebo in casi di depressione leggera o moderata, il ginko biloba è più efficace del placebo nel ritardare il decorso clinico della demenza e il palmetto della florida da buoni risultati nel trattamento sintomatico della iperplasia benigna della prostata [26].
Il lavoro fatto da Tyler per cercare di dare un quadro razionale dell'utilità delle piante medicinali è in stridente contrasto con alcune pubblicazioni in cui gli aspetti scientifici dell'impiego delle erbe sono sostituiti da una serie di credenze irrazionali che rischiano di rivelarsi anche pericolose. È diffusa la convinzione che tutto ciò che è "biologico" e "naturale" sia superiore ad ogni altra cosa. Purtroppo, anche se sui prodotti biologici non si fa uso di fertilizzanti o pesticidi sintetici, una grosso numero di sostanze tossiche - soprattutto carcinogeni - sono presenti in un grande numero di prodotti commestibili che vanno dalle mele ai pomodori, dove si sono probabilmente sviluppate nel corso dell'evoluzione come protezioni "naturali" contro i predatori [27].
Secondo Tyler, il culto delle "medicine naturali" ha incoraggiato la credenza che le erbe abbiano proprietà mistiche e quasi magiche, trasformando questo tipo di erboristeria in una pseudoscienza, distinta dall'erboristeria razionale e da lui chiamata "para-erbalismo" [28]. Tra chi aderisce a questo punto di vista è comune la convinzione che esista una cospirazione da parte dei medici e delle industrie farmaceutiche per scoraggiare l'uso delle erbe. In realtà, mentre le ditte farmaceutiche trascurano l'erboristeria perché la considerano non remunerativa, molti medici evitano di pronunciarsi a riguardo semplicemente perché la materia non fa parte del loro curriculum di studi.
Un'altra pericolosa credenza è quella che un rimedio, per il fatto che è naturale, non possa fare male ma solo curare. Per convincersi di quanto sia sbagliato questo concetto, pensiamo solo agli effetti letali di un prodotto derivato dalle piante come la stricnina.
Anche l'affermazione che le erbe assunte interamente sono più attive dei loro componenti attivi isolati nei farmaci si presta a delle obiezioni: Tyler sostiene che per ogni caso a supporto di questa tesi ne esiste uno contrario e che inoltre, come abbiamo visto, non bisogna dimenticare che molte erbe contengono delle tossine accanto ai loro principi attivi.
Anche una eccessiva fiducia nelle prove aneddotiche sull'efficacia di un prodotto a base di erbe devono essere prese con cautela: l'utilità clinica è determinata anche da altri fattori, come i test preliminari sulle cavie e le sperimentazioni cliniche del prodotto, oltre che alla raccolta dei casi in cui si sono verificati effetti collaterali.
Da ultimo Tyler mette in guardia contro gli autori di alcune pubblicazioni erboristiche che, non avendo una preparazione adeguata nel campo della botanica, della chimica e della farmacologia, fanno affidamento su fonti non aggiornate senza avvalersi della letteratura scientifica moderna. Talvolta in questi pittoreschi testi vengono tramandate le opinioni di autori che da tempo non sono più delle autorità, come il farmacista inglese Nicholas Culpeper, vissuto nel XVII secolo, che con le sue interpretazioni astrologiche dell'efficacia delle erbe medicinali, sembrò anticipare l'Era dell'Acquario [29].
Se il mercato delle piante usate in erboristeria continua a crescere al ritmo degli ultimi anni, viene spontaneo chiedersi fino a quando potremo permetterci di scegliere tra quello che offre la natura. Alan Hamilton, uno ricercatore del WWF, ha lanciato un grido d'allarme, sostenendo che fino ad un quinto delle specie usate in fitoterapia rischia di scomparire a causa dell'eccessivo sfruttamento [30]. La minaccia è particolarmente seria, se consideriamo che ben due terzi delle 50000 piante medicinali conosciute sono raccolte allo stato selvatico. In termini numerici questo significa da 4000 a 10000 piante in pericolo. Hamilton ha ricavato queste stime analizzando l'elenco delle specie in via d'estinzione pubblicato dall'organizzazione ambientalista World Conservation Union. Il suo studio è stato pubblicato sulla rivista Biodiversity and Conservation. Un esempio di pianta in pericolo è quello della Prunus africana, la cui corteccia è utilizzata per curare i disturbi della prostata: il suo mercato è crollato perché troppi esemplari sono stati scorticati allo stesso tempo [31].
Hamilton avverte che l'intenso sfruttamento di risorse vegetali raccolte allo stato brado non rischia di mettere in crisi unicamente il ricco mercato occidentale dei rimedi medicinali naturali. Si stima, infatti, che dal 70 all'80% della popolazione mondiale faccia affidamento su cure tradizionali - principalmente a base di erbe - per far fronte alle proprie esigenze mediche primarie. Inutile dire che questa massa di miliardi di persone abitano in paesi poveri, come l'India e molte regioni asiatiche e africane [32]. La ragione dell'aumento nell'uso di prodotti fitoterapici tradizionali è dovuta sia alla crescita della popolazione globale, sia a scelte culturali, ma anche - non possiamo negarlo - alla scarsa disponibilità di farmaci prodotti in Occidente. Nei paesi in via di sviluppo si consumano solo il 15% dei prodotti farmaceutici di sintesi e la maggior parte di essi vanno alle famiglie benestanti che possono permettersene l'elevato costo. I poveri hanno poche alternative all'uso delle erbe medicinali, anche se per certi tipi di malattie preferirebbero poter ricorrere alla medicina occidentale. Questa realtà emerge anche dai dati: in paesi come il Mozambico, troviamo un medico che utilizza la medicina occidentale ogni 50000 pazienti, contro un praticante di medicina tradizionale ogni 200 malati. Hamilton sostiene che, in termini non quantitativi, ma di numero di specie interessate, l'uso medicinale delle piante rappresenta, fino ad ora, il più grande impiego umano del mondo naturale. Anche la quantità di piante commerciate è comunque di tutto rispetto: nel 1996 la Cina ha prodotto 1.6 milioni di tonnellate di piante medicinali, sia provenienti da coltivazioni sia raccolte allo stato brado [33].
Se miliardi di persone nel mondo si affidano alla fitoterapia, sono milioni coloro che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, traggono il loro sostentamento dalla raccolta e dal commercio di queste piante. Anche per loro, l'estinzione dovuta al sovrasfruttamento di queste risorse porterebbe seri problemi. Per scongiurare questo scenario è urgente incoraggiare lo sviluppo di un programma di raccolta sostenibile. Sfortunatamente, afferma Hamilton, le aziende produttrici sono spesso più attente ad altri aspetti del prodotto che alla sua sostenibilità biologica ed ecologica. Normalmente ci si cura solo del controllo di qualità, come la presenza di principi attivi e l'eliminazione di contaminanti come pesticidi, fertilizzanti e metalli pesanti [34]. Non ci resta che sperare che la coscienza ecologica, così comune quando si parla di prodotti naturali, possa rapidamente formarsi anche nel settore della sostenibilità.
Andrea Albini Collaboratore tecnico presso l'Universitò di Pavia dove si occupa di didattica e dello studio di materiali per l'ingegneria elettrica.
In Italia si calcola che la fitoterapia sia utilizzata da oltre il 15% della popolazione; una percentuale bassa rispetto a quella di altri paesi come la Gran Bretagna con il 30% di cittadini che ha provato le erbe medicinali - spendendo 45 milioni di euro - e soprattutto la Germania, dove questo tipo di cure sono molto diffuse[1]. Da quando i prodotti a base di piante medicinali sono diventati alla moda in Occidente, il mercato sta crescendo dal 10 al 20% sia in Europa sia negli USA; senza contare gli altri prodotti erboristici che troviamo comunemente tra i prodotti da banco. Nel 1999, il commercio mondiale dei rimedi a base di erbe ha superato i 19 miliardi di dollari, con l'Europa nel ruolo di mercato più ricco, seguita dall'Asia e dal Nord America [2].
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Un problema di sicurezza
In campo terapeutico, le cure a base di erbe possono essere inserite nel campo della medicina complementare, definita come un metodo di cura che complementa quella ortodossa venendo incontro ad una richiesta che non potrebbe altrimenti essere soddisfatta [3]. Rispetto ad altre pratiche alternative o complementari come la riflessologia, l'aromaterapia o la chiropratica, la fitoterapia è certamente una disciplina per cui esistono esempi di efficacia e di un rapporto rischi-benefici positivo [4]. Varro P. Tyler, professore di farmacologia alla Purdue University, sottolinea che le erbe, considerate come un medicinale e non - ad esempio - come un cibo, sono un farmaco [5]. Rispetto agli agenti purificati e concentrati che siamo abituati a chiamare farmaci, esse sono sicuramente più diluite e, in aggiunta, possono contenere altri principi attivi che talvolta sono apparentati ai costituenti principali responsabili dei loro effetti, ma talvolta possono provocare problemi [6]. La corteccia da cui si ricava il chinino per la cura della malaria, ad esempio, contiene circa 25 alcaloidi, di cui uno agisce come cardiotonico mentre un'altro ha proprietà astringenti.
Diventa quindi importante che le piante per uso medico siano correttamente identificate e che garantiscano uno standard di qualità. Si devono cioè evitare adulterazioni, sofisticazioni e la sostituzione truffaldina del prodotto. La letteratura medica riporta casi in cui questo è avvenuto con esiti infausti: ad Hong Kong, per esempio, alcuni pazienti che pensavano di aver assunto un rimedio cinese a base di erbe preparato con le radici di long-dan-cao (Gentiana rigescens) hanno sviluppato casi di encefalopatia e neuropatia. L'analisi chimica della sostanza ha rivelato che si trattava di un'altra pianta (Podophyllum emodi) [7]. In un altro caso, dovuto probabilmente ad una confusione tra i nomi cinesi dei preparati, 48 persone hanno riporto gravi problemi renali per aver assunto un preparato dimagrante che conteneva guang-fang-ji (Aristlochia fangchi) invece di fang-ji (Stephania tetrandra) [8].
Tyler precisa che, in lotti differenti di una medesima pianta, la concentrazione dei costituenti attivi può variare molto anche in funzione della variabilità genetica, delle condizioni ambientali di crescita e dalla fertilità del suolo [9]. Anche le modalità di produzione dei prodotti possono influire: alcuni componenti sono sensibili al calore per cui le piante devono essere essiccate lentamente mentre, al contrario, altre sostanze sono distrutte dai processi enzimatici se l'essiccazione non è sufficientemente veloce. Da non dimenticare, nel controllo di qualità dei prodotti a base di erbe, è anche l'assenza di contaminanti ed inquinanti. In uno studio, su 2609 campioni di medicine tradizionali cinesi, prelevate da otto ospedali di Taiwan, il 23,7% contenevano adulteranti farmaceutici. In molte medicine cinesi vendute al di fuori dell'Asia sono stati ritrovati farmaci antinfiammatori e benzodiazepine. Una di esse, il Toukuwan, ha contenuto dal 1974, in tempi diversi, ben dieci prodotti farmaceutici diversi [10].
Tyler sostiene che più un'erba è pregiata e costosa, più la sua qualità tende ad essere inferiore, considerando anche che, se si presenta sotto forma di polvere in compresse o capsule, le contraffazioni sono facilitate. Come esempio il ricercatore riporta i risultati di un'indagine pubblicata su una rivista americana nel 1979, in cui su 50 prodotti a base di ginseng, il 25% non contenevano traccia di questa pianta [11]. In uno studio pubblicato nel 1998 sul New England Journal of Medicine, è risultato che su 251 prodotti tradizionali asiatici presi dalle erboristerie della California, 24 contenevano piombo (almeno una parte per milione), 36 contenevano arsenico e 35 contenevano mercurio [12].
Accertato che sappiamo cosa stiamo assumendo, soprattutto se si tratta di nuove erbe esotiche, e che la sostanza sia integra e incontaminata, dobbiamo considerare che in molte erbe conosciute da secoli come piante medicinali la "potenza terapeutica" dei principi attivi (e la possibile tossicità) è modesta, e che quindi l'impossibilità di definire una dose specifica, come avviene normalmente per i farmaci di sintesi, non costituisce generalmente un problema. Questo spiega perché molti rimedi a base di erbe sono più adatti per la cura a lungo termine di sindromi croniche poco accentuate piuttosto che per la rapida guarigione delle malattie acute. Tyler sostiene che le piante medicinali più comuni e utilizzate sono ragionevolmente sicure, perlomeno per quanto riguarda la loro tossicità acuta.
Recentemente, però, si è scoperto che alcune delle erbe più tradizionali possono causare disturbi meno accentuati dopo un uso prolungato. È il caso di certe specie di consolida che contengono alcaloidi tossici (pyrrolizidine) [13].
Le erbe medicinali e la salute
Accanto agli aspetti di controllo e qualità legati alla raccolta e alla preparazione dei prodotti a base di erbe, bisogna tenere contro dei problemi legati agli usi terapeutici che si fanno con esse. Principalmente è necessario indagare la loro possibile tossicità organica e la possibilità di provocare effetti indesiderati. Questo può essere realizzato sia analizzando il contenuto fitochimico delle piante sia raccogliendo i casi clinici presentati nella letteratura medica.
Secondo Edzard Ernst, un medico di origini tedesche che ha fondato la cattedra di Medicine Complementari all'Università di Exeter, i problemi di sicurezza legati alle erbe medicinali sono complessi e ancora troppo poco studiati [14].
Proprio perché le erbe sono una mistura di molti ingredienti attivi, dei quali non è chiaro quanto siano farmacologicamente attivi; e dato che - come abbiamo detto - i rimedi a base di erbe tendono ad essere assunti da pazienti con disturbi cronici, non è ancora ben chiaro quali possano essere le interazioni tra queste erbe e i farmaci convenzionali che gli stessi pazienti assumono abitualmente. Un caso tipico è l'uso di un lassativo naturale, come la senna, che può interferire con farmaci che sono assorbiti per via intestinale. Altri esempi emergono dallo studio dei casi clinici, come è avvenuto per l'iperico - un'erba usata per curare la depressione - per cui sono stati segnalati parecchi casi di interferenze con il metabolismo e di riduzione dell'efficacia delle terapie anticoagulanti concomitanti [15]. Anche il gingseng se assunto da solo ha pochi effetti collaterali ma, se associato al farmaco warfarina, può provocare un'eccessiva anticoagulazione [16].
Fino ad ora la scarsità di questo tipo di segnalazioni sulle interazioni farmaci-erbe può significare che sono eventi rari o semplicemente che esistono ma non sono sufficientemente segnalati. "I dati sperimentali in questo campo - scrive la ricercatrice Adriane Fugh-Berman - sono limitati e i casi clinici scarsi" [17]. Non è una consolazione sapere che le interazioni farmaco-farmaco sono altrettanto poco conosciute. Si può aggiungere che talvolta i pazienti non informano i loro medici di far uso di erbe perché temono di essere rimproverati. Sotto questo aspetto, i paesi in cui i medici prescrivono abitualmente rimedi fitoterapici, come la Francia e la Germania, hanno potenzialmente un maggior controllo rispetto a quelli, come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Italia, in cui questa pratica non è abituale, e i pazienti scelgono da sé le cure a base di erbe.
In molti paesi, i rimedi a base di erbe sono venduti come supplementi dietetici e quindi sfuggono la rigida regolamentazione sulla qualità e la sicurezza a cui sono sottoposti i prodotti farmaceuti. In Italia la legislazione specifica in materia risale agli anni trenta e anche nelle successive regolamentazioni il "prodotto erboristico" è spesso confuso con gli alimenti e gli integratori, mentre è una realtà che molte tisane, compresse o prodotti sfusi a base di erbe sono usate per curare piccoli malanni o per mantenere lo stato di benessere o le funzioni fisiologiche [18]. Il disegno di legge per la regolazione del settore erboristico, approvato dalla Camera dei Deputati il 16 marzo 2004, prevede che l'etichettatura riporti le eventuali controindicazioni, avvertenze e interazioni farmacologiche nei prodotti dove queste sono necessarie [19].
Secondo Ernst, l'uso di medicine a base di erbe comporta rischi, ma probabilmente meno che quelli derivati dai farmaci di sintesi [20]. Queste terapie sono ben accettate dai pazienti e sono relativamente sicure e relativamente economiche ed efficaci; anche in considerazione del fatto che sono utilizzate principalmente per malanni minori e circoscritti, con i disturbi del sistema respiratorio in cima alla lista. Per Ernst la mancanza di test clinici rigorosi realizzati fino ad ora è dovuta al fatto che il settore erboristico è piccolo e non può affrontare le spese dei test clinici come l'industria farmaceutica [21]. Questo non toglie che incidenti possano verificarsi: con una circolare del 22 gennaio 2002, il Ministero della Salute ha sospeso in modo cautelativo la commercializzazione di prodotti contenenti kava kava (piper methistycum) - una sostanza usata in Italia come ingrediente di prodotti salutistici - dopo alcune segnalazioni di effetti collaterali a carico della funzione epatica che si sono verificati in Svizzera e Germania. A livello comunitario è in corso di elaborazione una Direttiva Europea per portare i "farmaci vegetali tradizionali" agli stessi livelli di sicurezza dei farmaci di sintesi. In Italia, gli erboristi - che ormai sempre in più grande numero vengono formati nei corsi di laurea in Tecniche Erboristiche delle Facoltà di Farmacia - stanno facendo pressione, attraverso le loro organizzazioni di categoria, perché la loro figura professionale si sposti dal settore commerciale a quello della salute [22]. I vantaggi che porterebbe questo cambiamento, insieme a quelli di una formazione da parte dei medici sulla botanica farmaceutica, la farmacologia e la tossicologia delle piante medicinali, sono evidenti.
Quanto sono efficaci le erbe medicinali?
Una volta risolto il problema della sicurezza, viene spontaneo porci la domanda di quanto siano efficaci i rimedi a base di erbe. Tyler ricorda che circa il 25% della attuale materia medica deriva dallo studio di prodotti erboristici comuni, come la piantaggine e la senna. Non è assurdo aspettarsi che delle circa 13000 specie di piante usate per scopi medicinali nel mondo nel corso dei secoli, molte possano avere proprietà terapeutiche ancora poco studiate [23]. Per molte erbe, la loro efficacia è determinata dalle osservazioni empiriche piuttosto che dai risultati di costosi test clinici, come avviene per i farmaci. Tenendo conto che una medicina fitoterapica razionale è una medicina di tipo convenzionale, diventa importante conoscere i costituenti e i modi d'azione dei principi attivi che vengono assunti, in forma diluita, attraverso le erbe. In Germania, un paese in cui più del 50% della popolazione fa uso di rimedi fitoterapici, nel 1979 l'Agenzia Federale per la Salute (Bundesgesundheitsamt) ha istituito una commissione incaricata di esaminare la sicurezza e l'efficacia di oltre 1400 preparati a base di erbe ricavati da circa 700 specie di piante differenti. Nel 1991, la "commissione E" aveva già pubblicato nella Gazzetta federale (Bundesanzeiger) circa 300 monografie sui rimedi erboristici più diffusi in Germania. È probabile che ad oggi questi risultati costituiscano l'insieme di conoscenze scientifiche più accurate sull'argomento. Prendendo da queste fonti, e dal resto della letteratura scientifica Tyler ha pubblicato due libri in lingua inglese, in cui cerca di fornire una guida sensata e razionale all'impiego medicinale delle erbe [24].
Per quanto riguarda l'efficacia clinica, in un editoriale sul British Medica Journal, Ernst ha affermato che, rivedendo sistematicamente i test clinici randomizzati effettuati (ossia le sperimentazioni più), stanno emergendo prove indicanti che alcune cure a base di erbe sono efficaci [25]. In una serie di meta-analisi si è visto che l'iperico è più efficace del placebo in casi di depressione leggera o moderata, il ginko biloba è più efficace del placebo nel ritardare il decorso clinico della demenza e il palmetto della florida da buoni risultati nel trattamento sintomatico della iperplasia benigna della prostata [26].
Paraerbalismo ed erboristeria razionale
Il lavoro fatto da Tyler per cercare di dare un quadro razionale dell'utilità delle piante medicinali è in stridente contrasto con alcune pubblicazioni in cui gli aspetti scientifici dell'impiego delle erbe sono sostituiti da una serie di credenze irrazionali che rischiano di rivelarsi anche pericolose. È diffusa la convinzione che tutto ciò che è "biologico" e "naturale" sia superiore ad ogni altra cosa. Purtroppo, anche se sui prodotti biologici non si fa uso di fertilizzanti o pesticidi sintetici, una grosso numero di sostanze tossiche - soprattutto carcinogeni - sono presenti in un grande numero di prodotti commestibili che vanno dalle mele ai pomodori, dove si sono probabilmente sviluppate nel corso dell'evoluzione come protezioni "naturali" contro i predatori [27].
Secondo Tyler, il culto delle "medicine naturali" ha incoraggiato la credenza che le erbe abbiano proprietà mistiche e quasi magiche, trasformando questo tipo di erboristeria in una pseudoscienza, distinta dall'erboristeria razionale e da lui chiamata "para-erbalismo" [28]. Tra chi aderisce a questo punto di vista è comune la convinzione che esista una cospirazione da parte dei medici e delle industrie farmaceutiche per scoraggiare l'uso delle erbe. In realtà, mentre le ditte farmaceutiche trascurano l'erboristeria perché la considerano non remunerativa, molti medici evitano di pronunciarsi a riguardo semplicemente perché la materia non fa parte del loro curriculum di studi.
Un'altra pericolosa credenza è quella che un rimedio, per il fatto che è naturale, non possa fare male ma solo curare. Per convincersi di quanto sia sbagliato questo concetto, pensiamo solo agli effetti letali di un prodotto derivato dalle piante come la stricnina.
Anche l'affermazione che le erbe assunte interamente sono più attive dei loro componenti attivi isolati nei farmaci si presta a delle obiezioni: Tyler sostiene che per ogni caso a supporto di questa tesi ne esiste uno contrario e che inoltre, come abbiamo visto, non bisogna dimenticare che molte erbe contengono delle tossine accanto ai loro principi attivi.
Anche una eccessiva fiducia nelle prove aneddotiche sull'efficacia di un prodotto a base di erbe devono essere prese con cautela: l'utilità clinica è determinata anche da altri fattori, come i test preliminari sulle cavie e le sperimentazioni cliniche del prodotto, oltre che alla raccolta dei casi in cui si sono verificati effetti collaterali.
Da ultimo Tyler mette in guardia contro gli autori di alcune pubblicazioni erboristiche che, non avendo una preparazione adeguata nel campo della botanica, della chimica e della farmacologia, fanno affidamento su fonti non aggiornate senza avvalersi della letteratura scientifica moderna. Talvolta in questi pittoreschi testi vengono tramandate le opinioni di autori che da tempo non sono più delle autorità, come il farmacista inglese Nicholas Culpeper, vissuto nel XVII secolo, che con le sue interpretazioni astrologiche dell'efficacia delle erbe medicinali, sembrò anticipare l'Era dell'Acquario [29].
Un mercato sostenibile?
Se il mercato delle piante usate in erboristeria continua a crescere al ritmo degli ultimi anni, viene spontaneo chiedersi fino a quando potremo permetterci di scegliere tra quello che offre la natura. Alan Hamilton, uno ricercatore del WWF, ha lanciato un grido d'allarme, sostenendo che fino ad un quinto delle specie usate in fitoterapia rischia di scomparire a causa dell'eccessivo sfruttamento [30]. La minaccia è particolarmente seria, se consideriamo che ben due terzi delle 50000 piante medicinali conosciute sono raccolte allo stato selvatico. In termini numerici questo significa da 4000 a 10000 piante in pericolo. Hamilton ha ricavato queste stime analizzando l'elenco delle specie in via d'estinzione pubblicato dall'organizzazione ambientalista World Conservation Union. Il suo studio è stato pubblicato sulla rivista Biodiversity and Conservation. Un esempio di pianta in pericolo è quello della Prunus africana, la cui corteccia è utilizzata per curare i disturbi della prostata: il suo mercato è crollato perché troppi esemplari sono stati scorticati allo stesso tempo [31].
Hamilton avverte che l'intenso sfruttamento di risorse vegetali raccolte allo stato brado non rischia di mettere in crisi unicamente il ricco mercato occidentale dei rimedi medicinali naturali. Si stima, infatti, che dal 70 all'80% della popolazione mondiale faccia affidamento su cure tradizionali - principalmente a base di erbe - per far fronte alle proprie esigenze mediche primarie. Inutile dire che questa massa di miliardi di persone abitano in paesi poveri, come l'India e molte regioni asiatiche e africane [32]. La ragione dell'aumento nell'uso di prodotti fitoterapici tradizionali è dovuta sia alla crescita della popolazione globale, sia a scelte culturali, ma anche - non possiamo negarlo - alla scarsa disponibilità di farmaci prodotti in Occidente. Nei paesi in via di sviluppo si consumano solo il 15% dei prodotti farmaceutici di sintesi e la maggior parte di essi vanno alle famiglie benestanti che possono permettersene l'elevato costo. I poveri hanno poche alternative all'uso delle erbe medicinali, anche se per certi tipi di malattie preferirebbero poter ricorrere alla medicina occidentale. Questa realtà emerge anche dai dati: in paesi come il Mozambico, troviamo un medico che utilizza la medicina occidentale ogni 50000 pazienti, contro un praticante di medicina tradizionale ogni 200 malati. Hamilton sostiene che, in termini non quantitativi, ma di numero di specie interessate, l'uso medicinale delle piante rappresenta, fino ad ora, il più grande impiego umano del mondo naturale. Anche la quantità di piante commerciate è comunque di tutto rispetto: nel 1996 la Cina ha prodotto 1.6 milioni di tonnellate di piante medicinali, sia provenienti da coltivazioni sia raccolte allo stato brado [33].
Se miliardi di persone nel mondo si affidano alla fitoterapia, sono milioni coloro che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, traggono il loro sostentamento dalla raccolta e dal commercio di queste piante. Anche per loro, l'estinzione dovuta al sovrasfruttamento di queste risorse porterebbe seri problemi. Per scongiurare questo scenario è urgente incoraggiare lo sviluppo di un programma di raccolta sostenibile. Sfortunatamente, afferma Hamilton, le aziende produttrici sono spesso più attente ad altri aspetti del prodotto che alla sua sostenibilità biologica ed ecologica. Normalmente ci si cura solo del controllo di qualità, come la presenza di principi attivi e l'eliminazione di contaminanti come pesticidi, fertilizzanti e metalli pesanti [34]. Non ci resta che sperare che la coscienza ecologica, così comune quando si parla di prodotti naturali, possa rapidamente formarsi anche nel settore della sostenibilità.
Note
1) Edzard Ernst (2003) "Herbal medicines put into context" BMJ, vol. 327, pp. 881-882.
2) Alan C. Hamilton (2004). "Medical plants, conservation and livelihoods". Biodiversity and Conservation, vol. 13, issue 8, pp. 1477-1517.
3) Edzard Ernst (2000). "The role of complementary and alternative medicine". BMJ, vol. 321, pp. 1133-1135.
4) Ibid.
5) Varro E. Tyler. Herbs of Choice. The Therapeutic Use of Phytomedicinals.Pharmaceutical Products Press, New York, 1994, p. 1.
6) Ibid. pp. 2-4.
7) Adriane Fugh-Breman (2000). "Herb-drug interactions". Lancet, vol. 355, pp. 134-138.
8) Ibid.
9) Tyler, 1994, cit. pp. 4-5.
10) Fugh-Berman, 2000, cit.
11) Tyler, 1994, cit. pp. 5-6.
12) R. J. Ko (1998). "Adulterants in Asian patent medicines". New England Journal of Medicine, vol. 339, p. 847.
13) Tyler, 1994, cit. pp. 9-10.
14) Edzard Ernst (2000a) "Herb-drug interaction: potentially important but woefully under-researched". European Journal of Clinical Pharmacology, vol. 56, pp. 523-524.
15) Ibid.
16) Edzard Ernst (2000b). "Herbal medicine: where is the evidence?". BMJ, vol. 321, pp. 395-396.
17) Fugh-Breman 2000, cit.
18) Fabio Fiorenzuoli. "Boom delle erbe, urgente una legge" KataWeb Salute (www.kwsalute.kataweb.it) 18 febbraio 2004.
19) Disegno di legge N. 2852. "Disciplina del settore erboristico".
20) Ernst, 2003, cit.
21) Ibid.
22) Fiorenzuoli, cit. 2004.
23) Tyler, 1994, cit. p. 9.
24) Tyler, 1994, cit. e Varro E. Tyler. The Honest Herbal. A Sensible Guide to the use of Herbs and Related Remedies. Pharmaceutical Products Press, New York, 1993 (3a. ediz.). Testi universitari italiani sulle erbe medicinali sono: Fabio Fiorenzuoli. Fitoterapia: Guida all'uso Clinico delle Piante Medicinali, Masson, Milano, 2002. Giuseppe Penso. Piante Medicinali nella Terapia Medica: Formulario Pratico per Medici e Farmacisti. OEFM, Milano, 1980.
25) Ernst, 2000b, cit.
26) Ibid.
27) Tyler, 1994, cit. p. 7.
28) Ibid.
29) Tyler, 1993, cit. p. 2.
30) Hamilton, 2004, cit.
31) Rob Edwards. "Herbal medicine boom threaten plants" New Scientist, 8 gennaio 2004.
32) Hamilton, 2004, cit.
33) Ibid.
34) Ibid.
Andrea Albini Collaboratore tecnico presso l'Universitò di Pavia dove si occupa di didattica e dello studio di materiali per l'ingegneria elettrica.