È da quando nel 1889, il colonnello inglese Waddell, in missione nel Sikkim, all'estremo nord dell'India, vide impresse sulla neve alcune "orme di piedi nudi giganteschi" a un'altitudine di 5.000 metri circa, che si parla dello yeti. Una recente spedizione nell'Himalaya, però, ha ora portato al ritrovamento di un ciuffo di peli che, esaminato dall'Istituto di medicina molecolare di Oxford, sarebbe risultato "non riferibile a un essere umano, né a un orso o a un qualsiasi altro essere che siamo in grado d'identificare". L'esame del DNA dovrebbe portare a una risposta più precisa.
Gli esperti, tuttavia, concordano sul fatto che, ammesso che i peli appartengano veramente a un primate, due elementi farebbero escludere che possa trattarsi di un umanoide ancora ignoto. Il primo deriva da un'osservazione di tipo culturale: tutte le specie di ominidi apparse sul pianeta non sono mai rimaste relegate in un ambiente chiuso, ma hanno sempre cercato di allargare le proprie conoscenze e il proprio territorio; questo contrasta con l'isolamento geografico in cui vivrebbe il presunto umanoide. In secondo luogo, sempre che le testimonianze siano attendibili, l'aspetto dell'animale osservato è più simile a quello di un orango che a quello di un ominide. La possibilità che si tratti di un orango, magari di una specie sconosciuta, non può essere scartata in assoluto.