Nel novembre 1972, in occasione di uno dei tanti venerdì 17, una nefasta profezia aveva messo in apprensione gli abitanti della costa ligure.
Secondo la sessantesima quartina della decima centuria di Nastradamus questa data avrebbe dovuto segnare la fine di quasi tutta la Riviera ligure.
"Je pleure Nisse, Mannego, Pize, Gennes / Savonne, Sienne, Capue, Madone, Malte / feu, trember terre, eau, malhereuse Nolte": la profezia che maremoti e terremoti si sarebbero scatenati in Liguria aveva preso a circolare a Chiavari lunedì 13. Un maestro elementare, letta la traduzione che Renuccio Boscalo, torinese, aveva fatta delle "centurie" di Nostradamus, la raccontò agli alunni, e la notizia si sparse rapidamente. // secolo XIX di Genova, la pubblicò in prima pagina col titolo "Liguria distrutta venerdì 17". Cesare Lanza, redattore capo del quotidiano, quasi per scusarsi, dichiarò in seguito: "Volevamo fare un po' folklore, invece si è scatenato il finimondo".
Ma per fortuna, malgrado le migliaia di telefonate che si riversarono sui centralini dei carabinieri, dei vigili del fuoco e del giornale, soprattutto dopo il tramonto di giovedì, le manifestazioni di panico collettivo non furono molte. Una decina di famiglie di Lavagna si attendarono nella campagna di Rezzoaglio, nell'Appennino. Una fabbrica genovese sospese l'inscatolamento delle sardine perché le trenta operaie addette "avevano voluto passare le ultime ore con i bambini". Un palazzo di Sestri Levante fu abbandonato in blocco dalle sette famiglie che lo abitavano e che si trasferirono nell'entroterra. Quasi un quarto degli alunni delle elementari chiavaresi rimase a casa.
In realtà l'attesa della fine del mondo in Liguria fu soprattutto un avvenimento economico: c'è chi ci guadagnò e chi ci rimise. Oltre agli alberghi, chi ci aveva rimesso di più furono i cinema e i ristoranti. A guadagnarci, invece, furono i librai e i giornalai. A Chiavari, Centurie e profezie di Nastradamus venne esaurito prima di giovedì. Altri sessanta volumi, arrivati sabato, furono presi d'assalto. Per un paio di giorni il Secolo XIX andò a ruba. A Lavagna, dove le locandine del giornale che annunciavano "la fine del mondo" furono scambiate per un manifesto comunale, alle 8 non ce n'era più una copia. Alla Spezia, alle 11, rimanevano solo i giornali concorrenti, tutti con corsivi di fuoco. Il Lavoro, socialista, intitolò il proprio "Sulla pelle dei lettori" e il Cittadino legato alla Curia, scrisse: "Ne valeva la pena?". II tutto naturalmente si risolse in una bolla di sapone. Ma l'esperienza non era servita. A distanza di sei anni, nel 1988, la psicosi dell'apocalisse" colpiva nuovamente la Liguria. Ma questa volta partiva da molto lontano. A marzo aveva iniziato a diffondersi la voce che una fetta della California meridionale, quella sotto Los Angeles, stava per sprofondare, in virtù d'un terremoto. La data precisa non si conosceva, ma poteva essere ai primi di maggio.
Questa volta, la fonte dell'allarme era incerta: secondo alcuni non sarebbero state le enigmatiche rime dell'astrologo francese del Cinquecento, quanto un film che dalle sue predizioni sarebbe stato tratto: The man who saw tomorrow, l'uomo che vide il domani. La pellicola era del 1981, ma in versione videocassetta era stata messa in circolazione da poco. E subito a Los Angeles e dintorni era andata esaurita.
A cercare di far stare calma la gente invece erano soprattutto gli scienziati del "California Institute of Technology", il cui centralino era bersagliato dalle telefonate isteriche di cittadini, mentre l'osservatorio Griffith aveva distribuito un "press kit", praticamente un pacchetto di informazioni per la stampa, dove spiegava che i terremoti in California sono provocati da movimenti sotterranei e non, come avrebbe detto Nostradamus, dall'allineamento nei cieli di Saturno, Giove, Mercurio e altri corpi astrali.
La notizia veniva ripresa con un certo rilievo da // secolo XIX del 10 aprile. A distanza di un paio di settimane, giovedì 28, lo stesso quotidiano pubblicava, in cronaca di Genova, un articolo a quattro colonne intitolato "Nostradamus: la maledetta quartina che 'preoccupa' anche la Liguria". E tornava in ballo la profezia già "sconfessata" nel '72. Stesso giornale, stessi toni, ma del "fattaccio" di sedici anni addietro e della cronaca che situava in un primo tempo, la catastrofe annunciata in California nemmeno una parola. Ritornava invece la "sessantesima quartina della decima centuria" che annunciava "un immane cataclisma" lungo le coste settentrionali del Tirreno, dalla Francia alla Toscana. La data, questa volta, doveva essere il mese di maggio (il 1 °, il 5 o 1'8). Più trascorrevano i giorni, più la psicosi cresceva. Numerose telefonate che domandavano concitatamente informazioni sull'imminente catastrofe giungevano anche alla redazione di Savona de // secolo XIX che ne scriveva nell'edizione del 3 maggio. Il giorno dopo l'apprensione si era spostata nell'imperiese dove alcune persone erano riuscite a spacciare una nave del ministero della Marina Militare utilizzata per la lotta all'inquinamento e una chiatta per i lavori di ristrutturazione dell'acquedotto subacqueo, per due imbarcazioni "osservatorio" finalizzate allo studio di una recente fantomatica spaccatura della crosta terrestre, probabilmente causa dell'imminente evento catastrofico.
Giovedì 5, // secolo XIX pubblicava in prima pagina un articolo dal titolo ironico "Che fifa, Nostradamus". Ricordando, in apertura, che un'altra notte era passata, ma non era ancora il momento di dire che era andata buca, riferiva delle decine di telefonate all'osservatorio meteosismico di Imperia, dei canotti gonfiati e messi sui terrazzi perché non-si-sa-mai, delle roulotte tirate in collina e approntate per la notte, degli zingari che avevano levato le tende dal Priamar a Savona, e dei previdenti che avevano levato i risparmi dalle banche, caso mai finissero a bagnomaria. Tra l'altro, sembrava - a detta del giornalista - che almeno ventimila persone avessero passato la notte con il cuore in gola. Ma quello che era più interessante fu che si ritornò a parlare della paura dei californiani per l'imminente disastro, che aveva anticipato la psicosi rivierasca. II cerchio si era quindi chiuso. Quale responsabilità aveva avuto il quotidiano ligure nella creazione o, quanto meno, nella diffusione della falsa voce?
Episodi simili evidenziano come i mezzi di informazione svolgano sovente un ruolo essenziale nell'amplificazione di alcune voci, dando loro maggiore credito e diffusione, dimostrando inoltre pressappochismo e scarsa attenzione nell'approfondimento delle notizie. Senza considerare quando se le inventano di sana pianta.
Paolo Toselli,
segretario del Centro sulle Voci e Leggende Contemporanee
Secondo la sessantesima quartina della decima centuria di Nastradamus questa data avrebbe dovuto segnare la fine di quasi tutta la Riviera ligure.
"Je pleure Nisse, Mannego, Pize, Gennes / Savonne, Sienne, Capue, Madone, Malte / feu, trember terre, eau, malhereuse Nolte": la profezia che maremoti e terremoti si sarebbero scatenati in Liguria aveva preso a circolare a Chiavari lunedì 13. Un maestro elementare, letta la traduzione che Renuccio Boscalo, torinese, aveva fatta delle "centurie" di Nostradamus, la raccontò agli alunni, e la notizia si sparse rapidamente. // secolo XIX di Genova, la pubblicò in prima pagina col titolo "Liguria distrutta venerdì 17". Cesare Lanza, redattore capo del quotidiano, quasi per scusarsi, dichiarò in seguito: "Volevamo fare un po' folklore, invece si è scatenato il finimondo".
Ma per fortuna, malgrado le migliaia di telefonate che si riversarono sui centralini dei carabinieri, dei vigili del fuoco e del giornale, soprattutto dopo il tramonto di giovedì, le manifestazioni di panico collettivo non furono molte. Una decina di famiglie di Lavagna si attendarono nella campagna di Rezzoaglio, nell'Appennino. Una fabbrica genovese sospese l'inscatolamento delle sardine perché le trenta operaie addette "avevano voluto passare le ultime ore con i bambini". Un palazzo di Sestri Levante fu abbandonato in blocco dalle sette famiglie che lo abitavano e che si trasferirono nell'entroterra. Quasi un quarto degli alunni delle elementari chiavaresi rimase a casa.
In realtà l'attesa della fine del mondo in Liguria fu soprattutto un avvenimento economico: c'è chi ci guadagnò e chi ci rimise. Oltre agli alberghi, chi ci aveva rimesso di più furono i cinema e i ristoranti. A guadagnarci, invece, furono i librai e i giornalai. A Chiavari, Centurie e profezie di Nastradamus venne esaurito prima di giovedì. Altri sessanta volumi, arrivati sabato, furono presi d'assalto. Per un paio di giorni il Secolo XIX andò a ruba. A Lavagna, dove le locandine del giornale che annunciavano "la fine del mondo" furono scambiate per un manifesto comunale, alle 8 non ce n'era più una copia. Alla Spezia, alle 11, rimanevano solo i giornali concorrenti, tutti con corsivi di fuoco. Il Lavoro, socialista, intitolò il proprio "Sulla pelle dei lettori" e il Cittadino legato alla Curia, scrisse: "Ne valeva la pena?". II tutto naturalmente si risolse in una bolla di sapone. Ma l'esperienza non era servita. A distanza di sei anni, nel 1988, la psicosi dell'apocalisse" colpiva nuovamente la Liguria. Ma questa volta partiva da molto lontano. A marzo aveva iniziato a diffondersi la voce che una fetta della California meridionale, quella sotto Los Angeles, stava per sprofondare, in virtù d'un terremoto. La data precisa non si conosceva, ma poteva essere ai primi di maggio.
Questa volta, la fonte dell'allarme era incerta: secondo alcuni non sarebbero state le enigmatiche rime dell'astrologo francese del Cinquecento, quanto un film che dalle sue predizioni sarebbe stato tratto: The man who saw tomorrow, l'uomo che vide il domani. La pellicola era del 1981, ma in versione videocassetta era stata messa in circolazione da poco. E subito a Los Angeles e dintorni era andata esaurita.
A cercare di far stare calma la gente invece erano soprattutto gli scienziati del "California Institute of Technology", il cui centralino era bersagliato dalle telefonate isteriche di cittadini, mentre l'osservatorio Griffith aveva distribuito un "press kit", praticamente un pacchetto di informazioni per la stampa, dove spiegava che i terremoti in California sono provocati da movimenti sotterranei e non, come avrebbe detto Nostradamus, dall'allineamento nei cieli di Saturno, Giove, Mercurio e altri corpi astrali.
La notizia veniva ripresa con un certo rilievo da // secolo XIX del 10 aprile. A distanza di un paio di settimane, giovedì 28, lo stesso quotidiano pubblicava, in cronaca di Genova, un articolo a quattro colonne intitolato "Nostradamus: la maledetta quartina che 'preoccupa' anche la Liguria". E tornava in ballo la profezia già "sconfessata" nel '72. Stesso giornale, stessi toni, ma del "fattaccio" di sedici anni addietro e della cronaca che situava in un primo tempo, la catastrofe annunciata in California nemmeno una parola. Ritornava invece la "sessantesima quartina della decima centuria" che annunciava "un immane cataclisma" lungo le coste settentrionali del Tirreno, dalla Francia alla Toscana. La data, questa volta, doveva essere il mese di maggio (il 1 °, il 5 o 1'8). Più trascorrevano i giorni, più la psicosi cresceva. Numerose telefonate che domandavano concitatamente informazioni sull'imminente catastrofe giungevano anche alla redazione di Savona de // secolo XIX che ne scriveva nell'edizione del 3 maggio. Il giorno dopo l'apprensione si era spostata nell'imperiese dove alcune persone erano riuscite a spacciare una nave del ministero della Marina Militare utilizzata per la lotta all'inquinamento e una chiatta per i lavori di ristrutturazione dell'acquedotto subacqueo, per due imbarcazioni "osservatorio" finalizzate allo studio di una recente fantomatica spaccatura della crosta terrestre, probabilmente causa dell'imminente evento catastrofico.
Giovedì 5, // secolo XIX pubblicava in prima pagina un articolo dal titolo ironico "Che fifa, Nostradamus". Ricordando, in apertura, che un'altra notte era passata, ma non era ancora il momento di dire che era andata buca, riferiva delle decine di telefonate all'osservatorio meteosismico di Imperia, dei canotti gonfiati e messi sui terrazzi perché non-si-sa-mai, delle roulotte tirate in collina e approntate per la notte, degli zingari che avevano levato le tende dal Priamar a Savona, e dei previdenti che avevano levato i risparmi dalle banche, caso mai finissero a bagnomaria. Tra l'altro, sembrava - a detta del giornalista - che almeno ventimila persone avessero passato la notte con il cuore in gola. Ma quello che era più interessante fu che si ritornò a parlare della paura dei californiani per l'imminente disastro, che aveva anticipato la psicosi rivierasca. II cerchio si era quindi chiuso. Quale responsabilità aveva avuto il quotidiano ligure nella creazione o, quanto meno, nella diffusione della falsa voce?
Episodi simili evidenziano come i mezzi di informazione svolgano sovente un ruolo essenziale nell'amplificazione di alcune voci, dando loro maggiore credito e diffusione, dimostrando inoltre pressappochismo e scarsa attenzione nell'approfondimento delle notizie. Senza considerare quando se le inventano di sana pianta.
Paolo Toselli,
segretario del Centro sulle Voci e Leggende Contemporanee