Le chiamano in molti modi: leggende metropolitane, miti moderni, leggende contemporanee. Le studiano in tanti: psicologi, antropologi, sociologi. Eppure le leggende urbane restano un fenomeno piene di misteri. Incerte sono le origini di questi racconti: Cesare Bermani in "Il bambino è servito" scrive che molte leggende non sono che la versione moderna di miti antichissimi. Altrettanto misteriosa è la funzione di queste narrazioni: a cosa servono dei racconti che viaggiano col più antico sistema di comunicazione, il passaparola, e che si rivelano regolarmente falsi?. E però… però alzi la mano l'automobilista che non ha creduto all'amico che suggeriva di appendere un cd allo specchietto retrovisore per 'accecare' gli autovelox. Si faccia avanti chi non ha mai iniziato la raccolta dei biglietti del tram o degli scontrini fiscali per contribuire a donare una carrozzina a un disabile.
Ecco il cuore del problema, il vero mistero: perché si crede alle leggende? Molti studiosi hanno indagato questo problema e tre sono le ipotesi più accreditate.
La prima è che in questi racconti l'ascoltatore ritrova idee che già ha: suonano familiari e quindi plausibili. Così la leggenda della zingara arrestata in un supermercato mentre cerca di rapire dei bambini nascondendoli sotto la gonna si trasmette perché è un esempio concreto ed efficace di un pregiudizio e di una paura già presenti a livello sociale.
In altri casi, invece, la leggenda serve a dare un significato a eventi nuovi. Si diffondono così i racconti sulle nuove tecnologie, dalle lampade solari che bruciano il fegato ai mille virus che minacciano i computer: la leggenda 'inquadra' fenomeni nuovi e mette in guardia dai possibili pericoli che rappresentano.
Un sociologo francese, Jean Kapferer propone una terza spiegazione, forse la più inquietante: si crede a chi racconta una leggenda perché tutta la vita si basa su un meccanismo di fiducia nei confronti degli altri. Il bambino crede alla madre che gli dice cosa mangiare e cosa no, lo spettatore al telecronista che commenta la partita e il ragazzo al cugino che racconta le sue avventure . Un meccanismo semplice e indispensabile al funzionamento di ogni società... fino alla prossima leggenda urbana.
Ecco il cuore del problema, il vero mistero: perché si crede alle leggende? Molti studiosi hanno indagato questo problema e tre sono le ipotesi più accreditate.
La prima è che in questi racconti l'ascoltatore ritrova idee che già ha: suonano familiari e quindi plausibili. Così la leggenda della zingara arrestata in un supermercato mentre cerca di rapire dei bambini nascondendoli sotto la gonna si trasmette perché è un esempio concreto ed efficace di un pregiudizio e di una paura già presenti a livello sociale.
In altri casi, invece, la leggenda serve a dare un significato a eventi nuovi. Si diffondono così i racconti sulle nuove tecnologie, dalle lampade solari che bruciano il fegato ai mille virus che minacciano i computer: la leggenda 'inquadra' fenomeni nuovi e mette in guardia dai possibili pericoli che rappresentano.
Un sociologo francese, Jean Kapferer propone una terza spiegazione, forse la più inquietante: si crede a chi racconta una leggenda perché tutta la vita si basa su un meccanismo di fiducia nei confronti degli altri. Il bambino crede alla madre che gli dice cosa mangiare e cosa no, lo spettatore al telecronista che commenta la partita e il ragazzo al cugino che racconta le sue avventure . Un meccanismo semplice e indispensabile al funzionamento di ogni società... fino alla prossima leggenda urbana.