Umberto Veronesi affronta con grande rispetto ma senza falsi pudori un tema spinoso, sul quale la società, in cui le tecniche di terapia intensiva possono prolungare la vita vegetativa per un tempo indefinito, è chiamata a confrontarsi. Spiega perché "curare" i pazienti talvolta diventa un modo per non "prendersi cura" di loro, e racconta come sempre più spesso il malato terminale, considerato una "vergogna" da nascondere, sia relegato in un letto d'ospedale e affidato a estranei per i quali in fondo è soltanto un caso di routine. Chiarisce perché è ipocrita distinguere fra eutanasia attiva e passiva e per quale motivo è urgente giungere a una normativa che anche in Italia dia valore giuridico al cosidetto testamento biologico. Delinea la posizione intorno a questo tema dei vari Stati europei, dove, con l'eccezione di Olanda e Belgio, l'eutanasia è equiparata all'omicidio. Illustra infine il problema della difficoltà di accedere alle cure palliative nel nostro paese, dove esistono ostacoli legislativi all'uso farmacologico degli oppiacei.
E pone una questione etica: è lecito impedire a un individuo di disporre della propria vita, anche quando è diventata invivibile?