Dumbo
Regia: Tim Burton
USA, 2019
Principali interpreti: Colin Farrell, Eva Green, Michael Keaton, Danny DeVito.
Recensione di Maria Rosa Pagni
Tim Burton si cimenta con la riedizione di un grande classico Disney, questa volta non più in forma di cartone animato, ma con attori in carne e ossa, e riesce a reinterpretarlo a modo proprio inserendo nella storia originale tutto il suo immaginario. Così, accanto alla parabola sulla diversità e sulla rivincita di chi, deriso perché considerato diverso, riesce a dimostrare al mondo il proprio straordinario valore, la storia diventa una favola dark e, intorno a tramonti mozzafiato e alle luci abbaglianti della pista del circo, si estende tutta l’oscurità delle ombre, della notte, dell’animo umano, del dolore, della solitudine e della sconfitta.
Il film riesce a emozionare grandi e piccini e, tra le righe (o meglio tra le luci e le ombre), porta avanti numerosi temi, per parlare dei quali si potrebbero scrivere pagine e pagine. Così come si potrebbero scrivere altrettante pagine sui personaggi principali, ad esempio il direttore del circo Max Medici (Danny DeVito) che, da bravo imbonitore, cerca di vendere illusioni come Phineas Taylor Barnum, ma con risultati molto inferiori e vive lui stesso di illusioni a cui si aggrappa (ed è vessato da una scimmietta pestifera che tiene in un cassetto della scrivania “per i casi di emergenza”).
Però, tra tutti i comprimari di questa favola, spicca la bambina Milly Farrier (Nico Parker), vera co-protagonista del film, che, pure se è nata e cresciuta nel circo, non vuole esibirsi per il pubblico, bensì vuole essere “apprezzata per la sua testa”, cioè vuole diventare una scienziata. Infatti ripete come un mantra “osservare e sperimentare” e cerca di non restare preda dei pregiudizi, soprattutto quelli degli adulti, che ironizzano sul fatto che voglia diventare la nuova Marie Curie e sono contrari a questa sua scelta.
Sarà Milly, insieme al fratellino Joe (Finley Hobbins), a scoprire che Dumbo sa volare, ma naturalmente i due non verranno creduti dagli adulti, troppo presi dai loro pensieri e dai loro problemi, fino al momento in cui l’elefantino non inizierà a volteggiare in aria davanti a tutti. A quel punto gli adulti le chiederanno come sia riuscita a insegnare a volare a un elefante e lei risponderà lapidaria: “Con il metodo scientifico”.
Se nelle prime battute Milly appare molto seria e pragmatica, quasi a dare l’idea che la scienza sia fredda e rigida, poi il film dimostra senza alcuna retorica che in realtà la scienza è fatta anche di coraggio e passione, nel momento in cui la bambina si arrampica su un’altissima scala tra le fiamme di un incendio, per allungare una piuma al piccolo Dumbo, cosa che gli permetterà di volare, di salvarsi e, in ultima istanza, di dimostrare a tutti le sue capacità.
Si potrebbe parlare ancora di questo straordinario personaggio e di tutte le sue sfaccettature, ma già questo è più che sufficiente per far vedere il film ai bambini: si tratta di una favola, è vero, e nella realtà tutti sappiamo che un elefante non potrà mai spiccare il volo battendo le orecchie, neppure se queste sono esageratamente grandi, ma le favole, talvolta, attraverso la poesia e le metafore, sono veicoli di importanti messaggi. In questo caso, la passione per la scienza che permette alle persone di vivere meglio, così come ciò che Milly ammira nel padiglione della scienza nel parco di Dream Land potrà aiutare suo padre (Colin Farrell), mutilato dalla guerra.
In realtà ci sarebbe da fare un appunto, perché in tutta questa apologia della scienza e del metodo scientifico si sarebbe potuto inserire un riferimento al fatto che la scienza medica ha prodotto i vaccini che oggi avrebbero potuto salvare la vita della madre di Milly, defunta in seguito all’epidemia di influenza spagnola. Ma questa aggiunta probabilmente avrebbe fatto cadere il film nella retorica.
In compenso c’è forse un piccolo omaggio al cinquantenario del primo allunaggio umano, quando il banchiere Remington (Alan Arkin), in attesa di vedere il prodigioso elefantino volante, afferma che presto manderanno un uomo sulla luna. Non sarà poi così presto, ma in fondo si tratta di una favola.