Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo
di Cristina Cattaneo
Raffaello Cortina Editore, 2018,
pp. 198, € 14,00
Recensione di Simone Raho
Questo è un libro che parla di storie di uomini, di indifferenza, ma anche di spirito di collaborazione e speranza. Se avessi dovuto riassumere la recensione di Naufraghi senza volto in una sola frase, avrei usato proprio quella che ho appena scritto.
Storie di uomini, perché si parla del dramma del naufragio dei migranti nel Mediterraneo, ognuno con il proprio vissuto, la propria storia da raccontare. Come quella del ragazzo che aveva in tasca un sacchetto di terra del proprio paese di origine. O quella del bambino che si portava addosso la pagella scolastica, forse per dimostrare di essere uno studente modello in Italia, o in qualunque altro paese dovesse andare, chissà. Storie spezzate, bruscamente e paurosamente interrotte all’improvviso, lasciate sospese e inghiottite da quel “cimitero d’acqua” in cui si sta tristemente trasformando il Mediterraneo in questi ultimi anni. Tali storie sono legate a doppio filo ad altre storie, non meno drammatiche: quelle dei familiari delle vittime, che hanno il loro sacrosanto diritto di conoscere il destino dei propri cari, dei loro lunghi e faticosi viaggi, dei loro tentativi di ottenere delle risposte.
È anche un libro che parla di indifferenza, dicevo. L’indifferenza figlia di un clima politico che si alimenta della paura infondata di chi è percepito come diverso da noi, amplificata da chi fomenta l’odio in maniera diretta o indiretta, dal disinteresse di molti Paesi europei che preferiscono voltare la testa dall’altra parte piuttosto che assumersi le proprie responsabilità. L’indifferenza di chi afferma: «ma non è meglio buttare una corona in mare e via?». L’indifferenza che crea morti di serie A e morti di serie B, questi ultimi segnati da un destino che li vorrebbe condannati a restare per sempre nell’oblio: vittime senza un nome. Perché come scrive in un passo del libro l’autrice, «Totò si sbagliava: la morte non è sempre una livella».
È però, e lo ribadisco, ugualmente un libro che parla di spirito di collaborazione e speranza. La collaborazione che nasce dall’unione, dal lavoro, dalla condivisione di vedute e intenti da parte di enti in apparenza tanto lontani e variegati eppure così uniti in questa occasione, come l’Università degli Studi di Milano e di Pavia, l’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse, diversi enti e fondazioni pubblici e privati, la Croce Rossa, la Marina Militare Italiana. E altri ancora. Si verrà così a creare qualcosa di straordinario, a Melilli soprattutto, in provincia di Siracusa, come scoprirà chi leggerà il libro: il tentativo di dare un nome a delle vittime dimenticate dal mondo intero. Ne esce un ritratto di persone fuori dal comune, non solo a livello professionale. Viene fuori qualcosa di unico. E che ha successo. Ed ecco la speranza cui accennavo all’inizio: ne esce davvero l’Italia migliore, di chi collabora, di chi crea qualcosa di unico.
L’autrice, Cristina Cattaneo, è un medico legale di professione, nota al grande pubblico per essersi occupata anche di alcuni casi del recente passato balzati agli onori della cronaca nera. Ma è altresì, e soprattutto, una stimata accademica nota a livello internazionale e direttrice del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), che ha un ruolo centrale in questa storia. La scrittura e lo stile adottati in questo libro sono a volte schietti, diretti: in alcune circostanze pare di leggere un diario. I racconti sono crudi ma mai banali, e, soprattutto, lasciano trasparire l’empatia dell’autrice per le vittime; e nonostante il suo ruolo le imponga il massimo del distacco e del rigore possibili, le emozioni sgorgano vive dalle pagine. Ma non è assolutamente un libro mieloso e stucchevole, tutt’altro: è un libro che si legge tutto d’un fiato, come se l’esigenza di terminarlo fosse talmente forte da non lasciar spazio a pause, a interruzioni di sorta.
La Cattaneo ha fatto davvero un lavoro straordinario: ha fatto emergere delle storie, dei vissuti di cui probabilmente non avremmo mai saputo niente, distratti come siamo dalle nostre faccende quotidiane; storie che ascoltiamo superficialmente e velocemente durante i vari telegiornali, storie che diventano talmente routinarie da non impressionarci più.
In ogni caso, il merito dell’autrice non è importante solo dal punto di vista etico, ma, se vogliamo, anche da un punto di vista pratico e concreto: lei e tutti i suoi collaboratori, infatti, sono riusciti a dimostrare la fattibilità di un modello identificativo per le spoglie e i resti di origine ignota che pareva a tutti impossibile realizzare, vuoi per le condizioni di partenza, vuoi perché nessuno aveva mai intrapreso una strada simile prima di allora. Ne uscirà fuori uno schema che attirerà l’attenzione anche dei medici legali e, più in generale, degli operatori forensi provenienti dall’estero, affascinati e un po’ sorpresi dal notevole risultato italiano. Quell’Italia di cui essere fieri. E qui il cerchio si chiude. Proprio sullo spirito di collaborazione e sulla speranza di cui parlavo in principio.
Bartolomeo Bosco. Vita e meraviglie del mago che conquistò l’Europa
di Alex Rusconi
Florence Art Edizioni, 2017
pp. 256, € 40,00
Recensione e intervista di Luca Menichelli
Se ci si dovesse trovare a passeggiare tra le tombe del cimitero di Dresda, sarebbe difficile non notare una lapide particolare in cui sono scolpiti tre simboli dell’arte magica: una bacchetta, delle palline e dei bussolotti. I simboli fanno già ipotizzare a quale arte, in vita, si dedicasse il defunto che la tomba commemora, ma in pochi possono sapere che appartiene al più grande prestigiatore italiano di tutti i tempi: il torinese Bartolomeo Bosco.
Bartolomeo Bosco fu un intrattenitore dell’arte prestigiatoria che seppe conquistare i palazzi e i teatri di tutta Europa. Grande performer, personalità che ispirava simpatia tanto da attirare le stime dei cosacchi russi pur essendo un prigioniero dell’esercito napoleonico, durante il periodo di prigionia in Siberia intratteneva con i suoi spettacoli sia i commilitoni prigionieri che i carcerieri russi, in cambio di migliori condizioni per i suoi amici. Fu, inoltre, un innovatore dell’arte e inventore di oggetti ed effetti magici che fanno parte del repertorio classico di ogni prestigiatore. La sua vita potrebbe essere raccontata come fosse la trama di un romanzo, dai drammi ai successi. Eppure, malgrado questa fama acquisita, rimane per i non addetti ai lavori una persona praticamente sconosciuta, soprattutto agli italiani. Fino a qualche anno fa non esistevano libri che ne parlassero: era possibile avere qualche informazione su Bartolomeo Bosco attraverso le poche testimonianze scritte sul web, ma un vero libro biografico non era ancora disponibile. A colmare la lacuna è intervenuto Alex Rusconi. Prestigiatore, artista, neo-responsabile della rivista di prestigiazione e cultura magica Magia edita dal CICAP, Alex ha coronato il suo sogno di pubblicare una biografia dell’artista torinese. Il libro non è solo un ottimo esempio di ricerca biografica, ma rappresenta un’opera da esporre nella libreria personale per il suo formato raffinato e la cura nei dettagli. Il libro è arricchito da molte immagini che ripercorrono le varie tappe della vita del mago che conquistò l’Europa. Scritto con il rigore di un saggio biografico, ma dalla lettura scorrevole e gradevole come un romanzo, ogni piccolo aspetto di Bosco viene preso in considerazione, non solo la parte artistica: vita, amori, successi, fallimenti. La prefazione è affidata a Raul Cremona, che tutti conoscono nella sua veste comica, ma che rappresenta un ottimo esempio di maestro dell’illusione ai massimi livelli. Si tratta di un libro che mi sento di consigliare assolutamente a tutti gli appassionati di prestigiazione, perché è difficile trovare un testo di tale qualità e rarità, oltre che per il fatto che è l’unica biografia completa di Bartolomeo Bosco. Il libro non si rivolge solamente ai prestigiatori, ma a tutti coloro che sono appassionati di arte e cultura, che cercano di ampliare le proprie conoscenze su personaggi apparentemente di nicchia, ma capaci di smuovere emozioni attraverso le proprie azioni. Perché di questo, in definitiva, si tratta: di una vita stupefacente narrata in maniera emozionante.
Per l’occasione Alex Rusconi ha concesso alla redazione di Query una breve intervista.
Nel tuo libro parli di un mito della magia poco conosciuto, se non negli ambienti magici e di appassionati. Come è nata questa tua ammirazione verso Bartolomeo Bosco?
Ho scoperto Bosco sull'enciclopedia Stupire di Carlo Faggi e poi sul Rossetti: avevo 12 anni. Rimasi subito affascinato da questo personaggio che tutti consideravano il più importante prestigiatore italiano di tutti i tempi. Attesi con trepidazione che qualcuno scrivesse un libro su di lui, mi sembrava vergognoso che non esistesse ancora un tale volume.
Quando mi sono stancato di aspettare, ho iniziato a scriverlo io. Era il 2001 quando pubblica un pamphlet con la primissima stesura... e dopo 15 anni di lavoro, avendo trovato la complicità di Francesco Mugnai della Florence Art, finalmente il libro che ho tanto sognato da bambino è uscito!
Ho visto dell’iniziativa per far dedicare una strada a Bosco a Torino. Come sta procedendo?
La raccolta firme procede abbastanza bene, anche se ne mancano ancora parecchie all'appello. Devo arrivare a 1000 e siamo a circa 600. Ritengo importante che Torino dedichi una via a Bosco: sarebbe il giusto riconoscimento anche per la nostra arte, visto che in Italia non esistono vie dedicate a prestigiatori (esistono il giardino Sitta e il ponte Bustelli, ma non una via). Spero, entro fine anno, di aver concluso la raccolta e di poter finalmente presentare la richiesta alla Toponomastica torinese.
C’è qualche nuovo libro nel tuo cilindro che possa interessare prestigiatori e lettori?
Io lavoro sempre a più libri contemporaneamente, alcuni restano nel limbo per anni... Posso però anticipare che sto lavorando, insieme a un altro autore, a un libro molto interessante che parlerà della strada comune della prestigiazione e della scienza. Ma è ancora presto per dare altri dettagli.
Costruire. Le storie nascoste dietro le architetture
di Roma Agrawal
Bollati Boringhieri, 2019
pp. 320, € 24,00
Recensione di Gabriele Vozza
«Le strutture modellano e sostengono le nostre vite e forniscono la trama della nostra esistenza». Roma Agrawal
Ingegnera specializzata in grandi strutture (ha lavorato alla progettazione della guglia e delle fondazioni dello Shard di Renzo Piano a Londra), Roma Agrawal consegue un Bachelor of Arts (la nostra laurea triennale) in Fisica all’Università di Oxford. Successivamente, durante un’estate passata a lavorare al fianco di ingegneri nel laboratorio di fisica dell’università, scopre che quello che le interessava fare nella vita era di usare matematica e fisica per risolvere problemi pratici e aiutare il mondo. L’autrice decide, quindi, che la sua strada sarebbe stata quella dell’ingegneria e, per seguire la sua vocazione, si iscrive all’Imperial College di Londra, dove consegue un Master of Science (corrispondente alla laurea magistrale italiana) in Ingegneria strutturale e inizia quindi a lavorare come ingegnera.
Il libro si divide in quattordici capitoli dai titoli abbastanza evocativi e che per questo vale la pena di citare: Piani, Forza, Fuoco, Argilla, Metallo, Roccia, Cielo, Terra, Vuoto, Puro, Pulito, Idolo, Ponte e Sogno. All’interno di questi, l’autrice spiega come l’ingegnere civile debba gestire di volta in volta un particolare elemento naturale o artificiale per creare e modellare gli spazi in cui viviamo. Più precisamente, nei capitoli dedicati a Forza e Fuoco viene spiegato come le azioni di peso, vento, sismi, esplosioni e incendi interagiscano con le strutture e di come queste possano resistere alle suddette azioni. I capitoli dedicati ad Argilla, Metallo e Roccia, parlano, invece, dei materiali usati nell’ingegneria civile e cioè, com’è facilmente intuibile dai titoli, argilla e ceramica, ferro e acciaio, calcestruzzo e calcestruzzo armato. Alla fine di questo primo pacchetto di informazioni, il lettore dovrebbe avere bene in mente come il gioco dell’ingegneria strutturale si basi sul confronto costante tra azioni e resistenze dei materiali da costruzione. Il capitolo dedicato al Cielo parla di come gli esseri umani, grazie al loro ingegno, siano stati in grado di costruire opere sempre più alte; mentre nei capitoli Terra e Vuoto si va in direzione opposta (cioè verso il basso) concentrandosi sulle fondamenta che permettono agli edifici di non sprofondare, sui problemi geotecnici derivanti dai cedimenti differenziali e sui problemi che si devono affrontare nella realizzazione delle gallerie. All’ingegneria idraulica vengono dedicati i capitoli intitolati Puro e Pulito, che parlano rispettivamente di adduzione e stoccaggio dell’acqua e di sistemi fognari. Il capitolo intitolato Ponte si occupa, appunto, di ponti e lo fa descrivendo cinque esempi di queste strutture, tra i ponti costruiti dall’uomo e quelli costruiti dagli animali, come il ponte di seta del ragno corteccia di Darwin. Ci sono poi Piani, capitolo introduttivo che racconta come l’autrice si sia interessata all’ingegneria, e Sogno, capitolo conclusivo che affronta il problema del futuro dell’ingegneria civile. Chiudiamo questa veloce carrellata con Idolo. In questo capitolo l’autrice, raccontando la storia dell’ingegnera Emily Warren Roebling e della costruzione del ponte di Brooklyn, affronta il tema delle donne nell’ingegneria. Probabilmente per motivi di spazio e per non divagare troppo da argomento principale del testo, l’autrice non lo fa, però, in maniera troppo estesa. Per chi fosse interessato ad altri interventi della Agrawal in tal senso, sono disponibili alcuni video su YouTube.
Descritti brevemente gli argomenti trattati nel testo, posso spingermi ad affermare che l’autrice cerca di far sviluppare al lettore l’intuito dell’ingegnere o più specificatamente la sensibilità strutturale. Argomento velatamente trattato nei corsi di ingegneria civile, l’intui-to dell’ingegnere è quella capacità di capire come e perché le cose funzionino senza effettuare calcoli (potremmo dire che è legato a quella curiosità che da bambini ci spinge ad aprire le cose per capire come siano fatte all’interno). Nel caso in esame, come precedentemente affermato, il testo aiuta a capire come e perché funzionino le strutture nascoste dietro le più belle e visibili architetture (che poi è anche il sottotitolo del libro).
Sono convinto, però, che il libro raggiunga anche un altro obiettivo: il testo, infatti, contiene sia molta storia dell’ingegneria sia la storia personale dell’autrice e le storie ci aiutano a definire chi siamo. Questo libro diventa, perciò, un ottimo punto di partenza per definire il ruolo dell’ingegnere all’interno delle scienze e delle arti, quale tessitore di realtà. Per questo motivo, consiglio il libro oltre che al lettore appassionato di arte e architettura, anche magari a chi ha appena finito un percorso di studi in ingegneria e vuole sapere chi è, o magari a chi sta iniziando lo stesso percorso e vuole scoprire cosa diventerà.