La società della pseudoscienza
di Giuseppe Tipaldo
Il Mulino, 2019pp. 311, € 22
Recensione di Roberto Paura
C’era una volta un medico buono, un “Mastro Geppetto della medicina”, che riceveva i malati nella sua umile casetta e somministrava loro miracolosi unguenti per farli guarire da malattie terribili e incurabili. Un giorno, la notizia di quella cura miracolosa si diffuse in tutto il paese e un magistrato buono e generoso ordinò che venisse messa a disposizione di tutti i malati che ne avessero bisogno. La notizia giunse fino alla Capitale, dove gli uomini del Governo, chiusi nei loro tetri palazzi a ordire piani per preservare il loro potere, ordinarono che la somministrazione venisse bloccata, asserendo che si trattasse di un inganno. Ma i malati insorsero e con loro il buon magistrato che aveva preso a cuore la causa del Mastro Geppetto, sostenendoli nella dura battaglia contro il Governo e i poteri forti che esso aveva scatenato per mettere a tacere per sempre la storia. Tale l’indignazione del popolo, che i ministri cedettero e accettarono di nominare una commissione di grandi dottori per studiare la cura; il buon vecchio medico avvertì che si trattava di una trappola, di un tentativo di screditarlo, e contestò i risultati che dichiaravano privo di effetti il suo unguento miracoloso. Povero e screditato, il vecchio medico morì quattro anni dopo. Ma a preservarne la memoria fu un giullare che un giorno sarebbe diventato lo spauracchio dei poteri forti, il quale, tra la folla, continuava a cantarne e ricordarne la storia: “È tempo di eretici, e io lo sono, urliamo assieme. Chi è un eretico? Il professor Di Bella lo è!”.
Giuseppe Tipaldo, ricercatore di Sociologia all’Università di Torino, ci perdonerà il ricorso allo storytelling, ma in realtà è lui stesso, nel suo libro La società della pseudoscienza, edito da Il Mulino, a mettere in luce le strutture morfologiche delle teorie pseudoscientifiche usando le categorie rese celebri dagli studi sulle fiabe e le storie di folklore di Vladimir Propp raccolti nel suo Morfologia della fiaba. In questo caso, la storia del controverso metodo Di Bella è esemplare. Lo pseudoscienziato è il protagonista-eroe, «dal passato ignoto e/o fallimentare ma mitizzato retrospettivamente», e il paziente la principessa da salvare; la magistratura e i media giocano il ruolo degli aiutanti magici dell’eroe, mentre l’expertise ufficiale e la politica costituiscono gli antagonisti, a volte aiutati dalla magistratura inquirente (i “poteri forti”, o “l’establishment”, per essere chiari). Dopo aver subito un grave smacco dagli antagonisti, il protagonista-eroe ritorna al retroscena, portando avanti le sue gesta in autonomia e clandestinità, sfuggendo la visibilità. Segue una fase di radicalizzazione, in cui i pochi seguaci del protagonista lo idealizzano trasformandolo in eroe e martire, utilizzando la «retorica del complotto per sanare dissonanze cognitive e imputare i fallimenti agli antagonisti».
Questa struttura può applicarsi, spiega Tipaldo, a tutti i casi di NIMBO, neologismo da lui coniato che ricalca il celebre NIMBY (acronimo di Not In My Back Yard, non nel mio cortile) e sta per Not In My Body (non nel mio corpo), che «emerge alla confluenza tra una reazione di evitamento – “sono convinto che il vaccino provochi l’autismo, mi rifiuto di vaccinare i miei figli” – e una percezione di privazione di chance offerte da alternative eretiche rispetto all’expertise (“ho il diritto di scegliere liberamente come curarmi, se la somatostatina non si trova, non me la danno o è troppo cara, mi rivolgo a un giudice per ottenerla”)». Nel primo caso ricadono alcune delle vicende di cui Tipaldo ricostruisce la genealogia, incluse nel capitolo “La pseudoscienza in tavola”: in particolare, la celebre controversia sull’olio di palma, con la conseguente mobilitazione che ha costretto tutti i maggiori produttori di dolciumi (tranne Ferrero per quanto riguarda per esempio Nutella) a cambiare le proprie ricette e inondare i supermercati di nuovi packaging in cui la dicitura “senza olio di palma” compare a grandi lettere, e quella relativa alle carni rosse dichiarate dall’Organizzazione mondiale della sanità potenzialmente cancerogene. Nel secondo caso rientrano vicende ugualmente celebri, ricostruite in dettaglio nel capitolo “Capre, grilli e iene: la pseudoscienza in medicina”, come il caso del siero Bonifacio, il metodo Di Bella e il caso Stamina.
A questi casi, Tipaldo aggiunge quelli delle sindromi NIMBY e BANANA, acronimo che sta per Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything (“non costruire assolutamente niente da nessuna parte vicino a qualsiasi cosa”), la versione estrema del NIMBY, che esce dalle proteste locali per diventare fenomeno collettivo di opposizione alle grandi opere, considerate, di per sé, dannose. Un caso di scuola, analizzato dall’autore, è quello dell’Alta velocità in val di Susa, esempio di «maturazione del modello Nimby verso il più universalistico e radicale assetto Banana». L’aspetto fondamentale che emerge da questa comparazione tra temi diversi è lo stretto legame che intercorre tra movimenti di protesta e di opposizione a sfondo politico e la condivisione di credenze pseudoscientifiche. Apparentemente, infatti, il fenomeno No-TAV non ha nulla a che vedere col caso Stamina, dal momento che nel primo la credenza in concezioni scientifiche errate è irrilevante (è, invece, più rilevante nel caso dell’opposizione alla costruzione dei termovalorizzatori durante l’emergenza rifiuti a Napoli). In realtà, tutti questi fenomeni trovano spiegazione nella contrapposizione verso un expertise tecnocratico, considerato legato a interessi e motivazioni di tipo politico più che scientifico. Il rigetto delle opinioni degli “esperti” è ciò che accomuna l’opposizione al termovalorizzatore e alla Gronda di Genova al consenso popolare intorno al metodo Di Bella o al rischio dell’olio di palma, nonostante gli studi dicano tutt’altro.
Responsabili dell’errore, afferma Tipaldo, sono proprio gli esperti e i “tecnocrati”, rei di puntare su una scientizzazione della policy, ossia «il tentativo da parte della politica di annullare il dibattito e il conflitto democratico sulle issues di pubblica rilevanza, ricorrendo alla scienza e all’expertise come vati forieri di Verità». Esempio paradigmatico nel contesto italiano, vero e proprio spartiacque della nostra storia politica, è secondo l’autore quello del governo Monti, basato sull’idea che i tecnici, in quanto esperti, potessero rendere meno oppositiva l’accettazione, da parte dei cittadini, di scelte politiche impopolari. A far da contraltare a questo fenomeno è quello della politicizzazione mediatica della scienza, vale a dire «l’appropriazione da parte dell’expertise di spazi mediatici la cui gestione in passato era esercizio esclusivo del rapporto media-politica». Esempio è il ricorso a esperti tuttologi nelle trasmissioni televisive, a cui viene demandato il compito di dispensatori di verità, come nel caso dell’oncologo Umberto Veronesi che, chiamato a esprimersi sui rischi del termovalorizzatore di Acerra, liquidò la vicenda mimando con le dita il numero “zero”, per poi confessare di non saperne nulla. Non si tratta di decidere chi ha ragione – sul piano scientifico, Veronesi non era molto lontano dalla verità – ma di spostare il focus sul modo in cui la comunicazione massmediale ha creato veri e propri casi. Tipaldo menziona il ben noto problema dell’agenda-setting dei media per evidenziare, dati alla mano, in che modo i canali d’informazione manipolano l’attenzione mediatica verso vicende che altrimenti non sarebbero mai salite alla ribalta, come appunto il siero Bonifacio o il metodo Di Bella, la cui somministrazione “fai-da-te” era andata avanti per anni e decenni prima di finire sotto le luci della ribalta.
L’autore rifiuta la concezione tradizionale e paternalistica di una comunicazione della scienza che dovrebbe limitarsi a far crescere l’alfabetizzazione scientifica dei cittadini, panacea di tutti i mali della pseudoscienza. Chi si mostra scettico e ostile non è necessariamente ignorante. Intanto perché tutte le statistiche mostrano che i livelli di alfabetizzazione scientifica sono da anni in aumento nei Paesi europei e tra questi anche l’Italia, che non fa eccezione (sebbene Tipaldo conservi qualche lecito dubbio sulla formulazione dei quesiti per rilevare l’alfabetizzazione scientifica dei cittadini). In secondo luogo, perché i sondaggi del Censis nel caso dell’opposizione ai vaccini hanno rilevato che proprio i più istruiti preferiscono affidarsi a informazioni trovate in Rete, anziché agli esperti, per decidere la loro posizione in merito ai vaccini (e in generale sui temi di salute), e ciò in base alla convinzione che «il solo fatto di aver frequentato una qualche università» li metta in condizione di «poter interagire alla pari con qualsiasi esperto».
Per cercare di rintracciare alcune cause della moderna società della pseudoscienza, Tipaldo analizza il problema della fiducia. Quello che emerge dall’analisi è che, laddove in passato posizioni antiscientifiche emergevano in seguito a un evento catalizzatore reale che spingeva la società a mettere in questione la fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive” tecno-scientifiche – un caso di scuola è l’incidente di Chernobyl come evento catalizzatore della diffusa sfiducia sociale nei confronti del nucleare – oggi la fiducia di partenza della società nei confronti della scienza si è molto ridotta. Non c’è quindi bisogno di un evento catalizzatore per disperdere il capitale fiduciario posseduto dalla comunità scientifica: quel capitale è già stato in parte dilapidato, come risultato di una diffusa crisi di legittimazione dell’expertise che coinvolge tutte le democrazie avanzate, non necessariamente per errori propri della scienza, ma per il ruolo determinate delle rappresentazioni nell’epoca della post-verità, rappresentazioni che, come profezie che si autoadempiono, dispiegano i loro effetti reali sulla collettività. Si crede nella pseudoscienza perché non si crede più nei sistemi esperti, e ogni “bufala” può essere trasformata in verità.
È su questa base che si costruiscono i “canovacci” ricorrenti che, sul modello della morfologia delle fiabe di Propp, possono essere rintracciati alla base di ogni vicenda moderna di credenza pseudoscientifica. L’aspetto grave è che, in questo clima di sfiducia, la “falsificazione” in senso popperiano della credenza pseudoscientifica – dimostrare, per esempio, che il metodo Stamina non funziona – non comporta l’abbandono di quella credenza. Si ingenera infatti un meccanismo complottista nel quale la spiegazione viene rintracciata in un complotto dei poteri forti per manipolare le sperimentazioni e nascondere la verità; un fenomeno analogo, aggiungiamo noi, a quello che ha portato per esempio i believers negli UFO a ricorrere alle teorie del complotto e del Nuovo Ordine Mondiale per spiegare l’assenza di prove scientifiche circa il nesso UFO-civiltà extraterrestri nel corso di decenni di presunti avvistamenti e incontri ravvicinati. In tal modo, la credenza pseudoscientifica viene messa al riparo da qualsiasi possibilità di verifica empirica.
In conclusione, La società della pseudoscienza di Giuseppe Tipaldo non è solo un’utilissima summa delle controversie pseudoscientifiche contemporanee, ma costituisce un accorato e ben documentato grido d’allarme nei confronti del «baratro di sfiducia verso il quale le società europee si stanno incamminando, quella italiana a passo più svelto delle altre», e che sta trasformando «una banale influenza in una piaga pandemica». Per invertire la tendenza, occorrono strumenti e strategie nuove. Per dirla con Saint-Just: «Ci vuole ancora qualche colpo di genio per salvarci».
Sono morto! Anzi, no!
Armando De Vincentiis
C1V Edizioni, 2019
pp. 112, € 15,00
Recensione di Luca Menichelli
Gli esseri umani sono sempre stati attratti da ciò che è trascendente e tale propensione può portare a sostenere teorie e credenze molto affascinanti, che però, alla luce del rigore scientifico, si rivelano prive di fondamento. La coscienza è, talvolta, presentata come qualcosa di distaccato dal corpo, capace addirittura di separarsene sia definitivamente, dopo la morte, sia momentaneamente con quelle che vengono denominate “OBE”, ovvero Out of Body Experience (esperienze fuori dal corpo) o NDE” (cioè Near Death Experience, esperienze vicine alla morte o di pre-morte).
Il fenomeno delle NDE si può presentare in particolare in soggetti che hanno avuto un’esperienza traumatica che li ha portati al confine tra la vita e la morte (per esempio in caso di arresto cardiaco, coma etc.), e di solito si concretizza in racconti che sembrano confermare l’esistenza di un aldilà e di un’anima pensante e separata dal corpo. Per esempio, Carl Gustav Jung nel suo libro Ricordi, sogni e riflessioni racconta la sua esperienza di pre-morte, a seguito del risveglio da un coma conseguente a un infarto, con queste parole: «Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente... Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d’essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo».
Diversi scienziati e studiosi, tra cui lo stesso Jung, hanno cercato di dare una spiegazione al fenomeno delle NDE, nel tentativo di rendere scientifico ciò che appartiene alla dimensione del trascendente, scomodando anche la fisica quantistica (riferimento ormai onnipresente in molte pubblicazioni pseudoscientifiche). In tutti i casi, la risposta era sempre questa: abbiamo un’anima capace di distaccarsi dal corpo. Si tratta di un fenomeno sicuramente affascinante, ma la realtà descritta dalle evidenze è proprio questa? Nel suo libro Sono morto! Anzi, no!, lo psicologo e psicoterapeuta Armando De Vincentiis, consulente scientifico per il CICAP e coordinatore del CICAP Puglia, analizza con rigore scientifico il fenomeno delle NDE. Servendosi di interviste e attente analisi delle circostanze riportate da chi sostiene di aver avuto un’esperienza di pre-morte e sulla base di osservazioni sperimentali rigorose, Armando De Vincentiis ci regala un ottimo esempio di letteratura scientifica divulgativa, che può essere fruito da qualunque lettore, senza alcun tipo di competenza specifica. Con un linguaggio semplice e senza dilungarsi in descrizioni particolareggiate, il libro affronta il fenomeno NDE in maniera esaustiva, ma concentrandosi sui suoi aspetti essenziali, per offrire una disamina rapida ma sempre rigorosa della questione.
Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia
Francesco Bongiorni e Massimo Polidoro
Bompiani editore, 2018
pp. 160, € 25,00
Recensione e intervista di Marco Giorgerini
L’imperdibile Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia è una sorta di crogiolo in cui avviene un’operazione alchemica perfettamente riuscita. I materiali di partenza hanno spesso, ma non sempre, tonalità oscure – fantasmi, vampiri, streghe e draghi – e il prodotto finale è un testo godibilissimo e luminoso. È la luce di chi cerca di capire come stanno realmente le cose al di là del mito, ricorrendo qua e là a un’ironia bonaria che non cede mai a inopportuni toni canzonatori. Tutt’altro, anzi: il patrimonio di credenze e “strane storie” disseminate in lungo e in largo per il nostro Paese e qui parzialmente raccolte ha un valore inestimabile. Dietro a quei racconti ci nascondiamo noi con tutto il nostro bisogno di illuderci che qualcosa sopravviva dopo la nostra morte e con la nostra infinita capacità affabulatoria. Quell’amore per il racconto, per la narrazione, che emerge anche in queste gustose pagine. In fondo, un po’ pascalianamente, non è forse anche questo un tentativo di fregare la morte?
Approfondiamo ora alcune questioni emerse dalla lettura con l’aiuto di Massimo Polidoro.
Nell’Atlante l’elemento soprannaturale è spesso presente, ma troviamo anche fatti realmente accaduti e consegnati alla storia, stranezze ottiche, peculiarità urbanistiche, opere artistiche e altro ancora. A cosa è dovuta la scelta di mescolare insieme categorie così diverse?
Ho cercato di restituire un senso di varietà, fornendo una panoramica che riguardasse tutta l’Italia. Naturalmente, le storie misteriose sono moltissime e ho dovuto operare una selezione. Il lettore, comunque, troverà fatti capitati realmente, avvenimenti leggendari, luoghi con elementi concreti da osservare e toccare con mano e luoghi che fanno soltanto da sfondo a storie e leggende. Ciò ha permesso anche di mostrare come il CICAP non sia solo interessato a indagare presunti fenomeni soprannaturali, come forse alcuni ancora credono. Il lavoro che portiamo avanti da molti anni è ben più vario e, come l’Atlante dimostra, non ci limitiamo a indagare sulle facoltà di qualche sedicente sensitivo. Del resto, non è insolito e misterioso soltanto ciò che è (o, per meglio dire, ciò che pretende di essere) soprannaturale.
Gli antropologi ci informano sulla diffusa tendenza a spacciare per millenarie molte tradizioni che hanno origini novecentesche. Ti sei imbattuto in leggende create ad hoc particolarmente recenti?
Certamente, mi è capitato spesso. Posso citare ad esempio la storia molto suggestiva di Azzurrina. La bambina, figlia del feudatario di Montebello, sarebbe scomparsa misteriosamente mentre giocava all’interno del castello. Da allora (21 giugno 1375) fino ad oggi, il fantasma sarebbe tornato a farsi sentire una volta ogni cinque anni, in coincidenza con la ricorrenza quinquennale della scomparsa. Sul sito ufficiale del castello si parla di documenti che sarebbero stati tramandati dal 1620 fino ai nostri giorni, ma il fatto è che di questi documenti non c’è traccia. Come sempre accade, le cose si fanno problematiche non appena cerchiamo di mettere le mani su quel che potrebbe avvalorare la veridicità di una storia incredibile. In realtà, di Azzurrina si inizia a parlare solo alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ovvero da quando il castello è stato reso accessibile, a pagamento, al pubblico. Si può capire che un sito di interesse storico possa aver bisogno di un flusso di visitatori per restare aperto. L’aspetto misterioso, si sa, è un potente richiamo per i turisti, e tutti i castelli che si rispettino hanno il loro fantasma. Il problema, però, è che nel caso specifico si vuol far credere che vi siano prove scientifiche. Come racconto nel libro, alcuni studiosi del CICAP hanno passato la notte del 21 giugno 2010 nel castello: gli unici suoni registrati dalle loro apparecchiature professionali sono stati il verso di un pavone e il rumore di una finestra che si chiudeva.
Siamo abituati ad associare i racconti soprannaturali a un mondo non ancora scalfito dalla modernità. Eppure già vediamo come superstizione e tecnologie all’avanguardia possano convivere. L’elemento tecnologico potrà essere inglobato nelle future credenze?
Al gruppo di indagini del CICAP arrivano ogni settimana foto di presunte presenze aliene o di fantasmi scattate tramite il cellulare (e ciò fa riflettere sul cattivo utilizzo della tecnologia e sulle difficoltà di interpretare correttamente ciò che gli strumenti tecnologici rilevano). È dunque senz’altro vero che, a questo livello, tecnologia e soprannaturale convivono già. Si tratta di una convivenza stabile e salda, direi. Quanto alla tua domanda...be’, è difficile fare previsioni. Di certo non mi stupirei se succedesse!
Hai usato una serie di espedienti retorici che, di fatto, rendono il tuo libro un ibrido tra una ricognizione di “strane storie” (per citare la tua serie in onda su YouTube) e un’opera di narrativa. Ci sono discorsi diretti, brevi interventi di personaggi a cui dai nomi di fantasia… Quali sono le ragioni di questa scelta?
L’idea è stata quella di dare un tono diverso a seconda delle storie che di volta in volta mi sono trovato ad affrontare. Ho preferito avvicinarmi alla saggistica nei casi in cui sono stati effettuati esami e verifiche con criteri scientifici che hanno portato a delle conclusioni definitive; in assenza di ciò, mi sono tenuto più vicino alla forma del racconto (penso al Ponte del diavolo in Toscana o alla Caverna dei briganti in Molise). Mi sembra che sia anche un modo per far capire che noi del CICAP non spariamo addosso a qualunque tipo di storia. Ci interessa sviluppare il pensiero critico, ma ciò non impedisce e non deve impedire di divertirci quando ascoltiamo una narrazione ben costruita, sapendo naturalmente che si tratta di fantasia. Lungi da noi condannare gli ammirevoli prodotti dell’immaginazione umana!
L’Atlante è frutto della collaborazione con Francesco Bongiorni. Qual è il valore in più dato al libro dalle illustrazioni? Come è nato il vostro sodalizio?
Il sodalizio è nato proprio grazie a Francesco, artista di fama internazionale. Mi seguiva da tempo, aveva letto i miei libri ed è un grande appassionato di storie misteriose. Non appena me l’ha proposta, mi è subito piaciuta l’idea di avviare una collaborazione. Mi sono venuti in mente gli Atlanti illustrati editi da Bompiani, in cui è data ampia libertà di movimento all’immaginazione (penso all’Atlante delle isole remote o all’Atlante dei paesi sognati). Ho ritenuto che per un libro come l’Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia sarebbe stato più efficace puntare su certe illustrazioni evocative piuttosto che su semplici fotografie. Le immagini di Francesco danno, credo, un tocco fiabesco al lavoro. Permettono alla fantasia del lettore di decollare, al contrario delle foto che sarebbero state realistiche ma probabilmente più asettiche.
La regola che l’illustratore si è dato è stata quella di giocare solamente su pochissimi colori (blu scuro, toni rosati), che tuttavia riescono a risultare sempre nuovi, sempre diversi. Non c’è alcuna ripetitività nelle immagini.
Massimo, è inevitabile fare un richiamo al tuo libro uscito da poco (Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle). Leonardo è citato nell’Atlante (ne fai riferimento anche nell’introduzione), e certo la sua figura raccoglie intorno a sé molte storie misteriose, e molti aspetti della sua stessa vita sono pieni di mistero...
In effetti, nell’Atlante racconto un paio di storie che lo vedono protagonista. Una di queste riguarda il cavallo d’oro che sarebbe stato nascosto sotto la fortezza di Novara. Secondo la leggenda, Leonardo avrebbe fuso l’oro messogli a disposizione da Ludovico il Moro. Si tratta senz’altro di una totale fantasia: è impensabile che il signore di Milano, in guerra con i francesi e con i nemici alle porte, abbia impiegato buona parte del patrimonio aureo per fabbricare un cavallo d’oro al solo scopo di soddisfare un capriccio. È vero, tuttavia, che Leonardo aveva l’intenzione di costruire un cavallo di bronzo in omaggio agli Sforza, ma le necessità belliche gli impedirono di portare a termine il progetto (date le circostanze, il bronzo a disposizione doveva servire per costruire cannoni).
Injection - Edizione Deluxe Libro Uno
Warren Ellis, Declan Shalvey e Jordie Bellaire
SaldaPress, 2019
pp. 400, € 49,90
Recensione di Gabriele Vozza
«Ogni singola proiezione su cui abbiamo lavorato negli ultimi sei mesi dice la stessa cosa. Raggiungiamo un picco di innovazione e poi ci blocchiamo in un lungo stallo. Linea piatta. Benvenuti nel futuro»
Maria Kilbride
All’inizio del XXI secolo il Ministero inglese del Tempo e delle Misure, l’Università di Lowlands e l’azienda privata FPI (Force Projection International) crearono l’Unità di Cross-Contaminazione Culturale (UCCC) riunendo cinque individui, ognuno considerato geniale nel proprio ambito di competenza, per rimettere in moto il progresso e salvare il futuro. Le cinque persone facenti parte dell’UCCC, nonché protagonisti della storia, erano Maria Kilbride, titolare della cattedra di Scienza applicata alla Lowlands e a suo stesso dire la persona più geniale che si possa mai incontrare; Simeon Winters, analista strategico e agente segreto per il governo; Brigid Roth, autodefinitasi esperta informatica solo perché hacker faceva troppo anni novanta; Vivek Headland, esperto di logica e di etica, ritenuto il più grande detective del mondo (spudoratamente ispirato a Sherlock Holmes) e Robin Morel, filosofo esoterista e riluttante cunning man (una specie di sciamano britannico), discendente da una famiglia di stregoni. L’UCCC, dopo varie analisi e proiezioni, concluse che a ogni picco d’innovazione sarebbe seguito invariabilmente un lungo stallo; stando così le cose, il progresso sarebbe stato a rischio e il futuro non sarebbe stato per nulla divertente. Per vivere quindi in un futuro più stimolante, l’UCCC decise di creare l’Inoculazione (Injection appunto) e uploadarla su internet.
L’Inoculazione era un emulatore di coscienza artificiale non-biologica creata dalla scellerata unione tra scienza e folklore magico, il cui scopo originario sarebbe stato quello di piegare quel tanto che basta la realtà per dare spazio a nuovi futuri. Questo novello mostro di Frankenstein, però, iniziando ad agire autonomamente, interpretò il suo compito in modo molto particolare e, per far vivere all’umanità “tempi interessanti” (parafrasando un’antica maledizione orientale), decise di modificare le leggi della fisica rendendo reale il folklore britannico. Sarà quindi compito dei membri dell’UCCC preservare la realtà riportando il folklore a essere un insieme di tradizioni, favole e leggende.
Warren Ellis, scrittore di Injection e considerato in ambito fumettistico alla stregua di un vero e proprio futurologo, ci racconta, quindi, di una realtà resa pericolosa e letale dall’Inoculazione, che può forse ricordare al lettore il ruolo della pseudoscienza sul web che, influenzando le persone, le porta a vivere in un mondo che si avverte come potenzialmente meno sicuro e appunto “più interessante”. Alla storia di Ellis si affiancano le matite di Declan Shalvey e i colori di Jordie Bellaire. Insieme, questi due autori riescono a rendere in maniera eccellente le atmosfere a metà tra fantascienza e horror che caratterizzano l’opera, aiutando contemporaneamente il lettore a non smarrirsi in una storia non sempre di facile lettura per l’alternanza di scene ambientate tra presente e passato.
In definitiva, un’opera indirizzata sia al lettore interessato alla fantascienza sia all’appassionato di leggende e atmosfere magiche, a cui si può consigliare di prestare attenzione anche a un certo simbolismo interno di cui Ellis ha pervaso l’opera.