L’uscita dell’Annuario Scienza Tecnologia e Società[1] è dal 2005 un appuntamento annuale per chi si occupa, in qualunque forma, del rapporto tra scienza e società. Pubblicato da Observa Science and Society con il supporto della Compagnia di San Paolo, è un libro ricco di spunti di riflessione anche su molti dei temi che trattiamo su Query. Observa ogni anno, attraverso un sondaggio, rileva le opinioni dei cittadini italiani su questioni relative a scienza e tecnologia, sia in generale che su un tema specifico, ogni anno diverso. In questo numero della rubrica, in modo un po’ diverso dal solito, proveremo a sfogliare l’Annuario alla ricerca di curiosità e spunti sui temi che trattiamo in questa rubrica, ma non solo.
Per esempio, un primo dato interessante è quello sull’alfabetismo scientifico. È ormai diventata una pratica consolidata, anche a livello internazionale, monitorare il livello di alfabetizzazione scientifica attraverso le risposte date dal pubblico a tre domande standard: “Il Sole è un pianeta?”, “Gli antibiotici uccidono sia i virus che i batteri?” e “Gli elettroni sono più piccoli degli atomi?”. Sia ben chiaro che non si tratta di una misura di precisione: è un indicatore molto generico, economico (i sondaggi sono costosi!) ma che, essendo standardizzato, permette di fare confronti tra gruppi o periodi diversi e, nel caso di variazioni importanti, valutare se possa essere interessante andare più a fondo. Un po’ come misurarsi la febbre: è facile e costa poco, di per sé la sola temperatura non dà molte informazioni, magari sono solo accaldato perché ho corso, ma se cambia molto forse può essere il caso di capirne le ragioni.
Observa pone tutti gli anni le domande a un migliaio di italiani, e quest’anno il risultato è diverso dal solito:
«Se nel 2016 il livello di alfabetismo scientifico dei cittadini aveva raggiunto un picco mai toccato negli anni precedenti, quest’anno, nonostante l’incremento di esposizione alla scienza nei media, si registra una battuta di arresto: torna al 17% la quota di cittadini che non sa rispondere correttamente a nessuna delle domande poste, e si ferma al 23% quella di chi riesce a rispondere correttamente a tutte e tre le domande».
Come si vede dal grafico, i valori erano in lenta ma inequivocabile crescita fino all’anno scorso ma quest’anno, per qualche ragione, scendono tutti e crolla in particolare il numero delle risposte corrette sugli antibiotici. Come mai? Qualcosa di simile era già successo nel 2012, ma ecco un caso in cui potrebbe valere la pena approfondire.
Un altro dato interessante sono le opinioni degli italiani sul ruolo della scienza nella società, che l’Annuario definisce “articolate e ambivalenti”. Per esempio, sette intervistati su dieci sono d’accordo con l’affermazione “Solo la scienza può dirci la verità sull’uomo e sul suo posto nella natura”, un dato in leggera crescita, e altrettanti ritengono che “I benefici della scienza sono maggiori dei possibili effetti negativi”. È però in decisa crescita anche la quota d’accordo con l’affermazione “La scienza contemporanea minaccia i valori fondamentali come la vita umana e la famiglia”: erano il 36% nel 2013, sono diventati il 40% nel 2015 e infine il 42% nel 2017.
Cresce anche sensibilmente, per tutte le domande, il numero degli indecisi: per esempio, per quest’ultima affermazione indagata si passa dallo 0.7% del 2013 al 2.4% del 2015 fino al 4.9% di quest’anno, che potrebbe essere correlato con la martellante ma confusa comunicazione su alcuni argomenti scientifici negli ultimi anni.
Molto interessante, dal nostro punto di vista, l’opinione sulla credibilità delle notizie di argomento scientifico diffuse sul web o sui social network: sono considerate in generale più attendibili di quelle, per esempio, di argomento politico, economico o finanziario, anche se per il 75% la diffusione di “bufale e fake news” scientifiche è molto o almeno abbastanza frequente. La responsabilità della diffusione delle fake news è, secondo gli intervistati, dei giornalisti (31%), di chi le condivide sui social network (25%) e degli stessi social network (19%). Gli autori fanno notare come, se il pubblico assolve sostanzialmente i medici o i ricercatori da cui provengono i dati (meno del 10%), la percezione della comunità scientifica non è molto positiva: quasi sette su dieci ritengono che la falsificazione dei dati sia una pratica molto o abbastanza diffusa tra gli scienziati, e otto su dieci che lo sia il conflitto di interessi.
Al tema della frode scientifica e dell’integrità nella ricerca, che abbiamo trattato nel numero 25 di questa rubrica, è dedicato un capitolo di approfondimento a cura di Ilaria Ampollini, dell’Università di Trento. Sono per esempio interessanti i risultati di un’analisi dei media, che rivela come l’argomento sia trattato dai media principalmente parlando di specifici episodi di cattiva condotta: è evidente, come era d’altronde prevedibile, un gran picco nel numero di articoli in corrispondenza del caso Stamina. L’autrice fa però osservare come i media siano consapevoli del fatto che i problemi di integrità nella ricerca non sono (solo) “effetti mela marcia” in cui qualche isolato caso rovina la reputazione dell’intera categoria, ma un problema con radici più profonde e cause complesse, collegate alla competizione per la carriera e per ottenere finanziamenti e alla pressione per pubblicare il massimo numero possibile di articoli scientifici. Quest’ultima è indicata come la causa principale anche dai ricercatori, come risulta da un’apposita indagine di Barbara Saracino. Gli stessi ricercatori indicano la mancanza di formazione specifica sull’integrità nella ricerca come uno dei problemi, idea che non sembra attecchire nelle istituzioni: la maggior parte delle contromisure prese o proposte si riducono a indagini, controllo e sanzioni, mentre
«[...] va anche detto che l’attenzione verso la promozione dell’integrità e la formazione dei ricercatori è bassissima sia nelle soluzioni effettivamente attuate dalle università, sia in quelle pensate o proposte a livello di dibattito pubblico».
Infine, quest’anno il tema era la salute: un intero capitolo è dedicato al rapporto tra gli italiani e i vaccini, una controversia al centro dell’attenzione dei media nell’anno passato. Un dato inaspettato, per esempio, mostra come il supporto all’obbligo vaccinale sia cresciuto dal 2015 al 2017: la percentuale di italiani convinti che “Tutte le vaccinazioni, compresa quella contro l’influenza, dovrebbero essere obbligatorie” è quasi raddoppiata, passando dal 23% al 47%, mentre si è più che dimezzata (dal 19% all’8%) la frazione secondo cui “Nessuna vaccinazione dovrebbe essere obbligatoria”[2]. Un risultato che ha suscitato un dibattito abbastanza acceso sulle cause di questo rilevante cambiamento, ma anche sul suo significato[3], a cui però varrà la pena dedicare più spazio in un’altra occasione.
Per esempio, un primo dato interessante è quello sull’alfabetismo scientifico. È ormai diventata una pratica consolidata, anche a livello internazionale, monitorare il livello di alfabetizzazione scientifica attraverso le risposte date dal pubblico a tre domande standard: “Il Sole è un pianeta?”, “Gli antibiotici uccidono sia i virus che i batteri?” e “Gli elettroni sono più piccoli degli atomi?”. Sia ben chiaro che non si tratta di una misura di precisione: è un indicatore molto generico, economico (i sondaggi sono costosi!) ma che, essendo standardizzato, permette di fare confronti tra gruppi o periodi diversi e, nel caso di variazioni importanti, valutare se possa essere interessante andare più a fondo. Un po’ come misurarsi la febbre: è facile e costa poco, di per sé la sola temperatura non dà molte informazioni, magari sono solo accaldato perché ho corso, ma se cambia molto forse può essere il caso di capirne le ragioni.
Observa pone tutti gli anni le domande a un migliaio di italiani, e quest’anno il risultato è diverso dal solito:
«Se nel 2016 il livello di alfabetismo scientifico dei cittadini aveva raggiunto un picco mai toccato negli anni precedenti, quest’anno, nonostante l’incremento di esposizione alla scienza nei media, si registra una battuta di arresto: torna al 17% la quota di cittadini che non sa rispondere correttamente a nessuna delle domande poste, e si ferma al 23% quella di chi riesce a rispondere correttamente a tutte e tre le domande».
Come si vede dal grafico, i valori erano in lenta ma inequivocabile crescita fino all’anno scorso ma quest’anno, per qualche ragione, scendono tutti e crolla in particolare il numero delle risposte corrette sugli antibiotici. Come mai? Qualcosa di simile era già successo nel 2012, ma ecco un caso in cui potrebbe valere la pena approfondire.
Un altro dato interessante sono le opinioni degli italiani sul ruolo della scienza nella società, che l’Annuario definisce “articolate e ambivalenti”. Per esempio, sette intervistati su dieci sono d’accordo con l’affermazione “Solo la scienza può dirci la verità sull’uomo e sul suo posto nella natura”, un dato in leggera crescita, e altrettanti ritengono che “I benefici della scienza sono maggiori dei possibili effetti negativi”. È però in decisa crescita anche la quota d’accordo con l’affermazione “La scienza contemporanea minaccia i valori fondamentali come la vita umana e la famiglia”: erano il 36% nel 2013, sono diventati il 40% nel 2015 e infine il 42% nel 2017.
Cresce anche sensibilmente, per tutte le domande, il numero degli indecisi: per esempio, per quest’ultima affermazione indagata si passa dallo 0.7% del 2013 al 2.4% del 2015 fino al 4.9% di quest’anno, che potrebbe essere correlato con la martellante ma confusa comunicazione su alcuni argomenti scientifici negli ultimi anni.
Molto interessante, dal nostro punto di vista, l’opinione sulla credibilità delle notizie di argomento scientifico diffuse sul web o sui social network: sono considerate in generale più attendibili di quelle, per esempio, di argomento politico, economico o finanziario, anche se per il 75% la diffusione di “bufale e fake news” scientifiche è molto o almeno abbastanza frequente. La responsabilità della diffusione delle fake news è, secondo gli intervistati, dei giornalisti (31%), di chi le condivide sui social network (25%) e degli stessi social network (19%). Gli autori fanno notare come, se il pubblico assolve sostanzialmente i medici o i ricercatori da cui provengono i dati (meno del 10%), la percezione della comunità scientifica non è molto positiva: quasi sette su dieci ritengono che la falsificazione dei dati sia una pratica molto o abbastanza diffusa tra gli scienziati, e otto su dieci che lo sia il conflitto di interessi.
Al tema della frode scientifica e dell’integrità nella ricerca, che abbiamo trattato nel numero 25 di questa rubrica, è dedicato un capitolo di approfondimento a cura di Ilaria Ampollini, dell’Università di Trento. Sono per esempio interessanti i risultati di un’analisi dei media, che rivela come l’argomento sia trattato dai media principalmente parlando di specifici episodi di cattiva condotta: è evidente, come era d’altronde prevedibile, un gran picco nel numero di articoli in corrispondenza del caso Stamina. L’autrice fa però osservare come i media siano consapevoli del fatto che i problemi di integrità nella ricerca non sono (solo) “effetti mela marcia” in cui qualche isolato caso rovina la reputazione dell’intera categoria, ma un problema con radici più profonde e cause complesse, collegate alla competizione per la carriera e per ottenere finanziamenti e alla pressione per pubblicare il massimo numero possibile di articoli scientifici. Quest’ultima è indicata come la causa principale anche dai ricercatori, come risulta da un’apposita indagine di Barbara Saracino. Gli stessi ricercatori indicano la mancanza di formazione specifica sull’integrità nella ricerca come uno dei problemi, idea che non sembra attecchire nelle istituzioni: la maggior parte delle contromisure prese o proposte si riducono a indagini, controllo e sanzioni, mentre
«[...] va anche detto che l’attenzione verso la promozione dell’integrità e la formazione dei ricercatori è bassissima sia nelle soluzioni effettivamente attuate dalle università, sia in quelle pensate o proposte a livello di dibattito pubblico».
Infine, quest’anno il tema era la salute: un intero capitolo è dedicato al rapporto tra gli italiani e i vaccini, una controversia al centro dell’attenzione dei media nell’anno passato. Un dato inaspettato, per esempio, mostra come il supporto all’obbligo vaccinale sia cresciuto dal 2015 al 2017: la percentuale di italiani convinti che “Tutte le vaccinazioni, compresa quella contro l’influenza, dovrebbero essere obbligatorie” è quasi raddoppiata, passando dal 23% al 47%, mentre si è più che dimezzata (dal 19% all’8%) la frazione secondo cui “Nessuna vaccinazione dovrebbe essere obbligatoria”[2]. Un risultato che ha suscitato un dibattito abbastanza acceso sulle cause di questo rilevante cambiamento, ma anche sul suo significato[3], a cui però varrà la pena dedicare più spazio in un’altra occasione.
Note
1) G. Pellegrini (a cura di) Annuario Scienza Tecnologia e Società 2018 Bologna: Il Mulino (2018)
2) Per i curiosi, si può trovare sul sito web di Observa un’anticipazione dei dati poi pubblicati sull’Annuario: https://goo.gl/eb3TsQ (2017)
3) Vedi per esempio https://goo.gl/sutnE7