L’illusione di MesmerGiuseppe LagoCastelvecchi, 2014pp. 324, € 28
di Anna Rita Longo
Il lettore che si accosti a questo libro potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte a un’analisi storica – eccellentemente documentata e condotta con scrupolo – di un fenomeno sociologico legato all’azione di un curioso ciarlatano, confinata nel tempo nel quale egli visse e operò: il Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Ma si tratterebbe di una visione scorretta e parziale: non è certamente l’erudizione lo scopo primario di questo libro, né la storia di Mesmer è davvero acqua passata come forse ci augureremmo. Lo chiarisce efficacemente Alberto Oliverio nella sua prefazione: «Ma al di là del suo valore chiarificatore, dello smantellamento dei miti che ancora circondano la figura di Mesmer, il saggio di Lago è anche di piacevolissima lettura: narra una storia che oggi può sembrare inverosimile ma che, non di rado, si ripete anche in ambito biomedico dove, di tanto in tanto, compaiono guaritori dotati di poteri e strumenti terapeutici che attraggono, come ai tempi di Mesmer, persone bisognose di cure, rese più fragili e disponibili dalla malattia.» (p. 10)
Di novelli Mesmer, di Dulcamara post litteram è, infatti, piena anche la storia della medicina contemporanea, quindi conoscere le fonti della loro influenza sulle masse e smontarne i trucchi è un’operazione che trascende la, pur fondamentale, ricerca erudita e va a incrementare le difese immunitarie del lettore contro gli inganni della pseudoscienza.
Una vulgata (approssimativa e scorretta come tutte le vulgate) vede in Franz Anton Mesmer un antesignano della psicoterapia, un importante apripista nella direzione delle conquiste della scienza moderna. Per smontare questo assunto non è sufficiente liquidare la questione in poche parole: si sa bene che le armi della retorica spesso riescono ad accomunare realtà molto lontane, sorvolando sui particolari e proponendo accostamenti azzardati. Così si è, di volta in volta, sostenuto, da parte degli esaltatori del mesmerismo, che il “fluido universale” non sarebbe altro che l’inconscio; che il rapporto tra Mesmer e i suoi pazienti sarebbe uguale a quello che si viene a creare oggi nell’ambito della psicoterapia e che, in ultima analisi, tutte le tecniche oggi adoperate dagli psicoterapeuti affonderebbero le loro radici nelle dottrine mesmeriche. Per contestare con forza argomentativa tali assunti, Giuseppe Lago sceglie di ripercorrere l’intera vicenda del mesmerismo, indagando con acribia la personalità del protagonista, senza forzare la mano ai fatti, ma mantenendovisi aderente attraverso un sistematico ricorso ai documenti, per dimostrare al lettore, dati alla mano, quanto Mesmer si discostasse dai principi della scienza medica, che seppe difendersi con le armi che l’Illuminismo le forniva, nonché quanto profondamente distante fosse la sua visione magico-carismatica dall’attuale impostazione del rapporto terapeuta-paziente. Il lettore che si lascerà catturare, pagina dopo pagina, dalla narrazione arriverà naturalmente alla conclusione che la personalità del guaritore tedesco somiglia molto più a quella del santone che al typos dell’uomo di scienza.
Un esempio tra i tanti citati dall’autore risulta illuminante in merito allo scarso senso critico di Mesmer: il medico parigino Portal, fingendosi presidente della corte suprema, sottopone al celebre guaritore un elenco di suoi presunti malanni, mettendo così in evidenza come il dottore non elabori vere diagnosi ma semplicemente prenda per oro colato ciò che gli riferiscono i pazienti. Come non pensare spontaneamente ai tanti ciarlatani smascherati oggi con metodi simili da trasmissioni televisive che fanno giornalismo d’inchiesta? In realtà, infatti, l’unico talento mostrato dal magnetizzatore era quello di risolvere disturbi derivanti dalla somatizzazione di disagi psichici, superabili attraverso l’azione di un terapeuta che godesse della piena fiducia del paziente, così da indurre l’effetto placebo. Né si può, sottolinea l’autore, parlare per Mesmer di «terapia comportamentale ante litteram», perché, come dimostrano i suoi scritti, egli si rifiutò categoricamente di ammettere che i suoi risultati fossero dovuti alla relazione medico-paziente, ovvero a quella componente intersoggettiva che è alla radice di molte strategie adoperate in psicoterapia. Era il magnetismo, non già l’immaginazione a produrre gli effetti delle sue terapie, quindi, nelle sue intenzioni, questo era pronto a prendere il posto della “vecchia” medicina. Non mette conto ribadire quanto simili concezioni siano distanti dalla psicoterapia contemporanea, in particolare per quella sua componente che si radica sulle neuroscienze.
Completano il quadro di un libro estremamente prodigo di spunti di riflessione delle appendici altrettanto ricche, tra le quali spicca il saggio dedicato al rapporto tra psicoterapia e carisma, utile a chiarire ulteriormente l’affaire Mesmer, ma anche a spiegare dinamiche psicosociali che non si limitano al contesto terapeutico.
A bordo della Cronosfera. I fumetti tra scienza, storia e filosofia AA. VV. a cura di Marco Ciardi Carocci, 2014 pp. 155 € 23,00
di Andrea Albini
Mettere il mondo dei fumetti a bordo della macchina del tempo per capire come un genere che molti considerano legato unicamente all’intrattenimento e al mondo dell’infanzia possa istruire anche gli adulti. Sì, perché quella che viene definita la “nona arte” – scrive nell’introduzione il filosofo Giulio Giorello – dispiega un’immaginazione pienamente filosofica, capace di spaziare in tutti i campi dell’avventura umana, della politica e della scienza; e come tale si rivolge ai “bambini” di ogni età.
Passati sono i tempi in cui il grande fisico Paul Dirac era costretto a leggere i fumetti della Disney nascondendosi dai suoi austeri colleghi di Cambridge. E questo nonostante le sue eccentricità fossero note a tutti. Lo stesso Nietzsche, osservando come i bambini (principali consumatori di fumetti) giocassero con grande serietà, aveva raccomandato anche agli adulti di recuperare «quella straordinaria capacità di stupire e pensare» che assimila il lettore ingenuo allo scienziato smaliziato. Anche Albert Einstein era convinto che senza la capacità di osare che derivava dall’ingenuità infantile, la creatività scientifica ne avrebbe risentito, e sarebbe stato incoraggiato il conformismo invece che la disponibilità al cambiamento di prospettiva.
Nel primo capitolo di questo libro, il filosofo della scienza Enrico Castelli Gattinara analizza le teorie epistemologiche che soggiacciono all’aspetto ludico di alcune strisce disegnate. Capiamo che le immaginarie battaglie aeree di Snoopy contro il Barone Rosso sono un esempio del passaggio da un sistema di coordinate (la realtà plurisoggettiva che ci circonda) a un altro (il mondo interiore del cane bracchetto disegnato da Charles Schulz). Allo stesso modo le battute di Corto Maltese rivolte a un amico affascinato dall’occulto ci aiutano a capire che nell’interpretare non occorrono sempre certezze ma può bastare l’approssimazione. Piuttosto che appartenere alla scienza, la ricerca della certezza è infatti tipica del pensiero religioso.
Stabilito che la ragione, intesa come attività propria dell’uomo, possa essere legittimamente rappresentata in “modo disegnato” dagli autori dei comics, anche l’evoluzione delle storie che trattano di scienza, raccontate negli albi a fumetti, ci dà indicazioni sulle modalità con cui la cultura scientifica a livello divulgativo si è diffusa usando questo mezzo. Dietro a un’avventura a fumetti, infatti, vi è un autore con il suo progetto narrativo. Platone era convinto che una storia inventata per istruire e far riflettere potesse essere usata per ribadire una teoria politico-filosofica; e a tal fine aveva inventato il racconto di Atlantide per propagandare la sua idea di città e governo ideale. E proprio di Atlantide parla lo storico della scienza Marco Ciardi nel secondo capitolo del volume, mostrando le “metamorfosi” che questo luogo platonico ha subito nel racconto a fumetti a sfondo scientifico non necessariamente divulgativo. Scopriamo che il discorso su Atlantide è stato trasmesso attingendo a fonti scientifiche o divulgative anche non aggiornatissime, ed è stato influenzato anche dalla letteratura fantascientifica e dalla speculazione pseudoscientifica. Pensiamo a Topolino, che nel 1949 parte in missione per risolvere “scientificamente” – ossia per ritrovare – la città descritta da Platone; oppure al cartoonist Edgar P. Jacobs, che l’anno successivo ipotizzò che i “dischi volanti” (la novità del momento) provenissero proprio da Atlantide: un mistero spiegato con un altro mistero!
Nel terzo capitolo Alberto Beccatini – studioso dei fumetti e degli autori della Disney – dettaglia come queste tavole hanno affrontato nel tempo temi pseudoscientifici (la Terra cava); mitologici (la ricerca del Vello d’oro) o hanno suggerito progetti scientifici e ingegneristici (il recupero del tempio rupestre di Abu Simbel). A concludere, lo storico della scienza Giacomo Scarpelli ritorna, con abbondanza di esempi e aneddoti, su come «nell’uomo provvisto di talento artistico e scientifico continua ad ardere la fiamma della creatività infantile».
Nato da un’idea sorta dopo un convegno dell’Università di Siena su «Scienza, mito, letteratura... e fumetti» questo libro ha il pregio della chiarezza e della levità; e l’abbondanza di illustrazioni tratte dalle strisce ne agevola la comprensione. Lunga vita ai fumetti, dunque. Anche perché, per capire storia e filosofia – scrive Ciardi – talvolta ha aiutato maggiormente Topolino che certi libri o programmi televisivi sensazionalistici.
Quando c’era il futuro Daniele Barbieri - Raffaele Mantegazza Franco Angeli, 2013 pp. 128 € 16.50
di Andrea Albini
Cosa possiamo imparare dalla fantascienza? E cosa possono soprattutto imparare da essa i giovani e coloro che stanno ancora seguendo un percorso formativo?
Difficilmente un romanzo di fantascienza anticipa il futuro; e ne è prova il fatto che quando questo accade di solito la cosa viene posta in grande risalto. La letteratura fantastica e d’anticipazione (mainstream o popolare che sia) non è esercizio dell’arte della divinazione ma piuttosto analisi critica del presente, sviluppata attraverso percorsi che passano dall’utopia o dalla sua versione negativa chiamata distopia. Partendo dal racconto sull’Atlantide di Platone – che lo storico Pierre Vidal Naquet ha definito la prima narrazione fantascientifica – gli esempi possono essere infiniti.
Per Theodor Sturgeon, uno degli scrittori di fantascienza più interessanti del Novecento, la fantascienza serve a svegliare il mondo sull’orlo dell’impossibile; mentre Ray Bradbury sosteneva che la migliore fantascienza è quella che, con un atto di volontà creativa, demolisce all’istante i fatti e le cose che l’autore trova sgradevoli nel mondo in cui vive.
Spesso i romanzi fantascientifici parlano delle paure (ma anche delle speranze) attuali, e le rappresentano in scenari di là da venire. In altre parole la “buona fantascienza” – un segmento limitatissimo di questa sterminata produzione letteraria di genere – costituisce una sorta di laboratorio in cui, giocando ad immaginare il futuro, la mente si allena a indagare il presente e a vedere le distorsioni e gli inganni di una società in cui molti sembrano vivere apparentemente anestetizzati. La fantascienza – scrivono gli autori del saggio – ricorda a tutti che i futuri possibili sono molti e ci costringe a pensare ad altre possibilità, vincendo le paure e allargando gli spazi di libertà.
Popolarissima tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, questa letteratura di genere, distribuita per la maggior parte nelle edicole, ha contribuito a plasmare l’immaginario di generazioni di italiani; ma oggi sta affrontando un declino che non è solamente legato alla crisi generale dell’editoria e all’avvento dei nuovi media. Infatti, se il futuro ha rappresentato in passato sia una fonte fiducia che di preoccupazione, nel momento storico attuale sempre più persone – e i giovani in particolare – vivono secondo modalità nelle quali pare che ogni desiderio e aspettativa sia dissolto in un eterno presente. Passate le speranze e gli incubi che hanno invaso il Novecento – scrivono gli autori – il presente sembra occupare tutto; e l’unico domani concesso è la continuazione dell’oggi con altri mezzi.
In questa nostra società “liquida” che tende a perdere i vecchi valori e non sembra riuscire a crearne di nuovi, solidi e stabili, Barbieri e Mantegazza vedono nel recupero della buona fantascienza uno strumento didattico – “diffuso” e non necessariamente istituzionale – per vincere l’apatia e spingere i giovani a riflettere sugli argomenti che propone la fantascienza, e che spesso coincidono con i “grandi temi” della società attuale, che tutti conoscono ma che rischiano di essere assimilati passivamente in un contesto didattico classico.
I temi su cui si sono esercitati gli autori di fantascienza sono molteplici. Uno dei più noti è la definizione dell’identità umana in un mondo popolato da robot e creature artificiali che possono sviluppare sentimenti e aspirazioni identiche alle nostre. Altri riguardano l’utopia politica trasposta in altri mondi; la fine della violenza; il concetto di alterità riferito agli extraterrestri (incluso come essi vedono noi); le varie declinazioni della fine del mondo e della resurrezione; gli (spesso inquietanti) scenari ecologici del futuro; la manipolazione del tempo e i rapporti di identità e di relazione non convenzionali, incluso quello che mostra i figli come “piccoli mostri” perché rappresentano un futuro sconosciuto.
Personalmente ho trovato particolarmente provocatorio e stimolante il tema della “fantascienza religiosa”, capace di immaginare guide supreme robotizzate; papi donna o con la pelle scura; computer confessori e monaci elettrici. Come vedono la religione gli extraterrestri? Saremo colonizzati dalla loro fede oppure recepiranno la nostra; e se sì, in che modo?
Parecchio tempo fa, quando le fanzine di fantascienza andavano per la maggiore, avevo un amico appassionato del genere che scherzava (credo) dicendo che gli sarebbe piaciuto creare un nuova religione. Dopotutto, in questa nostra epoca di sincretismi, non dimentichiamo che una delle nuove fedi più discusse – Scientology – è stata fondata da Ron Hubbard, un autore di fantascienza.
Acqua sporca Antonino Michienzi Roberta Villa Zadig editore, 2014 ebook (disponibile gratis su www.scienzainrete.it e al prezzo simbolico di 1,99 € presso le principali librerie online)
recensione e intervista di Pasquale Supino
Sin dai tempi più remoti, la ricerca di una terapia dalle proprietà prodigiose, in grado di guarire malattie per le quali la medicina non offriva rimedi, ha sempre ottenuto risultati deludenti: in Italia, in particolare, dal siero di Bonifacio al metodo Di Bella, il numero di cure che, presentate come miracolose, prima hanno promesso e poi deluso è molto consistente. Negli ultimi anni, anche in seguito al clamore mediatico procurato da una nota trasmissione televisiva, ha iniziato a diffondersi l'idea che le cellule staminali, somministrate a pazienti affetti da mali incurabili, potessero avere effetti portentosi.
L’e-book Acqua sporca prova a fare chiarezza su questa utopia e ha il merito, tra gli altri, di analizzare il fenomeno delle staminali operando una panoramica che parte dal 1963, anno in cui due ricercatori canadesi hanno scoperto la presenza nel midollo di quelle che oggi conosciamo come cellule staminali, e di non limitarsi, pertanto, a trattare solo le recenti vicende italiane. Il tutto con uno stile narrativo tranquillamente accessibile anche a chi è privo di competenze mediche, a cui, però, si affiancano un rigore scientifico ed una pluralità di fonti e di collegamenti a studi clinici che permettono di approfondire le questioni analizzate.
Grazie alla disponibilità degli autori, rivolgiamo loro qualche domanda sugli argomenti trattati nel testo.
Per reperire i fondi necessari alla scrittura del libro avete utilizzato il crowdfunding, una richiesta di sostegno finanziario rivolta a tutti gli interessati alla realizzazione di un determinato progetto. Che riscontro ha ricevuto il vostro appello?
Questa modalità di finanziamento è abbastanza innovativa per l’Italia, soprattutto in questa forma. Esistono esperienze simili, ma per progetti di diverso tipo. La nostra sfida è stata quella di scrivere un libro “su commissione dei lettori" che, non trovando l’informazione che cercano, sono disposti a pagare per ottenerla. Abbiamo valutato diverse piattaforme prima di scegliere Kapipal, che permetteva di usufruire di tutte le donazioni, anche se non avessero raggiunto la soglia richiesta. Questo perché sapevamo di chiedere molto, 6.000 euro, una cifra superiore al budget richiesto solitamente per operazioni del genere. Ma noi desideravamo condurre una vera e propria inchiesta giornalistica sulla vicenda, che ci avrebbe richiesto di dedicarci in due, a tempo pieno, o quasi, per un paio di mesi a questo lavoro. Di fatto, come si poteva prevedere, abbiamo raccolto una cifra inferiore, 3.220 euro, che comunque è più della metà di quel che avevamo richiesto. La cifra raccolta di per sé non è un successo o un fallimento, ma la misura di quanto oggi già esista una fascia di popolazione disponibile a “investire” sull’attività giornalistica e di come possa essere risvegliata. I prossimi che ci proveranno raccoglieranno forse più di noi.
Da quando in Italia è venuta alla ribalta la vicenda Stamina, le sono stati dedicati vari libri. In cosa si differenzia il vostro da tutti gli altri?
I libri che sono stati pubblicati sulla vicenda mentre noi eravamo ancora al lavoro erano tutti molto validi e completi, e affrontavano la questione da diversi punti di vista: uno approfondiva di più i dati di cronaca, l’altro gli aspetti giuridici; uno era scritto da scienziati, l’altro da giornalisti di inchiesta che hanno approfondito moltissimo gli elementi economico-finanziari.
La scelta di registro e di contenuto che avevamo fatto fin dall’inizio però differenziava il nostro libro da tutti questi. Per raggiungere il maggior numero possibile di persone anche prive di una preparazione scientifica specifica sull’argomento e facilitare loro la lettura, rendendola più gradevole a tutti, avevamo già deciso di dare al testo un taglio prevalentemente narrativo: volevamo raccontare questa (brutta) storia perché fosse comprensibile a tutti, a costo di sacrificare qualche elemento scientifico che pure poteva essere rilevante.
L’altra peculiarità del nostro lavoro è stata quella di inserire il cosiddetto “caso Stamina” in una dimensione internazionale, nell’ambito della discussione che si sta svolgendo non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Asia sul tema della regolamentazione delle terapie più avanzate: non solo le cure a base di staminali, ma anche quelle di terapia genica, che attualmente sono sottoposte alla severa legislazione che regola la produzione dei farmaci.
Cosa si intende per cellule staminali e cos’è il cosiddetto “metodo Vannoni”?
Le cellule staminali sono cellule che per definizione sono capaci di autoriprodursi in maniera quasi illimitata e di dare origine a diversi tipi di tessuto. In natura esistono staminali diverse classificate in base alla loro origine e alla loro capacità di evolversi verso un maggiore o minore numero di strade.
Le staminali embrionali si ritrovano nelle prima fasi dello sviluppo: hanno maggiore potenzialità di differenziazione, ma anche una maggiore attitudine a proliferare, caratteristica utile per la formazione e la rapida crescita dell’individuo in utero, ma che le rende potenzialmente più pericolose in clinica, dal momento che possono facilmente dare origine a tumori.
Le cellule staminali adulte sono invece già indirizzate verso una certa linea di evoluzione. Per esempio, quelle emopoietiche danno origine a tutte le cellule del sangue, dai globuli rossi alle piastrine, ma solo a quelle. Quelle su cui si basa il cosiddetto “metodo Vannoni” sono le cellule staminali mesenchimali, o stromali, che si trovano nel midollo osseo come quelle del sangue. Il loro compito in natura è di riparare ossa e articolazioni offrendo cellule di ricambio per osso, cartilagine e tessuto adiposo. Vannoni sostiene di avere scoperto un metodo per indurle a trasformarsi in cellule nervose, e di ottenerle in quantità tali da riparare gravi lesioni del sistema nervoso centrale dovute a malattie molto diverse tra di loro. Tuttavia, non ha mai fornito le prove né di questo fenomeno né dell’effettiva presenza di staminali nelle sue infusioni.
Queste cellule staminali mesenchimali, secondo molti ricercatori, avrebbero anche la peculiare caratteristica di produrre sostanze capaci di modulare i processi infiammatori. Per questo si stanno esplorando le loro potenzialità per la cura di malattie su base immunitaria come la sclerosi multipla. I laboratori che conducono questi studi lo fanno però seguendo protocolli ben definiti, caratterizzando le cellule, garantendo la sicurezza dei pazienti e pubblicando i loro risultati in modo da sottoporli al giudizio della comunità scientifica internazionale, nell’ambito di una ricerca che non ha nulla a che vedere con le procedure seguite da Stamina.
Nel libro citate più volte il decreto Turco-Fazio, che definite il “paravento” dietro il quale ci si è rifugiati per somministrare cellule staminali negli Spedali Civili di Brescia. Potete dirci, in breve, cosa prevede questo decreto? Questo decreto è spesso richiamato dalla propaganda di Stamina come “legge sulle cure compassionevoli”, termine di forte impatto emotivo che tuttavia non è mai citato nel testo legislativo. Questo provvedimento mira solo a consentire che in alcuni casi isolati (non a tappeto, come si faceva a Brescia), i medici possano somministrare a pazienti in immediato pericolo di vita e con condizioni per le quali non esistano terapie validate (e non è il caso di molte delle patologie trattate a Brescia), trattamenti che non siano ancora approvati ma sulla cui sicurezza ed efficacia esistano pubblicazioni internazionali su riviste scientifiche importanti.
A distanza di più di dieci anni dall’inizio dell’attività di Davide Vannoni con le staminali, è stato pubblicato su una rivista di secondaria importanza solo il resoconto approssimativo di un caso trattato con il cosiddetto “metodo Stamina”, ma nessun lavoro che confermi né che cosa viene effettivamente infuso, né le conseguenze che queste infusioni possono avere.
La ricerca sulle cellule staminali, che procede in molte parti del mondo da svariati anni, potrebbe essere negativamente condizionata da ciò che sta attualmente accadendo in Italia?
Questa eventualità si sarebbe potuta verificare se la comunità scientifica non fosse insorta spingendo il Parlamento a respingere la proposta di legge dell’allora ministro Balduzzi. Quell’iniziativa avrebbe equiparato ai trapianti, sottoponendole alla stessa legislazione, le terapie avanzate, tra cui i trattamenti a base di staminali. In quel caso, la breccia aperta in un Paese della Comunità Europea avrebbe potuto aprire la strada a una messa in discussione della regolamentazione.
Per come sono andate le cose, invece, l’impatto della vicenda è stato soprattutto mediatico. Il timore è che abbia aumentato la confusione nel grande pubblico, per lo più in Italia, spingendolo a confondere il cosiddetto “metodo Stamina” (con il quale non è neppure certo che siano davvero infuse cellule staminali) con le tante terapie a base di cellule staminali che già sono di uso comune oppure sono in fase di seria sperimentazione.
Non capita di rado che, a seguito di una cura con terapie prive di valenza scientifica, i medici ritengano che gli ammalati non abbiano ottenuto miglioramenti, mentre i familiari del paziente sostengano esattamente il contrario. In questi casi, a chi credere? Come è possibile valutare oggettivamente il decorso, positivo o negativo, di una malattia?
È naturale e perfettamente comprensibile che una famiglia provata da una malattia grave si aggrappi a chi promette guarigioni o miglioramenti mentre altri non hanno lasciato troppi margini di speranza. Il desiderio che un trattamento sia efficace può far vedere segni positivi anche quando non ci sono, e questo indipendentemente dal tipo di cura.
Non è un caso che gli studi clinici ritenuti più affidabili siano quelli condotti “in doppio cieco”, quelli cioè in cui sia il paziente sia i medici che valutano i risultati ignorano se il soggetto in questione ha ricevuto la terapia di cui verificare l’efficacia o un placebo. Il placebo stesso, inoltre, ha un suo riconosciuto margine di efficacia. In questi casi, la forza positiva di una famiglia che finalmente ritrova la speranza può spingere ad applicare con più entusiasmo e determinazione anche le altre terapie di supporto, per esempio quelle respiratorie. Nella maggior parte delle malattie su cui è applicato il metodo Stamina, inoltre, non esistono esami strumentali precisi in grado di quantificare l’evoluzione della malattia: si parla di scale di disabilità basate sull’osservazione dei pazienti, che comunque non sono mai state applicate rigorosamente dai sostenitori di Stamina.
A volte, chi è affetto da una malattia per la quale la medicina non offre alcuna terapia, sceglie di sottoporsi a trattamenti privi di evidenza scientifica che promettono notevoli miglioramenti, ritenendoli l’ultima strada percorribile per coltivare una speranza di guarigione. Ciò può essere condivisibile? Perché chi è affetto, ad esempio, da una malattia neurodegenerativa incurabile, dovrebbe rifiutarsi di sottoporsi a rimedi non approvati dalla comunità scientifica?
Ripeto, è perfettamente comprensibile il desiderio dei pazienti e delle loro famiglie di “tentare tutto il possibile”. In realtà nessuno può davvero tentare “tutti” gli innumerevoli rimedi che vengono proposti per malattie con poche speranze, compresi quelli più improbabili: si deve scegliere. E allora ci si deve basare sulle migliori informazioni disponibili.
Sarebbe compito delle istituzioni proteggere i cittadini non solo dai rischi di effetti collaterali legati a trattamenti privi di base scientifica, ma anche dall’essere ingannati in una condizione in cui sono particolarmente vulnerabili alle promesse dei ciarlatani. In questo caso, poi, c’era l’aggravante che il trattamento, somministrato all’interno di una struttura pubblica, otteneva da questo fatto una sorta di legittimazione e garanzia che al contrario non poteva essere data. Questo per non parlare dei costi a carico del sistema sanitario nazionale, di risorse, strutture e personale sottratti a cure di provata efficacia e della prospettiva (che era nell’aria) di chiedere che l’intero trattamento potesse essere a carico del SSN stesso.
I sostenitori della stragrande maggioranza delle cure cosiddette “alternative”, per giustificare le resistenze della comunità scientifica spesso evocano presunti boicottaggi o complotti secondo i quali le case farmaceutiche, per interessi meramente economici, le avverserebbero. Ritenete che ciò sia plausibile?
I dati emersi dalla nostra inchiesta e da quella di altri colleghi prima di noi mostrano che in questo caso gli interessi economici in gioco erano quelli di chi propugnava il metodo Stamina, non certo quello dei colossi di Big Pharma, che al contrario lesinano gli investimenti nei confronti delle malattie rare.
I sentieri dell’insolito Massimo Polidoro ebook gratuito, 2014, 59 pp.
di Anna Rita Longo
DI CHE COSA SI PARLA: Scaricabile gratuitamente con l’iscrizione alla newsletter di Massimo Polidoro, il libro è una carrellata di aneddoti e informazioni apparentemente inverosimili, ma, in realtà, assolutamente veri. Un prontuario a uso e consumo del curioso, che si potrà sfoderare nei momenti in cui la conversazione nelle cene tra amici sembra languire.
PERCHÉ LEGGERLO: Per un’utile introduzione al concetto di probabilità statistica e di apofenia (che si potrà approfondire attraverso la ricca bibliografia divulgativa sull’argomento) e per divertirsi contribuendo, frattanto, ad ampliare il proprio quoziente di curiosità, premessa necessaria per accrescere le proprie conoscenze.
Il caso OGM Roberto Defez Carocci, 2014, 148 pp. € 11
di Anna Rita Longo
DI CHE COSA SI PARLA: Si tratta di una disamina rapida ma accurata della questione degli organismi geneticamente modificati in Italia, che fa riferimento alla storia degli OGM, alla legislazione italiana nei confronti della ricerca e all’atteggiamento dei media nei riguardi del tema. Lo scopo è sfatare i luoghi comuni in circolazione e chiarire al lettore quali siano veramente le forze in gioco.
PERCHÉ LEGGERLO: Per rendersi conto di quanto, in questo campo, l’ideologia e la propaganda abbiano avuto più peso delle ragioni della scienza e per farsi un’idea che vada oltre gli “strilli” di TV e giornali, nonché per vincere le infondate paure che spesso nutriamo nei riguardi delle biotecnologie.
Indagare misteri con la lente della scienza Massimo Polidoro ebook gratuito, 2014, 35 pp.
di Anna Rita Longo
DI CHE COSA SI PARLA: L’ebook fa parte delle opere gratuite scaricabili con l’iscrizione alla newsletter di Massimo Polidoro. Si tratta di un ottimo prontuario a uso degli aspiranti indagatori del mistero, che prende in esame i fondamenti teorici dell’indagine scettica, esaminati in modo rapido, ma senza trascurare alcun dato essenziale. Un buon punto di partenza per ulteriori approfondimenti, che si integra alla perfezione con il Quaderno del CICAP N. 19, I ferri del mistero, di Stefano Bagnasco e Andrea Ferrero.
PERCHÉ LEGGERLO: Per rendersi conto di quanto sia importante il metodo d’indagine per ottenere risultati attendibili (un procedimento errato conduce, infatti, a esiti del tutto inaffidabili) e, in generale, per affinare il proprio senso critico, cosa della quale c’è sempre bisogno.