Svelato il codice segreto degli alieni di Poirino
“SIAMO ENTRATI QUI” o più precisamente la frase inglese “WE CAME IN HERE” è la decodifica del messaggio che io e i miei amici alieni circlemaker abbiamo voluto lasciare nei campi piemontesi in due riprese, la prima nel cerchio di Robella d’Asti nel 2013 e la seconda nel cerchio di Marocchi 2014.
Il perché e la genesi delle due formazioni l’abbiamo raccontato nel numero 18 di Query[1] ma vediamo ora di spiegare come il messaggio andava decodificato. Il bello sta nel viaggio, non tanto nella meta.
L’idea di creare un meccanismo di codifica più complesso rispetto a quello utilizzato in passato da me o anche dai maestri circlemaker inglesi, mi fu ispirata dalla lettura dell’articolo Il computer del Cinquecento e il libro che uccide presente nel blog[2] dell’amico Mariano Tomatis[3], scrittore, illusionista e wonder injector ovvero tecnico dello stupore.
Mariano nell’articolo mostra come nel XVI secolo degli uomini avrebbero potuto creare un computer per codificare l’indecifrabile codice contenuto nel Libro di Soyga[4]: due semplici anelli circolari concentrici (vedi immagini in questa pagina, tratte dal blog di Tomatis) in grado di ruotare e permettere di trasformare velocemente un testo comprensibile in una sequenza di lettere apparentemente casuali.
L’idea che mi catturò fu proprio quella di creare un disegno nel grano con due anelli concentrici virtualmente ruotabili intorno al centro comune e divisi in 8 settori al cui interno poter scrivere sequenze di bit “0” o “1”. La decodifica avrebbe implicato una logica sia della rotazione degli anelli, che della lettura delle sequenze di bit e infine una logica di ricostruzione della stringa del testo contenente il vero messaggio.
Come noto, il disegno originario di Robella 2013 prevedeva già il meccanismo completo dei due anelli, ma per mancanza di tempo non riuscimmo a completare la formazione rimandando all’anno successivo il codice mancante. La scrittura del messaggio fu quindi completata con la formazione di Marocchi/Poirino 2014 legando in maniera indissolubile a doppio filo i due cerchi nel grano apparentemente slegati.
La prima immagine ("Marocchi 2014 and Robella 2013 codes merged") mostra all’interno del cerchio principale di Marocchi l’unione del codice binario ripreso da Robella, in giallo i triangolini/puntatori essenziali per la decodifica e la trascrizione in binario della sequenza di cerchietti (“1”) e triangoli (“0”).
Un volta compreso che l’anello interno può ruotare in maniera solidale insieme al triangolino giallo singolo che punta verso l’esterno, il primo passaggio chiave da fare è ruotarlo di 2 settori in senso orario in modo da far puntare i due triangolini singoli uno verso l’altro (vedi immagine seguente "Marocchi 2014 and Robella 2013 codes merged: Start Position").
Quella è la posizione di partenza con cui iniziare la lettura. Noterete ora che la coppia di triangolini che puntano verso l’interno indicano un settore il cui contenuto è “0100” mentre la coppia analoga che punta verso l’esterno suggerisce “01110101”. Se concateniamo le due stringhe binarie otteniamo “010001110101” da cui possiamo prendere i primi otto bit (“01000111”) e lasciare gli ultimi quattro (”0101”) per il passaggio successivo. Convertendo in numero decimale la stringa “01000111” otteniamo il numero “71” e in base al codice ASCII[5] possiamo ricavare la lettera “G”.
Come seconda posizione si tratterà di ruotare sempre l’anello interno puntando questa volta verso l’ultimo settore letto. Il tutto è ottenibile con una rotazione di 3 settori in senso antiorario.
Ripetendo il meccanismo di lettura così come eseguito in precedenza, si ottengono le stringhe “0011” e “01001011”. Riprendendo i quattro bit precedenti e concatenandoli ai primi quattro ora ottenuti avremo la stringa ”01010011” che corrisponde al decimale “83” da cui si ricava la lettera “S” in ASCII, mentre gli ultimi otto già disponibili danno un decimale “75” che corrisponde alla lettera “K”.
Al momento la stringa in via di decodifica contiene pertanto le lettere “GSK” ma non preoccupatevi se vogliono dire poco, il puzzle si completerà con colpo di coda finale; un po’ di pazienza perché come dicevamo, il bello sta nel viaggio e non nella meta che già conoscete.
Se avete seguito i primi due passaggi sarà facile ruotare il meccanismo e raggiungere le altre sei posizioni chiave per ricostruire tutte le sequenze di bit mancanti ottenendo infine l’intera stringa di caratteri:
• “GSKOTNKXK]>KI”
Come si può notare la sequenza è interamente composta da lettere maiuscole tranne in un caso, il terzo carattere da destra compreso fra le due “K” finali, che è una parentesi quadra chiusa.
È evidente che questa stringa non ha alcun significato ma quello che dobbiamo ricordare è che la formazione di Robella 2013 e quella di Marocchi 2014 sono strettamente interconnesse. In uno dei grandi settori appiattiti della formazione di Robella (vedi immagine seguente) compaiono dei triangolini di cui non interessa la loro posizione; quello che importa è il loro numero, in totale sono 6.
Ora, riprendendo la rappresentazione decimale dei caratteri trovati abbiamo i seguenti numeri:
• 71, 83, 75, 79, 84, 78, 75, 88, 75, 93, 75, 73
Sottraendo il numero il numero 6 (i triangolini di Robella 2013) a ogni elemento della sequenza precedente si ottiene questa sequenza decimale:
• 65, 77, 69, 73, 78, 72, 69, 82, 69, 87, 69, 67
che porta in ASCII alla sequenza di lettere:
• AMEINHEREWEC
Manca ancora un passaggio circolare. Provando a leggere circolarmente il tutto a partire dalla lettera “W” si ottiene:
• WE CAME IN HERE
Ma perché proprio quel messaggio? Ignorando la vera genesi che chiarirò nelle prossime righe, il messaggio di per sé ha comunque un suo senso: ribadire il concetto che un team di uomini è entrato proprio in quel campo ed è stato in grado di produrre l’opera. La vera ispirazione risale invece all’opera rock The Wall dei Pink Floyd di cui sono un cultore e che ha anch’essa una natura circolare e ciclica. Proprio all’inizio del primo brano dell’album, In the Flesh?[6], si sente la voce di Roger Waters, allora membro della band, che recita: “...we came in?”, mentre l’ultimo brano Outside the Wall[7] si conclude con una frase troncata a metà che recita: “Isn't this where...”. Il frammento finale rimanda dunque circolarmente a quello ascoltabile all’inizio dell’album ottenendo così la domanda complessiva “Isn't this where we came in?” (in italiano “Non è da qui che siamo entrati?”) e la storia potrebbe ripetersi all’infinito, come quella dei cerchi. Inoltre, giocando un po’ con questa domanda si può curiosamente trovare anche una risposta al suo interno:
• this w here we came in [?]
Ecco spiegato il motivo del messaggio, mi piaceva inserire una citazione all’opera musicale The Wall e alla sua circolarità anche e soprattutto perché mentre scrivevo il mio libro sui cerchi, mi sono sentito un po’ come Pink il protagonista dell’opera rock e ho vissuto il progetto del cerchio di Poirino 2011 come un’opportunità per abbattere il mio muro di grano.
Non a caso le note 1 e 185 del mio libro Cerchi nel grano: Tracce d’intelligenza[8] citano proprio la frase circolare “Isn't this where we came in?” di The Wall e così un altro cerchio finalmente si è chiuso.
Note
5) È la codifica utilizzata dai computer per gestire i caratteri. Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/ASCII