Storia dei cerchi nel grano. Le origini
Leonardo Dragoni
Youcanprint, 2013
Pp. 232, € 15,00
di Anna Rita Longo
Nel panorama degli studi scientifici sul fenomeno noto come “cerchi nel grano” (calco dall’espressione inglese crop circles), mancava, in Italia, una rassegna storica che ne seguisse in maniera completa tutti gli sviluppi, dando nel contempo conto delle più disparate teorie messe in campo, da studiosi più o meno fantasiosi, per tentare di spiegarlo. L’opera recentemente data alle stampe da Leonardo Dragoni risponde a questa esigenza attraverso una ricostruzione puntigliosa della storia dei crop circles, partendo dai primi casi riportati dai media britannici e procedendo con un resoconto quasi annalistico all’accurata registrazione di ogni episodio. Merito principale dell’autore è proprio lo scrupolo con il quale ha proceduto alla selezione, all’analisi e alla valutazione delle fonti, consentendo al lettore di farsi un’idea complessiva del fenomeno dei crop circles – nonché della sua interpretazione – nel suo sviluppo storico. Si tratta di un’operazione fino a oggi preclusa al lettore italiano, soprattutto a causa della scarsa reperibilità di alcune delle fonti documentarie, più accessibili a lettori e studiosi anglosassoni. Leggendo il libro si rimane colpiti nel constatare come il meccanismo dell’autoinganno abbia operato non solo tra i sostenitori dell’origine aliena dei cerchi, ma anche presso coloro che tentarono di dare improbabili spiegazioni naturali del fenomeno, basate su vortici e trombe d’aria. Il libro si sofferma con particolare attenzione sulla storia dei primi circlemaker “rei confessi”, Douglas Bower e David Chorley (che nel 1991 rivelarono di essere gli autori della maggior parte delle formazioni allora conosciute), e, naturalmente, sulle tante discussioni e polemiche causate dalla loro decisione di uscire allo scoperto. Non mancano anche i riferimenti a quella che potrei definire “archeologia dei crop circles”, ovvero la spasmodica ricerca di fenomeni analoghi ai cerchi nel grano nei tempi antichi, spesso con il corredo di spiegazioni magiche e sovrannaturali.
Il volume si giova, infine, della prefazione di Francesco Grassi, circlemaker e massimo studioso italiano dei crop circles, autore della più approfondita monografia a tema (Cerchi nel grano. Tracce d’intelligenza, Stes 2012), la cui lettura non possiamo fare a meno di consigliare, insieme al testo di Dragoni, a chi desidera formarsi un’idea completa di una delle più originali manifestazioni della creatività umana, certamente interessante sul piano antropologico e culturale.
Due atei, un prete e un agnostico. Pranzo a casa Darwin
Federico Focher
Il Prato, 2012
Pp. 112, € 13,00
recensione e intervista di Anna Rita Longo
Pubblicato nella collana filosofica “I Centotalleri”, questo libro di Federico Focher, biologo molecolare e storico della scienza, è difficile da inquadrare sul piano del genere letterario. Alla base vi sono gli elementi del saggio storico, che si fonda su una selezione accuratissima delle fonti, riproposte al lettore senza un filtro interpretativo inevitabilmente deformante, con l’intento di mantenersi il più possibile aderenti ai fatti, nel modo in cui i testimoni li hanno riportati. La forma è, però, più vicina a quella del romanzo, perché la narrazione non è freddamente cronachistica, ma restituisce, nelle parole e nei gesti dei protagonisti, il clima che si doveva respirare nell’epoca – straordinariamente feconda sul piano scientifico e culturale – nel quale l’episodio è ambientato. Un filosofo tedesco di chiara fama, Büchner, e un attivista politico inglese, Aveling, ambedue dichiaratamente atei, vengono ospitati a pranzo, nel 1881, a casa di Charles Darwin, che invita, per l’occasione, anche un anziano prete amico di famiglia. Seguirà un dibattito che fa luce sulla personalità dei convenuti e sul loro rapporto con le idee religiose, nel quale viene messa in evidenza la posizione di Darwin, lontana da ogni militanza anticlericale e vicina a un agnosticismo moderato, che ben si sposava con il suo carattere mite, che rifuggiva da ogni polemica. Ma come, purtroppo, avviene ancor oggi, anche ai tempi di Charles era possibile assistere a molti tentativi di manipolare in chiave ideologica il suo pensiero, per piegarlo ai propri interessi “particulari”. È quello che tenta inutilmente di fare Aveling, che probabilmente rimase deluso per non essere riuscito a trarre del tutto Darwin dalla propria parte.
Al lettore che si avventurerà tra queste pagine rimarrà il piacere dell’incontro con una temperie culturale foriera di cambiamenti epocali. Molti gli spunti di riflessione che è possibile cogliere. Ne sviluppiamo alcuni insieme all’autore, che ha gentilmente acconsentito a condividere con i nostri lettori le proprie considerazioni.
'Professor Focher, nel suo ultimo libro lei si è soffermato a indagare il rapporto tra Darwin e la religione, contribuendo a sfatare una serie di luoghi comuni duri a morire. Quale immagine del grande scienziato vorrebbe che rimanesse al lettore, una volta chiuso il libro?'
Chi legge le lettere e l’autobiografia di Darwin coglie subito la magnanimità dell’uomo e la grandezza dello scienziato che osserva i fatti, si pone domande ardite, ma che non si fa lusingare da facili e rassicuranti risposte. Da persona saggia e razionale, egli giudicò sempre mal speso il tempo che l’uomo dedica a vane dispute su affermazioni indimostrabili, come appunto certe filosofie e in primis le religioni. Le sue riflessioni sulla religione tuttavia non sono liquidatorie, ma dimostrano sofferenza, tormento interiore, dubbio e rispetto per le opinioni diverse.
Nelle lettere, in cui più apertamente Darwin espone le proprie convinzioni più intime, scopriamo un uomo pronto ad affrontare lo studio dei fenomeni naturali, nella convinzione che la propria teoria, in quanto rivolta alla comprensione del mondo fisico, fosse indifferente al problema religioso, di fatto metafisico. Era comunque molto scettico nei confronti delle risposte della fede cristiana, perché non riusciva a scorgere intorno a sé prove di un disegno intelligente e della benevolenza divina. Troppa miseria, troppo dolore, troppa inutile crudeltà, troppe incongruenze nel mondo per credere che un Dio onnipotente potesse aver creato intenzionalmente il mondo che ci circonda.
Tuttavia, l’universo appare a Darwin talmente ricco e stupefacente da trattenerlo dal concludere che «ogni cosa è il risultato della forza bruta». Così, se fu sempre a suo agio nello studio dei fenomeni naturali, sui temi religiosi sospese il proprio giudizio e si dichiarò agnostico, poiché «tutta la materia è al di là della portata dell’intelletto umano. All’uomo basti fare il proprio dovere». Ecco... vorrei che nel lettore del mio libro rimanesse non solo l’immagine di un uomo di superiore saggezza e di grande rettitudine morale, ma anche quella di uno scienziato affascinato dalla bellezza del mondo, e impegnato nell’indefessa e umile ricerca della verità.
'Se da una parte è indubbio quanto la nostra società sia in debito con il lavoro di Charles Darwin, dall’altra si è assistito a un proliferare dell’antidarwinismo. A suo avviso, come si spiega questo fenomeno?'
Mi piacerebbe rispondere con una battuta: gli antidarwinisti sono coloro che non hanno mai letto Darwin! In effetti, generalmente gli antidarwinisti non provengono dall’ambiente scientifico, pochissimi di loro hanno letto Darwin, e di questi ancora meno lo hanno compreso. Ma poi, in che senso antidarwinisti? Si oppongono a quale idea di Darwin? Perché Darwin formulò diverse ipotesi scientifiche basate sui fatti da lui osservati e sulle esperienze da lui fatte. Per esempio sostenne, come Lamarck, l’evoluzione dei viventi da antenati comuni, come Wallace individuò nella selezione naturale il motore principale della modificazione dei viventi e della nascita di nuove specie; introdusse l’acuta idea della selezione sessuale; inoltre formulò la teoria della pangenesi per spiegare il passaggio dei caratteri da una generazione all’altra, etc. Per quanto riguarda il modo in cui vengono ereditati i caratteri fisici e comportamentali, Darwin formulò l’ipotesi della pangenesi che alla prova dei fatti si è dimostrata errata: merito di Mendel, di Weismann, della genetica e della biologia molecolare. La sua ipotesi era scientifica, e quindi falsificabile, e così gli scienziati l’hanno vagliata e alla fine l’hanno trovata infondata e scartata. Nessuna fede in Darwin, nessuna accettazione della sua autorità, ma solo ricerca scientifica, come si può vedere.
Ma la teoria dell’evoluzione dei viventi da antenati comuni è oggi un “fatto” ormai perfettamente accertato, come lo è la “teoria” copernicana. Teoria scientifica, va continuamente ribadito, non è sinonimo di opinione o fede! È invece un insieme interconnesso di ipotesi, enunciati e proposizioni, fondate in genere su osservazioni e dati sperimentali, che ci permette di spiegare e, a volte, prevedere i fenomeni naturali.
Quindi, definirsi oggi antidarwinisti, nel senso di fissisti-creazionisti, sarebbe come dirsi tolemaici e credere ancora che il sole giri intorno alla terra. Altra cosa è invece il dibattito scientifico sui meccanismi alla base dell’evoluzione: se la selezione naturale appare sicuramente il meccanismo principale, ne esistono altri, proposti o intuiti dallo stesso Darwin, come la selezione sessuale, la deriva genetica, l’effetto fondatore, il puro caso, e forse, in alcuni rarissimi casi, alla luce delle recentissime scoperte nel campo dell’epigenetica, anche l’eredità dei caratteri acquisiti. Un altro vivace dibattito si incentra poi sui tempi e i modi del processo evolutivo. Ma queste ultime sono tutte discussioni – sostenute da fatti osservati ed esperimenti riproducibili – che avvengono all’interno del mondo scientifico e che non mettono in discussione né l’idea di evoluzione né il processo meccanicistico che ne sta alla base, ma solo, diciamo così, alcuni dettagli e corollari che possono più o meno concordare con ciò che sosteneva Darwin nella seconda metà dell’Ottocento.
L’antidarwinismo è nato con Darwin e non si è mai spento, ma giustamente, come lei osserva, in questi ultimi anni stiamo assistendo ad una nuova epidemia antidarwiniana. In parte ciò è dovuto al facile accesso ai mezzi di comunicazione, cosa che ha permesso a molte persone, prive di competenze scientifiche (e soprattutto inconsapevoli delle differenze esistenti tra credenza religiosa, opinione filosofica e ipotesi scientifica), di sproloquiare a vanvera. Gli antidarwinisti creazionisti non meritano alcuna seria attenzione da parte del pubblico colto, come non la meriterebbero gli anticopernicani o i sostenitori della terra piatta. Ripeto: l’evoluzione è vera come è vero il fatto che il sole è al centro del sistema solare. Altra cosa sono gli antidarwinisti che credono nell’evoluzione, ma non accettano il concetto di cieca selezione naturale formulato da Darwin perché vorrebbero che non il “caso”, ma una Mente superiore fosse l’ideatrice del processo evolutivo. A questi antidarwinisti rispondo che essi hanno diritto ad avere le proprie idee, ma ciò che loro chiamano “Mente superiore” non è assolutamente indispensabile alla comprensione dell’evoluzione del mondo, perché il fenomeno dell’evoluzione può essere fisicamente spiegato dall’azione delle leggi naturali, tra le quali, appunto, la selezione naturale, fondata sul caso e la necessità. Se essi desiderano sostenere che anche il “caso” è frutto del disegno di una Mente superiore, sono liberi di pensarlo, ma non potranno mai dimostrarlo scientificamente; la scienza è interessata a dimostrare o confutare un fatto, non a discutere di cose del tutto indimostrabili e quindi assolutamente ininfluenti per la comprensione del mondo fisico e dell’uomo. Dico «per la comprensione del mondo», non «per la comprensione dell’origine del Tutto». Infatti, la comprensione dell’universo può essere alla portata della scienza perché la scienza si occupa del reale e l’universo è qualcosa di reale; altra cosa è l’origine del Tutto e del “perché del Tutto”: una domanda che per forza di cose deve fare riferimento a qualcosa che c’era “prima del mondo” e quindi prima della realtà fenomenica. Questo “prima” non può per definizione essere oggetto dell’analisi scientifica, e in questo campo ognuno può tirar fuori dal proprio cappello metafisico (e quindi anche religioso) tutto quello che più gli piace! Darwin, come molti scienziati, preferisce astenersi dal tirar fuori qualcosa dal proprio “cappello metafisico”, dato che per la comprensione “fisica” del mondo una “metafisica” vale l’altra. «Per la comprensione fisica», sottolineo; invece, per il senso che ciascuno di noi vuol dare alla propria esistenza, ognuno è libero di abbracciare la metafisica che vuole, sempre che non sia in palese dissidio con la realtà.
'Ancor oggi molti considerano lo studio della teoria dell’evoluzione una minaccia per la propria fede religiosa: gli istituti scolastici religiosi sono, infatti, quelli nei quali il neodarwinismo si insegna di meno. Che cosa vorrebbe dire a chi ha paure di questo genere?'
La teoria dell’evoluzione apre la mente dell’uomo che ama pensare ad una visione grandiosa del mondo. Lo stesso Darwin lo affermò alla fine della sua opera immortale: «C’è qualcosa di grandioso in questa concezione per cui la vita, con le sue diverse forze, è stata originariamente infusa in poche forme o in una sola; e da un inizio così semplice, innumerevoli forme bellissime e meravigliose si sono evolute, e tuttora si evolvono.»
Ma è vero: l’ambiente religioso ha di solito un’irrazionale paura di Darwin. Come possiamo spiegarlo? Come scrissi alcuni anni fa – ma non sono il primo a rilevarlo – il fatto è che dopo l’Origine delle specie l’uomo si è scoperto tragicamente solo in un universo cieco e indifferente. Da allora la sua esistenza si è infittita di interrogativi che non ha più potuto rivolgere ad altri che a sé stesso, mentre le sue capacità intellettuali e il suo potere tecnologico lo hanno costretto sempre più a responsabilità non delegabili ad altri. Purtroppo nel “mondo darwiniano”, privo di un’Autorità superiore, nessun precetto etico estrinseco al suo giudizio gli è più venuto in soccorso: per le proprie scelte l’uomo ha dovuto quindi orientarsi solo grazie alla malferma bussola di poche norme pragmatiche selezionatesi nel tempo come tracce di comportamenti socialmente vantaggiosi. Tuttavia, nella sua cosmica piccolezza, l’uomo, nell’accettare l’idea di non essere altro che uno dei possibili risultati di una partita giocata ai dadi dal «caso e dalla necessità», ha acquistato una prometeica grandezza e una maturità intellettuale che non fanno per nulla rimpiangere i tempi passati. La storia dell’evoluzionismo è dunque la storia di una conquista che affonda le radici in un lontano passato: è la conquista della maturità intellettuale che corona un processo di “emancipazione” da una visione mitica, germinato per la prima volta nella storia del mondo nella Grecia classica.
La rivoluzione scientifica moderna, che ebbe in Copernico, Bruno, Galileo e Darwin i suoi maggiori esponenti, riprende e sviluppa quindi una più antica rivoluzione scientifica fondata sull’uomo, che ebbe in personaggi come Socrate, Aristotele, Eratostene, Aristarco di Samo alcuni dei suoi elementi di spicco.
Che Darwin sia l’epigono di questa seconda grande rivoluzione scientifica, e non solo l’ideatore di una semplice teoria naturalistica, è dimostrato dal feroce attacco che, come abbiamo già discusso, da alcune parti il grande naturalista ancora oggi subisce.
Eppure, a ben considerare la questione, bisogna riconoscere che l’idea di Darwin non è pericolosa per il vero sentimento religioso, che si nutre del senso del sublime che l’Universo instilla in ogni persona che ama scrutare le sue leggi, ma è, semmai, letale solo per quella visione fuorviante della religione come unica interpretazione del mondo e strumento paternalistico di potere sulle coscienze.
Sempre per restare nella scuola, che cosa non va nell’attuale modo di insegnare l’evoluzione e, più in generale, la scienza ai ragazzi delle nostre scuole?
Per capire ed apprezzare Darwin e la sua grandiosa visione del mondo bisogna sapere in che cosa consiste il metodo scientifico. È, quindi, importante insegnare ai ragazzi il significato di “teoria scientifica”, promuovere la ricerca mediante l’osservazione, la corretta sperimentazione e l’analisi dei risultati senza pregiudizi e preconcetti. È molto importante mettere i ragazzi il prima possibile a contatto con gli strumenti e i metodi della scienza e per questo è necessario allestire laboratori tecnologicamente avanzati e funzionali all’apprendimento delle nozioni studiate, perché il metodo sperimentale è frutto, per l’appunto, di quelle «sensate esperienze e necessarie dimostrazioni» di cui parla Galileo, che al di fuori dei laboratori non si possono costruire. Il serio problema della didattica italiana delle materie scientifiche è quello di essere, infatti, impostata in modo eccessivamente teorico, il che contribuisce a far percepire questi studi come astratti, quando presentano, invece, immediate ricadute sul piano sociale ed economico.
Ecco... penso che per il bene dell’umanità e per la nascita e lo sviluppo di società tolleranti e tecnologicamente avanzate sarebbe utile che la scuola contribuisse sempre più a creare cittadini consci del valore della ricerca scientifica ed entusiasti al pensiero di dedicarsi a essa. Un’attività, questa, che obbliga ad essere umili e soprattutto pronti a riconoscere, spesso, la verità negli altri e il proprio errore.
Quali nuove vie è possibile percorrere nella divulgazione scientifica, con riferimento al neodarwinismo?
Credo che molti pensino al darwinismo, nell’odierno senso lato di neodarwinismo, come a una teoria buttata lì da un uomo isolato, un’idea valida tanto quanto lo può essere l’opinione di un singolo uomo un po’ originale. In realtà se si mostrasse al grande pubblico quanti e quali uomini hanno affrontato il problema dell’evoluzione della vita e come, a poco a poco, anche attraverso aspri scontri e dibattiti, si siano venuti a chiarire i fatti a sostegno dell’evoluzione degli esseri viventi (uomo compreso) da antenati comuni penso che difficilmente, o molto raramente, si alzerebbero voci a favore del Creazionismo o dell’Intelligent Design. Schiere di evoluzionisti ci hanno portato fatti inequivocabili a sostegno dell’evoluzione mediante la selezione naturale e disarmanti esempi di quanto, a volte, sia poco “intelligent” l’organizzazione del vivente (a meno di credere, come Candide, di vivere nel migliore dei mondi possibili). Il neodarwinismo non è una vetta isolata nel panorama della scienza, ma uno dei tanti solidi picchi di una possente e articolata catena montuosa.