Internet è una miniera d’oro, un mezzo potentissimo per informarsi, lo strumento più veloce per trovare notizie aggiornate da più fonti. La disponibilità di informazioni su internet rende però difficoltoso capire se quello che si sta leggendo è affidabile oppure no, dal momento che esistono moltissimi siti che divulgano notizie dubbie o palesemente false. Il problema che si pone è allora quello di evitare di cadere vittime di credenze senza alcun fondamento. Dal momento però che nessuno è onnisciente, solo chi è esperto, per fare un esempio, in storia e letteratura classica, potrà facilmente scovare errori e imprecisioni in un sito che parla della Roma di Cesare; ma la stessa persona non sarà in grado di fare la medesima operazione se si imbatte in un sito che tratta il tema della meccanica quantistica; allo stesso modo, un fisico non avrà difficoltà a destreggiarsi tra teoremi e formule matematiche, ma magari non riconoscerà la falsità di una strampalata teoria economica.
D’altro canto, su internet è possibile trovare tutto e il suo contrario: se lo zucchero bianco è descritto in un sito come uno degli ingredienti della dieta quotidiana e su un altro è additato come veleno o se, a seconda del sito che decidiamo di leggere, l’aspartame è definito la peggiore molecola del mondo oppure è classificato come un dolcificante innocuo, a chi dobbiamo credere?
In entrambi i casi, è facile che i siti su questi argomenti presentino infatti molte informazioni e utilizzino un apparente linguaggio tecnico. Spesso, soprattutto se si parla di salute, viene per esempio citata la fisica quantistica[1], e si osserva il frequente utilizzo di frasi di non immediata comprensione, come «L’apparecchiatura è basata sull’analisi dello spettro dei campi elettromagnetici ad andamento vorticoso, in quanto esiste una stretta relazione tra questo tipo di campi elettromagnetici e i sistemi biologici[2]».
È bene tenere conto di alcuni principi da considerare quando si consultano siti che parlano di informazione alimentare.
Il primo di questi principi è come sempre quello di controllare le fonti.
I problemi sono principalmente due: la persona che scrive potrebbe dirsi esperto senza esserlo realmente, oppure potrebbe essere un esperto in un certo campo, ma sostenere posizioni non corrette per comodità, pigrizia o mancanza di aggiornamento.
Se su un sito si dice che le persone con un determinato gruppo sanguigno devono evitare certi cibi senza però citare uno studio che dimostri dati alla mano che effettivamente le cose stanno così, allora generalmente quel sito non è attendibile[3].
In altri casi invece si tratta di capire se le fonti che gli autori dei siti indicano siano a loro volta adeguate.
Il problema è infatti che molte volte su questi siti viene citata una bibliografia ricchissima: decine o centinaia di articoli scientifici che confermerebbero ciò che su quei siti si sostiene. La ragione per cui si sceglie questa soluzione è presto detta: una bibliografia imponente scoraggia le verifiche di terzi. In questo modo è possibile citare anche un articolo che contraddice la posizione che si sta sostenendo: nessuno controllerà quel mare di citazioni. Prendiamo per esempio il sito Living and Raw Food in cui troviamo una pagina[4] con una bibliografia ampissima che dovrebbe dimostrare che secondo la letteratura scientifica una dieta crudista favorisce il dimagrimento. Uno degli articoli a sostegno di questa tesi è intitolato Consequences of a long-term raw food diet on body weight and menstruation: results of a questionnaire survey, del 1999, pubblicato sulla rivista “Annals of Nutrition and Metabolism”[5]. Effettivamente nell’articolo si dimostra che il crudismo fa dimagrire, quello che gli autori del sito però omettono di dire è che in questo articolo la cosa non è sinonimo di buona salute: si mostrano percentuali elevate di persone sottopeso e donne a cui si sono bloccate le mestruazioni (amenorrea). Anche se può essere utile notare come anche l’amenorrea, a volte, sia vista come qualcosa di positivo su alcuni siti alternativi[6], la qual cosa da sola dovrebbe di per sé essere una ragione sufficiente per dubitare di certe fonti!
L’ideale sarebbe quindi andare a controllare articolo per articolo la bibliografia dei vari siti, le fonti citate. Siccome questo, se non si è esperti o appassionati è pressoché impossibile, allora è opportuno ricordarsi che la maggior parte delle volte (anche se non sempre), se la bibliografia è troppo abbondante, tanto da renderla illeggibile, il sito va preso con le pinze.
Se sappiamo che la fonte che stiamo consultando è competente in un certo ambito, questo in linea di massima ci fa sentire al sicuro. Il problema, però, è che il titolo di una persona non è sufficiente per essere sicuri della sua reale competenza.
Secondo il principio di autorità, la competenza e il valore di un soggetto in un campo sono tali che le tesi di cui è portatore sono ipso facto autorevoli e corrette. In realtà, in ambito scientifico questo principio non ha valore, se non è adeguatamente supportato dalla citazione di una bibliografia adeguata a sostenere le tesi presentate.
Ecco allora che il “guru” nel campo dell’alimentazione non sarà in grado di citare una sola ricerca a sostegno delle proprie parole. Magari si limiterà a dire «gli scienziati ormai si sono accorti che ho ragione» senza specificare chi siano questi scienziati e su cosa effettivamente concordino.
Oppure insisterà sul fatto che la dieta che propone, «funziona al 95%» e che «il mondo scientifico è contro di me per colpa delle lobby». Per le persone che attuano una dieta vegana, ad esempio, la letteratura scientifica indica la necessità di integrare il regime alimentare assumendo vitamina B12. Molti siti alternativi[7] contestano questa necessità con affermazioni più o meno bizzarre. Secondo alcuni, infatti, «non serve perché le riserve sono abbondanti», tralasciando di dire, però, che prima o poi le riserve si esauriscono. Secondo altri addirittura «non esiste la carenza di B12», una tesi che non ha bisogno di commenti. Per capire che questa integrazione è effettivamente necessaria, bisogna leggere la letteratura scientifica, o i siti che fanno divulgazione basandosi su questi studi: non serve sapere chi dice qualcosa, piuttosto è importante sapere cosa dice e perché lo dice. Ovviamente riguardo all’alimentazione la parola di un nutrizionista vale più di quella di un avvocato, ma è anche vero che il nutrizionista può sbagliare, in buona o cattiva fede. Per essere sicuri che quello che ci viene detto sia esatto si possono cercare verifiche leggendo direttamente le ricerche scientifiche (che però sono accessibili solo a chi ha le conoscenze adeguate) oppure ci si può affidare a siti divulgativi istituzionali che fanno riferimento allo stato dell’arte delle conoscenze assodate, ad esempio i siti dell’INRAN (oggi CREA, N.d.R.)[8] oppure Sapermangiare.mobi[9], sviluppato dall’INRAN come un’interfaccia più divulgativa.
Come già detto, non si può essere esperti in tutto, ma sforzarsi di approfondire un argomento che ci interessa è il modo migliore per non trovarsi spiazzati davanti ai (falsi) tecnicismi. Quando su una pagina del sito di un noto “giornalista investigativo”, che recentemente ha suggerito anche dei trattamenti di urinoterapia al nostro ex Presidente del Consiglio, si legge «i virus sono proteine lipidiche a DNA[10]» le reazioni possono essere di due tipi:
1. non sappiamo di cosa sta parlando e l’uso di parole complicate fa in modo che lo scritto ci appaia autorevole;
2. sappiamo cosa sono le proteine, i lipidi e il DNA e anche se non sappiamo nulla di virus dobbiamo concludere che quella definizione è una stupidaggine.
Se ci si interessa a un argomento almeno a livello amatoriale è indispensabile conoscere le basi da cui partire. Un buon inizio, almeno per l’alimentazione, potrebbe essere quello di comprare un libro di chimica e uno di biologia di scuola superiore e studiare quelli: con questi strumenti possiamo avere le basi e distinguere, almeno grossolanamente, il grano dal loglio.
Il quarto principio da considerare per non cadere vittima di una delle bufale che abbondano in rete è quello di capire la portata di una ricerca scientifica.
Supponiamo per esempio di trovare citato un articolo scientifico[11] che descrive un caso di impotenza probabilmente attribuibile a un consumo elevato di soia. Questo lavoro scientifico può essere considerato tanto importante da far cambiare le abitudini alimentari dei maschi che consumano soia per timore di diventare impotenti?
Senza entrare nel merito del lavoro (che nel caso della relazione tra soia e impotenza è un case report, ovvero un resoconto scritto da medici che hanno notato qualcosa e hanno ritenuto utile renderla pubblica, senza condurre alcuna ricerca, ma semplicemente presentando un dato in attesa di un’interpretazione chiara e certa), esiste una gerarchia nelle pubblicazioni scientifiche, che, per semplificare, è basata dal numero di soggetti studiati. Uno studio preliminare, che coinvolge poche decine di soggetti, può dare lo spunto per ulteriori ricerche e suggerire una certa correlazione tra due avvenimenti (ad esempio il mangiare dolci e ingrassare); una ricerca più ampia, che comprende qualche centinaio o migliaio di casi è più significativa, in quanto il campione è più ampio e le variazioni statistiche casuali tendono a minimizzarsi. Un case report è quindi meno significativo di uno studio preliminare, il quale è meno significativo di uno studio più ampio. Il lavoro sulla soia e l’impotenza citato prima deve essere perciò preso per quel che è: si è preso atto che almeno una volta è stata notata una possibile correlazione, ma vanno svolti studi più ampi per stabilire il valore reale di quella correlazione (che potrebbe rivelarsi del tutto illusoria) e la sua portata.
Esistono poi altri due tipi di pubblicazione: le meta-analisi e le review. Per le meta-analisi si prendono tutti i lavori scientifici pubblicati fino a un certo momento in uno specifico ambito, si selezionano i migliori e si fa uno studio statistico che si basa quindi su dati raccolti in anni di ricerca scientifica. Pur non andando a operare direttamente con i pazienti, queste ricerche possono permettere quindi di confrontare centinaia di migliaia di casi, cosa che dà spesso una risposta definitiva a un determinato problema. Le review sono lo stato dell’arte delle conoscenze su un dato argomento: non c’è l’analisi statistica che c’è nelle meta-analisi ma si riassumono gli ultimi anni di ricerca cercando di fare il punto della situazione. È ovvio che una review di varie meta-analisi ha un peso ben maggiore di un singolo studio.
Il principio di precauzione si mette in atto quando, pur non avendo dati a disposizione per giudicare pericoloso qualcosa, ci comportiamo come se effettivamente lo fosse. L’esempio tipico in ambito alimentare è quello di chi evita l’aspartame perché, pur non avendo dati a sua disposizione, si sente più tranquillo se non lo usa. Questa stessa precauzione va utilizzata proprio per valutare le informazioni alimentari che troviamo in rete. C’è qualcuno che dice che il latte causa sofferenze terribili? Prima di credere a questa tesi andiamo a verificare le fonti, chiediamoci chi è la persona che sostiene una certa posizione e in che veste lo sta dicendo, cerchiamo di verificare se le conoscenze attuali possono o no giustificare una tale presa di posizione e solo dopo, quando abbiamo controllato, prendiamo la nostra decisione.
Questo stesso percorso va seguito anche quando qualcuno ci vuole consigliare un dato alimento: c’è chi dice che la carne di pollo può far bene? Verifichiamo le fonti, controlliamo se si tratta di studi di piccola portata o di review ampie, cerchiamo anche se esiste qualcuno che sostiene una posizione opposta e chiediamoci quali sono i dati che porta a suo supporto.
Non prendere per oro colato quello che viene dai giornali, dalla tv e da internet solo perché l’ha detto qualcuno di conosciuto, ma anzi andare a verificare ogni volta che abbiamo un dubbio e applicare quindi il principio di precauzione alle nostre conoscenze, è il modo migliore di cui disponiamo per difenderci dalle troppe notizie inventate che ogni giorno circolano in ambito alimentare.
D’altro canto, su internet è possibile trovare tutto e il suo contrario: se lo zucchero bianco è descritto in un sito come uno degli ingredienti della dieta quotidiana e su un altro è additato come veleno o se, a seconda del sito che decidiamo di leggere, l’aspartame è definito la peggiore molecola del mondo oppure è classificato come un dolcificante innocuo, a chi dobbiamo credere?
In entrambi i casi, è facile che i siti su questi argomenti presentino infatti molte informazioni e utilizzino un apparente linguaggio tecnico. Spesso, soprattutto se si parla di salute, viene per esempio citata la fisica quantistica[1], e si osserva il frequente utilizzo di frasi di non immediata comprensione, come «L’apparecchiatura è basata sull’analisi dello spettro dei campi elettromagnetici ad andamento vorticoso, in quanto esiste una stretta relazione tra questo tipo di campi elettromagnetici e i sistemi biologici[2]».
È bene tenere conto di alcuni principi da considerare quando si consultano siti che parlano di informazione alimentare.
Controllare le fonti
Il primo di questi principi è come sempre quello di controllare le fonti.
I problemi sono principalmente due: la persona che scrive potrebbe dirsi esperto senza esserlo realmente, oppure potrebbe essere un esperto in un certo campo, ma sostenere posizioni non corrette per comodità, pigrizia o mancanza di aggiornamento.
Se su un sito si dice che le persone con un determinato gruppo sanguigno devono evitare certi cibi senza però citare uno studio che dimostri dati alla mano che effettivamente le cose stanno così, allora generalmente quel sito non è attendibile[3].
In altri casi invece si tratta di capire se le fonti che gli autori dei siti indicano siano a loro volta adeguate.
Il problema è infatti che molte volte su questi siti viene citata una bibliografia ricchissima: decine o centinaia di articoli scientifici che confermerebbero ciò che su quei siti si sostiene. La ragione per cui si sceglie questa soluzione è presto detta: una bibliografia imponente scoraggia le verifiche di terzi. In questo modo è possibile citare anche un articolo che contraddice la posizione che si sta sostenendo: nessuno controllerà quel mare di citazioni. Prendiamo per esempio il sito Living and Raw Food in cui troviamo una pagina[4] con una bibliografia ampissima che dovrebbe dimostrare che secondo la letteratura scientifica una dieta crudista favorisce il dimagrimento. Uno degli articoli a sostegno di questa tesi è intitolato Consequences of a long-term raw food diet on body weight and menstruation: results of a questionnaire survey, del 1999, pubblicato sulla rivista “Annals of Nutrition and Metabolism”[5]. Effettivamente nell’articolo si dimostra che il crudismo fa dimagrire, quello che gli autori del sito però omettono di dire è che in questo articolo la cosa non è sinonimo di buona salute: si mostrano percentuali elevate di persone sottopeso e donne a cui si sono bloccate le mestruazioni (amenorrea). Anche se può essere utile notare come anche l’amenorrea, a volte, sia vista come qualcosa di positivo su alcuni siti alternativi[6], la qual cosa da sola dovrebbe di per sé essere una ragione sufficiente per dubitare di certe fonti!
L’ideale sarebbe quindi andare a controllare articolo per articolo la bibliografia dei vari siti, le fonti citate. Siccome questo, se non si è esperti o appassionati è pressoché impossibile, allora è opportuno ricordarsi che la maggior parte delle volte (anche se non sempre), se la bibliografia è troppo abbondante, tanto da renderla illeggibile, il sito va preso con le pinze.
Superare il principio di autorità
Se sappiamo che la fonte che stiamo consultando è competente in un certo ambito, questo in linea di massima ci fa sentire al sicuro. Il problema, però, è che il titolo di una persona non è sufficiente per essere sicuri della sua reale competenza.
Secondo il principio di autorità, la competenza e il valore di un soggetto in un campo sono tali che le tesi di cui è portatore sono ipso facto autorevoli e corrette. In realtà, in ambito scientifico questo principio non ha valore, se non è adeguatamente supportato dalla citazione di una bibliografia adeguata a sostenere le tesi presentate.
Ecco allora che il “guru” nel campo dell’alimentazione non sarà in grado di citare una sola ricerca a sostegno delle proprie parole. Magari si limiterà a dire «gli scienziati ormai si sono accorti che ho ragione» senza specificare chi siano questi scienziati e su cosa effettivamente concordino.
Oppure insisterà sul fatto che la dieta che propone, «funziona al 95%» e che «il mondo scientifico è contro di me per colpa delle lobby». Per le persone che attuano una dieta vegana, ad esempio, la letteratura scientifica indica la necessità di integrare il regime alimentare assumendo vitamina B12. Molti siti alternativi[7] contestano questa necessità con affermazioni più o meno bizzarre. Secondo alcuni, infatti, «non serve perché le riserve sono abbondanti», tralasciando di dire, però, che prima o poi le riserve si esauriscono. Secondo altri addirittura «non esiste la carenza di B12», una tesi che non ha bisogno di commenti. Per capire che questa integrazione è effettivamente necessaria, bisogna leggere la letteratura scientifica, o i siti che fanno divulgazione basandosi su questi studi: non serve sapere chi dice qualcosa, piuttosto è importante sapere cosa dice e perché lo dice. Ovviamente riguardo all’alimentazione la parola di un nutrizionista vale più di quella di un avvocato, ma è anche vero che il nutrizionista può sbagliare, in buona o cattiva fede. Per essere sicuri che quello che ci viene detto sia esatto si possono cercare verifiche leggendo direttamente le ricerche scientifiche (che però sono accessibili solo a chi ha le conoscenze adeguate) oppure ci si può affidare a siti divulgativi istituzionali che fanno riferimento allo stato dell’arte delle conoscenze assodate, ad esempio i siti dell’INRAN (oggi CREA, N.d.R.)[8] oppure Sapermangiare.mobi[9], sviluppato dall’INRAN come un’interfaccia più divulgativa.
Conoscere l’argomento
Come già detto, non si può essere esperti in tutto, ma sforzarsi di approfondire un argomento che ci interessa è il modo migliore per non trovarsi spiazzati davanti ai (falsi) tecnicismi. Quando su una pagina del sito di un noto “giornalista investigativo”, che recentemente ha suggerito anche dei trattamenti di urinoterapia al nostro ex Presidente del Consiglio, si legge «i virus sono proteine lipidiche a DNA[10]» le reazioni possono essere di due tipi:
1. non sappiamo di cosa sta parlando e l’uso di parole complicate fa in modo che lo scritto ci appaia autorevole;
2. sappiamo cosa sono le proteine, i lipidi e il DNA e anche se non sappiamo nulla di virus dobbiamo concludere che quella definizione è una stupidaggine.
Se ci si interessa a un argomento almeno a livello amatoriale è indispensabile conoscere le basi da cui partire. Un buon inizio, almeno per l’alimentazione, potrebbe essere quello di comprare un libro di chimica e uno di biologia di scuola superiore e studiare quelli: con questi strumenti possiamo avere le basi e distinguere, almeno grossolanamente, il grano dal loglio.
Valutare gli studi scientifici
Il quarto principio da considerare per non cadere vittima di una delle bufale che abbondano in rete è quello di capire la portata di una ricerca scientifica.
Supponiamo per esempio di trovare citato un articolo scientifico[11] che descrive un caso di impotenza probabilmente attribuibile a un consumo elevato di soia. Questo lavoro scientifico può essere considerato tanto importante da far cambiare le abitudini alimentari dei maschi che consumano soia per timore di diventare impotenti?
Senza entrare nel merito del lavoro (che nel caso della relazione tra soia e impotenza è un case report, ovvero un resoconto scritto da medici che hanno notato qualcosa e hanno ritenuto utile renderla pubblica, senza condurre alcuna ricerca, ma semplicemente presentando un dato in attesa di un’interpretazione chiara e certa), esiste una gerarchia nelle pubblicazioni scientifiche, che, per semplificare, è basata dal numero di soggetti studiati. Uno studio preliminare, che coinvolge poche decine di soggetti, può dare lo spunto per ulteriori ricerche e suggerire una certa correlazione tra due avvenimenti (ad esempio il mangiare dolci e ingrassare); una ricerca più ampia, che comprende qualche centinaio o migliaio di casi è più significativa, in quanto il campione è più ampio e le variazioni statistiche casuali tendono a minimizzarsi. Un case report è quindi meno significativo di uno studio preliminare, il quale è meno significativo di uno studio più ampio. Il lavoro sulla soia e l’impotenza citato prima deve essere perciò preso per quel che è: si è preso atto che almeno una volta è stata notata una possibile correlazione, ma vanno svolti studi più ampi per stabilire il valore reale di quella correlazione (che potrebbe rivelarsi del tutto illusoria) e la sua portata.
Esistono poi altri due tipi di pubblicazione: le meta-analisi e le review. Per le meta-analisi si prendono tutti i lavori scientifici pubblicati fino a un certo momento in uno specifico ambito, si selezionano i migliori e si fa uno studio statistico che si basa quindi su dati raccolti in anni di ricerca scientifica. Pur non andando a operare direttamente con i pazienti, queste ricerche possono permettere quindi di confrontare centinaia di migliaia di casi, cosa che dà spesso una risposta definitiva a un determinato problema. Le review sono lo stato dell’arte delle conoscenze su un dato argomento: non c’è l’analisi statistica che c’è nelle meta-analisi ma si riassumono gli ultimi anni di ricerca cercando di fare il punto della situazione. È ovvio che una review di varie meta-analisi ha un peso ben maggiore di un singolo studio.
Usare il principio di precauzione
Il principio di precauzione si mette in atto quando, pur non avendo dati a disposizione per giudicare pericoloso qualcosa, ci comportiamo come se effettivamente lo fosse. L’esempio tipico in ambito alimentare è quello di chi evita l’aspartame perché, pur non avendo dati a sua disposizione, si sente più tranquillo se non lo usa. Questa stessa precauzione va utilizzata proprio per valutare le informazioni alimentari che troviamo in rete. C’è qualcuno che dice che il latte causa sofferenze terribili? Prima di credere a questa tesi andiamo a verificare le fonti, chiediamoci chi è la persona che sostiene una certa posizione e in che veste lo sta dicendo, cerchiamo di verificare se le conoscenze attuali possono o no giustificare una tale presa di posizione e solo dopo, quando abbiamo controllato, prendiamo la nostra decisione.
Questo stesso percorso va seguito anche quando qualcuno ci vuole consigliare un dato alimento: c’è chi dice che la carne di pollo può far bene? Verifichiamo le fonti, controlliamo se si tratta di studi di piccola portata o di review ampie, cerchiamo anche se esiste qualcuno che sostiene una posizione opposta e chiediamoci quali sono i dati che porta a suo supporto.
Non prendere per oro colato quello che viene dai giornali, dalla tv e da internet solo perché l’ha detto qualcuno di conosciuto, ma anzi andare a verificare ogni volta che abbiamo un dubbio e applicare quindi il principio di precauzione alle nostre conoscenze, è il modo migliore di cui disponiamo per difenderci dalle troppe notizie inventate che ogni giorno circolano in ambito alimentare.
Note
5) Koebnick, C. et al.1999. Consequences of a long-term raw food diet on body weight and menstruation: results of a questionnaire survey “Ann Nutr Metab.” (2) 43: pp 69-79
9) http://sapermangiare.mobi/ (Sito non più esistente al 16/08/2018, N.d.R.)
11) Siepmann, T. et al. 2011 Hypogonadism and erectile dysfunction associated with soy product consumption. “Nutrition”. (7-8) 27: pp 859-62