Lourdes. I dossier sconosciuti
Luigi Garlaschelli
Italian University Press,
2011, pp. 352, € 18,00
Recensione di Luca Menichelli Non è mai facile trattare di miracoli in maniera critica: il rischio è sempre quello di turbare la sensibilità dei credenti in determinati fenomeni, che più propriamente andrebbero definiti paranormale religioso per evitare di dare automaticamente credito a degli eventi che, con ogni probabilità, hanno una spiegazione logico-scientifica e non trascendente. Chi studia questi fenomeni basandosi sulla ragione e non sulla fede, non trova nulla che possa essere ricondotto all'azione divina o all'intercessione di un qualche santo o affine, ma cerca di spiegare, affidandosi alla scienza, il perché delle cose. Tutto ciò non è scevro da fraintendimenti da parte di chi attribuisce automaticamente e senza i dovuti controlli una guarigione improvvisa alla volontà di qualche divinità, spesso tramite l'intervento di qualche santo o carismatico maestro spirituale o, magari, attraverso il potere nascosto in una reliquia. Ma l'obiettivo di chi si occupa in maniera critica di paranormale religioso non è quello di negare l'esistenza di un qualcosa sopra di noi che ci ha creato e ci governa, ma di indagare sui fenomeni per determinare se, oltre all'ipotesi della volontà divina, un determinato fatto o fenomeno possa esser dovuto ad una normale azione della natura o del caso. Tra i più attenti studiosi del paranormale religioso vi è senza ombra di dubbio il professor Luigi Garlaschelli, chimico, scrittore e socio effettivo del CICAP. Più di una volta Garlaschelli si è cimentato nel dimostrare l'origine non divina di molti fenomeni, quali il sangue di San Gennaro, la Sindone di Torino, oltre a varie statuette mariane piangenti. Nell'ultima sua opera, che è il libro che abbiamo tra le mani, Garlaschelli raccoglie molte testimonianze e documenti riguardanti uno tra i più famosi e sfruttati fenomeni di paranormale religioso della storia: l'apparizione mariana a Lourdes del 1858, con relative guarigioni apparentemente inspiegabili.
In alcuni passaggi il libro potrebbe sembrare ostico alla lettura, a causa di vari tecnicismi medici che ad un non addetto ai lavori potrebbero creare qualche problema, ma nel complesso, anche in questi casi, la lettura appare, comunque, scorrevole e l'approfondimento tecnico rappresenta proprio uno dei punti di forza della raccolta di Garlaschelli.
Ma di cosa parla effettivamente questo libro?
Su Lourdes e miracoli connessi sono state sprecate tonnellate di inchiostro, ma raramente il fenomeno è stato trattato in maniera critica.
Garlaschelli, attraverso questa raccolta, ci propone caso per caso un'analisi medica dei vari presunti miracolati a seguito della visita al santuario di Lourdes. I casi riportati sono tutti riconosciuti dalla chiesa come autentici miracoli e traggono la loro fonte dagli atti medici rilasciati all'epoca dei fatti. Essendo per la maggior parte dei casi fatti accaduti quasi cento anni fa, si può ben comprendere la difficoltà che hanno incontrato gli autori delle analisi nel ricostruire un quadro attendibile della situazione. Garlaschelli esamina la questione sotto tutti i possibili aspetti: dalla visione delle cartelle all'analisi della credibilità delle testimonianze e il tutto porta alla conclusione che le presunte guarigioni sono del tutto naturali ed in alcuni casi anche incomplete. Si può citare a questo proposito il famoso caso di Pierre De Rudder, la cui la gamba rotta era apparentemente guarita, ma, che in seguito ad analisi più approfondite, mostrò una saldatura imperfetta delle ossa: si era trattato, quindi, di una normale remissione spontanea, un processo naturale e per nulla miracoloso.
Il libro si apre con un’introduzione del “matematico impertinente” Piergiorgio Odifreddi che, con il suo caratteristico stile pungente, aggiunge del pepe ironizzando sull'origine del culto di Maria, ripercorrendo le varie tappe che hanno portato la genitrice di Gesù ad essere vista come madre dell'umanità e dispensatrice di miracoli.
In definitiva il libro va ad aggiungersi alla vasta opera di sensibilizzazione di Garlaschelli verso il paranormale religioso, lavoro già eccellentemente svolto con altre opere precedenti quali In cerca di Miracoli (quaderno CICAP N. 11) e I segreti dei fachiri.
Se si è alla ricerca di informazioni dettagliate sul fenomeno delle apparizioni mariane, o di un po' di chiarezza sui vari presunti miracoli, questo libro è la risposta. Va, però, letto con il dovuto senso critico, liberi da pregiudizi sia pro che contro il paranormale religioso, perché espone solamente i fatti e non opinioni personali. Si tratta di un libro che non va contro l'idea di religione, ma, al contrario, arricchisce chi vuole seguire la propria fede senza, però, distaccarsi dalla razionalità. Perché credere in un dio e seguire una religione è un dono che va rispettato e conservato con cura, ma che non implica necessariamente il credere a fenomeni che non sono materia di fede e non costituiscono una motivazione verso di essa.
Siamo soli nell’Universo?
Elio Sindoni
Editrice San Raffaele,
2011, pp. 145, € 17,50
Recensione di Andrea Albini Nel 1543 l’astronomo polacco Niccolò Copernico pubblicò il suo celebre libro sulla “Rivoluzione dei corpi celesti”, un’opera che inizialmente stentò ad essere accettata ma che alla fine riuscì ad imporre una spiacevole realtà: il nostro pianeta non era al centro dell’universo allora conosciuto (che a quel tempo coincideva con il sistema solare) e insieme ad esso non lo era l’unica creatura dotata di intelligenza e di abilità progettuale che lo popolava: l’uomo. Oggi l’astronomia ci ha definitivamente mostrato - con telescopi sempre più sofisticati - che la Terra occupa una posizione completamente marginale all’interno di un cosmo formato da miliardi di galassie, le cui dimensioni superano le capacità dell’immaginazione umana.
Nel secolo trascorso questa realtà ha spinto alcuni scienziati a formulare una sorta di “principio di banalità”, secondo cui se il nostro pianeta non rappresentava niente di speciale nello sviluppo spaziale e temporale dell’universo, allora dovevano esistere altri mondi simili al nostro, forse non in grado di raggiungerci - viste le distanze in gioco e il limite imposto dalla velocità della luce negli spostamenti - ma sicuramente capaci di comunicare con noi, ad esempio inviando segnali radio. Attorno al 1960, l’astrofisico statunitense Frank Drake arrivò a sviluppare una formula matematica per valutare il numero di civiltà extraterrestri in grado di comunicare nella nostra galassia. Nell’equazione di Drake entrava il prodotto di un certo numero di parametri, alcuni dei quali - ci dice il fisico Elio Sindoni nel suo agile e informato libro - erano difficili se non impossibili da determinare. L’unica cosa certa era che il risultato della formula doveva essere perlomeno uguale ad uno, per il semplice fatto che la vita sulla Terra esisteva! La supposizione che l’universo potesse essere popolato di vita tecnologicamente evoluta condusse gli scienziati ad avviare un progetto di ascolto con radiotelescopi che potesse rivelare segnali di vita intelligente nello spazio. Finora il progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) non ha dato gli esiti sperati: a dispetto di coloro che dicono di aver visto astronavi volare sulle nostre teste o di essere stati rapiti da esse, gli alieni non ci bombardano di segnali elettromagnetici, o forse non è così facile riceverli in una determinata finestra spazio-temporale. Nel 1950 il fisico Enrico Fermi espresse in modo esplicito questo “paradosso” chiedendosi “dove fossero andati a finire tutti quanti?”
Come sempre accade, approfondendo il problema aumentarono le conoscenze, ma anche le domande. Oggi molti esperti sono convinti che mentre la vita semplice, di tipo microbico in grado di formarsi in condizioni estreme (ma sempre in presenza di acqua liquida) sia molto diffusa nell’universo, quella complessa - animale e vegetale di tipo terrestre - potrebbe invece essere estremamente infrequente. A favore di questa “ipotesi di rarità” giocano la concomitanza di una serie di fattori non comuni - sia nella formazione e nelle condizioni del pianeta Terra sia nello sviluppo della vita su di esso - che il libro di Sindoni illustra con chiarezza.
Ovviamente porre la questione dell’eccezionalità (o unicità) della vita terrestre solleva domande non solo scientifiche ma anche filosofiche e religiose. In particolare, la riflessione si sposta sull’enunciazione del “principio antropico”, il quale afferma che viviamo in universo che permette la vita per una concomitanza di fattori (altrimenti non saremmo qui ad osservarlo); ma si presta a un’enunciazione “ultima” secondo cui potrebbe essere stato “progettato” allo scopo. Sindoni - che è uno scienziato credente - si domanda (riprendendo il titolo di un celebre libro del biologo Jacques Monod) se la nascita della vita sulla Terra non sia solo il frutto di una incredibile concatenazione di eventi (il caso) e la conseguenza delle leggi della fisica e della biologia che la rendono inevitabile quando esistono le condizioni adatte (la necessità); ma anche - per la sua rarità - un miracolo divino. In un contesto religioso, presupporre che la vita sia opera di un “grande Architetto” che ci trascende, servirebbe a dar senso all’esistenza e a non cadere nella malinconica constatazione che siamo banali prodotti dell’evoluzione sorta ai margini dell’universo.
Bisogna, però, considerare che molti studiosi suggeriscono che la risposta più appropriata alla domanda «siamo soli nell’universo?» non sia «sì, lo siamo», ma «non lo sappiamo». Semplicemente mancano i numeri: la valutazione delle probabilità di vita intelligente extraterrestre sono incerte nella migliore delle ipotesi, e la rarità della vita è basata su un’unica osservazione. Alcuni critici sottolineano che questo modello presuppone una vita basata sul carbonio simile alla nostra e affermano addirittura che più che a una “ipotesi” o a una “previsione” siamo di fronte a una “descrizione” di come la vita si sia formata sulla Terra. Forse, ancora una volta, dobbiamo affrontare un “pregiudizio antropico” che sopravvaluta la nostra posizione in un universo sconfinato nello spazio e nel tempo, e non tiene neppure conto di quanto fragile ed effimera possa essere una civiltà tecnologia come la concepiamo: qualcosa che deve far riflettere credenti e non credenti.
59 secondi. La scienza del
cambiamento rapido applicata agli altri
Richard Wiseman
Ponte alle grazie, 2011
pp. 170, € 12,00
Recensione di Anna Rita Longo In un passato numero di Query ci eravamo con piacere occupati dell'innovativo libro di Richard Wiseman, 59 secondi. La scienza del cambiamento rapido, che si inseriva nell'affollato panorama dei manuali di autoaiuto con un testo che se ne differenziava per un aspetto tutt'altro che trascurabile: il fatto di fondarsi su ricerche scientifiche, condotte da scienziati e istituti autorevoli.
Rispondendo all'esplicita richiesta avanzatagli da un'amica di poter conoscere strategie rapide e scientificamente corrette per risolvere problemi quotidiani, l'autore ne proponeva diverse applicabili in meno di un minuto. Il successo con il quale il precedente volume è stato accolto ha indotto Richard Wiseman a proseguire nella sua ricerca della soluzione rapida a nuovi problemi, concentrandosi, questa volta, sui rapporti interpersonali, spesso fonte di ansia e preoccupazioni, che contribuiscono a rendere meno serena la nostra quotidianità.
Se anche solo qualcuna delle rapide strategie illustrate dall'autore potesse venirci in aiuto nella gestione delle piccole seccature che le relazioni umane di necessità comportano, riteniamo che valga la pena di accostarsi a una lettura tutto sommato leggera e piacevole.
Il testo è suddiviso in 4 capitoli che affrontano altrettanti temi: la persuasione, l'attrazione, le relazioni, i figli. Tra le divertenti provocazioni di Wiseman, scopriremo, ad esempio quale foto inserita nel portafoglio possa aiutarci a rientrarne in possesso in caso di smarrimento (se quella del nostro cane, del nonno o del figlioletto); oppure come indurre qualcuno ad apprezzarci chiedendogli un favore, seguendo un'intuizione di Benjamin Franklin; o, ancora, come aumentare le possibilità di ottenere un appuntamento con un banalissimo sfioramento, apparentemente casuale, di un braccio dell'interlocutore.
Nel corso della lettura, confesso di aver trovato particolarmente interessante il capitolo dedicato ai rapporti di coppia e la riflessione su quanto contribuisca all'unione dei due partner il fatto di inserire novità nella propria routine quotidiana, ma anche l’affrontare insieme delle difficoltà.
Si tratta di conclusioni che il comune buonsenso consente, comunque, di trarre, ma riceverne la conferma "scientifica" è in ogni caso interessante e, perché no, confortante.
Molto apprezzabile anche il paragrafo dedicato al cosiddetto "effetto spettatore", venuto allo scoperto, per la prima volta, a proposito del tragico omicidio di Kitty Genovese. Si tratta di un delitto che sconvolse la New York del 1964, più per le sue implicazioni sociali che per l'efferatezza con la quale era stato commesso. La giovane Genovese era stata assassinata mentre tornava nel proprio appartamento nel Queens, davanti a numerosi testimoni, nessuno dei quali aveva pensato di avvisare la polizia dell'accaduto.
Il clima di indifferenza che sembrava aver favorito l'esecutore del delitto aveva scatenato un infuocato dibattito in merito alle dinamiche della vita contemporanea, che portano a rinchiudersi nel proprio "particulare", restando impermeabili a tutto ciò che riguarda gli altri. Si tratta del medesimo individualismo del quale si discute ancor oggi, quando si ha modo di constatare come spesso i peggiori reati vengano commessi alla luce del sole, senza che nessuno si premuri di intervenire.
Ma le cose stanno davvero così?
La società contemporanea ha davvero indotto una generalizzata deriva morale con i suoi ritmi di vita disumani, o le ragioni di questi inquietanti episodi vanno ricercate altrove? Le ricerche scientifiche, come riferisce Richard Wiseman, inducono a pensare che alla base di tutto vi sia il naturale processo psicologico di deresponsabilizzazione che si verifica quando più persone sono presenti a un evento critico. In poche parole, è come se ciascuno, indeciso sulla decisione da prendere, attendesse di agire seguendo il comportamento degli altri e quindi tutto si risolvesse in un nulla di fatto.
Ben diverso è il senso di responsabilità che si avverte quando ci si trova da soli a fronteggiare un pericolo o a gestire un evento. In quel caso nessuna presenza estranea può contribuire a sgravarci la coscienza e, di norma, questo ci induce ad agire con sollecitudine.
Anche ai pericoli dell' "effetto spettatore" si può, comunque trovare un semplice rimedio basato sulla scienza, come il libro fa notare ai suoi lettori.
Volendo mettere in luce qualche debolezza dell'ultima fatica di Wiseman, si può notare come il confronto con l'opera precedente rimanga a favore di quest'ultima: un'impostazione più agile e vivace unita a capitoli più brevi e a proposte di più rapido impiego mi fanno ricordare il primo 59 secondi come una lettura più divertente e piacevole. Ma forse si tratta solo dell'aria di "già sentito" che tutti i secondi elementi di una serie presentano, per quanto buono sia l'intento che vi è alla base.
Sex & the Physics
Monica Marelli
Emiliano Ricci
Rizzoli, 2011
pp.193, € 16,50
Recensione di Luca Menichelli È possibile imparare la fisica divertendosi? Chi segue le nostre recensioni su Query sa già che la risposta è affermativa e il testo che oggi presentiamo offrirà un’ ulteriore conferma di questa tesi.
Seppur recente, la cosiddetta letteratura di “scienza ricreativa” sta spopolando sugli scaffali delle librerie con testi di facile comprensione, divertenti da leggere, ma nello stesso tempo corretti nelle nozioni, come qualsiasi libro di divulgazione scientifica. Ma cosa accade quando due grandi divulgatori scientifici come Monica Marelli (La fisica delle ragazze, La fisica del tacco 12, La fisica del miao) e Emiliano Ricci (La fisica in casa, Atlante di Fisica) suggellano il loro talento in un incontro letterario per parlare della fisica del sesso? È un successo assicurato.
Con la tipica ironia di Emiliano Ricci e il prorompente carisma di Monica Marelli, Sex & the Physics guida il lettore in un viaggio nel mondo della fisica attraverso il sublime e piacevole scambio di effusioni di coppia: la fisica del sesso.
Per non rischiare di essere oggetto di facili conclusioni censorie è bene chiarire che non stiamo parlando di un libro del genere hard core per adulti in cerca di emozioni forti. Sia l'argomento che il linguaggio lo rendono infatti adatto soprattutto ad un pubblico giovane, che saprà apprezzare il metodo didattico di due divulgatori, i quali sanno conciliare egregiamente semplicità di esposizione e rigore scientifico. Il messaggio è chiaro: tutto è regolato da leggi della fisica e il sesso non ne è esente. Ma la cosa più importante è sapere che la comprensione delle decine di nozioni di fisica che regolano questo atto di passione potrebbe contribuire anche a renderlo migliore. Detta in questa maniera, sembra quasi che si tratti di un Kamasutra in chiave scientifica, invece abbiamo tra le mani un completo manuale di fisica che riguarda attriti, meccanica dei fluidi, proprietà elastiche, termodinamica, ottica , acustica e... impossibile fare una lista esaustiva, molto meglio leggerlo, magari in coppia. Come per le altre opere di Monica Marelli, ad arricchire la narrazione, contribuendo a dare un tocco di piacevolezza visiva al libro, vi sono le illustrazioni di Caterina Giorgetti. Cosa dire, in definitiva? Il libro è adatto a tutti coloro che vogliono scoprire la fisica in maniera approfondita ma divertente, e rappresenta un ottimo regalo per adolescenti che vogliano scoprire come tutto, ma proprio tutto, obbedisca alle stesse regole scientifiche. Ritengo, inoltre, al di là di ogni moralismo fuori luogo, che possa essere adoperato come ottimo testo scolastico di introduzione alla fisica.
Dopo tutto questo, c'è ancora qualcuno che ritiene lo studio delle scienze noioso?
Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde
R. L. Stevenson
Newton Compton, 2010
pp. 224, € 6,00
Recensione di Anna Rita Longo Dal nostro percorso alla scoperta dei classici del paranormale è impossibile escludere uno dei capolavori della letteratura britannica e una tra le più famose opere di Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde, opera pionieristica sotto diversi punti di vista e punto d’incontro della tradizione letteraria e delle nuove tendenze della letteratura vittoriana.
La tematica del doppio è uno tra i topoi letterari più antichi e fortunati della storia della letteratura mondiale; dai Menaechmi e dall’Amphitruo di Plauto, ai Due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, fino al Fu Mattia Pascal di Pirandello e al Visconte dimezzato di Italo Calvino (solo per citare alcuni esempi tra i più noti) esso è stato rivisitato e reinterpretato nei più svariati modi. Ancor oggi, però, non appena si parla di doppio e di scissione della personalità, il pensiero corre spontaneo al Jekyll & Hyde, che ne è considerato l’esempio letterario più significativo e quello che più ha lasciato il segno nella letteratura, nel cinema, nell’arte successiva.
L’intreccio alla base della trama è talmente noto che appare quasi superfluo riprenderlo: il Dr Henry Jekyll, uomo buono e pacifico, fortemente interessato a risolvere il problema degli aspetti contrapposti che convivono nell’animo umano (quello buono e morale e quello crudele ed egoista), mette a punto una pozione in grado di scindere le due personalità che abitano in lui, dando vita al suo malvagio alter ego, Mr Hyde (il nome viene dall’inglese “to hide”, “nascondere”).
Con il tempo la personalità di Hyde sembra prendere il sopravvento sul buon Jekyll e l’unica soluzione possibile per fermare la crudeltà del mostro è un suicidio che, naturalmente, ucciderà anche la parte buona che in lui si nasconde.
Riferisco il finale senza téma di “fare spoiler” perché la pletora di riduzioni cinematografiche e televisive, di rivisitazioni parodiche e di citazioni ha reso i personaggi del romanzo talmente familiari al grande pubblico da aver generato anche espressioni proverbiali.
“Essere come il Dr Jekyll e Mr Hyde” si suol dire di chi, come Giano bifronte, sa mostrare nelle varie circostanze aspetti di sé assai diversi e spesso contrapposti.
Se, da un lato, l’oggettiva fama dei personaggi stevensoniani ha contribuito a consacrare il Jekyll & Hyde come classico della letteratura di tutti i tempi, d’altra parte dispiace considerare proprio come la notorietà della storia abbia, inevitabilmente, diminuito il gusto della scoperta finale, che, nell’intenzione dell’autore sarebbe dovuta essere sconvolgente, proprio perché del tutto inattesa.
Il realizzare, solo al termine del libro, che il Dr Jekyll - somma di tutte le virtù, uomo dall’impeccabile moralità - e Mr Hyde - individuo caratterizzato dalla più totale abiezione, repellente in quanto privo di ogni sentimento umano - sono la stessa persona, i due aspetti dello stesso individuo, è il punto di confluenza di un’escalation di interrogativi, bruscamente chiariti nella più incredibile delle maniere. Tutto ciò che era fumoso, oscuro, indecifrabile, una lunga sequela di eventi senza senso alcuno, acquista improvvisamente un significato, ma l’angoscia non si stempera, perché la logica conseguenza è che il male alberga in ciascuno di noi, pronto a uscire allo scoperto non appena se ne presenti l’occasione.
L’onnipresenza dei Mr Hyde cinematografici ha anche avuto la conseguenza di trasformare la sua figura in quella di un grottesco mostro, banalizzando la valenza prettamente morale del personaggio: Hyde procura in chi lo guarda un istantaneo senso di repulsione, un’incontrollabile avversione non legata all’aspetto fisico, nel complesso non particolarmente diverso dalla norma, e spiegabile come effetto della sua disumanità. Si tratta di una sensazione talmente difficile da rendere in una soluzione cinematografica, dall’aver indotto i registi a tradurla in un improbabile aspetto scimmiesco, con tanto di zanne e occhi spiritati.
Nulla di più lontano dalla natura umana, mentre, a ben considerare, quello che più rende interessante il romanzo di Stevenson è proprio il fatto che non si tratti di una banale storia “di mostri”, ma di una riflessione sulla personalità umana, sulle sue contraddizioni e i suoi aspetti meno nobili; in breve, qualcosa di molto più verosimile di quello che le apparenze potrebbero lasciar supporre.
Proprio per questa ragione pensiamo che valga ancora la pena di accostarsi all’originale Dr Jekyll, quello del romanzo, con le sue molteplici dimensioni e possibilità di lettura, in considerazione anche del pessimo servigio che, almeno fino a questo momento, l’arte cinematografica sembra aver reso all’opera stevensoniana.