FIGURA DI LUCE Roberto Sorgo, Udine
Quando gli domandavano perché andasse sempre in giro con la testa bassa, Billy rispondeva che tante volte aveva trovato in terra denaro e altre cose utili. Non immaginate, diceva, quanta roba la gente butti via o lasci cadere per sbaglio. Anche quel giorno Billy camminava a testa bassa, curvo, guardando il marciapiede. Sentiva però nell’aria qualcosa di diverso. Il sole al tramonto lo riscaldava più del solito. Finalmente la primavera era arrivata anche a Milwaukee. Billy la Spugna, lo chiamavano. Viveva di elemosine e furtarelli, andava a rovistare nella spazzatura per trovare qualcosa da mangiare o da riutilizzare. E quei pochi soldi che riusciva a raggranellare li spendeva tutti in alcolici. Per questa ragione era diventato per tutti Billy la Spugna. Il cognome non lo sapeva nessuno, nemmeno lui se lo ricordava; forse si era bevuto anche quello. A suo modo, era felice così. O gli sembrava di esserlo. Quel giorno ebbe l’impressione che qualcuno lo chiamasse. Si girò da tutte le parti, ma non vide nessuno. Poi alzò lo sguardo verso la parete della casa accanto a cui si trovava a passare, e la vide. Era una figura di luce, delineata sul muro, con i contorni sfumati. Perplesso, Billy cercò di mettere a fuoco l’immagine, con lo sguardo annebbiato dall’alcol; e si accorse che era una figura di donna. Guardò ancora meglio, riconobbe un volto, gli occhi, la bocca, il naso, i capelli, tutto di luce, tutto bellissimo. «È la Madonna!», pensò sconcertato, e istintivamente cadde in ginocchio. «È la Madonna che viene a dirmi di cambiare vita, vero? È così? Billy, lo sapevi che doveva succedere un giorno o l’altro. Tu che non vai mai in chiesa, tu che passi la giornata a bere e a rubare: non potevi sperare di passarla liscia. Ecco, viene a dirti che così non va». Billy si prese la testa fra le mani e rimase a lungo immobile, in ginocchio, davanti alla parete. Diversi passanti lo notarono, ma tirarono dritto; non era certo la prima volta che Billy faceva qualcosa di strano. A un certo momento Billy non poté più trattenersi e fermò un passante, indicandogli la parete. «È la Madonna», gli disse come confidandogli un segreto terribile. L’uomo guardò il muro e vide la figura di luce. Impallidì. Rimase per un po’ a guardare con aria attonita, poi si inginocchiò. «È lei davvero!» La strada non era molto frequentata, ma nel giro di un quarto d’ora si avvicinarono altre persone. Tutti si misero a guardare la bellissima figura di luce sulla parete. Molti si inginocchiarono. Billy raccontava animatamente come la Madonna lo avesse chiamato e gli fosse apparsa all’improvviso, proprio a lui, Billy la Spugna. «Adesso non parla più, perché non serve: io ho già capito quello che vuole dirmi: devo ravvedermi, devo cambiare vita, non devo più bere né rubare, devo fare qualcosa di utile per gli altri, ecco…» Sull’altro lato della strada, una donna saliva i pochi gradini fino al portone d’ingresso della sua abitazione. Notò il capannello di gente, ma vedendo al centro del gruppo Billy la Spugna rinunciò ad avvicinarsi e aprì il portone, cercando di tirarsi dietro la bambina che teneva per mano e che appariva riluttante. «Dài, mammina, non posso stare ancora un po’ fuori? Guarda che bella giornata…» «No, Janet, sarà subito buio. Su, su, non farti pregare come al solito». Janet faceva sempre di tutto pur di rimanere all’aperto anche solo un minuto di più. «Mammina, hai visto che bel riflesso?» «Dài, dài, Janet, dentro!» «Ma no, guarda, è bellissimo». «Ma quale riflesso, Janet?» «Il riflesso che fa la finestra della mia camera sulla casa di fronte. È bellissimo, davvero. Sembra una figura di donna…»
IKEA Lorenzo Ghelfi, Milano
Io vorrei tanto sapere, adesso, che cosa cavolo sta guardando! Sono almeno due minuti che fissa con attenzione un tavolo bruttissimo con sedie impagliate che lei, lo so, ha sempre odiato, eppure sta ferma lì a fissare dio sa cosa. Oltre tutto non ci serve nessun tavolo…. Inutile chiederle, so già cosa direbbe: “Ma, stavo solo guardando, così ,tanto per vedere…..” Le donne, e mia moglie in particolare, resteranno per sempre un mistero imperscrutabile. Siamo ormai verso la fine del giro mensile all’IKEA nel reparto più pericoloso: “oggettistica” perché una cosa è certa, raramente compriamo mobili, ma non si può tornare a casa senza tovaglioli colorati o candele profumate o altri ammennicoli svedesi “tanto divertenti!” e quindi un’altra mezz’oretta non me la toglie nessuno. Approfitto della sua distrazione per dirle “vado fuori a fumarmi una sigaretta, poi ti aspetto alla macchina”. OK fa lei dimenticando che sono almeno otto anni che ho smesso di fumare, ma avrei potuto dirle qualsiasi cosa che avrebbe in ogni caso risposto allo stesso modo, tanto è presa dal fantastico denocciolatore per olive color pervinca; (a proposito, ma che razza di colore è il pervinca? Rosso, verde o blu?). Sono fuori, il piazzale è deserto. Per forza, chi ci va all’IKEA di venerdì alle 19? Gironzolo cercando un alito di vento e all’improvviso mi rendo conto che, pur essendo nel centro del parcheggio scoperto, sono improvvisamente all’ombra. Alzo gli occhi e resto senza fiato: un enorme oggetto informe si libra dieci metri sopra la mia testa. Informe? No, in realtà la sua forma ha qualcosa di familiare, mi ricorda…….. ma certo EKTORP! Forse il divano più venduto al mondo! E noi abbiamo fatto la nostra parte avendone comprati ben due. In un primo momento penso ad una mongolfiera pubblicitaria, ma mi ricredo quando vengo illuminato da un raggio (naturalmente verde) che esce dal bracciolo sinistro. Mi sento improvvisamente senza peso e comincio lentamente a fluttuare e poi a salire verso il mostruoso divanone che, ormai mi è chiaro, è in realtà un’astronave. Sono all’interno, tutte le pareti sono lisce e senza fessure e una luce (naturalmente azzurrina) soffonde l’ambiente altrimenti completamente spoglio. Non sono sicuro di sentirmi tanto bene, tanto più che, dal nulla, si materializza davanti a me un essere indefinibile: è una figura continuamente in trasformazione, sia come forma che come colore è impalpabile e semitrasparente, insomma una specie di ectoplasma. E PARLA! All’inizio non è chiaro quello che dice, forse sta tarando il traduttore, ma poi le sue parole cominciano ad assumere un senso e allora: “tu me dici ora uscito di fabbricone mobili? Tu espertone mobilio si? Noi bisogna di trovare espertone da portare su RAMA per spiega come fai mobili senza soldi, espertone portiamo su RAMA trenta tuoi giorni per spiega.” Allora capisco tutto: cercano un esperto di IKEA! E diabolico scatta il piano. “No, io non espertone, mia moglie espertone se mi lasciate andare vi porto lei che sarà felice di spiegarvi tutto di prodotti fabbricone. Detto fatto, Ale nel frattempo è arrivata alla macchina, così lo scambio è subito fatto. Ho avuto il tempo di tranquillizzarla velocemente spiegandole che si tratta di brava gente che ha solo bisogno di informazioni e che tornerà presto a casa. Guidando verso casa mi sento un po’ vigliacco, ma penso che in fondo ho fatto la cosa giusta; lei tornerà e probabilmente diventerà famosa, e io mi godrò un mesetto di sport in tv, ovviamente in canottiera con patatine, birra e rutto libero come diceva il poeta. Grazie IKEA!
Kāmaratna Alex Passi, Bologna
Il testo sanscrito che stavo traducendo per la tesi, il Kāmaratna o Gemma dei desideri, era un grimoire di incantesimi tantrici, per lo più malefici; come tale, non poteva che contenere il seme di quella che fu la sconfitta più feroce dei miei anni universitari. Ma la mia prima colpa fu tutt’altra: avevo violato la legge fondamentale della buona convivenza fra studenti: non cercare mai di farsi una storia con una compagna di appartamento. E poi, Irene era bellissima, intelligentissima, simpatica con tutti, ma affatto inavvicinabile. Quando vidi che non c’erano speranze, cambiai metodo. Vivevo allora da bohemien tra un PC portatile, i libri, una gracula parlante di nome Aldo e una tartarughina verde. Da due settimane, stavo cercando di sistemare il capitolo sullo Strī-vāśī-karaṇa, la «dominazione delle donne». Ogni strofe descriveva metodi magici più neri che bianchi per arrivare all’amoroso scopo. Nei pochi casi in cui non si prescriveva di far bere alla fanciulla desiata un filtro dagli ingredienti disgustosi — tipicamente: erbe, fluidi umani (eh, sì, proprio quelli) e resti anatomici di cremazione — si imponeva la ripetizione di un mantra, una formula magica che agiva autonomamente, purché fosse pronunciata, per almeno una volta su svariate migliaia, con mente perfettamente sgombra da ogni pensiero. Detto il mantra, bastava mettere sotto agli occhi della Bella uno yantra, un diagramma magico che ne riportava, scritto in devanāgarī, il nome, e il gioco era fatto: tua per sempre. Scelsi un passo dal senso molto chiaro: kāmākrāntena cittena māsārdhaṃ japate niśi / avaśyaṃ kurute vaśyaṃ prasanno śūnyacetasāḥ // «Chi lo recita di notte per mezzo mese con mente soggiogata da amore, ma rimanendo tranquillo e vuoto di pensieri, rende volente chi è nolente». Seguiva il mantra, che invocava la dea “Diavolessa d’Amore” Kāma-Piśācinī, da recitare per 15 notti con il nome di Irene al posto giusto. Passai 15 notti in bianco a ripetere una lunga litania di sillabe oscure, sperando di enunciarle almeno una volta da capo a coda senza pensare a nulla. Provateci pure a non pensare pensando di non dover pensare: è un delirio! Finii le mie ventimila giaculatorie alle 7:10 in punto di un venerdì. Ero esausto, ma speranzoso. Feci colazione, poi chiesi a Irene di passare in camera mia con una scusa. Lo yantra era sul tavolo. Lo guardò appena, abituata alle mie stranezze indiane. Trattenni il fiato. Niente. Ma ecco che, da dentro la gabbia di Aldo, ancora coperta per la notte, sortì squillante una declamazione perfetta, degna di un Sādhu di Benares: aiṃ piṃ sthāṃ klīṃ Kāma-Piśācinī śīghram Ireṇīṃ grāhaya grāhaya kāmena mama rūpeṇa nakhair vidāraya vidāraya drāvaya drāvaya snehena bandhaya bandhaya śrīṃ phaṭ! Irene si voltò verso il suono e si fece tutta rossa per la dirompente emozione che provava dentro: «Aldo, ti amo!», balbettò alla gabbia oscurata, «Sei la cosa più bella che abbia mai visto!». Poi si rivolse a me, e, secca secca, mi stroncò con tre frasi: «Tu non lo meriti. Io posso tenerlo molto meglio di te. Dammi Aldo e ti do quello che vuoi». Beh, non avrebbe dato quello che desideravo, temo. Comunque, Aldo lo ebbe gratis, perché non lo volli più in casa nemmeno per un attimo; gracula e innamorata si trasferirono subito in un altro alloggio. Breve felicità: quell’inverno Aldo si ammalò di un qualche morbo graculino e ne morì. Oggi ancora, anni dopo, Irene non fa che piangere davanti alla sua foto. Solo un altro mantra potrebbe liberarla dalla tristezza. Ma non saprei quale usare. E poi, dove la trovo un’altra testa vuota come quella di Aldo?
LA MAGIA DELLE PIRAMIDI Sara Montanari, Cremona
Esistono molte teorie discordanti sull’origine dei monumenti della piana di Giza, in Egitto, (Sfinge e piramidi); alcune sono basate su dati reali, altre su intuizioni molto fantasiose. Ad esempio, la Sfinge è veramente stata costruita dagli antichi Egizi o da una popolazione ad oggi ancora sconosciuta, forse gli abitanti di Atlantide, molti millenni prima della comparsa degli egiziani preistorici? E le piramidi? Sono semplicemente le tombe di Faraoni un po’ megalomani o sotto la loro costruzione c’è molto di più? Anch’esse potrebbero essere state costruite dalla stessa civiltà sconosciuta, ma tecnologicamente molto avanzata, che spostava blocchi di pietra pesantissimi con una facilità sconcertante. C’è chi ha addirittura ipotizzato che questo popolo avesse costruito delle apparecchiature anti-gravità o che le pietre fossero spostate per magia (qualsiasi cosa significhi). Le teorie più sconvolgenti, però, riguardano la funzione per cui le piramidi furono costruite. Semplici tombe? Certo che no! Secondo qualcuno sono dei catalizzatori di energia, per altri accumulatori di elettricità e chi più ne ha, più ne metta! Quello su cui molti sembrano essere concordi è che al loro interno, in particolare per quanto riguarda la Grande Piramide, quella attribuita al faraone Cheope, succedono delle cose veramente strane. C’è chi dice che nella camera del Re di questa piramide il tempo si fermi rispetto all’esterno, altri sostengono che le bussole impazziscono non segnando più il Nord e secondo altri ancora le lamette, e gli oggetti affilati in genere, riacquisterebbero il loro filo. Di tutte queste teorie, più o meno strampalate, non tutte sono verificabili con una semplice visita turistica, ma durante il mio viaggio in Egitto ero più che decisa a controllare quanto era nelle mie possibilità. Il mio piano era molto semplice: introdurre nelle camere del Re della piramide di Cheope una bussola e verificare, una volta per tutte, almeno la diceria sull’esistenza di un campo magnetico anomalo. Avevo le idee chiare su cosa avrei fatto: avrei portato la mia bussola nel cuore della piramide, cercando di non farmi notare dalla guida (non si sa mai come avrebbe potuto reagire di fronte ai miei “esperimenti” non autorizzati). Il sito di Giza è già impressionante di per sé, ma non ci sono parole per descrivere le sensazioni che si provano entrando all’interno della piramide! Tra cunicoli claustrofobici e corridoi regali, eccomi arrivare al centro della piramide, nel cuore stesso dell’Egitto faraonico! La camera, a ben vedere, non è niente di particolare, ma pensare a quello che sono riusciti a realizzare degli uomini (proprio come noi) con molta fatica e un’ottima organizzazione del lavoro, senza conoscere nemmeno l’uso del ferro, è strabiliante e fa riflettere sulle possibilità del genere umano. Da non credere, ero talmente sopraffatta da quello che mi circondava che la bussola è rimasta nel mio zaino! Non lo so se il campo magnetico nella camera del Re della grande Piramide è diverso da quello del resto del pianeta e, sinceramente, adesso non mi sembra più una cosa così importante. Sono stata stregata anch’io dalla magia delle Piramidi! Dalla magia che permea questi monumenti eretti inizialmente per celebrare dei sovrani defunti, ma ora simboli del Genio Umano.
La stanza 402 Milena Vallero, Vercelli
“Vattene!” L'improvvisa esclamazione svegliò Carlo da un sonno leggero. Si guardò intorno, nella camera buia. Nessun movimento. L'orologio segnava le tre. Si convinse di aver sognato e cercò di riaddormentarsi. A causa di un ritardo aereo, si era presentato alla reception dell'hotel dopo mezzanotte. Aprendo la porta della stanza, la 402, aveva sperato di dormire bene fino al mattino, ma aveva faticato a prendere sonno e, ora, la situazione sembrava peggiorata. L'indomani mattina, avrebbe tenuto un discorso alla sede centrale della sua ditta. Ripensandoci, imprecò per le ore di sonno buttate. Dopo quasi un'ora di vani tentativi di riaddormentarsi, accese la luce e si alzò, sperando che un po' di movimento l'avrebbe aiutato. In quel momento, la strana voce si fece risentire. “Vattene da qui!” Il tono era rabbioso ma stranamente familiare. Carlo pensò comunque che non fosse che uno scherzo della sua mente stanca. Si avviò verso il bagno, ma non fece in tempo ad entrarvi che il vaso di fiori sul tavolino del televisore, all'improvviso, venne scagliato con violenza contro la parete. “Via! Vai via da qui!” A quel punto, Carlo iniziò decisamente a preoccuparsi. La voce, pur alterata da un'evidente agitazione, continuava a sembrargli molto familiare. Troppo, forse. Camminando all'indietro, entrò in bagno. Continuò ad indietreggiare fino a toccare il lavandino. In quel momento la voce urlò di nuovo, sempre più aggressiva. Lo specchio si frantumò e i campioni di sapone e shampoo volarono per tutta la stanza. L'asse del water iniziò a sbattere, e i rubinetti si aprirono da soli, simultaneamente. Ora davvero atterrito, Carlo uscì di corsa dal bagno, ma nella fretta inciampò nei suoi stessi piedi e crollò a terra. Anche il letto e il comodino, ora, si muovevano da soli. La TV si era accesa e la confusione all'interno della stanza era inimmaginabile. Mentre Carlo cercava di alzarsi, la voce gli intimò di nuovo di andarsene. Ora era tonante, come quella di un Dio brutale. “Via di qui! Subito!” Carlo si diresse verso la porta. Poi si ricordò del proprio discorso. Non poteva lasciarlo lì. Si allontanò dalla porta per prendere la sua ventiquattr'ore. In quel momento, tutto si fece di nuovo calmo. Carlo si voltò e quello che vide lo riempì di terrore. Di fronte a lui, c'era un uomo, il corpo completamente sfigurato. I vestiti non esistevano più, totalmente bruciati. Anche i capelli erano carbonizzati. Ma Carlo lo riconobbe comunque. Impossibile non riconoscerlo. Era lui stesso. Ma quello che più lo terrorizzò, qualche istante prima di morire in un inferno di fuoco, furono le due parole che l'uomo pronunciò, ora con voce non più rabbiosa, bensì triste e rassegnata: “Troppo tardi.”.
“Uno, due, tre! Su!”, disse il barelliere al collega, caricando il corpo di Carlo, ormai senza vita e chiuso in un sacco di plastica, sulla lettiga. “Si è scoperto chi era il pazzoide della 401?”, chiese l'altro. “Non ancora. Forse un aspirante dinamitardo, forse un idiota a cui piacevano gli esplosivi”, rispose il primo. “In ogni caso, non possiamo chiederglielo, visto che è morto anche lui.” “Ben gli sta”, considerò il secondo, spingendo la barella verso l'ascensore,“così impara a giocare al Piccolo Chimico in una camera d'albergo. Mi spiace per questo poveraccio. Pensa, andartene all'altro mondo solo perché ti hanno dato quel portachiavi lì invece che un altro”, continuò, indicando col capo la chiave, infilata nella toppa della porta. “Che ci vuoi fare? La vita a volte è uno schifo”, rispose il primo, entrando in ascensore e allontanando per sempre Carlo da quella dannata stanza 402.
LASSU’ QUALCUNO CI OSSERVA Sara Montanari, Cremona
“Dunque, vediamo, vorrei leggere un po’ di notizie di costume. Proviamo a collegarci al computer e vediamo cosa offre la Rete. Allora: <…Teoria rivoluzionaria sulla scomparsa di Atlantide, nei prossimi giorni l’uscita del libro che rivelerà tutta la verità sul Continente Perduto!> <… anche molti capi di stato si affidano agli oroscopi quando si tratta di prendere delle decisioni importanti…> Accidenti! Ma com’è possibile? Meglio andare a fare una passeggiata, questa rassegna stampa non promette niente di buono!” Brani di conversazioni ascoltate per strada: <… sì, ma Nostradamus l’aveva predetto, l’hanno detto in televisione!> <… anche la polizia si fa aiutare dai sensitivi quando sparisce qualcuno e i sensitivi li trovano lo dice anche il telegiornale...> <… questa mia amica si è fatta leggere le carte e la maga ha indovinato proprio tutto.> “Accidenti certa gente è proprio strana. Bene è ora di fare rapporto ai miei superiori: S8I2J a rapporto.” “Ti sentiamo, illustraci le tue conclusioni. Credi che i terrestri siano pronti per avere un contatto con il nostro popolo?” “Mi dispiace, signore, ma mi sembra un po’ prematuro.” “I tuoi rapporti precedenti erano ottimisti. I terrestri sembravano essere abbastanza evoluti da poter utilizzare le conoscenze scientifiche e tecnologiche che potremmo fornire loro al meglio, senza rischiare di provocare dei disastri. Cosa ti ha fatto cambiare idea?” “I terrestri sono piuttosto evoluti da un punto di vista tecnologico e scientifico, lo confermo. Quello che mi lascia molto perplesso sul loro grado di evoluzione culturale è il persistere, ad ogni livello della popolazione, di credenze che possono essere definite pseudoscientifiche nel migliore dei casi. Non dico che tutti i terrestri siano così, ma sono ancora troppi per rischiare.” “E’ un vero peccato, ma ci fidiamo del tuo giudizio. Torna a casa, valuteremo l’opportunità di tornare sulla Terra tra qualche centinaia d’anni.”
L'autopsia
Milena Vallero, Vercelli
“Non è possibile...” Erano state queste le parole di Katia, nell'aprire il sacco nero che conteneva il corpo di Gustavo. Katia, cara ragazza. Se n'è andata giusto due mesi fa. Amava il rischio, sfidare la sorte. Le avrò detto mille volte di non attardarsi, di non aspettare ogni volta il limitare della notte, quando i primi pallidi raggi solari fanno capolino all'orizzonte. “A forza di giocare col fuoco, ti brucerai”, le ripetevo sempre. E infatti, alla fine, è rimasta bruciata. Letteralmente, intendo. Quel giorno di quasi tre anni fa, invece, era tutt'altro che impavida. Alla vista del volto pallido di Gustavo, della sua pelle diafana e delle sue mani affusolate, si era allontanata spaventata dal tavolino. “Fa un certo effetto, eh?”, avevo detto io. “Senti, Paolo, io non me la sento. Chiamo Giovanni a darti una mano...”. Io mi ero avvicinato e le avevo preso la mano, “Katia, non essere spaventata. Dai, non può essere come dicono. Guardalo”, le avevo detto, “è pallido, sì, ma ricordati che è pur sempre un morto. Ti stai facendo suggestionare dalle storie che hai sentito qua fuori. È solo un poveraccio a cui hanno sparato. Tutto qui.” “Sì, ma...” “Coraggio, è da un po' che fai questo lavoro. Dovresti esserci abituata.” Katia si era lasciata convincere e, pur con una certa riluttanza, si era accostata al lettino e aveva iniziato con me l'autopsia. All'inizio tutto era andato bene. Il corpo era stato lavato e avevamo annotato le sue condizioni esterne. La pallottola era stata estratta dal petto di Gustavo e lasciata cadere in un piattino. Poi, io avevo preso il bisturi per effettuare il classico taglio a Y. Quello che era accaduto dopo lo rivivo ogni giorno da allora. Non appena avevo inciso la pelle, il sangue aveva iniziato ad uscire copiosamente. “Ma è vivo!”, aveva urlato Katia, facendo cadere alcuni ferri per lo spavento. “Ma è impossibile!”, avevo risposto io, cercando di fermare quella anomala emorragia, “aveva una pallottola nel petto, e poi non aveva battito cardiaco!” Nel prendere del cotone, l'occhio mi era caduto sul piattino. Avevo notato un particolare che prima mi era sfuggito. Con un paio di pinzette, avevo raccolto il proiettile e me l'ero portato davanti al viso. “Cosa fai?”, aveva detto Katia, “molla quel coso e dammi una mano”. “È d'argento”, avevo notato. “E allora?” “Qualcuno ha cercato di ucciderlo.” Katia aveva capito l'allusione ed era impietrita. “Non mi dirai che questo era davvero...”, le parole le erano morte in gola. “Ho paura di sì”. Nel rendermi conto della situazione, le gambe mi erano diventate come di burro. Katia mi aveva guardato terrorizzata. Camminando lentamente all'indietro, mi fissava sconvolta. “Ora, però, è morto...”, aveva chiesto con un filo di voce, “vero, Paolo?” “Io, non lo so”, avevo detto, fissandola. “Se non ricordo male, nella tradizione folcloristica, le pallottole d'argento uccidono i licantropi. I... vampiri si uccidono infilando un paletto di frassino nel cuore e poi decapitandoli”. Mentre pronunciavo quella frase, Katia aveva spostato lo sguardo sul corpo. Il suo volto si era a quel punto trasformato in una maschera d'orrore. Mi voltai anch'io. Gustavo era ora seduto, con un sorriso che metteva in mostra i suoi canini lucenti. I capelli neri brillavano e gli occhi erano indescrivibili: azzurri come il mare, eppure rossi come il fuoco. Provo ancora un brivido sottile ripensando al tono suadente di Gustavo nel pronunciare quelle quattro, semplici parole, un secondo prima di avventarsi su di noi con la velocità del fulmine, cambiando le nostre vite per sempre: “Precisamente, amico mio. Precisamente.”
L’EVENTO Simona Bellini, Credaro (BG)
Fissava la cassa da morto e si sentiva disperatamente in colpa. Lo sapevo, lo sapevo. Continuava a ripetersi in preda alla frustrazione. Era passato un po’ di tempo dalla prima volta, e per quanto la cosa non la rendesse orgogliosa, poteva di certo dire che non aveva mai fallito. Guardandosi attorno si arrovellava il cervello per capire con chi poteva parlarne. A chi poteva confidare quel tumulto interiore che provava ogni qualvolta si verificava quello che lei definiva l’evento? Non certo a suo marito, lui era così concreto, così come dire troppo con i piedi per terra, lui non credeva a queste sciocchezze. Addirittura una volta quando lei gli aveva accennato la questione era andato a tirar fuori una vecchia tessera del Cicap di cui lui era uno dei fondatori. Le aveva parlato di tutti gli scienziati, che ogni giorno combattono contro l’ignoranza delle masse per spiegare con metodo scientifico quello che viene definito paranormale, miracolo o evento, liquidando la questione con un sorrisetto e lo sguardo indulgente di chi sta parlando con una bambina. E poi lui neppure c’era, era in viaggio bontà sua come sempre ,quando serviva. Meglio così, si disse, lo avrebbe avuto tra i piedi con quel suo fare preoccupato, sempre lì a controllare se stava bene, se aveva bisogno di qualcosa…. Ma mai ad ascoltarla veramente. Parlarne con Don Filippo? In fondo chi meglio di un uomo che crede nello spirito Santo nel Dio uno e trino nella verginità di una donna che ha partorito un figlio, che poi è pure resuscitato poteva ascoltarla, consolarla, darle un consiglio? Gli si avvicinò mentre dava la benedizione alla morta e ai fedeli riuniti nella piccola stanza. Recitava di fretta le preghiere, trascinava le parole tanto che neppure si capiva cosa stesse dicendo. Come se avesse fretta di andarsene a fare altro.
A mangiare, pensò, mentre l’orologio a cucù batteva le dodici. Decise che no, non era una buona idea, non per ora almeno. Camilla non ne poteva davvero più, aveva bisogno di dirlo a qualcuno, ma a chi? E anche se avesse trovato qualcuno disposto a darle 5 minuti del suo tempo, come avrebbe iniziato? Andò in bagno, non quello vicino alla cucina, quello di sopra , che la zia non usava più perché troppo scomodo. Si sedette sul bordo della vasca. Prese lo specchietto da barba, vecchio e mal ridotto, dello zio e guardandosi dritta negli occhi iniziò a raccontarsi quello che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire a nessun altro. “Si ecco io devi sapere che…Bé no, che sciocca già lo sai… E’ che quando incontro qualcuno, non sempre ovvio, solo quando quel qualcuno è già arrivato, cioè giunto alla sua ora, io sì insomma già so che a breve morirà. Non sono io a deciderlo, sento come una voce, forse più una sensazione, che mi dice che quella persona morirà di li a qualche ora o giorno. Io vorrei dirglielo, ma so che non mi crederebbe, e non solo quello, come potrei dire una simile verità? Nessuno vorrebbe sapere quando è giunta la sua ora. Stava ancora raccontando i fatti a se stessa, quando sentì bussare alla porta. Strillò! Maria, una delle pie donne venute per la veglia, non capendo il perché di tanto scompiglio, esordì con un “ Che gridi, credevi fosse lo spirito della zia venuto a salutarti?” Mai frase poteva essere più adatta e veritiera. Dai scendi giù, tutti ti cercano, devono chiudere la bara, non vuoi vederla per l’ultima volta? Camilla non voleva scendere, non voleva trovarsi in mezzo a tutta quella gente e magari sentire di nuovo quella sensazione.
A malincuore dovette ammettere che quel segreto sarebbe rimasto tale, una scomoda verità con cui fare i conti. Nessuno le avrebbe dato retta, chi era lei per avere quel dono, se cosi lo si poteva definire? Ciò che lei poteva impegnarsi a fare era incontrare il minor numero di persone possibile. Ma questo lo avrebbe fatto da domani. Con gli occhi bassi scese le scale, e quando la sensazione si rifece sentire li chiuse per non vedere chi sarebbe stato il prossimo.
NIENTE QUIETE PER ARISTOCLE - RACCONTO VINCITORE Sara Montanari, Cremona
Siamo nei Campi Elisi, una delle zone in cui era diviso l’Oltretomba per gli antichi Greci. Due ombre chiacchierano amichevolmente mentre passeggiano. “Come sta oggi Aristocle?” “Non bene. E’ in fase depressiva, continua a mugugnare e a ripetere che nessuno lo comprende.” “Non capisco bene che cosa l’affligga. Alcune volte è euforico, continua a ridere a crepapelle ripetendo frasi senza senso come: “Che sciocchi! Continuano a cercarla! Litigano tra di loro e ognuno è convinto di averla trovata, per qualcuno è nell’Egeo, per altri si trova alle Bahamas e qualcun altro sostiene di avere le prove che sia in Antartide! Che spasso! Se solo sapessero che mi sono inventato tutto! Peccato non poterglielo dire per vedere le loro facce! Ah, ah!” Sembrava gli avessero raccontato la storia più divertente del mondo.” “E’ vero. Oggi, invece, se ne sta da solo in un angolo ad autocommiserarsi. Prima gli sono passato vicino ed ho sentito una parte dei suoi lamenti: “E io che, attraverso le mie opere, volevo illustrare lo Stato perfetto e il modo corretto di comportarsi nella sua gestione. Ho sprecato anni e anni a spiegare che solo uno Stato virtuoso ha il diritto di sopravvivere. Ho descritto nei particolari a cosa può portare l’arroganza e l’eccessiva ricchezza, ma quegli stolti non hanno capito niente del mio insegnamento, anzi, lo hanno sovvertito! Che disperazione, povero me! Nessuno ricorda più la virtù dei cittadini da me descritta con tanta cura, mentre è rimasta vivida memoria della popolazione da me additata come esempio di come non ci si deve comportare! Come se non bastasse questo popolo è spesso considerato come uno dei più degni rappresentanti dell’umanità! Ho fallito!” E via di questo passo per tutto il giorno.” “Mi fa una pena! Ma è ridotto così fin dal suo arrivo?” “Macché! Anzi! Inizialmente era tutta un’altra persona: un intelletto eccelso, una mente attenta, sempre disponibile ad esporre le sue teorie a chiunque volesse ascoltarlo. Certo, era un po’ pieno di sé, come tutte le grandi personalità, ma era un piacere ascoltare i suoi discorsi e le sue accese discussioni con i suoi pari!” “Lo credo bene! Ma allora, da quanto tempo è ridotto in questo stato?” “Non da molto, se si considera il tempo che aveva già passato qui con noi, in termini umani saranno cento o centocinquant’anni, ma quello che è peggio è che, se i viventi persevereranno in un certo tipo di interpretazione delle sue opere, questo tormento, per lui, potrebbe continuare per l’eternità!” In quel momento l’ombra, che in vita era stata Aristocle, lanciò un grido acuto, si accasciò a terra e ricominciò a piangere disperatamente emettendo dei gemiti da straziare il cuore. Le ombre che si trovavano nei pressi accorsero in suo aiuto, cercando di consolarlo e di donargli un po’ di conforto. Una in particolare, il suo vecchio maestro, gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, cercando di rincuorarlo. “Avanti, Aristocle, coraggio. Non puoi ridurti in questo stato tutte le volte che nel mondo dei vivi qualcuno sostiene che la storia di Atlantide da te narrata corrisponde a realtà storica. Molti sanno che era solo un modo per sostenere le tue teorie, ma altri preferiscono credere al mito come se fosse una verità accertata. Entro certi limiti, credere che Atlantide rappresenti l’età dell’oro del genere umano potrebbe spingere la gente a migliorarsi. Potresti, così, raggiungere il tuo obbiettivo seguendo un diverso percorso.” A quelle parole di conforto, Aristocle, dai più conosciuto come Platone, fece un timido sorriso.
Oltre Mirco Corridori, Genazzano (Roma)
La foto che le bambine avevano scattato non mentivano. – È straordinario! – esclamò il professore sistemandosi gli occhiali – È la prova che la razionalità non è un pregio, ma un limite della nostra natura. La razionalità erige un muro intorno a noi e ci impedisce di vedere oltre. – Oltre, professore? Cosa intende? – Intendo oltre, al di là del comune pensare. – Potrebbero esserci spiegazioni più... come dire... semplici – balbettò la donna. – Oh – sbuffò il professore – Come potete pensare che due bambine così ingenue siano in grado di progettare uno scherzo del genere? È fuori dubbio che le foto siano vere. Guardi questa – disse poi indicando la prima delle cinque immagini che aveva di fronte a sé – Guardi questi piccoli esseri come ballano, giocano. Addirittura ce n'è uno che sta suonando un piffero. – Sono così piccoli – sospirò la donna. – Inoltre abbiamo chiesto ai maggiori esperti del settore ed è risultato che le foto non presentano contraffazioni. – Vuole dire che non è un fotomontaggio? – chiese la donna prendendo la seconda foto. Un essere minuto, dieci volte più piccolo della bambina, saltella su un prato costeggiato da una fila di alberi e un muro di media altezza. La bambina è seduta e gli sorride divertita. La sua mano potrebbe avvolgerlo e nasconderlo del tutto per quanto piccolo. – Nessuna doppia esposizione, nessun montaggio. Le lastre che abbiamo fornito alle due ragazzine erano numerate. Non ci sono dubbi sulla loro autenticità – pontificò il professore fissando le foto con insistenza. – Questi piccoli esseri di cui non avevamo provato l'esistenza, che abbiamo raccontato nelle favole e nelle leggende popolari, esistono davvero! Capisce cosa voglio dire? – continuò con un vistoso moto di entusiasmo. – Credo di aver capito, professore – disse la donna. – Vuol dire che dovremo rivedere tutti i valori a cui la nostra civiltà fa riferimento. La scienza e il progresso tecnologico che valore possono assumere in una società che non accetta l'esistenza dell'irrazionale? – Capisco – ripeté la donna. Prese la terza foto. Un ometto minuto sembrava compiere un grosso salto mentre la ragazzina, evidentemente impaurita, tirava indietro la testa. – Cos'ha intenzione di fare con queste foto? – chiese la donna. – Le renderò pubbliche – rispose il professore – Tutti devono venirne a conoscenza. La donna esitò. Avvicinò la foto agli occhi. Osservò i lineamenti della piccola creatura che la bambina stava fissando mentre si avvicinava con un balzo. – Ha un sorriso così ingenuo – disse – Sembra che non conosca la reale entità della nostra natura. Non sa che siamo malvagi, che abbiamo causato milioni di vittime con le nostre guerre. Non sa quanto sangue abbiamo versato in nome del progresso. Professore – continuò dopo una breve pausa – credo che debba tenere questa scoperta per sé. – Perché dovrei? – chiese lui. – Queste piccole creature non vivranno più in pace quando il mondo saprà di loro. – Oh – ridacchiò il professore – Le foto sono già pronte per la stampa e domani verranno pubblicate sui maggiori quotidiani. Vedrà, il mondo non sarà più lo stesso, glielo posso garantire. Sarà migliore! La donna annuì. Domani il mondo non sarà più lo stesso, ripeté mentre usciva. Aprì la porta e sospirò. Poco lontano c'era il bosco in cui quei piccolo esseri erano stati trovati e fotografati. In cuor suo sperava che quella storia fosse falsa, inventata, perché se non fosse stato così non immaginava cosa sarebbe successo a quelle creature. – Gli umani non esistono – sussurrò convinta. Poi presa da un'improvvisa stanchezza si stiracchiò, spiegò le ali e volò verso casa.
Punti di vista Andrea Bellizzi, Roma
Vedendo l’espressione dell'Ispettore, gli addetti alla Sezione "S" si affrettarono a lasciargli libero il passaggio che conduceva alla Postazione 6. «E’ successo alle 7 punto 25 di questa mattina, signore», comunicò immediatamente l’operatore della P-6. «La fonte dell'avvistamento?» «Il caposquadriglia Itia, signore, con la conferma del secondo pilota e degli altri due membri dell'equipaggio.» In pieno giorno. E il caposquadriglia Itia aveva un'impeccabile scheda di servizio, rifletté l'Ispettore. «Riscontri tecnici?» «Abbiamo un tracciato radiar anomalo, qui alla postazione, e sul computer del Turbine 41-4 la registrazione sonora dell'avvistamento, una scansione dell'area di volo e una ripresa video effettuata dal puntatore, signore.» L'Ispettore corrugò la fronte. «Il caposquadriglia ha comunicato la qualità della ripresa?» «Sì, signore. Il caposquadriglia Itia afferma che la ripresa è molto buona.»
Come da protocollo, per primo venne interrogato l'ufficiale con il grado più alto. «E' questa la p-cam utilizzata dal suo puntatore, caposquadriglia Itia?» «Confermo, signore.» «E lei conferma che il video registrato in questa p-cam corrisponde all'avvistamento da lei effettuato alle 7 punto 25 di questa mattina?» «Confermo, signore. Alle 7 punto 25 di questa mattina, signore.» L'Ispettore guardò la p-cam e il grande schermo RPR a cui era stata collegata, ancora spenti. «E si tratterebbe di una croce volante», concluse. «Sì, signore. Si tratta di una croce volante, signore. Io e il mio equipaggio l'abbiamo vista bene, e anche nel video si vede molto bene, signore.» L'Ispettore diede le spalle al caposquadriglia, per non tradire l'emozione. «Va bene. Verifichiamo.»
Voce 1: «Lo vedi?» Sprazzi di nuvole chiare e distese di celeste chiaro. Voce 2: «Dove? Non vedo niente. Dove?» Immagini sfocate. L'obiettivo si sposta troppo velocemente a destra e sinistra. Voce 1: «Ma come non lo vedi! Nord quattro est, accidenti. Registra, prima che sparisca!» Una macchia di colore chiaro. Più chiaro del celeste del cielo. Voce 2: «Lo vedo, lo vedo!» L'immagine balla. A volte si vede meglio e a volte invece peggiora. Voce 2: «Porca puttana, è una croce volante... Ma non riesco a metterla a fuoco bene.» L'immagine balla ancora. Voce 1: «Se non la riprendi come si deve, ti impicco con le tue budella, Svali. Mettila a fuoco, accidenti a te!» Voce 2: «Va bene, ci provo.» L'immagine smette di ballare, ma è così chiara che i contorni dell'oggetto ogni tanto si perdono. Voce 2: «Porca puttana, è come se fosse illuminata da dentro e se vibrasse.» Voce 1: «Me ne frego se è piena di lampadine o di saltafossi! Mettiti a vibrare pure tu, ma fa in modo che si veda bene, capito?» Voce 2: «Capito, capito!» Lo zoom avvicina l'immagine, il contrasto aumenta leggermente e per qualche secondo l'oggetto di metallo, assurdamente suddiviso in due tronconi disuguali, si vede chiaramente.
«Merda», si lasciò sfuggire l'Ispettore. La croce volante era lì, sospesa nel vuoto, ed avanzava senza ruotare su sé stessa, seguendo una linea retta. Sulla fiancata più massiccia c'era anche una scritta, in una lingua incomprensibile ed aliena. «Stavolta non ci sono dubbi», disse l'Ispettore, impressionato. «Si tratta di un apparecchio che proviene da un altro pianeta.»
Passarono quattro anni prima che gli scienziati scoprissero l'effetto di distorsione spazio temporale generato dai motori a fotoni dei Turbine serie 41. Nel frattempo, molti di quelli che videro il video con la croce volante e la misteriosa scritta “PAN AM” ebbero modo di impallidire parecchio, rispetto al loro verde scuro abituale.
“Neanche i contributi” Paola Rinaldi, Roma
Le patate la terrorizzarono: sul tavolo cotte e sbucciate a puntino, accanto la pentola pulita. “Ma io ero uscita scordandomi le patate sul fuoco!”. Lo stomaco in una morsa Paola si guardò attorno: tutto come l’aveva lasciato, del resto l’allarme non segnalava nulla. Però, solo, ecco, sul terrazzino, quelle pagine di riviste vecchie per gli imballaggi erano state allineate una accanto all’altra e amorevolmente lisciate. Lesse “Un Cuore per Sempre – l’amore per chi non ha l’amore”.
“ ‘Un Cuore per Sempre ’ ? Sono anni che non me lo chiedevano - disse il giornalaio -. Sa, lo prendeva la badante di quell’invalida, ma sì proprio dove sta Lei adesso. … Poverina, se lo leggeva alla sera, un po’ di pace, vent’anni dietro a quella vecchia tremenda…. Piangeva quando gli eredi l’hanno mandata via, non sapeva dove andare... sola. Disgraziata chissà… La rivista se ce l’ho ancora? Certo, ‘Fuggitiva d’amore’, ‘Giuramento nel vento ’, li prende tutti?”
La sera. col cuore in tumulto, Paola depose la rivista nel terrazzino, accanto allo stendino carico di bucato, fece posto anche per una sedia, e decisa chiuse la porta. Sul terrazzo la mattinata era splendida: anche i vetri luccicavano e la maniglia pareva d’oro; il bucato perfettamente stirato brillava nell’aria profumata. Una brezza gentile (una brezza?) agitava le pagine de ‘Il Sentiero dei baci rubati ’ aperto sulla sedia.
Il caos delle altre stanze alle spalle, Paola guardava incantata: si sa che i fantasmi hanno sempre avuto un certo qual ‘feeling’ per le lenzuola, ma così, perfino i fiori del ricamo sul bordo, veniva voglia di coglierli. Timidamente sfiorò una federa ‘Neanche i contributi pretende ‘ pensò commossa e rivolta alla luce: “Ti piacerebbe Dumas? Intanto ti compro tutta Liala, lo prometto”.
SOGNI NON PREMONITORI Paolo Molinaro, Modena
Vorrei raccontarvi alcuni eventi inquietanti, accadutimi in questi ultimi anni, per tentare insieme con voi una riflessione. Circa quattro anni fa – forse la cena della sera precedente era stata un po’ troppo pesante – sognai che all’improvviso era morta una mia cugina. Ero molto addolorato poiché si trattava di una donna molto bella, ancora piuttosto giovane, sposata da poco e con due bambini ancora in tenera età: insomma un vero e proprio dramma. Ricordo ancora la scena: candelabri, la sfilata di parenti e amici, mentre qualcuno, il cui volto non riuscivo ad identificare, mi diceva che la morte era avvenuta per non meglio identificate “cause naturali”. Mi svegliai di soprassalto ma non dissi niente a mia moglie, che intanto si era anche lei svegliata per il mio sobbalzo. Ma se da un lato cominciai a rilassarmi, pensando che si trattava solo di un sogno, mi rimase per lungo tempo la sgradevole sensazione che si trattasse di una premonizione. Ebbene, come vi ho detto, sono trascorsi ormai quasi quattro anni e mia cugina è ancora viva e vegeta e inoltre gode di ottima salute!!! Vi sembra straordinario? Allora sentite questo fatto ancora più eccezionale! L’anno scorso mi hanno rubato la macchina: non è questa la cosa eccezionale ovviamente, capita ogni giorno nel mondo a tante persone, ma sono eccezionali gli sviluppi successivi. Cominciamo dall’inizio: la mia auto era quasi nuova, il contachilometri segnava poco più di 10.000 Km e quella mattina avevo parcheggiato davanti ad un negozio per un acquisto urgente, che mi avrebbe occupato non più di 10 minuti. Omisi, quindi, di azionare i diciotto antifurto che avevo installato a scopo precauzionale; così, uscito dal negozio, non la ritrovai più! Sono stato male per settimane per l’affronto subito e non volevo saperne più di guidare: andavo in giro in autobus o a piedi o a ricasco degli amici. Qualche tempo dopo partii per le vacanze in treno, con tutti i disagi facilmente immaginabili. Una notte, mentre ero in albergo all’estero, sognai che dal Commissariato del mio quartiere mi telefonavano per annunciarmi il ritrovamento della mia auto. Nel sogno mi precipitavo subito sul posto del ritrovamento ed eccola lì in perfette condizioni: i ladri me l’avevano persino lavata e lucidata, cosa che io stesso trascuravo spesso di fare. Destatomi dal sogno, non stavo più nella pelle: sicuramente si trattava di una premonizione di ciò che magari era già avvenuto. Magari dal Commissariato non potevano rintracciarmi all’estero per comunicarmi la notizia. Gli ultimi giorni di vacanza furono una vera tortura: ero in fibrillazione, volevo sapere la verità. Tornato finalmente a casa, mi precipitai a telefonare al Commissariato: “Pronto, sono Molinaro, per caso avete ritrovato la mia auto?” “Dotto’, ma quale ritrovata…” mi rispose un annoiato ispettore “ glielo ho già detto…a quest’ora la sua auto l’avranno fatta a pezzettini per i pezzi di ricambio oppure l’avranno spedita all’estero, con il numero di telaio cancellato…”. Siete stupefatti, vero? Ma la cosa più straordinaria mi è successa il mese scorso: ho sognato che ero tornato bambino e sedevo di nuovo sui banchi di scuola. La cosa più stupefacente era però che il maestro era un mio vecchio zio, morto da alcuni anni, che ad un certo punto cominciò ad indicarmi alcuni numeri scritti sulla lavagna. Mi svegliai, ancora una volta di soprassalto e corsi, in piena notte, a scrivere quei numeri su di un pezzo di carta. Da allora, naturalmente, due volte alla settimana gioco e rigioco al Superenalotto quei numeri fornitimi dall’aldilà ma, inutile dirlo, il risultato più favorevole è stato due. Ma la storia non finisce qui!: la settimana scorsa ho avuto per tutto il giorno la sgradevole sensazione di dover fare qualcosa, ma che cosa? Verso sera finalmente me ne ricordo: era mercoledì, dovevo giocare al Superenalotto! Guardo l’orologio: le 19,15, troppo tardi! La sera a cena, ero determinato a non guardare i programmi televisivi per non sapere quali fossero i numeri estratti e invece lo speaker del telegiornale li lesse a tradimento, per annunciare una grossa vincita avvenuta da qualche parte… ebbene tra quelli vincenti...nemmeno uno del mio sogno! Avevo risparmiato almeno 3 €! Ne sono consapevole. Molti di voi non crederanno a una parola di quanto ho fin qui raccontato eppure, ve lo posso assicurare, è tutto rigorosamente vero! Molti altri, invece, penseranno che si tratta di eventi insoliti - sotto molto aspetti anche straordinari – ma pur sempre spiegabili con le comuni cognizioni umane. Pur condividendo in via di principio la loro posizione, vorrei però chiedere ai signori scettici se non ritengono che l’insieme di tanti eventi strabilianti, per di più susseguitisi a così breve distanza di tempo, non c’impongano un approfondimento sui misteri che ancora avvolgono la nostra esistenza.
Sono milioni Mirco Corridori, Genazzano (Roma)
- È assolutamente impensabile che questa specie di vaso di terracotta possa essere un manufatto alieno. - Eppure sembra che qualcuno abbia visto degli oggetti non identificati volare da queste parti, ultimamente. - Non crederai a queste sciocchezze, spero? - Io credo solo a quello che vedo, e davanti a me c'è una pila elettrica vecchia di almeno millecinquecento anni. - È chiaro, gli ALIENI, millecinquecento anni fa, erano dotati di lettori mp3 che funzionavano con batterie del genere! Fammi il piacere! - Non essere sarcastico. Queste che tu chiami batterie, se messe in serie, possono alimentare una torcia elettrica senza alcun problema. - Spiegami cosa se ne fanno gli alieni di un torcia. Stiamo parlando di esseri intelligenti in grado di spostarsi velocemente in ogni punto della galassia. - Non al buio, evidentemente. - Oh, bene, dimmi allora come dovrebbero essere questi extraterrestri che ci hanno lasciato una pila elettrica qui a Baghdad, vicino a questa ridicola scultura moderna. - Non te lo saprei dire con certezza... - Sono verdi, squamosi e con la lingua biforcuta? Mangiano topi in un boccone? - Non dire sciocchezze! - Oppure grigi, con grandi occhi allungati su una testa a forma di uovo. - Non ho molta voglia di scherzare, smettila dai! - Oppure potrebbero essere famelici, avere tre fila di denti e magari potrebbero tornare per nutrirsi di carne umana. - Guarda che qui a Baghdad non vedono quel genere di film. - Intendi rimanerci a lungo per questo motivo? - Finché non troveremo altre pile. Continueremo a scavare vicino a questa statua, dove abbiamo trovato la prima. - È la scultura più strana che abbia mai visto. Cosa dovrebbe rappresentare? - Non ne ho idea. Ho passato anni a studiare archeologia e non ho mai avuto tempo per approfondire l'arte moderna. - Be', in ogni modo sarai d'accordo che una statua di venti metri raffigurante un coniglietto rosa con un tamburino a tracolla sia strana, non pensi? - Finalmente siamo d'accordo su qualcosa. - Hai notato che ha un vano dietro la gamba? Hai provato a infilarci la pila? - Perché dovrei? - Provaci, non penso che sia pericoloso. - Hai ragione, si incastra perfettamente. - Visto? Ti ho aiutato a risolvere un mistero. - È una coincidenza davvero particolare. - La statua del coniglietto si è mossa. - Stavolta sei tu ad avere troppa immaginazione. - Ho sentito nitidamente il rumore di un tonfo, come se il coniglietto avesse battuto una bacchetta contro il tamburo. - Impossibile! - Guarda lì su. Vedo dei puntini avvicinarsi. - Sembrano dirigersi da questa parte. - Si stanno avvicinando sempre di più. - Sono identici alla statua del coniglietto. - Sono milioni.
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 1 (Menzione speciale) Giovanni Perini, Masserano (BI)
Un alito di vento si infilò nella vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. Nessuno dei due la vide. Stavano guardando in un’altra direzione.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - Qualche volta. Di nuovo silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma poteva sentire il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno davvero gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi. - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può proprio. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Ma magari ci sbagliamo. Magari l’Universo è eterno e infinito e il limite della velocità della luce non esiste. - Beh, tutto è possibile, però... la radiazione cosmica di fondo... le galassie che sembrano allontanarsi le une dalle altre... le lenti gravitazionali... è difficile pensare che ci stiamo sbagliando così tanto e su cose così importanti. - Eppure ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero che li vediamo? - Perchè? Perchè dovrebbero nascondersi? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Forse non vogliono interferire con la nostra evoluzione. - Può essere. Ma potrebbero almeno presentarsi, sbucare da una nave spaziale e dire: “Buongiorno. Siamo alieni. Veniamo da Zubenelgenubi. Adesso però ce ne andiamo perchè è meglio per voi che facciate la vostra strada da soli. Piacere di avervi conosciuti.” Almeno questo. Se no, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però, qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
Zig allungò un tentacolo sulla proiezione tridimensionale di fronte a lui. Fece scorrere alcuni dati, su altri si soffermò un po’di più. Il ciuffo di peli sulla sua testa si illuminò di una luce cangiante: - Qui è tutto a posto, Zag. L’Emettitore di Radiazione di Fondo è ok, e anche il Simulatore di Red-Shift è ancora perfettamente tarato. - I Distorsori Spazio-Tempo sono tutti in perfetta efficienza! - illuminò Zag in risposta. - Che facciamo adesso, Zig? Cambiamo qualche parametro? - Mmm... già ma cosa? Ci vorrebbe qualcosa di grosso, Zag... - Gli mettiamo qualche strano isotopo sulla prossima cometa? - E’ un’idea! Però... e se lasciassimo perdere l’astrofisica? Sta cominciando ad annoiarmi. - Ci sono! - lampeggiò Zag - Inneschiamo una piccola era glaciale! - Grandioso! Cerco subito un angolo di risonanza per l’Induttore Termo-Oceano-Atmosferico! I cinque tentacoli di Zig cominciarono a muoversi rapidamente sui comandi della nave spaziale. Il suo ciuffo si colorò di Rosso Divertimento al solo pensare al fiume di stupidaggini che avrebbe letto sulle riviste scientifiche di quei laboriosi e comicamente seri mammiferi bipedi.
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 2 (Menzione speciale) Giovanni Perini, Masserano (BI)
Un alito di vento si infilò nella vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. - La! - disse lui, puntando un dito quasi invisibile nel buio della notte. - Me la sono persa... - gli fece eco lei con un sussurro.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - Qualche volta. Di nuovo silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma poteva sentire il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno davvero gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi. - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può proprio. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Eppure ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero comunicare con noi? - Perchè non dovrebbero? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Se sono così evoluti da arrivare fin qui, forse noi non abbiamo niente di interessanti da dire, per loro. - Può essere. Ma anche se è probabile che saranno loro a insegnare a noi, più che il contrario, un confronto sarebbe interessante per entrambi. Chissà se la loro matematica è uguale alla nostra? Chissà se le loro leggi fisiche sono simili a quelle che abbiamo intuito noi? Sarebbe comunque uno scambio interessante e costruttivo per entrambi, non vedo perchè dovrebbero ignorarci. E poi, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
- Ehi Zag! - il ciuffo di peli sulla testa di Zig cominciò ad illuminarsi di una luce cangiante - Guarda un po’ cosa hanno rilevato i sensori? - Nooo! - lampeggiò Zag in risposta - Non posso crederci. Di nuovo! - Proprio così Zag, attività elettromagnetica! Questo sistema stellare è abitato da forme di vita intelligenti, anche se sono ancora in fase prespaziale. - Ma guarda che sfiga... E adesso che si fa? - Beh, potremmo chiedere il permesso agli indigeni e piazzarlo lo stesso... - Non ci penso nemmeno, Zig! L’ultima volta che ho preso contatti con una civiltà prespaziale è stato un tormento... e come si fa ad andare più veloce della luce... e qual’è la formula per calcolare tutti i numeri primi... e qual’è la massa del gravitone... un arricciamento di tentacoli che neanche t’immagini! - Ho capito, Zag. Inverto la rotta prima che ci vedano. - Sì sì, è meglio Zig. Andiamo a cerarci un altro sistema per il traliccio dell’astroripetitore. E che sia disabitato! - Ok Zag. Ma facciamo in fretta. Se lasciamo un’altra area scoperta, ‘sta volta quelli della Galaxytel ci mandano a cavare uranio dagli asteroidi, te lo dico io...
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 3 (Menzione speciale) Giovanni Perini e Dario Nicosia, Masserano (BI)
Un alito di vento infilò la vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. - Eccola! - Bisbigliarono insieme, puntando il dito.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - A volte. Silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma sentiva il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero fare amicizia con noi? - E perchè no? Forse non ci guadagnerebbero nulla ma nemmeno avrebbero niente da perdere. Anche solo per fare quattro chiacchere, scambiarsi qualche opinione; anche solo per conoscere qualcuno così profondamente diverso. Perchè non dovrebbero volerci conoscere? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Forse sono creature solitarie. - Forse. Potrebbero almeno presentarsi, sbucare da una nave spaziale e dire: “Buongiorno. Siamo alieni. Veniamo da Zubenelgenubi. Adesso però ce ne andiamo perchè non ci piace la compagnia”. Almeno questo. Se no, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
Il ciuffo di peli sulla testa di Zig s’illuminò all’improvviso di una luce cangiante. - Zag! Sono riuscito a intercettare i loro sistema di trasmissione e ho programmato il traduttore. - Fantastico! Adesso possiamo farci un’idea di che tipi sono questi simpatici bipedi... non vedo l’ora di conoscerli! Non sto più nella cuticola! - Cerco subito un archivio di notizie! Figure multicolori apparvero e scomparvero davanti ai due alieni, finchè non si fermò un’immagine piatta, bianca e nera, che un terrestre avrebbe trovato familiare. - Ecco! Vediamo cosa c’è scritto qui. “Bruciàti in piazza i libri di Harry Potter. Allontanano i bambini dalla Religione” Altro muoversi di tentacoli, altra immagine. “Petizione per eliminare i codici a barre. Conterrebbero il numero 666, il numero del Diavolo” Infine, una terza immagine. “Uccide a fucilate il vicino di casa: gli aveva fatto il malocchio” Dopo una lunga pausa, fu Zag a rompere il buio. - Sei sicuro che il traduttore funzioni come si deve? - Sicurissimo - lampeggiò Zig in risposta. - Senti... - Sì? - A dire il vero non ho più tutta questa voglia di conoscerli, questi qua... - E’ passata anche a me. Torniamo indietro? - Sì, è meglio. Torniamo all’Astrogrill e prendiamo un’altra rotta. Cerchiamo qualcuno meno fuori di testa.
Una strana giornata Lorenzo Ghelfi, Milano
Non mi succede spesso di dormire fino alle nove del mattino e di svegliarmi con questa sensazione di totale benessere fisico. Da anni le mie notti si compongono di una esasperante serie di risvegli e successivi sforzi per cancellare i pensieri angosciosi e riprendere il sonno prima che la veglia si cristallizzi in uno stupore insopportabile. Ma stamane tutto sembra circonfuso da un’aura di delizioso appagamento che mi permea facendomi sentire come una gatta su una copertina di lana stesa sul calorifero. Giorgio, per convincermi dell’esistenza dei nodi di Hartmann, mi suggeriva di guardare dove si sistema il gatto a dormire; LI, sosteneva, c’è certamente un nodo! Povero Giorgio, anima semplice e aperta alla fascinazione dell’improbabile, non si è mai reso conto della corrispondenza tra i suoi “nodi” e le fonti di calore o di morbidezza! Ad ogni modo, un nodo deve essere traslato improvvisamente sotto al mio letto, perché la sensazione che ho provato al risveglio è stata di grande rilassamento e al contempo di prorompente energia interiore che mi rende pronta ad affrontare con decisione qualunque problema. Già, problemi, la mia vita ne è stata sempre piena, ma non di quei bei problemi esistenziali che ti fanno sentire intelligente (per intenderci, roba del tipo da dove vengo, che scopo ha l’esistenza e che senso ha la mia presenza nell’infinito cosmico). No, piuttosto più verso il tipo: ma come faccio a pagare la 37° rata del mutuo visto che questo mese devo pagare luce, gas, riscaldamento e ridare a Giorgio i 400 euro che mi ha prestato il mese scorso? Ma oggi sento che tutto mi sarà facile, so che qualcosa è improvvisamente cambiato, so che, per esempio, tra poco il postino suonerà alla mia porta con una raccomandata. Bene, tanto vale che mi lavi e mi vesta per farmi trovare pronta. Ecco fatto, suonano. La raccomandata mi annuncia che devo presentarmi il 27 dal notaio per importanti comunicazioni che mi riguardano. Telepaticamente trasmetto a Giorgio la notizia che salderò il mio debito entro il 30, visto che sto per ricevere un’eredità di 800.000 euro dalla zia Caterina, pace all’anima sua. Già che ci sono gli consiglio di non prendere il treno delle 10,15 perché deraglierà poco dopo la partenza. Decido di uscire, ma non riesco ad infilare la chiave nella serratura, la controllo e mi rendo conto che è storta, mi concentro, la raddrizzo e chiudo. Sono in ritardo per il lavoro ma non è un problema: sposto indietro gli orologi dell’ufficio quanto basta per farmi arrivare in orario. Mi fermo un attimo al botteghino del lotto a giocare i numeri che usciranno nel pomeriggio: 24 13 85 e 32. Peccato che non riesca a vedere più di quattro cifre! Sposto sul verde il semaforo e attraverso senza curarmi del camion che, sorpreso dal repentino passaggio al rosso, mi sta piombando addosso: uno sguardo di sfuggita basta per bloccarlo. Il capo mi guarda come se mi vedesse per la prima volta, penso che devo aver esagerato nel ridisegnare il mio corpo, osservandolo meglio, vedo la massa tumorale che si sta formando nel suo polmone destro. Gli appoggio la mano sul torace facendoglielo sparire anche se non se lo meriterebbe visto come mi tratta, ma in fondo è un brav’uomo. Tornando a casa ripenso alla mia giornata. Decisamente all’altezza delle aspettative del mattino. Ci dormirò sopra e domani, quando tornerò ad essere me stessa, non mi chiederò se il nodo di Hartmann sarà ancora li, in fondo di giornate così ne può bastare una nella vita!
Uomini eccezionali Andrea Bellizzi, Roma
Dentro la piccola stanza imbottita, il professor Moreder si muoveva avanti e indietro con lentezza pensosa, ed improvvisi, piccoli scatti di ribellione. Dietro una piccola grata nascosta, il dottor Rednic scosse la testa. «Come una belva in gabbia. Oramai il professor Moreder adotta anche le movenze di un lupo. Guardi anche lei, dottoressa.» Il dottore si spostò leggermente e la dottoressa Ionescu guardò a sua volta, con la sensazione nettissima, mentre osservava l'andirivieni del professore, che Rednic approfittasse della vicinanza per odorarle i capelli. «I calmanti che gli abbiamo somministrato non hanno avuto effetto», osservò il dottore. «Non resta che aumentare le dosi più decisamente.» La giovane psichiatra aggrottò la fronte. «Dosi più forti delle attuali potrebbero provocare danni pericolosi. Proviamo di nuovo un approccio verbale.» Anche il dottore aggrottò la fronte. «Di nuovo? Ha già dimenticato quello che è successo l'ultima volta?» La dottoressa impallidì leggermente. «Starò più attenta.» «Come l'assistente del professore, il giovane Mitenka?» Rednic sorrise ironicamente, chiudendo la grata. «Secondo la polizia, ci sono buone probabilità che il professore l’abbia ucciso. In questi casi l'approccio psicologico serve a poco. Abbiamo di fronte un individuo pericoloso. Un'ex mente brillante, ossessionata da studi insensati e da ridicole convinzioni.» Il dottore indicò la porta a vetri che si trovava alla fine del corridoio. «Andiamo fuori a prendere un po' d'aria. Dovrebbe essere una bella serata.» In effetti il tempo era piacevole e la luce lunare rischiarava gran parte della campagna. «Non bastavano le sue ricerche dilettantesche sui vampiri, doveva fissarsi anche con i lupi mannari», disse Rednic, scandendo “lupi mannari” con evidente disprezzo. «Lei è molto duro con il professor Moreder», protestò la psichiatra. «Ho letto che da molti viene considerato un luminare.» Il dottore si voltò con espressione irritata. «Un luminare? Per quale pubblico di sciocchi? Conosco bene i tipi come lui. Invece di lavorare duro, di studiare con metodo e rigore le cose che non capiscono, preferiscono prendere scorciatoie fantasiose e grossolane.» Rednic posò le mani sulle spalle della ragazza e la guardò con decisione. «Dia retta a me: chi va dietro a questi scadenti deliri dell’immaginazione non può che rimetterci l’integrità mentale.» La dottoressa si sentì scossa e turbata. Oltre al contatto delle mani di Rednic e all’intensità del suo sguardo, avvertì il profumo della vegetazione circostante e la frescura del vento sulle braccia scoperte e sul collo. Le pupille di Rednic, inoltre, diventavano sempre più profonde e scure. «I vampiri di cui parla il professor Moreder non esistono, Ileana. Esistono solo uomini eccezionali, con l’attitudine al comando e alla conoscenza, e la grande massa ottusa, da sottomettere e controllare», sussurrò Rednic, con voce ipnotica, avvicinando il suo volto a quello della ragazza. Un intenso calore si diffuse nel petto di Ileana Ionescu, stordita da tante emozioni, per irradiarsi velocemente fino all’inguine. «Ne sono certa», mormorò con fatica, e con uno scatto feroce azzannò il dottore sul collo. Rednic provò a gridare, sorpreso e terrorizzato, ma altri morsi, in rapida successione, soffocarono ogni tentativo di difesa. «Amore mio, vengo a portarti via», disse la psichiatra, leccando via il sangue dalla leggera peluria bionda che gli era cresciuta agli angoli della bocca e sulle braccia flessuose. Un lungo ululato dal Reparto Pericolosi le fece pulsare le vene del polso destro, nel punto morso dal professore Moreder.
Quando gli domandavano perché andasse sempre in giro con la testa bassa, Billy rispondeva che tante volte aveva trovato in terra denaro e altre cose utili. Non immaginate, diceva, quanta roba la gente butti via o lasci cadere per sbaglio. Anche quel giorno Billy camminava a testa bassa, curvo, guardando il marciapiede. Sentiva però nell’aria qualcosa di diverso. Il sole al tramonto lo riscaldava più del solito. Finalmente la primavera era arrivata anche a Milwaukee. Billy la Spugna, lo chiamavano. Viveva di elemosine e furtarelli, andava a rovistare nella spazzatura per trovare qualcosa da mangiare o da riutilizzare. E quei pochi soldi che riusciva a raggranellare li spendeva tutti in alcolici. Per questa ragione era diventato per tutti Billy la Spugna. Il cognome non lo sapeva nessuno, nemmeno lui se lo ricordava; forse si era bevuto anche quello. A suo modo, era felice così. O gli sembrava di esserlo. Quel giorno ebbe l’impressione che qualcuno lo chiamasse. Si girò da tutte le parti, ma non vide nessuno. Poi alzò lo sguardo verso la parete della casa accanto a cui si trovava a passare, e la vide. Era una figura di luce, delineata sul muro, con i contorni sfumati. Perplesso, Billy cercò di mettere a fuoco l’immagine, con lo sguardo annebbiato dall’alcol; e si accorse che era una figura di donna. Guardò ancora meglio, riconobbe un volto, gli occhi, la bocca, il naso, i capelli, tutto di luce, tutto bellissimo. «È la Madonna!», pensò sconcertato, e istintivamente cadde in ginocchio. «È la Madonna che viene a dirmi di cambiare vita, vero? È così? Billy, lo sapevi che doveva succedere un giorno o l’altro. Tu che non vai mai in chiesa, tu che passi la giornata a bere e a rubare: non potevi sperare di passarla liscia. Ecco, viene a dirti che così non va». Billy si prese la testa fra le mani e rimase a lungo immobile, in ginocchio, davanti alla parete. Diversi passanti lo notarono, ma tirarono dritto; non era certo la prima volta che Billy faceva qualcosa di strano. A un certo momento Billy non poté più trattenersi e fermò un passante, indicandogli la parete. «È la Madonna», gli disse come confidandogli un segreto terribile. L’uomo guardò il muro e vide la figura di luce. Impallidì. Rimase per un po’ a guardare con aria attonita, poi si inginocchiò. «È lei davvero!» La strada non era molto frequentata, ma nel giro di un quarto d’ora si avvicinarono altre persone. Tutti si misero a guardare la bellissima figura di luce sulla parete. Molti si inginocchiarono. Billy raccontava animatamente come la Madonna lo avesse chiamato e gli fosse apparsa all’improvviso, proprio a lui, Billy la Spugna. «Adesso non parla più, perché non serve: io ho già capito quello che vuole dirmi: devo ravvedermi, devo cambiare vita, non devo più bere né rubare, devo fare qualcosa di utile per gli altri, ecco…» Sull’altro lato della strada, una donna saliva i pochi gradini fino al portone d’ingresso della sua abitazione. Notò il capannello di gente, ma vedendo al centro del gruppo Billy la Spugna rinunciò ad avvicinarsi e aprì il portone, cercando di tirarsi dietro la bambina che teneva per mano e che appariva riluttante. «Dài, mammina, non posso stare ancora un po’ fuori? Guarda che bella giornata…» «No, Janet, sarà subito buio. Su, su, non farti pregare come al solito». Janet faceva sempre di tutto pur di rimanere all’aperto anche solo un minuto di più. «Mammina, hai visto che bel riflesso?» «Dài, dài, Janet, dentro!» «Ma no, guarda, è bellissimo». «Ma quale riflesso, Janet?» «Il riflesso che fa la finestra della mia camera sulla casa di fronte. È bellissimo, davvero. Sembra una figura di donna…»
IKEA Lorenzo Ghelfi, Milano
Io vorrei tanto sapere, adesso, che cosa cavolo sta guardando! Sono almeno due minuti che fissa con attenzione un tavolo bruttissimo con sedie impagliate che lei, lo so, ha sempre odiato, eppure sta ferma lì a fissare dio sa cosa. Oltre tutto non ci serve nessun tavolo…. Inutile chiederle, so già cosa direbbe: “Ma, stavo solo guardando, così ,tanto per vedere…..” Le donne, e mia moglie in particolare, resteranno per sempre un mistero imperscrutabile. Siamo ormai verso la fine del giro mensile all’IKEA nel reparto più pericoloso: “oggettistica” perché una cosa è certa, raramente compriamo mobili, ma non si può tornare a casa senza tovaglioli colorati o candele profumate o altri ammennicoli svedesi “tanto divertenti!” e quindi un’altra mezz’oretta non me la toglie nessuno. Approfitto della sua distrazione per dirle “vado fuori a fumarmi una sigaretta, poi ti aspetto alla macchina”. OK fa lei dimenticando che sono almeno otto anni che ho smesso di fumare, ma avrei potuto dirle qualsiasi cosa che avrebbe in ogni caso risposto allo stesso modo, tanto è presa dal fantastico denocciolatore per olive color pervinca; (a proposito, ma che razza di colore è il pervinca? Rosso, verde o blu?). Sono fuori, il piazzale è deserto. Per forza, chi ci va all’IKEA di venerdì alle 19? Gironzolo cercando un alito di vento e all’improvviso mi rendo conto che, pur essendo nel centro del parcheggio scoperto, sono improvvisamente all’ombra. Alzo gli occhi e resto senza fiato: un enorme oggetto informe si libra dieci metri sopra la mia testa. Informe? No, in realtà la sua forma ha qualcosa di familiare, mi ricorda…….. ma certo EKTORP! Forse il divano più venduto al mondo! E noi abbiamo fatto la nostra parte avendone comprati ben due. In un primo momento penso ad una mongolfiera pubblicitaria, ma mi ricredo quando vengo illuminato da un raggio (naturalmente verde) che esce dal bracciolo sinistro. Mi sento improvvisamente senza peso e comincio lentamente a fluttuare e poi a salire verso il mostruoso divanone che, ormai mi è chiaro, è in realtà un’astronave. Sono all’interno, tutte le pareti sono lisce e senza fessure e una luce (naturalmente azzurrina) soffonde l’ambiente altrimenti completamente spoglio. Non sono sicuro di sentirmi tanto bene, tanto più che, dal nulla, si materializza davanti a me un essere indefinibile: è una figura continuamente in trasformazione, sia come forma che come colore è impalpabile e semitrasparente, insomma una specie di ectoplasma. E PARLA! All’inizio non è chiaro quello che dice, forse sta tarando il traduttore, ma poi le sue parole cominciano ad assumere un senso e allora: “tu me dici ora uscito di fabbricone mobili? Tu espertone mobilio si? Noi bisogna di trovare espertone da portare su RAMA per spiega come fai mobili senza soldi, espertone portiamo su RAMA trenta tuoi giorni per spiega.” Allora capisco tutto: cercano un esperto di IKEA! E diabolico scatta il piano. “No, io non espertone, mia moglie espertone se mi lasciate andare vi porto lei che sarà felice di spiegarvi tutto di prodotti fabbricone. Detto fatto, Ale nel frattempo è arrivata alla macchina, così lo scambio è subito fatto. Ho avuto il tempo di tranquillizzarla velocemente spiegandole che si tratta di brava gente che ha solo bisogno di informazioni e che tornerà presto a casa. Guidando verso casa mi sento un po’ vigliacco, ma penso che in fondo ho fatto la cosa giusta; lei tornerà e probabilmente diventerà famosa, e io mi godrò un mesetto di sport in tv, ovviamente in canottiera con patatine, birra e rutto libero come diceva il poeta. Grazie IKEA!
Kāmaratna Alex Passi, Bologna
Il testo sanscrito che stavo traducendo per la tesi, il Kāmaratna o Gemma dei desideri, era un grimoire di incantesimi tantrici, per lo più malefici; come tale, non poteva che contenere il seme di quella che fu la sconfitta più feroce dei miei anni universitari. Ma la mia prima colpa fu tutt’altra: avevo violato la legge fondamentale della buona convivenza fra studenti: non cercare mai di farsi una storia con una compagna di appartamento. E poi, Irene era bellissima, intelligentissima, simpatica con tutti, ma affatto inavvicinabile. Quando vidi che non c’erano speranze, cambiai metodo. Vivevo allora da bohemien tra un PC portatile, i libri, una gracula parlante di nome Aldo e una tartarughina verde. Da due settimane, stavo cercando di sistemare il capitolo sullo Strī-vāśī-karaṇa, la «dominazione delle donne». Ogni strofe descriveva metodi magici più neri che bianchi per arrivare all’amoroso scopo. Nei pochi casi in cui non si prescriveva di far bere alla fanciulla desiata un filtro dagli ingredienti disgustosi — tipicamente: erbe, fluidi umani (eh, sì, proprio quelli) e resti anatomici di cremazione — si imponeva la ripetizione di un mantra, una formula magica che agiva autonomamente, purché fosse pronunciata, per almeno una volta su svariate migliaia, con mente perfettamente sgombra da ogni pensiero. Detto il mantra, bastava mettere sotto agli occhi della Bella uno yantra, un diagramma magico che ne riportava, scritto in devanāgarī, il nome, e il gioco era fatto: tua per sempre. Scelsi un passo dal senso molto chiaro: kāmākrāntena cittena māsārdhaṃ japate niśi / avaśyaṃ kurute vaśyaṃ prasanno śūnyacetasāḥ // «Chi lo recita di notte per mezzo mese con mente soggiogata da amore, ma rimanendo tranquillo e vuoto di pensieri, rende volente chi è nolente». Seguiva il mantra, che invocava la dea “Diavolessa d’Amore” Kāma-Piśācinī, da recitare per 15 notti con il nome di Irene al posto giusto. Passai 15 notti in bianco a ripetere una lunga litania di sillabe oscure, sperando di enunciarle almeno una volta da capo a coda senza pensare a nulla. Provateci pure a non pensare pensando di non dover pensare: è un delirio! Finii le mie ventimila giaculatorie alle 7:10 in punto di un venerdì. Ero esausto, ma speranzoso. Feci colazione, poi chiesi a Irene di passare in camera mia con una scusa. Lo yantra era sul tavolo. Lo guardò appena, abituata alle mie stranezze indiane. Trattenni il fiato. Niente. Ma ecco che, da dentro la gabbia di Aldo, ancora coperta per la notte, sortì squillante una declamazione perfetta, degna di un Sādhu di Benares: aiṃ piṃ sthāṃ klīṃ Kāma-Piśācinī śīghram Ireṇīṃ grāhaya grāhaya kāmena mama rūpeṇa nakhair vidāraya vidāraya drāvaya drāvaya snehena bandhaya bandhaya śrīṃ phaṭ! Irene si voltò verso il suono e si fece tutta rossa per la dirompente emozione che provava dentro: «Aldo, ti amo!», balbettò alla gabbia oscurata, «Sei la cosa più bella che abbia mai visto!». Poi si rivolse a me, e, secca secca, mi stroncò con tre frasi: «Tu non lo meriti. Io posso tenerlo molto meglio di te. Dammi Aldo e ti do quello che vuoi». Beh, non avrebbe dato quello che desideravo, temo. Comunque, Aldo lo ebbe gratis, perché non lo volli più in casa nemmeno per un attimo; gracula e innamorata si trasferirono subito in un altro alloggio. Breve felicità: quell’inverno Aldo si ammalò di un qualche morbo graculino e ne morì. Oggi ancora, anni dopo, Irene non fa che piangere davanti alla sua foto. Solo un altro mantra potrebbe liberarla dalla tristezza. Ma non saprei quale usare. E poi, dove la trovo un’altra testa vuota come quella di Aldo?
LA MAGIA DELLE PIRAMIDI Sara Montanari, Cremona
Esistono molte teorie discordanti sull’origine dei monumenti della piana di Giza, in Egitto, (Sfinge e piramidi); alcune sono basate su dati reali, altre su intuizioni molto fantasiose. Ad esempio, la Sfinge è veramente stata costruita dagli antichi Egizi o da una popolazione ad oggi ancora sconosciuta, forse gli abitanti di Atlantide, molti millenni prima della comparsa degli egiziani preistorici? E le piramidi? Sono semplicemente le tombe di Faraoni un po’ megalomani o sotto la loro costruzione c’è molto di più? Anch’esse potrebbero essere state costruite dalla stessa civiltà sconosciuta, ma tecnologicamente molto avanzata, che spostava blocchi di pietra pesantissimi con una facilità sconcertante. C’è chi ha addirittura ipotizzato che questo popolo avesse costruito delle apparecchiature anti-gravità o che le pietre fossero spostate per magia (qualsiasi cosa significhi). Le teorie più sconvolgenti, però, riguardano la funzione per cui le piramidi furono costruite. Semplici tombe? Certo che no! Secondo qualcuno sono dei catalizzatori di energia, per altri accumulatori di elettricità e chi più ne ha, più ne metta! Quello su cui molti sembrano essere concordi è che al loro interno, in particolare per quanto riguarda la Grande Piramide, quella attribuita al faraone Cheope, succedono delle cose veramente strane. C’è chi dice che nella camera del Re di questa piramide il tempo si fermi rispetto all’esterno, altri sostengono che le bussole impazziscono non segnando più il Nord e secondo altri ancora le lamette, e gli oggetti affilati in genere, riacquisterebbero il loro filo. Di tutte queste teorie, più o meno strampalate, non tutte sono verificabili con una semplice visita turistica, ma durante il mio viaggio in Egitto ero più che decisa a controllare quanto era nelle mie possibilità. Il mio piano era molto semplice: introdurre nelle camere del Re della piramide di Cheope una bussola e verificare, una volta per tutte, almeno la diceria sull’esistenza di un campo magnetico anomalo. Avevo le idee chiare su cosa avrei fatto: avrei portato la mia bussola nel cuore della piramide, cercando di non farmi notare dalla guida (non si sa mai come avrebbe potuto reagire di fronte ai miei “esperimenti” non autorizzati). Il sito di Giza è già impressionante di per sé, ma non ci sono parole per descrivere le sensazioni che si provano entrando all’interno della piramide! Tra cunicoli claustrofobici e corridoi regali, eccomi arrivare al centro della piramide, nel cuore stesso dell’Egitto faraonico! La camera, a ben vedere, non è niente di particolare, ma pensare a quello che sono riusciti a realizzare degli uomini (proprio come noi) con molta fatica e un’ottima organizzazione del lavoro, senza conoscere nemmeno l’uso del ferro, è strabiliante e fa riflettere sulle possibilità del genere umano. Da non credere, ero talmente sopraffatta da quello che mi circondava che la bussola è rimasta nel mio zaino! Non lo so se il campo magnetico nella camera del Re della grande Piramide è diverso da quello del resto del pianeta e, sinceramente, adesso non mi sembra più una cosa così importante. Sono stata stregata anch’io dalla magia delle Piramidi! Dalla magia che permea questi monumenti eretti inizialmente per celebrare dei sovrani defunti, ma ora simboli del Genio Umano.
La stanza 402 Milena Vallero, Vercelli
“Vattene!” L'improvvisa esclamazione svegliò Carlo da un sonno leggero. Si guardò intorno, nella camera buia. Nessun movimento. L'orologio segnava le tre. Si convinse di aver sognato e cercò di riaddormentarsi. A causa di un ritardo aereo, si era presentato alla reception dell'hotel dopo mezzanotte. Aprendo la porta della stanza, la 402, aveva sperato di dormire bene fino al mattino, ma aveva faticato a prendere sonno e, ora, la situazione sembrava peggiorata. L'indomani mattina, avrebbe tenuto un discorso alla sede centrale della sua ditta. Ripensandoci, imprecò per le ore di sonno buttate. Dopo quasi un'ora di vani tentativi di riaddormentarsi, accese la luce e si alzò, sperando che un po' di movimento l'avrebbe aiutato. In quel momento, la strana voce si fece risentire. “Vattene da qui!” Il tono era rabbioso ma stranamente familiare. Carlo pensò comunque che non fosse che uno scherzo della sua mente stanca. Si avviò verso il bagno, ma non fece in tempo ad entrarvi che il vaso di fiori sul tavolino del televisore, all'improvviso, venne scagliato con violenza contro la parete. “Via! Vai via da qui!” A quel punto, Carlo iniziò decisamente a preoccuparsi. La voce, pur alterata da un'evidente agitazione, continuava a sembrargli molto familiare. Troppo, forse. Camminando all'indietro, entrò in bagno. Continuò ad indietreggiare fino a toccare il lavandino. In quel momento la voce urlò di nuovo, sempre più aggressiva. Lo specchio si frantumò e i campioni di sapone e shampoo volarono per tutta la stanza. L'asse del water iniziò a sbattere, e i rubinetti si aprirono da soli, simultaneamente. Ora davvero atterrito, Carlo uscì di corsa dal bagno, ma nella fretta inciampò nei suoi stessi piedi e crollò a terra. Anche il letto e il comodino, ora, si muovevano da soli. La TV si era accesa e la confusione all'interno della stanza era inimmaginabile. Mentre Carlo cercava di alzarsi, la voce gli intimò di nuovo di andarsene. Ora era tonante, come quella di un Dio brutale. “Via di qui! Subito!” Carlo si diresse verso la porta. Poi si ricordò del proprio discorso. Non poteva lasciarlo lì. Si allontanò dalla porta per prendere la sua ventiquattr'ore. In quel momento, tutto si fece di nuovo calmo. Carlo si voltò e quello che vide lo riempì di terrore. Di fronte a lui, c'era un uomo, il corpo completamente sfigurato. I vestiti non esistevano più, totalmente bruciati. Anche i capelli erano carbonizzati. Ma Carlo lo riconobbe comunque. Impossibile non riconoscerlo. Era lui stesso. Ma quello che più lo terrorizzò, qualche istante prima di morire in un inferno di fuoco, furono le due parole che l'uomo pronunciò, ora con voce non più rabbiosa, bensì triste e rassegnata: “Troppo tardi.”.
“Uno, due, tre! Su!”, disse il barelliere al collega, caricando il corpo di Carlo, ormai senza vita e chiuso in un sacco di plastica, sulla lettiga. “Si è scoperto chi era il pazzoide della 401?”, chiese l'altro. “Non ancora. Forse un aspirante dinamitardo, forse un idiota a cui piacevano gli esplosivi”, rispose il primo. “In ogni caso, non possiamo chiederglielo, visto che è morto anche lui.” “Ben gli sta”, considerò il secondo, spingendo la barella verso l'ascensore,“così impara a giocare al Piccolo Chimico in una camera d'albergo. Mi spiace per questo poveraccio. Pensa, andartene all'altro mondo solo perché ti hanno dato quel portachiavi lì invece che un altro”, continuò, indicando col capo la chiave, infilata nella toppa della porta. “Che ci vuoi fare? La vita a volte è uno schifo”, rispose il primo, entrando in ascensore e allontanando per sempre Carlo da quella dannata stanza 402.
LASSU’ QUALCUNO CI OSSERVA Sara Montanari, Cremona
“Dunque, vediamo, vorrei leggere un po’ di notizie di costume. Proviamo a collegarci al computer e vediamo cosa offre la Rete. Allora:
L'autopsia
Milena Vallero, Vercelli
“Non è possibile...” Erano state queste le parole di Katia, nell'aprire il sacco nero che conteneva il corpo di Gustavo. Katia, cara ragazza. Se n'è andata giusto due mesi fa. Amava il rischio, sfidare la sorte. Le avrò detto mille volte di non attardarsi, di non aspettare ogni volta il limitare della notte, quando i primi pallidi raggi solari fanno capolino all'orizzonte. “A forza di giocare col fuoco, ti brucerai”, le ripetevo sempre. E infatti, alla fine, è rimasta bruciata. Letteralmente, intendo. Quel giorno di quasi tre anni fa, invece, era tutt'altro che impavida. Alla vista del volto pallido di Gustavo, della sua pelle diafana e delle sue mani affusolate, si era allontanata spaventata dal tavolino. “Fa un certo effetto, eh?”, avevo detto io. “Senti, Paolo, io non me la sento. Chiamo Giovanni a darti una mano...”. Io mi ero avvicinato e le avevo preso la mano, “Katia, non essere spaventata. Dai, non può essere come dicono. Guardalo”, le avevo detto, “è pallido, sì, ma ricordati che è pur sempre un morto. Ti stai facendo suggestionare dalle storie che hai sentito qua fuori. È solo un poveraccio a cui hanno sparato. Tutto qui.” “Sì, ma...” “Coraggio, è da un po' che fai questo lavoro. Dovresti esserci abituata.” Katia si era lasciata convincere e, pur con una certa riluttanza, si era accostata al lettino e aveva iniziato con me l'autopsia. All'inizio tutto era andato bene. Il corpo era stato lavato e avevamo annotato le sue condizioni esterne. La pallottola era stata estratta dal petto di Gustavo e lasciata cadere in un piattino. Poi, io avevo preso il bisturi per effettuare il classico taglio a Y. Quello che era accaduto dopo lo rivivo ogni giorno da allora. Non appena avevo inciso la pelle, il sangue aveva iniziato ad uscire copiosamente. “Ma è vivo!”, aveva urlato Katia, facendo cadere alcuni ferri per lo spavento. “Ma è impossibile!”, avevo risposto io, cercando di fermare quella anomala emorragia, “aveva una pallottola nel petto, e poi non aveva battito cardiaco!” Nel prendere del cotone, l'occhio mi era caduto sul piattino. Avevo notato un particolare che prima mi era sfuggito. Con un paio di pinzette, avevo raccolto il proiettile e me l'ero portato davanti al viso. “Cosa fai?”, aveva detto Katia, “molla quel coso e dammi una mano”. “È d'argento”, avevo notato. “E allora?” “Qualcuno ha cercato di ucciderlo.” Katia aveva capito l'allusione ed era impietrita. “Non mi dirai che questo era davvero...”, le parole le erano morte in gola. “Ho paura di sì”. Nel rendermi conto della situazione, le gambe mi erano diventate come di burro. Katia mi aveva guardato terrorizzata. Camminando lentamente all'indietro, mi fissava sconvolta. “Ora, però, è morto...”, aveva chiesto con un filo di voce, “vero, Paolo?” “Io, non lo so”, avevo detto, fissandola. “Se non ricordo male, nella tradizione folcloristica, le pallottole d'argento uccidono i licantropi. I... vampiri si uccidono infilando un paletto di frassino nel cuore e poi decapitandoli”. Mentre pronunciavo quella frase, Katia aveva spostato lo sguardo sul corpo. Il suo volto si era a quel punto trasformato in una maschera d'orrore. Mi voltai anch'io. Gustavo era ora seduto, con un sorriso che metteva in mostra i suoi canini lucenti. I capelli neri brillavano e gli occhi erano indescrivibili: azzurri come il mare, eppure rossi come il fuoco. Provo ancora un brivido sottile ripensando al tono suadente di Gustavo nel pronunciare quelle quattro, semplici parole, un secondo prima di avventarsi su di noi con la velocità del fulmine, cambiando le nostre vite per sempre: “Precisamente, amico mio. Precisamente.”
L’EVENTO Simona Bellini, Credaro (BG)
Fissava la cassa da morto e si sentiva disperatamente in colpa. Lo sapevo, lo sapevo. Continuava a ripetersi in preda alla frustrazione. Era passato un po’ di tempo dalla prima volta, e per quanto la cosa non la rendesse orgogliosa, poteva di certo dire che non aveva mai fallito. Guardandosi attorno si arrovellava il cervello per capire con chi poteva parlarne. A chi poteva confidare quel tumulto interiore che provava ogni qualvolta si verificava quello che lei definiva l’evento? Non certo a suo marito, lui era così concreto, così come dire troppo con i piedi per terra, lui non credeva a queste sciocchezze. Addirittura una volta quando lei gli aveva accennato la questione era andato a tirar fuori una vecchia tessera del Cicap di cui lui era uno dei fondatori. Le aveva parlato di tutti gli scienziati, che ogni giorno combattono contro l’ignoranza delle masse per spiegare con metodo scientifico quello che viene definito paranormale, miracolo o evento, liquidando la questione con un sorrisetto e lo sguardo indulgente di chi sta parlando con una bambina. E poi lui neppure c’era, era in viaggio bontà sua come sempre ,quando serviva. Meglio così, si disse, lo avrebbe avuto tra i piedi con quel suo fare preoccupato, sempre lì a controllare se stava bene, se aveva bisogno di qualcosa…. Ma mai ad ascoltarla veramente. Parlarne con Don Filippo? In fondo chi meglio di un uomo che crede nello spirito Santo nel Dio uno e trino nella verginità di una donna che ha partorito un figlio, che poi è pure resuscitato poteva ascoltarla, consolarla, darle un consiglio? Gli si avvicinò mentre dava la benedizione alla morta e ai fedeli riuniti nella piccola stanza. Recitava di fretta le preghiere, trascinava le parole tanto che neppure si capiva cosa stesse dicendo. Come se avesse fretta di andarsene a fare altro.
A mangiare, pensò, mentre l’orologio a cucù batteva le dodici. Decise che no, non era una buona idea, non per ora almeno. Camilla non ne poteva davvero più, aveva bisogno di dirlo a qualcuno, ma a chi? E anche se avesse trovato qualcuno disposto a darle 5 minuti del suo tempo, come avrebbe iniziato? Andò in bagno, non quello vicino alla cucina, quello di sopra , che la zia non usava più perché troppo scomodo. Si sedette sul bordo della vasca. Prese lo specchietto da barba, vecchio e mal ridotto, dello zio e guardandosi dritta negli occhi iniziò a raccontarsi quello che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire a nessun altro. “Si ecco io devi sapere che…Bé no, che sciocca già lo sai… E’ che quando incontro qualcuno, non sempre ovvio, solo quando quel qualcuno è già arrivato, cioè giunto alla sua ora, io sì insomma già so che a breve morirà. Non sono io a deciderlo, sento come una voce, forse più una sensazione, che mi dice che quella persona morirà di li a qualche ora o giorno. Io vorrei dirglielo, ma so che non mi crederebbe, e non solo quello, come potrei dire una simile verità? Nessuno vorrebbe sapere quando è giunta la sua ora. Stava ancora raccontando i fatti a se stessa, quando sentì bussare alla porta. Strillò! Maria, una delle pie donne venute per la veglia, non capendo il perché di tanto scompiglio, esordì con un “ Che gridi, credevi fosse lo spirito della zia venuto a salutarti?” Mai frase poteva essere più adatta e veritiera. Dai scendi giù, tutti ti cercano, devono chiudere la bara, non vuoi vederla per l’ultima volta? Camilla non voleva scendere, non voleva trovarsi in mezzo a tutta quella gente e magari sentire di nuovo quella sensazione.
A malincuore dovette ammettere che quel segreto sarebbe rimasto tale, una scomoda verità con cui fare i conti. Nessuno le avrebbe dato retta, chi era lei per avere quel dono, se cosi lo si poteva definire? Ciò che lei poteva impegnarsi a fare era incontrare il minor numero di persone possibile. Ma questo lo avrebbe fatto da domani. Con gli occhi bassi scese le scale, e quando la sensazione si rifece sentire li chiuse per non vedere chi sarebbe stato il prossimo.
NIENTE QUIETE PER ARISTOCLE - RACCONTO VINCITORE Sara Montanari, Cremona
Siamo nei Campi Elisi, una delle zone in cui era diviso l’Oltretomba per gli antichi Greci. Due ombre chiacchierano amichevolmente mentre passeggiano. “Come sta oggi Aristocle?” “Non bene. E’ in fase depressiva, continua a mugugnare e a ripetere che nessuno lo comprende.” “Non capisco bene che cosa l’affligga. Alcune volte è euforico, continua a ridere a crepapelle ripetendo frasi senza senso come: “Che sciocchi! Continuano a cercarla! Litigano tra di loro e ognuno è convinto di averla trovata, per qualcuno è nell’Egeo, per altri si trova alle Bahamas e qualcun altro sostiene di avere le prove che sia in Antartide! Che spasso! Se solo sapessero che mi sono inventato tutto! Peccato non poterglielo dire per vedere le loro facce! Ah, ah!” Sembrava gli avessero raccontato la storia più divertente del mondo.” “E’ vero. Oggi, invece, se ne sta da solo in un angolo ad autocommiserarsi. Prima gli sono passato vicino ed ho sentito una parte dei suoi lamenti: “E io che, attraverso le mie opere, volevo illustrare lo Stato perfetto e il modo corretto di comportarsi nella sua gestione. Ho sprecato anni e anni a spiegare che solo uno Stato virtuoso ha il diritto di sopravvivere. Ho descritto nei particolari a cosa può portare l’arroganza e l’eccessiva ricchezza, ma quegli stolti non hanno capito niente del mio insegnamento, anzi, lo hanno sovvertito! Che disperazione, povero me! Nessuno ricorda più la virtù dei cittadini da me descritta con tanta cura, mentre è rimasta vivida memoria della popolazione da me additata come esempio di come non ci si deve comportare! Come se non bastasse questo popolo è spesso considerato come uno dei più degni rappresentanti dell’umanità! Ho fallito!” E via di questo passo per tutto il giorno.” “Mi fa una pena! Ma è ridotto così fin dal suo arrivo?” “Macché! Anzi! Inizialmente era tutta un’altra persona: un intelletto eccelso, una mente attenta, sempre disponibile ad esporre le sue teorie a chiunque volesse ascoltarlo. Certo, era un po’ pieno di sé, come tutte le grandi personalità, ma era un piacere ascoltare i suoi discorsi e le sue accese discussioni con i suoi pari!” “Lo credo bene! Ma allora, da quanto tempo è ridotto in questo stato?” “Non da molto, se si considera il tempo che aveva già passato qui con noi, in termini umani saranno cento o centocinquant’anni, ma quello che è peggio è che, se i viventi persevereranno in un certo tipo di interpretazione delle sue opere, questo tormento, per lui, potrebbe continuare per l’eternità!” In quel momento l’ombra, che in vita era stata Aristocle, lanciò un grido acuto, si accasciò a terra e ricominciò a piangere disperatamente emettendo dei gemiti da straziare il cuore. Le ombre che si trovavano nei pressi accorsero in suo aiuto, cercando di consolarlo e di donargli un po’ di conforto. Una in particolare, il suo vecchio maestro, gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, cercando di rincuorarlo. “Avanti, Aristocle, coraggio. Non puoi ridurti in questo stato tutte le volte che nel mondo dei vivi qualcuno sostiene che la storia di Atlantide da te narrata corrisponde a realtà storica. Molti sanno che era solo un modo per sostenere le tue teorie, ma altri preferiscono credere al mito come se fosse una verità accertata. Entro certi limiti, credere che Atlantide rappresenti l’età dell’oro del genere umano potrebbe spingere la gente a migliorarsi. Potresti, così, raggiungere il tuo obbiettivo seguendo un diverso percorso.” A quelle parole di conforto, Aristocle, dai più conosciuto come Platone, fece un timido sorriso.
Oltre Mirco Corridori, Genazzano (Roma)
La foto che le bambine avevano scattato non mentivano. – È straordinario! – esclamò il professore sistemandosi gli occhiali – È la prova che la razionalità non è un pregio, ma un limite della nostra natura. La razionalità erige un muro intorno a noi e ci impedisce di vedere oltre. – Oltre, professore? Cosa intende? – Intendo oltre, al di là del comune pensare. – Potrebbero esserci spiegazioni più... come dire... semplici – balbettò la donna. – Oh – sbuffò il professore – Come potete pensare che due bambine così ingenue siano in grado di progettare uno scherzo del genere? È fuori dubbio che le foto siano vere. Guardi questa – disse poi indicando la prima delle cinque immagini che aveva di fronte a sé – Guardi questi piccoli esseri come ballano, giocano. Addirittura ce n'è uno che sta suonando un piffero. – Sono così piccoli – sospirò la donna. – Inoltre abbiamo chiesto ai maggiori esperti del settore ed è risultato che le foto non presentano contraffazioni. – Vuole dire che non è un fotomontaggio? – chiese la donna prendendo la seconda foto. Un essere minuto, dieci volte più piccolo della bambina, saltella su un prato costeggiato da una fila di alberi e un muro di media altezza. La bambina è seduta e gli sorride divertita. La sua mano potrebbe avvolgerlo e nasconderlo del tutto per quanto piccolo. – Nessuna doppia esposizione, nessun montaggio. Le lastre che abbiamo fornito alle due ragazzine erano numerate. Non ci sono dubbi sulla loro autenticità – pontificò il professore fissando le foto con insistenza. – Questi piccoli esseri di cui non avevamo provato l'esistenza, che abbiamo raccontato nelle favole e nelle leggende popolari, esistono davvero! Capisce cosa voglio dire? – continuò con un vistoso moto di entusiasmo. – Credo di aver capito, professore – disse la donna. – Vuol dire che dovremo rivedere tutti i valori a cui la nostra civiltà fa riferimento. La scienza e il progresso tecnologico che valore possono assumere in una società che non accetta l'esistenza dell'irrazionale? – Capisco – ripeté la donna. Prese la terza foto. Un ometto minuto sembrava compiere un grosso salto mentre la ragazzina, evidentemente impaurita, tirava indietro la testa. – Cos'ha intenzione di fare con queste foto? – chiese la donna. – Le renderò pubbliche – rispose il professore – Tutti devono venirne a conoscenza. La donna esitò. Avvicinò la foto agli occhi. Osservò i lineamenti della piccola creatura che la bambina stava fissando mentre si avvicinava con un balzo. – Ha un sorriso così ingenuo – disse – Sembra che non conosca la reale entità della nostra natura. Non sa che siamo malvagi, che abbiamo causato milioni di vittime con le nostre guerre. Non sa quanto sangue abbiamo versato in nome del progresso. Professore – continuò dopo una breve pausa – credo che debba tenere questa scoperta per sé. – Perché dovrei? – chiese lui. – Queste piccole creature non vivranno più in pace quando il mondo saprà di loro. – Oh – ridacchiò il professore – Le foto sono già pronte per la stampa e domani verranno pubblicate sui maggiori quotidiani. Vedrà, il mondo non sarà più lo stesso, glielo posso garantire. Sarà migliore! La donna annuì. Domani il mondo non sarà più lo stesso, ripeté mentre usciva. Aprì la porta e sospirò. Poco lontano c'era il bosco in cui quei piccolo esseri erano stati trovati e fotografati. In cuor suo sperava che quella storia fosse falsa, inventata, perché se non fosse stato così non immaginava cosa sarebbe successo a quelle creature. – Gli umani non esistono – sussurrò convinta. Poi presa da un'improvvisa stanchezza si stiracchiò, spiegò le ali e volò verso casa.
Punti di vista Andrea Bellizzi, Roma
Vedendo l’espressione dell'Ispettore, gli addetti alla Sezione "S" si affrettarono a lasciargli libero il passaggio che conduceva alla Postazione 6. «E’ successo alle 7 punto 25 di questa mattina, signore», comunicò immediatamente l’operatore della P-6. «La fonte dell'avvistamento?» «Il caposquadriglia Itia, signore, con la conferma del secondo pilota e degli altri due membri dell'equipaggio.» In pieno giorno. E il caposquadriglia Itia aveva un'impeccabile scheda di servizio, rifletté l'Ispettore. «Riscontri tecnici?» «Abbiamo un tracciato radiar anomalo, qui alla postazione, e sul computer del Turbine 41-4 la registrazione sonora dell'avvistamento, una scansione dell'area di volo e una ripresa video effettuata dal puntatore, signore.» L'Ispettore corrugò la fronte. «Il caposquadriglia ha comunicato la qualità della ripresa?» «Sì, signore. Il caposquadriglia Itia afferma che la ripresa è molto buona.»
Come da protocollo, per primo venne interrogato l'ufficiale con il grado più alto. «E' questa la p-cam utilizzata dal suo puntatore, caposquadriglia Itia?» «Confermo, signore.» «E lei conferma che il video registrato in questa p-cam corrisponde all'avvistamento da lei effettuato alle 7 punto 25 di questa mattina?» «Confermo, signore. Alle 7 punto 25 di questa mattina, signore.» L'Ispettore guardò la p-cam e il grande schermo RPR a cui era stata collegata, ancora spenti. «E si tratterebbe di una croce volante», concluse. «Sì, signore. Si tratta di una croce volante, signore. Io e il mio equipaggio l'abbiamo vista bene, e anche nel video si vede molto bene, signore.» L'Ispettore diede le spalle al caposquadriglia, per non tradire l'emozione. «Va bene. Verifichiamo.»
Voce 1: «Lo vedi?» Sprazzi di nuvole chiare e distese di celeste chiaro. Voce 2: «Dove? Non vedo niente. Dove?» Immagini sfocate. L'obiettivo si sposta troppo velocemente a destra e sinistra. Voce 1: «Ma come non lo vedi! Nord quattro est, accidenti. Registra, prima che sparisca!» Una macchia di colore chiaro. Più chiaro del celeste del cielo. Voce 2: «Lo vedo, lo vedo!» L'immagine balla. A volte si vede meglio e a volte invece peggiora. Voce 2: «Porca puttana, è una croce volante... Ma non riesco a metterla a fuoco bene.» L'immagine balla ancora. Voce 1: «Se non la riprendi come si deve, ti impicco con le tue budella, Svali. Mettila a fuoco, accidenti a te!» Voce 2: «Va bene, ci provo.» L'immagine smette di ballare, ma è così chiara che i contorni dell'oggetto ogni tanto si perdono. Voce 2: «Porca puttana, è come se fosse illuminata da dentro e se vibrasse.» Voce 1: «Me ne frego se è piena di lampadine o di saltafossi! Mettiti a vibrare pure tu, ma fa in modo che si veda bene, capito?» Voce 2: «Capito, capito!» Lo zoom avvicina l'immagine, il contrasto aumenta leggermente e per qualche secondo l'oggetto di metallo, assurdamente suddiviso in due tronconi disuguali, si vede chiaramente.
«Merda», si lasciò sfuggire l'Ispettore. La croce volante era lì, sospesa nel vuoto, ed avanzava senza ruotare su sé stessa, seguendo una linea retta. Sulla fiancata più massiccia c'era anche una scritta, in una lingua incomprensibile ed aliena. «Stavolta non ci sono dubbi», disse l'Ispettore, impressionato. «Si tratta di un apparecchio che proviene da un altro pianeta.»
Passarono quattro anni prima che gli scienziati scoprissero l'effetto di distorsione spazio temporale generato dai motori a fotoni dei Turbine serie 41. Nel frattempo, molti di quelli che videro il video con la croce volante e la misteriosa scritta “PAN AM” ebbero modo di impallidire parecchio, rispetto al loro verde scuro abituale.
“Neanche i contributi” Paola Rinaldi, Roma
Le patate la terrorizzarono: sul tavolo cotte e sbucciate a puntino, accanto la pentola pulita. “Ma io ero uscita scordandomi le patate sul fuoco!”. Lo stomaco in una morsa Paola si guardò attorno: tutto come l’aveva lasciato, del resto l’allarme non segnalava nulla. Però, solo, ecco, sul terrazzino, quelle pagine di riviste vecchie per gli imballaggi erano state allineate una accanto all’altra e amorevolmente lisciate. Lesse “Un Cuore per Sempre – l’amore per chi non ha l’amore”.
“ ‘Un Cuore per Sempre ’ ? Sono anni che non me lo chiedevano - disse il giornalaio -. Sa, lo prendeva la badante di quell’invalida, ma sì proprio dove sta Lei adesso. … Poverina, se lo leggeva alla sera, un po’ di pace, vent’anni dietro a quella vecchia tremenda…. Piangeva quando gli eredi l’hanno mandata via, non sapeva dove andare... sola. Disgraziata chissà… La rivista se ce l’ho ancora? Certo, ‘Fuggitiva d’amore’, ‘Giuramento nel vento ’, li prende tutti?”
La sera. col cuore in tumulto, Paola depose la rivista nel terrazzino, accanto allo stendino carico di bucato, fece posto anche per una sedia, e decisa chiuse la porta. Sul terrazzo la mattinata era splendida: anche i vetri luccicavano e la maniglia pareva d’oro; il bucato perfettamente stirato brillava nell’aria profumata. Una brezza gentile (una brezza?) agitava le pagine de ‘Il Sentiero dei baci rubati ’ aperto sulla sedia.
Il caos delle altre stanze alle spalle, Paola guardava incantata: si sa che i fantasmi hanno sempre avuto un certo qual ‘feeling’ per le lenzuola, ma così, perfino i fiori del ricamo sul bordo, veniva voglia di coglierli. Timidamente sfiorò una federa ‘Neanche i contributi pretende ‘ pensò commossa e rivolta alla luce: “Ti piacerebbe Dumas? Intanto ti compro tutta Liala, lo prometto”.
SOGNI NON PREMONITORI Paolo Molinaro, Modena
Vorrei raccontarvi alcuni eventi inquietanti, accadutimi in questi ultimi anni, per tentare insieme con voi una riflessione. Circa quattro anni fa – forse la cena della sera precedente era stata un po’ troppo pesante – sognai che all’improvviso era morta una mia cugina. Ero molto addolorato poiché si trattava di una donna molto bella, ancora piuttosto giovane, sposata da poco e con due bambini ancora in tenera età: insomma un vero e proprio dramma. Ricordo ancora la scena: candelabri, la sfilata di parenti e amici, mentre qualcuno, il cui volto non riuscivo ad identificare, mi diceva che la morte era avvenuta per non meglio identificate “cause naturali”. Mi svegliai di soprassalto ma non dissi niente a mia moglie, che intanto si era anche lei svegliata per il mio sobbalzo. Ma se da un lato cominciai a rilassarmi, pensando che si trattava solo di un sogno, mi rimase per lungo tempo la sgradevole sensazione che si trattasse di una premonizione. Ebbene, come vi ho detto, sono trascorsi ormai quasi quattro anni e mia cugina è ancora viva e vegeta e inoltre gode di ottima salute!!! Vi sembra straordinario? Allora sentite questo fatto ancora più eccezionale! L’anno scorso mi hanno rubato la macchina: non è questa la cosa eccezionale ovviamente, capita ogni giorno nel mondo a tante persone, ma sono eccezionali gli sviluppi successivi. Cominciamo dall’inizio: la mia auto era quasi nuova, il contachilometri segnava poco più di 10.000 Km e quella mattina avevo parcheggiato davanti ad un negozio per un acquisto urgente, che mi avrebbe occupato non più di 10 minuti. Omisi, quindi, di azionare i diciotto antifurto che avevo installato a scopo precauzionale; così, uscito dal negozio, non la ritrovai più! Sono stato male per settimane per l’affronto subito e non volevo saperne più di guidare: andavo in giro in autobus o a piedi o a ricasco degli amici. Qualche tempo dopo partii per le vacanze in treno, con tutti i disagi facilmente immaginabili. Una notte, mentre ero in albergo all’estero, sognai che dal Commissariato del mio quartiere mi telefonavano per annunciarmi il ritrovamento della mia auto. Nel sogno mi precipitavo subito sul posto del ritrovamento ed eccola lì in perfette condizioni: i ladri me l’avevano persino lavata e lucidata, cosa che io stesso trascuravo spesso di fare. Destatomi dal sogno, non stavo più nella pelle: sicuramente si trattava di una premonizione di ciò che magari era già avvenuto. Magari dal Commissariato non potevano rintracciarmi all’estero per comunicarmi la notizia. Gli ultimi giorni di vacanza furono una vera tortura: ero in fibrillazione, volevo sapere la verità. Tornato finalmente a casa, mi precipitai a telefonare al Commissariato: “Pronto, sono Molinaro, per caso avete ritrovato la mia auto?” “Dotto’, ma quale ritrovata…” mi rispose un annoiato ispettore “ glielo ho già detto…a quest’ora la sua auto l’avranno fatta a pezzettini per i pezzi di ricambio oppure l’avranno spedita all’estero, con il numero di telaio cancellato…”. Siete stupefatti, vero? Ma la cosa più straordinaria mi è successa il mese scorso: ho sognato che ero tornato bambino e sedevo di nuovo sui banchi di scuola. La cosa più stupefacente era però che il maestro era un mio vecchio zio, morto da alcuni anni, che ad un certo punto cominciò ad indicarmi alcuni numeri scritti sulla lavagna. Mi svegliai, ancora una volta di soprassalto e corsi, in piena notte, a scrivere quei numeri su di un pezzo di carta. Da allora, naturalmente, due volte alla settimana gioco e rigioco al Superenalotto quei numeri fornitimi dall’aldilà ma, inutile dirlo, il risultato più favorevole è stato due. Ma la storia non finisce qui!: la settimana scorsa ho avuto per tutto il giorno la sgradevole sensazione di dover fare qualcosa, ma che cosa? Verso sera finalmente me ne ricordo: era mercoledì, dovevo giocare al Superenalotto! Guardo l’orologio: le 19,15, troppo tardi! La sera a cena, ero determinato a non guardare i programmi televisivi per non sapere quali fossero i numeri estratti e invece lo speaker del telegiornale li lesse a tradimento, per annunciare una grossa vincita avvenuta da qualche parte… ebbene tra quelli vincenti...nemmeno uno del mio sogno! Avevo risparmiato almeno 3 €! Ne sono consapevole. Molti di voi non crederanno a una parola di quanto ho fin qui raccontato eppure, ve lo posso assicurare, è tutto rigorosamente vero! Molti altri, invece, penseranno che si tratta di eventi insoliti - sotto molto aspetti anche straordinari – ma pur sempre spiegabili con le comuni cognizioni umane. Pur condividendo in via di principio la loro posizione, vorrei però chiedere ai signori scettici se non ritengono che l’insieme di tanti eventi strabilianti, per di più susseguitisi a così breve distanza di tempo, non c’impongano un approfondimento sui misteri che ancora avvolgono la nostra esistenza.
Sono milioni Mirco Corridori, Genazzano (Roma)
- È assolutamente impensabile che questa specie di vaso di terracotta possa essere un manufatto alieno. - Eppure sembra che qualcuno abbia visto degli oggetti non identificati volare da queste parti, ultimamente. - Non crederai a queste sciocchezze, spero? - Io credo solo a quello che vedo, e davanti a me c'è una pila elettrica vecchia di almeno millecinquecento anni. - È chiaro, gli ALIENI, millecinquecento anni fa, erano dotati di lettori mp3 che funzionavano con batterie del genere! Fammi il piacere! - Non essere sarcastico. Queste che tu chiami batterie, se messe in serie, possono alimentare una torcia elettrica senza alcun problema. - Spiegami cosa se ne fanno gli alieni di un torcia. Stiamo parlando di esseri intelligenti in grado di spostarsi velocemente in ogni punto della galassia. - Non al buio, evidentemente. - Oh, bene, dimmi allora come dovrebbero essere questi extraterrestri che ci hanno lasciato una pila elettrica qui a Baghdad, vicino a questa ridicola scultura moderna. - Non te lo saprei dire con certezza... - Sono verdi, squamosi e con la lingua biforcuta? Mangiano topi in un boccone? - Non dire sciocchezze! - Oppure grigi, con grandi occhi allungati su una testa a forma di uovo. - Non ho molta voglia di scherzare, smettila dai! - Oppure potrebbero essere famelici, avere tre fila di denti e magari potrebbero tornare per nutrirsi di carne umana. - Guarda che qui a Baghdad non vedono quel genere di film. - Intendi rimanerci a lungo per questo motivo? - Finché non troveremo altre pile. Continueremo a scavare vicino a questa statua, dove abbiamo trovato la prima. - È la scultura più strana che abbia mai visto. Cosa dovrebbe rappresentare? - Non ne ho idea. Ho passato anni a studiare archeologia e non ho mai avuto tempo per approfondire l'arte moderna. - Be', in ogni modo sarai d'accordo che una statua di venti metri raffigurante un coniglietto rosa con un tamburino a tracolla sia strana, non pensi? - Finalmente siamo d'accordo su qualcosa. - Hai notato che ha un vano dietro la gamba? Hai provato a infilarci la pila? - Perché dovrei? - Provaci, non penso che sia pericoloso. - Hai ragione, si incastra perfettamente. - Visto? Ti ho aiutato a risolvere un mistero. - È una coincidenza davvero particolare. - La statua del coniglietto si è mossa. - Stavolta sei tu ad avere troppa immaginazione. - Ho sentito nitidamente il rumore di un tonfo, come se il coniglietto avesse battuto una bacchetta contro il tamburo. - Impossibile! - Guarda lì su. Vedo dei puntini avvicinarsi. - Sembrano dirigersi da questa parte. - Si stanno avvicinando sempre di più. - Sono identici alla statua del coniglietto. - Sono milioni.
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 1 (Menzione speciale) Giovanni Perini, Masserano (BI)
Un alito di vento si infilò nella vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. Nessuno dei due la vide. Stavano guardando in un’altra direzione.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - Qualche volta. Di nuovo silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma poteva sentire il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno davvero gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi. - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può proprio. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Ma magari ci sbagliamo. Magari l’Universo è eterno e infinito e il limite della velocità della luce non esiste. - Beh, tutto è possibile, però... la radiazione cosmica di fondo... le galassie che sembrano allontanarsi le une dalle altre... le lenti gravitazionali... è difficile pensare che ci stiamo sbagliando così tanto e su cose così importanti. - Eppure ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero che li vediamo? - Perchè? Perchè dovrebbero nascondersi? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Forse non vogliono interferire con la nostra evoluzione. - Può essere. Ma potrebbero almeno presentarsi, sbucare da una nave spaziale e dire: “Buongiorno. Siamo alieni. Veniamo da Zubenelgenubi. Adesso però ce ne andiamo perchè è meglio per voi che facciate la vostra strada da soli. Piacere di avervi conosciuti.” Almeno questo. Se no, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però, qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
Zig allungò un tentacolo sulla proiezione tridimensionale di fronte a lui. Fece scorrere alcuni dati, su altri si soffermò un po’di più. Il ciuffo di peli sulla sua testa si illuminò di una luce cangiante: - Qui è tutto a posto, Zag. L’Emettitore di Radiazione di Fondo è ok, e anche il Simulatore di Red-Shift è ancora perfettamente tarato. - I Distorsori Spazio-Tempo sono tutti in perfetta efficienza! - illuminò Zag in risposta. - Che facciamo adesso, Zig? Cambiamo qualche parametro? - Mmm... già ma cosa? Ci vorrebbe qualcosa di grosso, Zag... - Gli mettiamo qualche strano isotopo sulla prossima cometa? - E’ un’idea! Però... e se lasciassimo perdere l’astrofisica? Sta cominciando ad annoiarmi. - Ci sono! - lampeggiò Zag - Inneschiamo una piccola era glaciale! - Grandioso! Cerco subito un angolo di risonanza per l’Induttore Termo-Oceano-Atmosferico! I cinque tentacoli di Zig cominciarono a muoversi rapidamente sui comandi della nave spaziale. Il suo ciuffo si colorò di Rosso Divertimento al solo pensare al fiume di stupidaggini che avrebbe letto sulle riviste scientifiche di quei laboriosi e comicamente seri mammiferi bipedi.
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 2 (Menzione speciale) Giovanni Perini, Masserano (BI)
Un alito di vento si infilò nella vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. - La! - disse lui, puntando un dito quasi invisibile nel buio della notte. - Me la sono persa... - gli fece eco lei con un sussurro.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - Qualche volta. Di nuovo silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma poteva sentire il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno davvero gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi. - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può proprio. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Eppure ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero comunicare con noi? - Perchè non dovrebbero? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Se sono così evoluti da arrivare fin qui, forse noi non abbiamo niente di interessanti da dire, per loro. - Può essere. Ma anche se è probabile che saranno loro a insegnare a noi, più che il contrario, un confronto sarebbe interessante per entrambi. Chissà se la loro matematica è uguale alla nostra? Chissà se le loro leggi fisiche sono simili a quelle che abbiamo intuito noi? Sarebbe comunque uno scambio interessante e costruttivo per entrambi, non vedo perchè dovrebbero ignorarci. E poi, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
- Ehi Zag! - il ciuffo di peli sulla testa di Zig cominciò ad illuminarsi di una luce cangiante - Guarda un po’ cosa hanno rilevato i sensori? - Nooo! - lampeggiò Zag in risposta - Non posso crederci. Di nuovo! - Proprio così Zag, attività elettromagnetica! Questo sistema stellare è abitato da forme di vita intelligenti, anche se sono ancora in fase prespaziale. - Ma guarda che sfiga... E adesso che si fa? - Beh, potremmo chiedere il permesso agli indigeni e piazzarlo lo stesso... - Non ci penso nemmeno, Zig! L’ultima volta che ho preso contatti con una civiltà prespaziale è stato un tormento... e come si fa ad andare più veloce della luce... e qual’è la formula per calcolare tutti i numeri primi... e qual’è la massa del gravitone... un arricciamento di tentacoli che neanche t’immagini! - Ho capito, Zag. Inverto la rotta prima che ci vedano. - Sì sì, è meglio Zig. Andiamo a cerarci un altro sistema per il traliccio dell’astroripetitore. E che sia disabitato! - Ok Zag. Ma facciamo in fretta. Se lasciamo un’altra area scoperta, ‘sta volta quelli della Galaxytel ci mandano a cavare uranio dagli asteroidi, te lo dico io...
UNA RAGIONE TERRIBILMENTE SERIA - 3 (Menzione speciale) Giovanni Perini e Dario Nicosia, Masserano (BI)
Un alito di vento infilò la vallata. Un debole frusciare, su su fino a loro e oltre, che portava con sé il profumo delle erbe di montagna. Poi tornò il silenzio di una notte spezzata soltanto dalla luce delle stelle. Un frammento di ghiaccio cosmico terminò la sua vita di eoni incendiando una breve scia luminosa. - Eccola! - Bisbigliarono insieme, puntando il dito.
- Non hai mai l’impressione che qualcuno ci stia osservando da lassù? - chiese lei. - A volte. Silenzio. Non la vedeva nel buio della notte ma sentiva il calore del suo corpo sdraiato lì accanto. - Esisteranno gli extraterrestri? - Con tutte queste stelle, è difficile pensare che solo qui... insomma... che esistiamo solo noi - E perchè non si fanno vedere? - Forse non sanno che siamo qui. O magari siamo noi la specie più evoluta e saremo noi a scoprire tutti gli altri. O magari fare viaggi interstellari non si può. Sai, è facile immaginare civiltà antichissime e viaggi iperspaziali, ma per quanto ne sappiamo non è possibile superare la velocità della luce. - Ho letto da qualche parte che forse un modo per aggirarlo, il limite della velocità della luce, potrebbe esistere. Se si potesse davvero? - Beh, se si potesse... allora potrebbero anche arrivare un giorno. Magari sono già in viaggio. - O magari sono già arrivati ma restano nascosti. E se non volessero fare amicizia con noi? - E perchè no? Forse non ci guadagnerebbero nulla ma nemmeno avrebbero niente da perdere. Anche solo per fare quattro chiacchere, scambiarsi qualche opinione; anche solo per conoscere qualcuno così profondamente diverso. Perchè non dovrebbero volerci conoscere? - Non so. Chissà come ragiona un alieno. Magari ci sono dei motivi che noi non possiamo capire. Forse sono creature solitarie. - Forse. Potrebbero almeno presentarsi, sbucare da una nave spaziale e dire: “Buongiorno. Siamo alieni. Veniamo da Zubenelgenubi. Adesso però ce ne andiamo perchè non ci piace la compagnia”. Almeno questo. Se no, perchè prendersi la briga di fare tanta strada per poi neanche farsi vedere? - Non so. Però qualunque sia il motivo, deve essere una ragione terribilmente seria...
Il ciuffo di peli sulla testa di Zig s’illuminò all’improvviso di una luce cangiante. - Zag! Sono riuscito a intercettare i loro sistema di trasmissione e ho programmato il traduttore. - Fantastico! Adesso possiamo farci un’idea di che tipi sono questi simpatici bipedi... non vedo l’ora di conoscerli! Non sto più nella cuticola! - Cerco subito un archivio di notizie! Figure multicolori apparvero e scomparvero davanti ai due alieni, finchè non si fermò un’immagine piatta, bianca e nera, che un terrestre avrebbe trovato familiare. - Ecco! Vediamo cosa c’è scritto qui. “Bruciàti in piazza i libri di Harry Potter. Allontanano i bambini dalla Religione” Altro muoversi di tentacoli, altra immagine. “Petizione per eliminare i codici a barre. Conterrebbero il numero 666, il numero del Diavolo” Infine, una terza immagine. “Uccide a fucilate il vicino di casa: gli aveva fatto il malocchio” Dopo una lunga pausa, fu Zag a rompere il buio. - Sei sicuro che il traduttore funzioni come si deve? - Sicurissimo - lampeggiò Zig in risposta. - Senti... - Sì? - A dire il vero non ho più tutta questa voglia di conoscerli, questi qua... - E’ passata anche a me. Torniamo indietro? - Sì, è meglio. Torniamo all’Astrogrill e prendiamo un’altra rotta. Cerchiamo qualcuno meno fuori di testa.
Una strana giornata Lorenzo Ghelfi, Milano
Non mi succede spesso di dormire fino alle nove del mattino e di svegliarmi con questa sensazione di totale benessere fisico. Da anni le mie notti si compongono di una esasperante serie di risvegli e successivi sforzi per cancellare i pensieri angosciosi e riprendere il sonno prima che la veglia si cristallizzi in uno stupore insopportabile. Ma stamane tutto sembra circonfuso da un’aura di delizioso appagamento che mi permea facendomi sentire come una gatta su una copertina di lana stesa sul calorifero. Giorgio, per convincermi dell’esistenza dei nodi di Hartmann, mi suggeriva di guardare dove si sistema il gatto a dormire; LI, sosteneva, c’è certamente un nodo! Povero Giorgio, anima semplice e aperta alla fascinazione dell’improbabile, non si è mai reso conto della corrispondenza tra i suoi “nodi” e le fonti di calore o di morbidezza! Ad ogni modo, un nodo deve essere traslato improvvisamente sotto al mio letto, perché la sensazione che ho provato al risveglio è stata di grande rilassamento e al contempo di prorompente energia interiore che mi rende pronta ad affrontare con decisione qualunque problema. Già, problemi, la mia vita ne è stata sempre piena, ma non di quei bei problemi esistenziali che ti fanno sentire intelligente (per intenderci, roba del tipo da dove vengo, che scopo ha l’esistenza e che senso ha la mia presenza nell’infinito cosmico). No, piuttosto più verso il tipo: ma come faccio a pagare la 37° rata del mutuo visto che questo mese devo pagare luce, gas, riscaldamento e ridare a Giorgio i 400 euro che mi ha prestato il mese scorso? Ma oggi sento che tutto mi sarà facile, so che qualcosa è improvvisamente cambiato, so che, per esempio, tra poco il postino suonerà alla mia porta con una raccomandata. Bene, tanto vale che mi lavi e mi vesta per farmi trovare pronta. Ecco fatto, suonano. La raccomandata mi annuncia che devo presentarmi il 27 dal notaio per importanti comunicazioni che mi riguardano. Telepaticamente trasmetto a Giorgio la notizia che salderò il mio debito entro il 30, visto che sto per ricevere un’eredità di 800.000 euro dalla zia Caterina, pace all’anima sua. Già che ci sono gli consiglio di non prendere il treno delle 10,15 perché deraglierà poco dopo la partenza. Decido di uscire, ma non riesco ad infilare la chiave nella serratura, la controllo e mi rendo conto che è storta, mi concentro, la raddrizzo e chiudo. Sono in ritardo per il lavoro ma non è un problema: sposto indietro gli orologi dell’ufficio quanto basta per farmi arrivare in orario. Mi fermo un attimo al botteghino del lotto a giocare i numeri che usciranno nel pomeriggio: 24 13 85 e 32. Peccato che non riesca a vedere più di quattro cifre! Sposto sul verde il semaforo e attraverso senza curarmi del camion che, sorpreso dal repentino passaggio al rosso, mi sta piombando addosso: uno sguardo di sfuggita basta per bloccarlo. Il capo mi guarda come se mi vedesse per la prima volta, penso che devo aver esagerato nel ridisegnare il mio corpo, osservandolo meglio, vedo la massa tumorale che si sta formando nel suo polmone destro. Gli appoggio la mano sul torace facendoglielo sparire anche se non se lo meriterebbe visto come mi tratta, ma in fondo è un brav’uomo. Tornando a casa ripenso alla mia giornata. Decisamente all’altezza delle aspettative del mattino. Ci dormirò sopra e domani, quando tornerò ad essere me stessa, non mi chiederò se il nodo di Hartmann sarà ancora li, in fondo di giornate così ne può bastare una nella vita!
Uomini eccezionali Andrea Bellizzi, Roma
Dentro la piccola stanza imbottita, il professor Moreder si muoveva avanti e indietro con lentezza pensosa, ed improvvisi, piccoli scatti di ribellione. Dietro una piccola grata nascosta, il dottor Rednic scosse la testa. «Come una belva in gabbia. Oramai il professor Moreder adotta anche le movenze di un lupo. Guardi anche lei, dottoressa.» Il dottore si spostò leggermente e la dottoressa Ionescu guardò a sua volta, con la sensazione nettissima, mentre osservava l'andirivieni del professore, che Rednic approfittasse della vicinanza per odorarle i capelli. «I calmanti che gli abbiamo somministrato non hanno avuto effetto», osservò il dottore. «Non resta che aumentare le dosi più decisamente.» La giovane psichiatra aggrottò la fronte. «Dosi più forti delle attuali potrebbero provocare danni pericolosi. Proviamo di nuovo un approccio verbale.» Anche il dottore aggrottò la fronte. «Di nuovo? Ha già dimenticato quello che è successo l'ultima volta?» La dottoressa impallidì leggermente. «Starò più attenta.» «Come l'assistente del professore, il giovane Mitenka?» Rednic sorrise ironicamente, chiudendo la grata. «Secondo la polizia, ci sono buone probabilità che il professore l’abbia ucciso. In questi casi l'approccio psicologico serve a poco. Abbiamo di fronte un individuo pericoloso. Un'ex mente brillante, ossessionata da studi insensati e da ridicole convinzioni.» Il dottore indicò la porta a vetri che si trovava alla fine del corridoio. «Andiamo fuori a prendere un po' d'aria. Dovrebbe essere una bella serata.» In effetti il tempo era piacevole e la luce lunare rischiarava gran parte della campagna. «Non bastavano le sue ricerche dilettantesche sui vampiri, doveva fissarsi anche con i lupi mannari», disse Rednic, scandendo “lupi mannari” con evidente disprezzo. «Lei è molto duro con il professor Moreder», protestò la psichiatra. «Ho letto che da molti viene considerato un luminare.» Il dottore si voltò con espressione irritata. «Un luminare? Per quale pubblico di sciocchi? Conosco bene i tipi come lui. Invece di lavorare duro, di studiare con metodo e rigore le cose che non capiscono, preferiscono prendere scorciatoie fantasiose e grossolane.» Rednic posò le mani sulle spalle della ragazza e la guardò con decisione. «Dia retta a me: chi va dietro a questi scadenti deliri dell’immaginazione non può che rimetterci l’integrità mentale.» La dottoressa si sentì scossa e turbata. Oltre al contatto delle mani di Rednic e all’intensità del suo sguardo, avvertì il profumo della vegetazione circostante e la frescura del vento sulle braccia scoperte e sul collo. Le pupille di Rednic, inoltre, diventavano sempre più profonde e scure. «I vampiri di cui parla il professor Moreder non esistono, Ileana. Esistono solo uomini eccezionali, con l’attitudine al comando e alla conoscenza, e la grande massa ottusa, da sottomettere e controllare», sussurrò Rednic, con voce ipnotica, avvicinando il suo volto a quello della ragazza. Un intenso calore si diffuse nel petto di Ileana Ionescu, stordita da tante emozioni, per irradiarsi velocemente fino all’inguine. «Ne sono certa», mormorò con fatica, e con uno scatto feroce azzannò il dottore sul collo. Rednic provò a gridare, sorpreso e terrorizzato, ma altri morsi, in rapida successione, soffocarono ogni tentativo di difesa. «Amore mio, vengo a portarti via», disse la psichiatra, leccando via il sangue dalla leggera peluria bionda che gli era cresciuta agli angoli della bocca e sulle braccia flessuose. Un lungo ululato dal Reparto Pericolosi le fece pulsare le vene del polso destro, nel punto morso dal professore Moreder.