«Non sono per niente emozionata, né spaventata. L'unica cosa che mi emoziona ancora è la vita».
Lo ha dichiarato Rita Levi Montalcini ai giornalisti che la intervistavano lo scorso 22 aprile, durante una cerimonia organizzata dall'Istituto Superiore di Sanità per festeggiare il suo centesimo compleanno. Condensare in poche righe una vita così lunga e piena di attività non è compito facile, ma noi di S&P (insieme al CICAP di cui Rita Levi Montalcini è Membro onorario sin dalla fondazione) desideriamo ugualmente tributare il nostro personale omaggio alla Signora della Scienza italiana, che con spirito indomito, fin da giovanissima, ha saputo conquistarsi un posto d'onore in un mondo spesso ostile alle donne, superando con grande coraggio – lei di religione ebraica – anche un periodo storico particolarmente difficile e oscuro.
Rita Levi Montalcini nacque a Torino il 22 aprile 1909, ultima dei quattro figli di Adamo Levi, ingegnere meccanico e fine matematico, e Adele Montalcini, una pittrice molto dotata. Nonostante i genitori fossero persone di grande cultura e profondo amore per la scienza, erano del parere che le donne non dovessero perseguire una propria carriera e quindi non dovessero frequentare l'Università. Nella propria autobiografia, redatta all'epoca del conferimento del Nobel, Rita Levi Montalcini scrive: «A vent'anni mi resi conto che non avrei mai potuto adattarmi al ruolo femminile così come era concepito da mio padre, e gli chiesi il permesso di potermi impegnare in una carriera professionale. Nei successivi otto mesi colmai le mie lacune in latino, greco e matematica, mi diplomai al liceo e mi iscrissi alla scuola di medicina a Torino». Qui avrebbe avuto come insegnante l'istologo Giuseppe Levi, e tra i compagni i futuri Nobel Dulbecco e Luria. Le difficoltà familiari, però, erano ben poca cosa rispetto a quel che ancora avrebbe dovuto affrontare. Leggiamo ancora nella sua autobiografia: «Mi laureai magna cum laude in Medicina nel 1936, e mi iscrissi al triennio di specializzazione in neurologia e psichiatria, incerta se dedicarmi interamente alla professione medica o nel contempo anche a ricerche neurologiche. La mia perplessità non era destinata a durare. Nel 1936 Mussolini pubblicò il Manifesto per la Difesa della Razza, firmato da dieci scienziati italiani. Al manifesto seguì la promulgazione delle leggi razziali che impedivano la carriera accademica e professionale a cittadini italiani non ariani». La sua famiglia decise di non fuggire all'estero, ma di rimanere in Italia e dedicarsi ad attività che non richiedessero contatti con il mondo esterno "ariano". Rita installò in camera da letto il proprio laboratorio, che a causa dei bombardamenti dovette poi essere ricostruito altrove. In questo laboratorio domestico ebbero luogo le sue prime importanti ricerche, ispirate al lavoro del professor Viktor Hamburger. Si ritrovò poi a Firenze, dove gli angloamericani che avevano conquistato la zona la ingaggiarono come medico nei campi per i rifugiati. Alla fine della guerra il professore la volle con sé negli Stati Uniti. Il successo delle sue ricerche le consentì una brillante carriera accademica, culminata nel Nobel del 1986, per la notissima scoperta del NGF (Nerve Growth Factor). Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta del NGF all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo».
L'eccezionalità di Rita Levi Montalcini non è solo nelle sue capacità di medico e di ricercatore. Anche in un Paese avanzato come gli Stati Uniti, negli anni '50 una donna in carriera in un ambiente scientifico tradizionalmente maschile suscitava perplessità. E lei racconta: «La prima volta che andai in America, mi chiesero chi fosse mio marito. Non erano abituati a una donna che conducesse la sua vita di studiosa da sola. "I'm my own husband", sono il marito di me stessa, risposi. Non capirono. Pensarono non sapessi l'inglese».
Le difficoltà sono state il suo maggiore incoraggiamento. Pur dichiarando di provare rancore per quel che i nazifascisti hanno fatto agli ebrei, afferma: «Senza le leggi razziali, quando lo Stato stabilì che la mia famiglia e io appartenevamo a una razza inferiore, non sarei stata costretta a lavorare chiusa nella mia camera da letto, dove avevo allestito un piccolo laboratorio, sia a Torino che ad Asti. Ricerche che nel 1986 mi hanno portato a Stoccolma». Queste frasi sono tratte dal sito web dedicato alla Fondazione Rita Levi Montalcini onlus, da lei fondata nel 1992 con il motto "Il futuro ai giovani", la sua più recente – di certo non l'ultima – sfida al mondo. Vi si legge tra l'altro che: «Una delle maggiori problematiche che grava sulle popolazioni del sud del mondo, in particolare nel continente africano, è il mancato accesso all'istruzione della quasi totalità delle appartenenti al sesso femminile. ... La creatività e l'efficienza organizzativa, già dimostrata dalle giovani donne africane, potranno innescare meccanismi di trasformazione sociale, essenziali per loro stesse e per l'intero genere umano. ... Lo sviluppo dei paesi ad alto livello culturale ha dimostrato che l'istruzione è la chiave di volta del progresso di un paese». Il programma della Fondazione, perseguito per lo più attraverso la partecipazione a Progetti di Cooperazione Internazionale, ha un duplice obiettivo: venire in aiuto a popolazioni che vivono in condizioni di estrema indigenza e impedire che le tragiche situazioni di questi paesi provochino migrazioni di massa e sollevino altri sconvolgimenti a livello globale.
Poco nota, ma interessante, una sua mancata partecipazione al festival di Sanremo. Non come cantante, certo, né come presentatrice (anche se ricordiamo l'illustre precedente del Nobel Renato Dulbecco al fianco di Fabio Fazio nell'edizione del 1999), bensì come coautrice del testo di una canzone presentata nel 2006 dai Jalisse, Linguaggio Universale, che non fu poi ammessa dalla giuria. Racconta l'assistente della senatrice a vita, Giuseppina Tipodi: «La professoressa e io eravamo in automobile. Lei aveva già spedito ai Jalisse (che l'avevano invitata a partecipare al progetto conoscendo il suo impegno per l'infanzia, N.d.A.) una riflessione sui suoi temi più cari. Il loro entusiasmo l'ha convinta a immaginare un testo in versi, limato con attenzione fino all'ultima parola. Un inno all'uguaglianza, alla libertà creativa di ogni bambino». Un verso dice: «Nei giardini dell'infanzia si racconta che/ ogni uomo è uguale all'altro perché amore è amore se/ riesci a guardare tra le stelle e capire come puoi/ essere libero nell'universo».
Per sua stessa ammissione, Rita Levi Montalcini non ha mai oziato – e forse è questo il segreto della sua longevità. «Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita» recita uno dei suoi più noti aforismi. Noi riteniamo che sia riuscita nell'ardua e magnifica impresa di fare entrambe le cose.
Lo ha dichiarato Rita Levi Montalcini ai giornalisti che la intervistavano lo scorso 22 aprile, durante una cerimonia organizzata dall'Istituto Superiore di Sanità per festeggiare il suo centesimo compleanno. Condensare in poche righe una vita così lunga e piena di attività non è compito facile, ma noi di S&P (insieme al CICAP di cui Rita Levi Montalcini è Membro onorario sin dalla fondazione) desideriamo ugualmente tributare il nostro personale omaggio alla Signora della Scienza italiana, che con spirito indomito, fin da giovanissima, ha saputo conquistarsi un posto d'onore in un mondo spesso ostile alle donne, superando con grande coraggio – lei di religione ebraica – anche un periodo storico particolarmente difficile e oscuro.
Rita Levi Montalcini nacque a Torino il 22 aprile 1909, ultima dei quattro figli di Adamo Levi, ingegnere meccanico e fine matematico, e Adele Montalcini, una pittrice molto dotata. Nonostante i genitori fossero persone di grande cultura e profondo amore per la scienza, erano del parere che le donne non dovessero perseguire una propria carriera e quindi non dovessero frequentare l'Università. Nella propria autobiografia, redatta all'epoca del conferimento del Nobel, Rita Levi Montalcini scrive: «A vent'anni mi resi conto che non avrei mai potuto adattarmi al ruolo femminile così come era concepito da mio padre, e gli chiesi il permesso di potermi impegnare in una carriera professionale. Nei successivi otto mesi colmai le mie lacune in latino, greco e matematica, mi diplomai al liceo e mi iscrissi alla scuola di medicina a Torino». Qui avrebbe avuto come insegnante l'istologo Giuseppe Levi, e tra i compagni i futuri Nobel Dulbecco e Luria. Le difficoltà familiari, però, erano ben poca cosa rispetto a quel che ancora avrebbe dovuto affrontare. Leggiamo ancora nella sua autobiografia: «Mi laureai magna cum laude in Medicina nel 1936, e mi iscrissi al triennio di specializzazione in neurologia e psichiatria, incerta se dedicarmi interamente alla professione medica o nel contempo anche a ricerche neurologiche. La mia perplessità non era destinata a durare. Nel 1936 Mussolini pubblicò il Manifesto per la Difesa della Razza, firmato da dieci scienziati italiani. Al manifesto seguì la promulgazione delle leggi razziali che impedivano la carriera accademica e professionale a cittadini italiani non ariani». La sua famiglia decise di non fuggire all'estero, ma di rimanere in Italia e dedicarsi ad attività che non richiedessero contatti con il mondo esterno "ariano". Rita installò in camera da letto il proprio laboratorio, che a causa dei bombardamenti dovette poi essere ricostruito altrove. In questo laboratorio domestico ebbero luogo le sue prime importanti ricerche, ispirate al lavoro del professor Viktor Hamburger. Si ritrovò poi a Firenze, dove gli angloamericani che avevano conquistato la zona la ingaggiarono come medico nei campi per i rifugiati. Alla fine della guerra il professore la volle con sé negli Stati Uniti. Il successo delle sue ricerche le consentì una brillante carriera accademica, culminata nel Nobel del 1986, per la notissima scoperta del NGF (Nerve Growth Factor). Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta del NGF all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo».
L'eccezionalità di Rita Levi Montalcini non è solo nelle sue capacità di medico e di ricercatore. Anche in un Paese avanzato come gli Stati Uniti, negli anni '50 una donna in carriera in un ambiente scientifico tradizionalmente maschile suscitava perplessità. E lei racconta: «La prima volta che andai in America, mi chiesero chi fosse mio marito. Non erano abituati a una donna che conducesse la sua vita di studiosa da sola. "I'm my own husband", sono il marito di me stessa, risposi. Non capirono. Pensarono non sapessi l'inglese».
Le difficoltà sono state il suo maggiore incoraggiamento. Pur dichiarando di provare rancore per quel che i nazifascisti hanno fatto agli ebrei, afferma: «Senza le leggi razziali, quando lo Stato stabilì che la mia famiglia e io appartenevamo a una razza inferiore, non sarei stata costretta a lavorare chiusa nella mia camera da letto, dove avevo allestito un piccolo laboratorio, sia a Torino che ad Asti. Ricerche che nel 1986 mi hanno portato a Stoccolma». Queste frasi sono tratte dal sito web dedicato alla Fondazione Rita Levi Montalcini onlus, da lei fondata nel 1992 con il motto "Il futuro ai giovani", la sua più recente – di certo non l'ultima – sfida al mondo. Vi si legge tra l'altro che: «Una delle maggiori problematiche che grava sulle popolazioni del sud del mondo, in particolare nel continente africano, è il mancato accesso all'istruzione della quasi totalità delle appartenenti al sesso femminile. ... La creatività e l'efficienza organizzativa, già dimostrata dalle giovani donne africane, potranno innescare meccanismi di trasformazione sociale, essenziali per loro stesse e per l'intero genere umano. ... Lo sviluppo dei paesi ad alto livello culturale ha dimostrato che l'istruzione è la chiave di volta del progresso di un paese». Il programma della Fondazione, perseguito per lo più attraverso la partecipazione a Progetti di Cooperazione Internazionale, ha un duplice obiettivo: venire in aiuto a popolazioni che vivono in condizioni di estrema indigenza e impedire che le tragiche situazioni di questi paesi provochino migrazioni di massa e sollevino altri sconvolgimenti a livello globale.
Poco nota, ma interessante, una sua mancata partecipazione al festival di Sanremo. Non come cantante, certo, né come presentatrice (anche se ricordiamo l'illustre precedente del Nobel Renato Dulbecco al fianco di Fabio Fazio nell'edizione del 1999), bensì come coautrice del testo di una canzone presentata nel 2006 dai Jalisse, Linguaggio Universale, che non fu poi ammessa dalla giuria. Racconta l'assistente della senatrice a vita, Giuseppina Tipodi: «La professoressa e io eravamo in automobile. Lei aveva già spedito ai Jalisse (che l'avevano invitata a partecipare al progetto conoscendo il suo impegno per l'infanzia, N.d.A.) una riflessione sui suoi temi più cari. Il loro entusiasmo l'ha convinta a immaginare un testo in versi, limato con attenzione fino all'ultima parola. Un inno all'uguaglianza, alla libertà creativa di ogni bambino». Un verso dice: «Nei giardini dell'infanzia si racconta che/ ogni uomo è uguale all'altro perché amore è amore se/ riesci a guardare tra le stelle e capire come puoi/ essere libero nell'universo».
Per sua stessa ammissione, Rita Levi Montalcini non ha mai oziato – e forse è questo il segreto della sua longevità. «Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita» recita uno dei suoi più noti aforismi. Noi riteniamo che sia riuscita nell'ardua e magnifica impresa di fare entrambe le cose.