Rinascimento, come è ovvio, significa etimologicamente "seconda nascita". Nel Medioevo si usava il termine in senso religioso, per indicare la rinascita spirituale dopo la morte dell'anima provocata dalla caduta narrata nella favola del Genesi. In seguito, esso è invece passato a significare la fioritura culturale e artistica del Quattro e Cinquecento, che prese le distanze dal rintontimento teologico del Medioevo e ritrovò le sue vere radici nella cultura classica.
Naturalmente, sia nell'ontogenesi che nella filogenesi, il passaggio dalla (ri)nascita alla maturità avviene attraverso periodi di infanzia e adolescenza. E, come sarebbe sciocco considerare i balbettii di un bambino o i farfugliamenti di un ragazzo alla stessa stregua dei discorsi meditati di un uomo, lo è altrettanto il pretendere di trovare saggezza negli pseudofilosofi rinascimentali: non a caso, le storie della filosofia moderna iniziano da Cartesio, e pagano al massimo un imbarazzato tributo a personaggi di transizione quali Nicola Cusano o Giordano Bruno.
Il che non impedisce a coloro che ancor oggi si trovano allo stadio adolescenziale del pensiero, facilmente riconoscibili perché accomunati dalla credenza che la confusione sia sinonimo di profondità, di illudersi di trovare chissà quali verità nel pensiero rinascimentale e in libri che mescolano in insalata russa gli ingredienti più disparati, dal neoplatonismo alla magia, passando per la cabala e l'astrologia.
Un esempio tipico di questi piatti indigesti e illeggibili è l'immensa Hypnerotomachia Poliphili, o Sogno della notte d'amore di Polifilo, di Francesco Colonna: un'opera del 1499, a metà tra lo scherzo goliardico e il delirio paranoico, che spazia dai racconti mitologici alle dissertazioni esoteriche, passando per descrizioni architettoniche e disquisizioni gastronomiche, in un guazzabuglio di lingue antiche e moderne. E poiché il mondo è vario, oggi c'è chi prende ancora questo libro sul serio e lo ristampa in edizione filologica (Adelphi), e chi invece lo prende in giro e ci imbastisce su un divertente romanzo come Il codice dei quattro di Ian Caldwell e Dustin Thomason (Piemme).
Un altro esempio, di poco posteriore, è il Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti, pubblicato nel 1526 e appartenente alla nutrita schiera dei cosiddetti "libri della sorte" o "della ventura": di quei testi, cioè, che a partire dal classico cinese I Ching, o Libro dei Mutamenti (Adelphi), millantano, in maniera seria o faceta, di fornire un aiuto divinatorio per districarsi nei casi della vita. Con un approccio ossimorico alla previsione del futuro, essi spesso pretendono di dominarne la necessità attraverso la casualità: affidandosi, cioè, all'estrazione di bastoncini o al tiro di monete (l'I Ching), al tiro dei dadi o all'ora segnata dall'orologio (il Triompho).
Come diceva il premio Nobel per la fisica Niels Bohr, però, fare previsioni è sempre difficile, soprattutto sul futuro. Per tutelarsi, i maestri divinatori preferiscono nascondere le loro dietro formulazioni vaghe e generiche, delegandone al fruitore la corretta interpretazione: il che, naturalmente, risulta sempre facile col senno di poi, cioè dopo che i fatti sono ormai avvenuti, ma altrettanto sempre impossibile prima. D'altronde, come potrebbero i miseri 64 esagrammi dell'I Ching e i relativi oscuri commenti fornire, da soli, una chiave per gli infiniti avvenimenti possibili, se non attraverso un'interpretazione sfrenatamente creativa? Meglio equipaggiate, da questo punto di vista, sono le sedici centurie di quartine del Triompho, che eccedono persino le dieci Centurie (incomplete, per un totale di 942 quartine) del più famoso Nostradamus, pubblicate a partire dal 1555.
Queste e quelle quartine hanno trovato il loro Jung nella persona di Renucio Boscolo, che nella quarta di copertina del suo recente Summa Prophetica si autocertifica come "il massimo studioso ed interprete di Nostradamus": un titolo olimpico, visto il numero di perdigiorno che si dedicano ancor oggi, in piena era tecnologica e scientifica, a sprecare il loro tempo con le sue quartinate.
Quanto al Fanti, il Boscolo è invece allo stesso tempo il suo migliore e peggiore studioso e interprete, essendo anche l'unico: secondo la sua stessa testimonianza, infatti,
Scrutinate con l'infallibile strumento della "Kronosemantica", concepita dallo stesso Boscolo, le centurie di Fanti rivelano qualcosa di
Per non rimanere nel vago delle perorazioni, un esempio di interesse universale chiarirà la metodologia dell'esegeta. Si tratta della profezia (postuma) della tragica morte della principessa Diana, contenuta nella centuria
E poiché a questo genere di deduzioni niente è precluso, Boscolo ha facile gioco a ritrovare nel Fanti riferimenti che vanno dal tragico al comico: ad esempio, da «gli interventi dell'Occidente cristiano in Iraq» a «l'incredibile gioco d'un nome: Armando Diego Maratona».
Ma chi era veramente questo Fanti, al di là delle interpretazioni? Nella prefazione al Triompho egli si definisce "matematico indegno": un termine ambiguo, che nella confusione rinascimentale indicava sia il ciarlatanesco numerologo o astrologo, che il serio studioso dei numeri o delle stelle. E il Fanti era entrambe le cose, come dimostrano da un lato le sue centurie, e dall'altro i lavori da lui elencati in una lettera al duca Alfonso d'Este del 1521, tra i quali si trovano opere di aritmetica, geometria, algebra, algoritmica e astronomia.
In questi lavori non c'era evidentemente nulla di memorabile, visto che il nome del loro autore non compare in nessuna Storia della matematica, da quella omonima di Carl Boyer (Mondadori) a Il pensiero matematico di Morris Kline (Einaudi). Ci è però pervenuta una sua opera seria di matematica applicata: la Theorica et Pratica del 1514, nella quale il Fanti si dedica al problema non banale di costruire geometricamente le lettere minuscole dell'alfabeto. Il suo metodo estende quello usato per le maiuscole nel 1509 da Luca Pacioli, nel famoso trattato De Divina Proportione, e si situa in una tradizione iniziata mezzo secolo prima da Felice Feliciani e portata a compimento nel 1986 da Donald Knuth con il monumentale Computers and Typesetting (Addison Wesley), che costituisce la Bibbia della tipografia digitale.
Quanto al semischerzo del Triompho, forse sarebbe stato meglio lasciarlo ammuffire dove stava. Il Boscolo ne ha invece anzitutto cambiato il titolo, chiamandolo appunto Summa Prophetica, per adeguarlo alla memoria di un proprio sogno premonitore: fedele in questo al suo motto programmatico, che se l'immaginazione non si adegua ai fatti, si possono ben adeguare i fatti all'immaginazione. E ne è poi diventato il solitario esegeta, ammettendo che «nessuno ha mai ipotizzato che cosa questo testo contenesse davvero, perché nessuno sinora aveva avuto la pazienza e la capacità di leggerlo e analizzarlo sino in fondo senza andar fuori di testa».
Articolo pubblicato su La Repubblica del 3 novembre 2006. Riprodotto per gentile concessione dell'autore.
Naturalmente, sia nell'ontogenesi che nella filogenesi, il passaggio dalla (ri)nascita alla maturità avviene attraverso periodi di infanzia e adolescenza. E, come sarebbe sciocco considerare i balbettii di un bambino o i farfugliamenti di un ragazzo alla stessa stregua dei discorsi meditati di un uomo, lo è altrettanto il pretendere di trovare saggezza negli pseudofilosofi rinascimentali: non a caso, le storie della filosofia moderna iniziano da Cartesio, e pagano al massimo un imbarazzato tributo a personaggi di transizione quali Nicola Cusano o Giordano Bruno.
Il che non impedisce a coloro che ancor oggi si trovano allo stadio adolescenziale del pensiero, facilmente riconoscibili perché accomunati dalla credenza che la confusione sia sinonimo di profondità, di illudersi di trovare chissà quali verità nel pensiero rinascimentale e in libri che mescolano in insalata russa gli ingredienti più disparati, dal neoplatonismo alla magia, passando per la cabala e l'astrologia.
Un esempio tipico di questi piatti indigesti e illeggibili è l'immensa Hypnerotomachia Poliphili, o Sogno della notte d'amore di Polifilo, di Francesco Colonna: un'opera del 1499, a metà tra lo scherzo goliardico e il delirio paranoico, che spazia dai racconti mitologici alle dissertazioni esoteriche, passando per descrizioni architettoniche e disquisizioni gastronomiche, in un guazzabuglio di lingue antiche e moderne. E poiché il mondo è vario, oggi c'è chi prende ancora questo libro sul serio e lo ristampa in edizione filologica (Adelphi), e chi invece lo prende in giro e ci imbastisce su un divertente romanzo come Il codice dei quattro di Ian Caldwell e Dustin Thomason (Piemme).
Un altro esempio, di poco posteriore, è il Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti, pubblicato nel 1526 e appartenente alla nutrita schiera dei cosiddetti "libri della sorte" o "della ventura": di quei testi, cioè, che a partire dal classico cinese I Ching, o Libro dei Mutamenti (Adelphi), millantano, in maniera seria o faceta, di fornire un aiuto divinatorio per districarsi nei casi della vita. Con un approccio ossimorico alla previsione del futuro, essi spesso pretendono di dominarne la necessità attraverso la casualità: affidandosi, cioè, all'estrazione di bastoncini o al tiro di monete (l'I Ching), al tiro dei dadi o all'ora segnata dall'orologio (il Triompho).
Come diceva il premio Nobel per la fisica Niels Bohr, però, fare previsioni è sempre difficile, soprattutto sul futuro. Per tutelarsi, i maestri divinatori preferiscono nascondere le loro dietro formulazioni vaghe e generiche, delegandone al fruitore la corretta interpretazione: il che, naturalmente, risulta sempre facile col senno di poi, cioè dopo che i fatti sono ormai avvenuti, ma altrettanto sempre impossibile prima. D'altronde, come potrebbero i miseri 64 esagrammi dell'I Ching e i relativi oscuri commenti fornire, da soli, una chiave per gli infiniti avvenimenti possibili, se non attraverso un'interpretazione sfrenatamente creativa? Meglio equipaggiate, da questo punto di vista, sono le sedici centurie di quartine del Triompho, che eccedono persino le dieci Centurie (incomplete, per un totale di 942 quartine) del più famoso Nostradamus, pubblicate a partire dal 1555.
Queste e quelle quartine hanno trovato il loro Jung nella persona di Renucio Boscolo, che nella quarta di copertina del suo recente Summa Prophetica si autocertifica come "il massimo studioso ed interprete di Nostradamus": un titolo olimpico, visto il numero di perdigiorno che si dedicano ancor oggi, in piena era tecnologica e scientifica, a sprecare il loro tempo con le sue quartinate.
Quanto al Fanti, il Boscolo è invece allo stesso tempo il suo migliore e peggiore studioso e interprete, essendo anche l'unico: secondo la sua stessa testimonianza, infatti,
mai, nella storia, la mente umana ha colto questa magnifica occasione di indagare, spalancare questo Libro di Presagi sull'imminente futuro dell'umanità tanto su questa Terra quanto in altri possibili mondi.
Scrutinate con l'infallibile strumento della "Kronosemantica", concepita dallo stesso Boscolo, le centurie di Fanti rivelano qualcosa di
così incredibile da apparire paradossale»: e cioè, a «una mente libera e allenata da tempo a spiare l'orizzonte della storia», esse «snocciolano in successione i quadri di tantissime vignette, quasi un fumetto che reca immagini concise, icastiche e sorprendentemente enciclopediche, in cui si narrano - o meglio, si anticipano - gli scenari della sorte umana, da quella della gente più comune sino a quella di potenti, tiranni, papi, imperatori, re, principi, cardinali, monaci, ladri, calciatori, navigatori, attori, clown, alchimisti, geometri, muratori, costruttori, scienziati, architetti, pittori, medici, fabbri, aviatori». Naturalmente, «tutte cose che sono per noi ancora inspiegabili secondo la metodologia della logica.
Per non rimanere nel vago delle perorazioni, un esempio di interesse universale chiarirà la metodologia dell'esegeta. Si tratta della profezia (postuma) della tragica morte della principessa Diana, contenuta nella centuria
Diana correndo per iniqui scanni
Per un che assonna teco nel tuo letto
Di maggior duol signa futuro effetto
Quasi sanato de presenti affanni
interpretando gli scanni come i sedili dell'auto che scappa dai fotografi, colui che assonna nel letto come l'amante Al Fayed, e "quasi sanato" come "qu'assassinato", il risultato è ineluttabile. Per un che assonna teco nel tuo letto
Di maggior duol signa futuro effetto
Quasi sanato de presenti affanni
E poiché a questo genere di deduzioni niente è precluso, Boscolo ha facile gioco a ritrovare nel Fanti riferimenti che vanno dal tragico al comico: ad esempio, da «gli interventi dell'Occidente cristiano in Iraq» a «l'incredibile gioco d'un nome: Armando Diego Maratona».
Ma chi era veramente questo Fanti, al di là delle interpretazioni? Nella prefazione al Triompho egli si definisce "matematico indegno": un termine ambiguo, che nella confusione rinascimentale indicava sia il ciarlatanesco numerologo o astrologo, che il serio studioso dei numeri o delle stelle. E il Fanti era entrambe le cose, come dimostrano da un lato le sue centurie, e dall'altro i lavori da lui elencati in una lettera al duca Alfonso d'Este del 1521, tra i quali si trovano opere di aritmetica, geometria, algebra, algoritmica e astronomia.
In questi lavori non c'era evidentemente nulla di memorabile, visto che il nome del loro autore non compare in nessuna Storia della matematica, da quella omonima di Carl Boyer (Mondadori) a Il pensiero matematico di Morris Kline (Einaudi). Ci è però pervenuta una sua opera seria di matematica applicata: la Theorica et Pratica del 1514, nella quale il Fanti si dedica al problema non banale di costruire geometricamente le lettere minuscole dell'alfabeto. Il suo metodo estende quello usato per le maiuscole nel 1509 da Luca Pacioli, nel famoso trattato De Divina Proportione, e si situa in una tradizione iniziata mezzo secolo prima da Felice Feliciani e portata a compimento nel 1986 da Donald Knuth con il monumentale Computers and Typesetting (Addison Wesley), che costituisce la Bibbia della tipografia digitale.
Quanto al semischerzo del Triompho, forse sarebbe stato meglio lasciarlo ammuffire dove stava. Il Boscolo ne ha invece anzitutto cambiato il titolo, chiamandolo appunto Summa Prophetica, per adeguarlo alla memoria di un proprio sogno premonitore: fedele in questo al suo motto programmatico, che se l'immaginazione non si adegua ai fatti, si possono ben adeguare i fatti all'immaginazione. E ne è poi diventato il solitario esegeta, ammettendo che «nessuno ha mai ipotizzato che cosa questo testo contenesse davvero, perché nessuno sinora aveva avuto la pazienza e la capacità di leggerlo e analizzarlo sino in fondo senza andar fuori di testa».
Articolo pubblicato su La Repubblica del 3 novembre 2006. Riprodotto per gentile concessione dell'autore.