Batteri alieni o "bufale" pseudoscientifiche?

Abbiamo scoperto alcuni minuscoli batteri in almeno cinquanta diverse rocce di ogni tipo e provenienti da tutto il mondo, oltre che dal Golfo di Napoli.
Alcune di queste rocce sono vecchie meteoriti, risalenti fino a 2,3 miliardi di anni fa. I batteri che abbiamo trovato, una volta estratti dalle rocce, si sono svegliati dal lungo letargo, hanno riacquistato intatta la loro antica mobilità e hanno iniziato a riprodursi. Tutto questo è la prova che c'è vita là fuori, nello spazio. E che, con tutta probabilità, l'organizzazione vivente della materia non è un' "invenzione" della nostra Terra, ma ha un'origine cosmica. Come sosteneva, all'inizio del XX secolo il grande chimico svedese Svante Arrhenius. E come tuttora sostiene, incompreso ai più, il grande cosmologo inglese Fred Hoyle.
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L'annuncio della scoperta di "vita extraterrestre" è stata dato a Roma da tre ricercatori partenopei, il geologo Bruno D'Argenio e il biologo molecolare Giuseppe Geraci dell'università Federico II di Napoli, a da Rosanna del Gaudio, dell'Istituto Geomare-sud del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I contenuti e le modalità dell'annuncio sono analoghi a quelli con cui nel 1996 l'americano David McKay diede notizia, negli Usa, del ritrovamento di "batteri marziani" in un meteorite rinvenuto in Antartide.
ma oggi, come cinque anni fa, la notizia è stata data in conferenza stampa, senza aver superato la peer review, la revisione critica da parte di colleghi esperti e anonimi, di una rivista scientifica. Oggi come cinque anni fa la notizia è stata accreditata con entusiasmo e un po' di fretta dall'agenzia spaziale italiana (Asi), proprio come nel 1996 l'annuncio di McKay fu accreditato dall'agenzia spaziale americana (Nasa). Oggi, come cinque anni fa, la notizia va accolta con grande prudenza e con quel sano scetticismo che il sociologo Robert Merton considerava tipico e caratterizzante il lavoro degli scienziati.
I motivi di questa prudenza, non meno doverosa dell'attenzione che pure merita l'annuncio, sono molteplici e, per ora, assolutamente generali, visto che, appunto, non ci sono dati che consentono di entrare nel merito. I batteri "alieni" fatti "rivivere" a Napoli somigliano troppo ai batteri terrestri. E questo, come rileva Martino Rizzotti, esobiologo presso l'università di Padova, fa nascere il sospetto che quei batteri possano essere banalmente terrestri e penetrati nelle rocce meteoriche dopo l'impatto sulla Terra. Un sospetto, incalza il napoletano Luigi Colangeli, esperto di materiali extraterrestri in forze all'Osservatorio Astronomico di Capodimonte, reso ancora più forte dal fatto che molte rocce e gli stessi meteoriti sono ospitati da decenni nel Museo di mineralogia dell'università di Napoli. Insomma, quei batteri più che di una cicogna cosmica potrebbero essere il frutto di una banale contaminazione terrestre.
Ancora. D'Argenio e colleghi dicono che quei batteri sono capaci di sopravvivere alle pressioni e alle temperature altissime che si generano quando i meteoriti penetrano in atmosfera. Ma non sappiamo se questa è una deduzione, o una prova raccolta con test di laboratorio. D'altra parte, si chiede ancora Colangeli, se i batteri "alieni" sono così resistenti e così onnipresenti nelle rocce terrestri, perchè finora non ne abbiamo trovato neppure uno in quello spazio da cui proverrebbero? Insomma, ci ritroviamo difronte alle stesse obiezioni in cui si è imbattuto David McKay cinque anni fa. Obiezioni mai del tutto risolte.
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Ma perchè questi batteri sono così importanti? Proprio perchè avvalorerebbero l'ipotesi di panspermia proposta da Arrhenius un secolo fa: la vita non è nata sulla Terra, ma il nostro pianeta sarebbe stato "inseminato" da batteri extraterrestri trasportati da meteoriti. L'ipotesi, se confermata, consentirebbe di risolvere il grande problema delle origini.
La Terra è diventata abitabile 4 miliardi di anni fa. E i più antichi batteri risalgono a 3,9 miliardi di anni fa. Come ha fatto la materia inanimata a trasformarsi in materia vivente in "soli" 100 milioni di anni?
La domanda, tuttora, non ha una risposta. Ma diluire nel tempo e nello spazio, come proponeva Arrhenius, il problema non significa risolverlo.
Neppure i precedenti 10 miliardi di anni di vita dell'universo sono sufficienti a spiegare l'organizzazione spontanea della materia vivente. E, in ogni caso, come e dove nel cosmo si sarebbe formata la prima cellula? La mancanza di una risposta plausibile a questa domanda è un ulteriore fattore (per certi versi il più importante) che deve indurre ad accogliere con prudenza la notizia rivelata ieri dai tre ricercatori napoletani.
(L'unità, 10.5.2001)

Pietro Greco


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