Il mistero delle false memorie: così la mente "crea" ciò che non è

ROMA - A chi non è capitato di ricordare con assoluta sicurezza un fatto su cui si è pronti a giurare, ma che in realtà non è mai accaduto? Psicologi e neuroscienziati chiamano questi fenomeni "false memorie", veri e propri inganni della mente che la nostra coscienza accetta fiduciosa senza distinguere i ricordi illusori da quelli legati a informazioni effettivamente percepite.
Chi li distingue benissimo, invece, è il nostro cervello, come hanno appena scoperto l'americano Michael Stadler e l'italiana Monica Fabiani (romana di Frascati, da oltre un decennio negli Usa), ricercatori dell'università del Missouri-Columbia, sono riusciti a individuare un meccanismo sperimentale che consente di riconoscere i due tipi di memorie dal punto di vista dell'attività cerebrale.

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E la differenza è tutta in una "firma sensoriale", la traccia lasciata dai nostri sensi quando l'informazione è stata registrata durante lo svolgimento di un evento reale. Se l'informazione è vera, al momento di recuperarne la memoria la traccia sensoriale si riattiva, ed è possibile rilevare l'attività cerebrale a cui è collegata. "Ma le memorie di eventi che non sono mai accaduti non hanno segnali sensori da riattivare," spiega Monica Fabiani. "E quindi, analizzando l'attività cerebrale, possiamo distinguere tra memorie vere e memorie false".

L'esperimento dei due ricercatori è consistito nel chiedere ad un gruppo di soggetti di memorizzare un elenco di parole presentate sulla parte destra o su quella sinistra di uno schermo. La diversità di posizione serviva ad attivare una traccia sensoriale facile da riconoscere, giocando sul fatto che quando ricordiamo una parola che abbiamo visto a sinistra, ad "accendersi" è l'emisfero destro, e viceversa: un comportamento chiamato "lateralizzazione". Al momento di specificare da un nuovo elenco di vocaboli quali avevano già visto e quali no, la lateralizzazione è puntualmente avvenuta quando il ricordo era vero, mentre è mancata del tutto quando venivano ricordati vocaboli che nel primo elenco non c'erano. "Il metodo che abbiamo utilizzato serve a dimostrare che in realtà il nostro cervello sa qualcosa che noi non sappiamo", spiega la professoressa Fabiani.

Ma da dove vengono le false memorie? I ricordi illusori evocati nel corso dell'esperimento riguardavano parole tranello, legate per associazione a quelle realmente vedute. Leggendo le parole "buio", "notte" e "cuscino", ad esempio, era facile credere di aver letto anche il vocabolo "sonno", poiché la memoria lavora anzitutto per associazioni ed approssimazioni. "La nostra memoria è fatta per ricordare il senso generale delle cose, la loro essenza, e questa è una caratteristica positiva," chiarisce Fabiani. "Ma può capitare che questa capacità, normalmente utile, si trasformi in uno svantaggio, facilitando l'autoinganno. Negli anziani, per esempio, questo effetto è maggiorato, perché l'età peggiora la capacità di ricordare i dettagli e quindi è più facile cadere vittime di false memorie, che infatti si fanno più frequenti con l'avanzare degli anni".

La ricerca del gruppo dell'Università del Missouri ha un valore del tutto sperimentale. Monica Fabiani esclude, allo stato, qualsiasi risvolto pratico come, ad esempio, in criminologia, possibili future verifiche dell'attendibilità dei testimoni. Anche perché, spiega, nel ricordo di fatti entrano pure importanti risvolti emozionali che la ricerca non ha preso in esame. Come dire, a Columbia hanno tolto un velo dal fenomeno delle false memorie e hanno "disegnato" un altro pezzetto della complessa mappa del funzionamento del cervello. Di qui alla macchina della verità ce ne corre.

di Claudia Di Giorgio

(da Repubblica. it 14 febbraio 2001)

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