Il sapere come mestiere
di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà
Il Mulino, Bologna, 2023
pp. 168, euro 16,00
Si è discusso a lungo sulla “crisi della replicabilità”: a partire dai primi anni Duemila alcuni studi sistematici, nelle discipline biomediche e psicologiche, hanno messo in evidenza come non si riescano a riprodurre i risultati di una quantità imbarazzante di ricerche pubblicate, mettendo quindi seriamente in dubbio i loro risultati e, all’estremo, intere discipline. Per esempio, su Query ne abbiamo parlato spesso nella rubrica Toolbox.
Lo psicologo Paolo Legrenzi e il neuroscienziato Carlo Umiltà, tra i decani italiani della ricerca e divulgazione nelle scienze e neuroscienze cognitive, affrontano la questione non soltanto guardando agli aspetti tecnici del lavoro di ricerca, ma allargando lo sguardo e ricollegandosi anche a ragionamenti già iniziati in altri lavori (come il recente Quando meno diventa più del solo Legrenzi), con un libro molto ricco di spunti su un tema importante ma non esente, a me pare, da qualche piccola critica.
Nel libro si intrecciano due discorsi. Il primo e? un’ampia discussione sulla funzione della ripetizione in vari contesti, al di la? del suo ruolo di strumento della costruzione della conoscenza scientifica. Per esempio nell’arte: i “ritratti multipli” di Andy Warhol, le diverse interpretazioni di brani musicali come Yesterday dei Beatles o le vedute della montagna Sainte-Victoire di Cézanne, per citare solo qualcuno tra gli esempi discussi.
Nell’evoluzione la “discendenza con modificazioni” di Darwin si traduce in “ripetizioni con variazioni”, e la comparsa di organismi sempre più complessi è una risposta ad ambienti sempre più complessi e, quindi, sempre meno ripetitivi e prevedibili: «…possiamo individuare più livelli successivi di riduzione della ripetizione e, quindi, sempre più incertezza, imprevedibilità e necessità di strumenti per il controllo degli ambienti di vita». E infine nel comportamento umano: «Alla radice della fiducia c’è l’assenza di incertezza, la convinzione di poter contare su quella persona. E qual è la garanzia, il meccanismo che ci dà tale certezza? In sintesi, è l’aspettativa di ripetizione da parte del partner», per arrivare alla conclusione che «La specie umana è infine riuscita a scoprire e mettere a punto lo strumento principe per individuare regolarità non visibili a “occhio nudo” e non esperibili direttamente: l’esperimento scientifico. L’esperimento riproducibile può venire considerato come la tappa finale di questa lunga avventura di Homo sapiens sulla Terra».
Il secondo discorso riguarda più propriamente il lavoro dello scienziato sperimentale, dal ruolo della statistica nello studio dei fenomeni che si ripetono fino al funzionamento della comunicazione interna alla comunità scientifica. Dal ruolo della letteratura scientifica, passando per l’avvento dell’Open Science e le pubblicazioni Open Access con i loro difetti, le pratiche scientifiche discutibili, il publication bias, Legrenzi e Umiltà affrontano estesamente molti dei temi familiari a chi si interessa dei problemi e delle politiche della scienza contemporanea. Discutono anche alcune delle possibili soluzioni proposte, come i Registered trials (per una breve descrizione di cosa siano rimando alla rubrica Toolbox a pag. 14 di questo stesso numero). Legrenzi e Umiltà non sono certo dei fatalisti conservatori, ma in alcuni momenti forse si intravede una specie di nostalgia di una passata, un po’ mitica, “purezza” della ricerca e si sente la mancanza di una analisi critica dello status quo che certe novità, bene o male, si propongono di migliorare.
Intrecciando i due discorsi, gli autori argomentano che in tutti i campi la mancanza di ripetizione produce incertezza, mentre la ripetitività genera, come abbiamo visto, fiducia; nella scienza la mancanza di riproducibilità di uno studio equivale quindi non solo a introdurre un errore nella conoscenza che abbiamo del mondo, ma a tradire il rapporto di fiducia tra i ricercatori e il pubblico. A lungo andare, la mancanza di fiducia nei risultati mina in generale la fiducia nella scienza e nella sua capacità di produrre conoscenza utile, un rapporto ulteriormente complicato dal fatto che i risultati scientifici non sono, in generale, direttamente accessibili al pubblico generico e non possono quindi essere verificati direttamente.