L’imperatore asburgico Rodolfo II (1552-1612) aveva un debole per le arti occulte. Trasferì la capitale dell’impero da Vienna a Praga e vi richiamò artisti, filosofi, studiosi di scienze naturali, ma anche occultisti e alchimisti. Alla sua corte ospitò figure del calibro di Johannes Kepler, Tycho Brahe e Giordano Bruno, così come il veggente Edward Kelley (poi caduto in disgrazia), il mago John Dee e l’alchimista Michael Sendivogius.
È anche per questo che gli oggetti provenienti dalla sua Kunstkammer, il gabinetto in cui collezionava oggetti d’arte e curiosità, interessano gli studiosi di quel periodo. E infatti, lo scorso giugno, durante il convegno HistoCrypt 2023 a Monaco di Baviera (VI conferenza internazionale di crittologia storica), i ricercatori Richard Bean, Corinna Gannon e Sarah Lang hanno presentato lo stato dell’arte su uno di questi oggetti: la campanella alchemica di Rodolfo II.
Si tratta di una piccola campanella dorata, alta 7,8 centimetri e decorata con simboli che ritraggono i vari pianeti, oggi custodita presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Da alcune lettere, si sa che fu realizzata all’inizio del '600 dall’orafo praghese Hans de Bull insieme a un’altra opera gemella, oggi perduta. La campanella venne fusa utilizzando i sette metalli associati ai pianeti tradizionali, cioè quelli rappresentati sull'oggetto: l’oro per il Sole, l'argento per la Luna (considerata allora come un pianeta), il rame per Venere, il ferro per Marte, il piombo per Saturno, lo stagno per Giove e il mercurio per il pianeta omonimo.
L'intenzione alchemica è chiarissima: sono gli stessi elementi che compongono l’elettro, il materiale “magico” concepito decenni prima da Paracelso in Svizzera. Ma non è questo l’unico particolare misterioso dell’oggetto: incise nel metallo, ci sono ben quattro iscrizioni diverse, in quattro lingue: se di vere lingue si può parlare. La prima, infatti, è in caratteri che ricordano il siriaco, lingua mediorientale che ebbe un grande ruolo nella letteratura cristiana. La seconda, sopra la serie dei simboli dei pianeti, è simile all’arabo. Sull’impugnatura, ci sono delle lettere ebraiche, ormai quasi illeggibili. All’interno, nascosta, c'è l’iscrizione più lunga e meglio conservata: 163 lettere greche, che compongono però parole inesistenti. Un altro dettaglio curioso è che la frase è scritta usando solo le prime dieci lettere dell’alfabeto.
La domanda è se queste iscrizioni (in particolare quella in greco) siano prive di significato, e dunque “magiche” in senso stretto, vergate con l’intenzione precisa di non aver senso, oppure se si tratti di un codice da decifrare. Nel secondo caso, potrebbero contenere formule evocative di entità come quelle di Paracelso o di Kelley, che inventò una lingua “enochiana”, parlata dagli angeli con cui affermava di essere in contatto.
Per cercare di capirlo, gli autori dello studio hanno applicato al testo alcune analisi statistiche, valutando la lunghezza delle parole e la frequenza delle lettere (anche provando a ipotizzare che le lettere in greco siano dei bigrammi, da leggere a gruppi di due e non come lettere singole). In questo modo hanno stimato le probabilità che la frase crittografata potesse avere un corrispettivo in latino (60% di probabilità), greco (30%), tedesco (10%). Allo stesso modo, sono stati valutati diversi possibili sistemi di cifratura esistenti all’epoca (come la scacchiera di Polibio, o il sistema “polifonico” usato nelle cancellerie papali del XVI secolo).
Tutti i tentativi di sciogliere l’enigma si sono però rivelati infruttuosi: la brevità del testo è un ostacolo per le analisi, e rimane il dubbio se dietro a quei caratteri ci sia davvero un messaggio crittografato, o se si tratti di semplici segni casuali, qualcosa di simile al nostro “Abracadabra”. La campanella di Rodolfo II, insomma, aspetta ancora qualcuno che possa far luce sui suoi segreti.
È anche per questo che gli oggetti provenienti dalla sua Kunstkammer, il gabinetto in cui collezionava oggetti d’arte e curiosità, interessano gli studiosi di quel periodo. E infatti, lo scorso giugno, durante il convegno HistoCrypt 2023 a Monaco di Baviera (VI conferenza internazionale di crittologia storica), i ricercatori Richard Bean, Corinna Gannon e Sarah Lang hanno presentato lo stato dell’arte su uno di questi oggetti: la campanella alchemica di Rodolfo II.
Si tratta di una piccola campanella dorata, alta 7,8 centimetri e decorata con simboli che ritraggono i vari pianeti, oggi custodita presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Da alcune lettere, si sa che fu realizzata all’inizio del '600 dall’orafo praghese Hans de Bull insieme a un’altra opera gemella, oggi perduta. La campanella venne fusa utilizzando i sette metalli associati ai pianeti tradizionali, cioè quelli rappresentati sull'oggetto: l’oro per il Sole, l'argento per la Luna (considerata allora come un pianeta), il rame per Venere, il ferro per Marte, il piombo per Saturno, lo stagno per Giove e il mercurio per il pianeta omonimo.
L'intenzione alchemica è chiarissima: sono gli stessi elementi che compongono l’elettro, il materiale “magico” concepito decenni prima da Paracelso in Svizzera. Ma non è questo l’unico particolare misterioso dell’oggetto: incise nel metallo, ci sono ben quattro iscrizioni diverse, in quattro lingue: se di vere lingue si può parlare. La prima, infatti, è in caratteri che ricordano il siriaco, lingua mediorientale che ebbe un grande ruolo nella letteratura cristiana. La seconda, sopra la serie dei simboli dei pianeti, è simile all’arabo. Sull’impugnatura, ci sono delle lettere ebraiche, ormai quasi illeggibili. All’interno, nascosta, c'è l’iscrizione più lunga e meglio conservata: 163 lettere greche, che compongono però parole inesistenti. Un altro dettaglio curioso è che la frase è scritta usando solo le prime dieci lettere dell’alfabeto.
La domanda è se queste iscrizioni (in particolare quella in greco) siano prive di significato, e dunque “magiche” in senso stretto, vergate con l’intenzione precisa di non aver senso, oppure se si tratti di un codice da decifrare. Nel secondo caso, potrebbero contenere formule evocative di entità come quelle di Paracelso o di Kelley, che inventò una lingua “enochiana”, parlata dagli angeli con cui affermava di essere in contatto.
Per cercare di capirlo, gli autori dello studio hanno applicato al testo alcune analisi statistiche, valutando la lunghezza delle parole e la frequenza delle lettere (anche provando a ipotizzare che le lettere in greco siano dei bigrammi, da leggere a gruppi di due e non come lettere singole). In questo modo hanno stimato le probabilità che la frase crittografata potesse avere un corrispettivo in latino (60% di probabilità), greco (30%), tedesco (10%). Allo stesso modo, sono stati valutati diversi possibili sistemi di cifratura esistenti all’epoca (come la scacchiera di Polibio, o il sistema “polifonico” usato nelle cancellerie papali del XVI secolo).
Tutti i tentativi di sciogliere l’enigma si sono però rivelati infruttuosi: la brevità del testo è un ostacolo per le analisi, e rimane il dubbio se dietro a quei caratteri ci sia davvero un messaggio crittografato, o se si tratti di semplici segni casuali, qualcosa di simile al nostro “Abracadabra”. La campanella di Rodolfo II, insomma, aspetta ancora qualcuno che possa far luce sui suoi segreti.
Bibliografia
- Bean, R., Gannon, C., Lang, S., 2023. “The Cipher of Emperor Rudolf IIs 'Alchemical Hand Bell’”. In Proceedings of the 6th International Conference on Historical Cryptology HistoCrypt, Linköping University Electronic Press