Sul numero di Query dell’estate 2013 avevamo parlato dei “cerchi delle fate” del deserto del Namib, nell’Africa meridionale: aree circolari di erba il cui interno è privo di vegetazione, con un diametro tra i 2 e i 12 metri, che alcune popolazioni locali ritengono dotate di capacità terapeutiche. Al tempo, sulla base di un lavoro pubblicato su Science dal biologo vegetale Norbert Jürgens, il consenso scientifico sulle cause di queste curiose formazioni sembrava convergere verso l’azione sotterranea di un genere di insetti: le Psammotermes allocerus, termiti della sabbia, ritenute responsabili della distruzione delle piante più giovani all’interno dei cerchi. “Consenso scientifico” però non è sinonimo di conoscenze acquisite in via definitiva. È successo anche per i cerchi magici del Namib. Negli anni si sono accumulati diversi studi che spiegano in maniera diversa la formazione dei cerchi, puntando in un’altra direzione.
L’ultimo è quello uscito sul numero di dicembre 2022 della rivista Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics a firma di quattro biologi vegetali e studiosi di ecosistemi guidati da Stephan Getzin.
Da un punto di vista metodologico, i ricercatori fanno notare che, per esser condotte al meglio, le ricerche sulle formazioni del Namib richiedono una scelta molto accurata dei tempi: in seguito alle rare piogge, infatti, la vegetazione cresce ovunque, ma quella all’interno dei cerchi muore entro 20 giorni. Queste formazioni hanno natura effimera, e la maggioranza dei cerchi completa il suo ciclo vitale entro poche settimane. Gli studiosi ne hanno analizzato le caratteristiche per tre stagioni delle piogge, quelle comprese fra il 2020 e il 2022.
La prima parte del loro lavoro è consistita in una valutazione della congruità con l’ipotesi delle termiti erbivore. Per farlo, sono state condotte delle ricerche di tipo edafico, cioè relative allo studio dei suoli. Sono state messe a confronto dieci aree note per essere particolarmente importanti per la comparsa dei cerchi.
Il risultato è stato chiaro: le radici dei fili d’erba morti, quelli all’interno dei cerchi, non presentavano danni da insetti, dunque non c’era evidenza di un’azione da parte di specie erbivore sotterranee. Anzi, le radici erano lunghe o addirittura più lunghe di quelle della vegetazione cresciuta lungo il perimetro delle zone circolari. Questa cosa è frutto dello stress ecologico prodotto dai periodi secchi nelle aree centrali dei cerchi, che induce le piante a investire gran parte delle risorse nella crescita delle radici nel tentativo di raggiungere le eventuali acque che filtrano nel suolo.
Secondo i ricercatori, la forma circolare della vegetazione è quella migliore per poter sopravvivere in ambienti come quello del deserto del Namib: la struttura è quindi frutto di una forma di auto-organizzazione delle piante, che competono tra loro per arrivare alle risorse necessarie alla sopravvivenza, e in particolare all’acqua. Detto in altri termini: la zona sterile all’interno dei cerchi diventa una sorta di serbatoio che aiuta a sostenere la vegetazione dell’anello esterno, a spese delle erbe al centro.
Nell’insieme, questi fattori conducono alla rapida morte di quasi tutta la vegetazione delle aree interne al “cerchio magico”.
Le misurazioni dell’umidità dei suoli, dunque, puntano verso un peculiare fenomeno di auto-organizzazione vegetale, in cui le specie animali non giocano un ruolo fondamentale.
L’ultimo è quello uscito sul numero di dicembre 2022 della rivista Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics a firma di quattro biologi vegetali e studiosi di ecosistemi guidati da Stephan Getzin.
Da un punto di vista metodologico, i ricercatori fanno notare che, per esser condotte al meglio, le ricerche sulle formazioni del Namib richiedono una scelta molto accurata dei tempi: in seguito alle rare piogge, infatti, la vegetazione cresce ovunque, ma quella all’interno dei cerchi muore entro 20 giorni. Queste formazioni hanno natura effimera, e la maggioranza dei cerchi completa il suo ciclo vitale entro poche settimane. Gli studiosi ne hanno analizzato le caratteristiche per tre stagioni delle piogge, quelle comprese fra il 2020 e il 2022.
La prima parte del loro lavoro è consistita in una valutazione della congruità con l’ipotesi delle termiti erbivore. Per farlo, sono state condotte delle ricerche di tipo edafico, cioè relative allo studio dei suoli. Sono state messe a confronto dieci aree note per essere particolarmente importanti per la comparsa dei cerchi.
Il risultato è stato chiaro: le radici dei fili d’erba morti, quelli all’interno dei cerchi, non presentavano danni da insetti, dunque non c’era evidenza di un’azione da parte di specie erbivore sotterranee. Anzi, le radici erano lunghe o addirittura più lunghe di quelle della vegetazione cresciuta lungo il perimetro delle zone circolari. Questa cosa è frutto dello stress ecologico prodotto dai periodi secchi nelle aree centrali dei cerchi, che induce le piante a investire gran parte delle risorse nella crescita delle radici nel tentativo di raggiungere le eventuali acque che filtrano nel suolo.
Secondo i ricercatori, la forma circolare della vegetazione è quella migliore per poter sopravvivere in ambienti come quello del deserto del Namib: la struttura è quindi frutto di una forma di auto-organizzazione delle piante, che competono tra loro per arrivare alle risorse necessarie alla sopravvivenza, e in particolare all’acqua. Detto in altri termini: la zona sterile all’interno dei cerchi diventa una sorta di serbatoio che aiuta a sostenere la vegetazione dell’anello esterno, a spese delle erbe al centro.
Nell’insieme, questi fattori conducono alla rapida morte di quasi tutta la vegetazione delle aree interne al “cerchio magico”.
Le misurazioni dell’umidità dei suoli, dunque, puntano verso un peculiare fenomeno di auto-organizzazione vegetale, in cui le specie animali non giocano un ruolo fondamentale.
Bibliografia
- Getzin, S., Holch S., Yizhak H., Wiegand K., 2022. “Plant water stress, not termite herbivory, causes Namibia’s fairy circles”, in Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics, 57, dicembre.