Manuale di sopravvivenza nell’era della disinformazione
di David J. Helfand
Scienza Express, Trieste, 2022
pp. 384, euro 24,00
Sviluppare una mentalità scientifica è complicato, perché il ragionamento scientifico va spesso in contrasto con l’intuito e il senso comune e richiede un lungo allenamento, che comprende lo studio, l’abitudine al pensiero quantitativo e l’acquisizione di una buona familiarità con le complesse regole della ricerca scientifica, in un lavoro su sé stessi che dura tutta la vita.
Un libro da solo non può fare tutto questo. Può invece fornire al lettore volenteroso spunti sugli argomenti da approfondire per eliminare qualche convinzione fallace e arricchire di nuovi strumenti il proprio arsenale di pensiero critico. Rientrano in questa categoria libri come Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman e Factfulness di Hans Rosling. Il libro di David J. Helfand, astronomo e ideatore del corso “Frontiere della scienza”, obbligatorio per tutti gli studenti del primo anno della Columbia University, ambisce a far parte della stessa categoria. Ci riesce? Sì, ma con qualche rilevante limitazione.
Helfand premette correttamente che il “metodo scientifico” non è costituito da una sequenza precisa di passaggi sempre uguali, ma da un insieme molto eterogeneo di strumenti concettuali, per poi proporsi di spiegare al lettore come funzionano tali strumenti e come metterli in pratica. Nel farlo, si concentra sul ragionamento matematico e dedica diverse pagine a spiegare come destreggiarsi tra ordini di grandezza molto grandi e molto piccoli che non possiamo ricondurre alla nostra esperienza. Spiega poi come fare stime approssimate con il metodo reso famoso da Enrico Fermi per riuscire a capire, in mancanza di dati precisi, l’ordine di grandezza di un numero (per esempio la quantità di beni alimentari importati dall’estero, o la percentuale di superficie distrutta dagli incendi). Si tratta di uno strumento molto potente che può permettere di capire per esempio perché una proposta politica è insensata o una notizia sensazionale è inverosimile. Ma non è facile da usare, richiede una certa familiarità con la matematica e, come scrive lo stesso Helfand, l’autostima necessaria per intraprendere i calcoli richiesti con la convinzione di riuscire a portarli a termine: due qualità non troppo diffuse.
Un’altra sezione tratta la statistica e il calcolo delle probabilità: anche qui il messaggio è che la nostra intuizione ci inganna, ma un po’ di matematica ci aiuta a mettere alla prova le affermazioni altrui e a prendere decisioni migliori. Viene spiegato anche come interpretare i grafici e come scoprire le manipolazioni.
Si tratta in generale di concetti che richiedono tempo ed esercizio per essere assimilati, non perché esigano conoscenze matematiche particolarmente avanzate (sono quelle delle medie o al massimo delle scuole superiori), ma perché richiedono di usarle con una certa disinvoltura: chi non è abituato e vuole imparare a farlo dovrà trattare questo libro non come un testo da leggere una volta sola, ma come un vero e proprio manuale scolastico sul quale studiare ed esercitarsi pazientemente fino a raggiungere il momento “Eureka!”, nel quale ci si rende conto di avere pienamente interiorizzato i concetti espressi.
Non tutti gli strumenti presentati sono matematici: uno molto prezioso è il rigore linguistico, discusso insieme all’effetto della sua applicazione alla chiarezza del ragionamento. Si parla anche di letteratura scientifica, delle sue regole e dei suoi problemi, ma in modo un po’ sbrigativo: d’altra parte, gli strumenti del ragionamento scientifico sono davvero tanti e nessun libro può realisticamente pensare di trattarli tutti con lo stesso approfondimento.
Molto efficace il capitolo sul cambiamento climatico, che ha due meriti. Il primo è quello di trattare l’argomento con un approfondimento sufficiente a far capire i metodi usati per studiare questo fenomeno, ma non con un dettaglio così elevato da far perdere il filo a un lettore non specialista. Il secondo è quello di concentrarsi sui processi che la scienza segue per arrivare alle sue conclusioni anziché sulle conclusioni stesse, senza mostrare disprezzo o impazienza verso il lettore che avesse dubbi, come avviene a volte nella divulgazione su questo tema.
Il capitolo 11 è dedicato alle pseudoscienze e ha lo scopo di mettere in evidenza come esse non mettano in pratica i concetti presentati nei capitoli precedenti: ottimo come introduzione all’argomento, potrebbe risultare superfluo per i lettori abituali delle pubblicazioni CICAP.
Forse il lettore ideale di questo libro è uno studente universitario di facoltà scientifiche che dispone già di questi strumenti matematici in modo astratto ma non è stato ancora messo nella condizione di sfruttarli appieno nella vita di tutti i giorni. Chi ha posato da troppo tempo i libri di matematica dovrà armarsi di parecchia buona volontà se vorrà apprendere a fondo gli insegnamenti di Helfand: ma se riuscirà a farlo, ne sarà ripagato.
Andrea Ferrero
Anatomia di Dio
di Francesca Stavrakopoulou
Bollati Boringhieri, Torino, 2022
pp. 558, euro 32,00
Scriveva C.S. Lewis che il mondo moderno tutto sommato è a suo agio con l’idea di Dio finché lo intendiamo come qualche principio immanente, o una forza spirituale che pervade l’universo, o (come propone il teologo pop Vito Mancuso) come Dio-energia, cercando magari di conciliarlo con le più recenti teorie scientifiche: «Ma la temperatura crolla drasticamente non appena si accenna a un Dio che ha degli scopi e che svolge delle azioni particolari, che fa una cosa e non un’altra, un Dio concreto, che opera delle scelte, che domina e proibisce, e che ha un carattere specifico. La gente s’imbarazza o s’arrabbia. Una concezione di questo tipo sembra primitiva e rozza, o addirittura irriverente».
Invece la biblista Francesca Stavrakopoulou dell’Università di Exeter ci mette di fronte a Dio in tutta la sua fisicità, concretezza e – ebbene sì – rozzezza: un Dio che ha un pene e non ha paura di usarlo (anzi), che ha grossi piedi e li usa per schiacciare i nemici, con un torace possente e un «naso lungo» con il quale si inebria del profumo della carne che Noè gli cucina dopo il Diluvio al punto da decidere di perdonare l’umanità per l’ottimo pasto. Può sembrare blasfemo (e a dire il vero lo è, dato che l’autrice rivela fin dalle prime righe il suo ateismo ed è una nota sostenitrice di Humanists Uk, un’associazione simile alla nostra UAAR): ma è storia, anche se secoli di sviluppi teologici ce lo hanno fatto dimenticare.
L’assunto di base di Anatomia di Dio è che Yahweh, il dio d’Israele, non era affatto diverso dalle altre divinità della regione mesopotamica da cui è derivato, anzi apparteneva a un ricco pantheon di creature dotate di una loro fisicità: sarà poi la rivoluzione deuteronomista, quella cioè degli studiosi ebrei che s’imporranno dopo l’esilio a Babilonia (VI secolo a.C.), a ripulire la religione ebraica da queste scorie e a imporre il culto monolatrico di Yahweh, sulla base della rielaborazione teologica della disfatta d’Israele: essa infatti sarebbe stata progettata “a tavolino” da Yahweh per punire gli ebrei della loro infedeltà, come provano del resto i tanti passi biblici in cui Dio accusa gli ebrei di sacrificare a Baal e ad altre divinità sumero-babilonesi.
Di per sé, nulla di veramente nuovo: sono tesi con cui gli studiosi dell’antico Israele e i biblisti sono a proprio agio da tempo, così come non è una scoperta che Yahweh avesse una moglie, Asherah, che forse era addirittura sua madre, se si accetta la tesi secondo cui El, la prima forma con cui Dio è noto nella Bibbia, fosse il padre di Yahweh, anch’egli marito di Asherah.
Il vero punto di forza di Anatomia di Dio è svelarci come le tantissime tracce di fisicità di Dio nella Bibbia siano state sistematicamente annacquate per prendere le distanze dal modello di divinità a cui anche noi occidentali siamo abituati quando pensiamo agli dèi del pantheon greco-romano: «Al contrario, egli possedeva tutti gli attributi tipici delle altre divinità del mondo antico». Addirittura, stando ad alcuni passi nei libri dei Re e in Osea, Yahweh veniva venerato come un giovane dio-toro, finché i deuteronomisti non stabilirono che si trattava di blasfemia, mettendo in bocca a Dio l’esclamazione: «Scambiarono la mia gloria con la figura di un toro che mangia erba!» e dando vita al racconto del vitello d’oro.
Già nel Genesi, del resto, leggiamo che Dio camminava nell’Eden, mentre più avanti assistiamo a uno dei passi più sconcertanti, quello di Giacobbe che fa a botte con Dio in forma di angelo, il quale chiaramente sembra volerlo accoppare. L’autrice non lo cita, ma uno dei passi del Genesi più interessanti è l’apparizione di Dio ad Abramo sotto la forma di tre uomini (che i teologi cristiani individueranno come prima – e unica – manifestazione della Trinità nelle Scritture) che si siedono sotto un albero per consumare un lauto pasto. Dio ha appetito!
Talvolta Stavrakopoulou si fa prendere la mano dalle sue tesi, proponendo traduzioni dell’ebraico e interpretazioni che lasciano perplessi, come quando in Osea e in Ezechiele legge le manifestazioni di amore per Israele come uno stupro e Dio «come un molestatore sessuale» che «abusa di una ragazzina fragile e abbandonata» (la figura di Israele che personifica il popolo ebraico); o quando suggerisce che la tipica locuzione biblica «cingi i tuoi fianchi» – il cui significato può ben essere tradotto come “accingiti” da cui del resto il termine italiano deriva – sia traducibile come «indurisci le palle», o, in senso ancor meno letterale, con «tira fuori le palle!»
Ciò si deve al tono spesso militante dell’autrice, che intende far emergere l’aspetto misogino e violento del Dio ebraico che l’Occidente ha ereditato; ma, se si perdonano questi scivoloni, Anatomia di Dio è un libro non solo avvincente e di grande erudizione, ma di estrema utilità per ricostruire le profonde connessioni che legano le grandi religioni del Libro con le tradizioni religiose ancora più antiche della culla della civiltà.
Roberto Paura
L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare
Luca Romano
Fazi Editore, Roma, 2022
pp. 392, euro 20,00
Le società umane hanno costantemente bisogno di energia ed esistono studi che mostrano chiaramente come il consumo di energia sia direttamente correlato con alcuni significativi parametri quali l’aspettativa di vita (che aumenta parallelamente ai consumi energetici), la mortalità infantile e l’analfabetismo (che diminuiscono). La nostra società attualmente trae la maggior parte dell’energia dai combustibili fossili. Tuttavia è sempre più impellente la necessità di affrancarsi da essi, realizzando una transizione energetica che porti all’utilizzo di altre fonti.
Il tema è di scottante attualità, ma nel dibattito pubblico italiano le uniche alternative ai combustibili fossili a essere considerate in genere sono le fonti rinnovabili (solare, eolico, eccetera). Solo negli ultimi tempi, alcune forze politiche hanno cominciato a riconsiderare il nucleare come fonte energetica ma si tratta di proposte di minoranza e lo stesso uso del termine nucleare rimane un tabù. Per esempio, una nota e diffusa tecnica diagnostica medica, la cui denominazione completa è risonanza magnetica nucleare, viene abbreviata con risonanza magnetica, omettendo appunto l’aggettivo ritenuto imbarazzante. Capita inoltre spesso di imbattersi in cartelli stradali che, all’ingresso di un centro abitato, annunciano pomposamente “Comune denuclearizzato”.
Prima di proseguire devo però fare, per onestà, una sorta di coming out. L’8 e il 9 novembre 1987 io stesso votai “sì” ai tre referendum abrogativi che riguardavano l’energia nucleare in Italia. Complessivamente votarono circa 29,9 milioni di italiani. Il quorum fu raggiunto con un’affluenza alle urne del 65,1% e i “sì” prevalsero nettamente. Il risultato referendario decretò la fine del nucleare italiano (all’epoca nel nostro Paese c’erano quattro centrali nucleari, di cui tre attive) e anch’io ho contribuito a questo risultato.
Da allora però ho cambiato idea. In diverse occasioni mi è capitato di difendere pubblicamente l’energia nucleare e al referendum del 12 e 13 giugno 2011 ho votato “no” al quesito che chiedeva l’abrogazione delle nuove norme che avrebbero consentito la produzione di energia nucleare nel territorio nazionale (anche in quel caso prevalsero nettamente i “sì”).
Col senno di poi, mi ero accorto che la mia scelta ai referendum del 1987 era stata fortemente influenzata dalle informazioni veicolate dai media sull’incidente della centrale di Chernobyl, avvenuto il 26 aprile 1986. Approfondendo successivamente lo studio di quanto accadde realmente nella centrale ucraina e, in generale, della produzione di energia nucleare, mi resi conto di aver agito in modo superficiale e basandomi su convinzioni erronee.
Questi ricordi personali mi sono affiorati inevitabilmente alla mente leggendo il bel libro di Luca Romano. L'autore è laureato in fisica all’Università di Torino e ha conseguito anche un master in giornalismo scientifico e comunicazione della scienza allo IUSS di Ferrara. Durante il primo lockdown, nell’aprile 2020, ha aperto la pagina Facebook L’Avvocato dell’Atomo, titolo che è poi diventato quello del libro.
Come afferma nell’introduzione, «ben prima di appassionarmi al tema dell’energia, ero già attivo, nel mio piccolo, come debunker e come sostenitore del pensiero scientifico contrapposto alla pseudoscienza e al complottismo». E l’obiettivo del volume è proprio quello di smontare tutte le false informazioni che circolano da tempo sul nucleare, in modo da poter affrontare un serio e razionale dibattito su di esso, evitando contrapposizioni ideologiche come, ahimè, succede da molti anni. Per fare questo l’autore veste appunto la toga di avvocato difensore in un ipotetico processo che vede come imputato l’atomo, o meglio il nucleo.
Il volume è corposo e nelle sue quasi 400 pagine fornisce una quantità davvero enorme di informazioni che è impossibile anche solo riassumere. Strutturato come un processo, è diviso in varie “udienze” che affrontano tutte le questioni legate al nucleare: la presunta pericolosità delle centrali (smentita da dati oggettivi), la gestione delle scorie (esistono tecniche ormai ben collaudate, compreso il riciclo), la sostenibilità economica (i paesi nucleari hanno bollette sensibilmente più basse degli altri), i possibili rischi di proliferazione militare (il nucleare civile e quello militare sono due cose completamente diverse), la presunta obsolescenza della tecnologia nucleare, le nuove possibili prospettive future, e così via.
Particolarmente illuminante è la terza udienza che analizza i limiti delle tecnologie rinnovabili attualmente disponibili. Con argomentate motivazioni, la conclusione di Romano è senza appello: «[...] la maggior parte delle persone è convinta che le rinnovabili siano intrinsecamente la scelta migliore e che possano tranquillamente fare tutto il lavoro da sole. [...] La realtà è che le rinnovabili sono ovviamente importantissime per la decarbonizzazione, ma è fisicamente impossibile che possano sostituire del tutto i combustibili fossili, se non a livello locale in pochi posti del mondo». Va inoltre sottolineato che l’autore sostiene chiaramente che il nucleare non deve affatto essere considerato un’alternativa alle rinnovabili, bensì ai combustibili fossili.
Leggendo il volume di Romano ho trovato conferma di molte mie convinzioni. Consapevole dell’esistenza del temibile bias di conferma, quindi, penso che il libro sia consigliabile soprattutto a chi ha una posizione critica sul nucleare. Come afferma l’autore nell’introduzione: «Se al termine della lettura non sarò riuscito a convincervi del fatto che il nucleare andrebbe quanto meno riconsiderato nell’ambito della lotta al cambiamento climatico, spero almeno di avervi vaccinati contro chi parla di energia in maniera troppo semplicistica».
Silvano Fuso
L’eroe criminale. Giustizia, politica e comunicazione nel XVIII secolo
di Pasquale Palmieri
il Mulino, Bologna, 2022
pp. 168, euro 15,00
In che modo la storia di un frate agostiniano finito ai ferri a Napoli a metà del Settecento può aiutarci a comprendere il ruolo della credulità popolare e delle fake news nella storia?
In L’eroe criminale, Pasquale Palmieri, storico dell’età moderna all’Università Federico II di Napoli, sintetizza anni di ricerche sui modi in cui la circolazione di voci del popolo e di pubblicazioni a stampa è stata in grado di creare già secoli fa veri e propri miti: come quello, appunto, di fra Leopoldo di San Pasquale, «seppellito vivo» in una fossa nel convento agostiniano di Napoli e da lì rocambolescamente fuggito a più riprese, per essere poi prontamente riacciuffato.
Nel biennio 1763-64, mentre Napoli è colpita prima da una terribile carestia e poi da una violenta epidemia, la vicenda tiene banco alla stregua di una soap opera, poiché nel frattempo il caso è arrivato in tribunale grazie all’azione di alcuni avvocati che nella condanna di fra Leopoldo hanno visto un ritorno ai metodi dell’Inquisizione, messa al bando da Carlo di Borbone nel 1746, ma ancora in grado di influenzare i metodi giudiziari dei tribunali ecclesiastici del Regno.
Nella storia di fra Leopoldo (al secolo Pasquale Perez de Bidavor), Palmieri vede un modello di eroe popolare alla stregua di un Giacomo Casanova o di un Cartouche: certamente non uno stinco di santo, che tuttavia conquista popolarità grazie alla presa che i modelli letterari hanno sul popolo in anni in cui la stampa di romanzi, di resoconti di processi clamorosi e cause celebri inizia a godere di grande diffusione.
Un «racconto transmediale», lo definisce Palmieri, che le istituzioni del Regno sapranno sfruttare a proprio vantaggio: il reggente Bernardo Tanucci approfitterà infatti del caso di Leopoldo per colpire l’influenza della Chiesa a Napoli, limitando gli arbitrii dei tribunali ecclesiastici e diffondendo documenti contro il clero regolare, che pesava sulle casse del Regno – secondo le ricostruzioni di Antonio Genovesi – per oltre 60.000 frati in eccesso.
Tanucci, che nel 1767 otterrà l’espulsione dei Gesuiti dal Regno proprio grazie alla diffusione di fake news, si occuperà anche del caso di Isabella Milone, ricostruito sempre da Palmieri: una beghina a capo di un gruppo detto dei Sabelliani, in odore di eresia, che tenterà di fare della donna una “santa viva”, finché la stessa Milone finirà per abiurare in carcere poco prima di morire.
In L’eroe criminale, attraverso l’uso della microstoria e sulla scia dei grandi lavori di Robert Darnton sul ruolo della stampa popolare nel Settecento, Pasquale Palmieri ci fornisce il quadro di un’epoca di grandi trasformazioni in cui la manipolazione dell’opinione pubblica iniziò a diventare strumento politico.
Roberto Paura
Agrifake
di Andrea Scapin e Roberto Pilu
Aracne Editore, Roma, 2022
pp. 170, euro 14,00
Agrifake, cioè fake news in campo agricolo. Così si intitola il bel libro di Andrea Scapin, laureato in scienze agrarie e grande appassionato di piante e di genetica, e Roberto Pilu, laureato in scienze biologiche, dottore di ricerca in scienze genetiche e biomolecolari e professore associato presso l’Università degli Studi di Milano.
Il testo è un vero e proprio manuale antibufala del settore agroalimentare. Si articola in 170 pagine, divise in 13 capitoli, e fornisce davvero tantissime utili informazioni su vari argomenti. Il primo capitolo («Introduzione alle pseudoscienze») illustra le ragioni che hanno spinto gli autori a realizzare il volume: il problema della falsa conoscenza, che molti credono di acquisire con poca fatica in rete. Se essa riguarda i singoli cittadini, tutto sommato è affar loro. Ma se certe idee farlocche vengono condivise da chi deve prendere decisioni politiche, le conseguenze possono essere disastrose.
Grazie al progresso scientifico-tecnologico, il settore agricolo, oltre a soddisfare le necessità primarie dell’umanità, consente alla maggior parte di noi di dedicarsi a molte altre attività. Scommetterei, infatti, che tra i lettori di questa recensione ben pochi si occupano di agricoltura. E i due autori spiegano bene il perché: oggi in agricoltura, silvicoltura e pesca è impegnato circa il 5 % della popolazione.
Di fronte a certi dati, stupisce che diverse correnti di pensiero rifiutino il progresso tecnico-scientifico, contrapponendo a esso un’agricoltura presentata come più naturale ma che, a un esame razionale, appare solo un anacronistico e insensato ritorno al passato. Nel quarto capitolo («Agricoltura tra mito e realtà») gli autori chiariscono bene un equivoco molto diffuso: l’agricoltura, per definizione, è una pratica innaturale che l’uomo ha dovuto inventare per difendersi dalla natura.
Questa verità smonta in partenza la diffusa immagine di un’agricoltura bucolica e ispirata a principi naturali. La diffusa istanza di un’agricoltura naturale (ampiamente alimentata dal marketing) ha generato una serie di mode prive di base razionale: l’agricoltura biologica, la biodinamica, la diffidenza verso le tecniche di miglioramento genetico, la demonizzazione degli OGM, l’idea di ritenere tipici prodotti locali alcune varietà provenienti in realtà da molto lontano, eccetera. Per ognuno di questi temi, Scapin e Pilu forniscono una trattazione esauriente, basata su evidenze scientifiche, mostrandone l’infondatezza.
Gli autori sottolineano come i pilastri su cui deve basarsi un’agricoltura razionale, rispettosa dell’ambiente e in grado di soddisfare le esigenze dell’umanità, debbano essere tre: 1) la meccanizzazione e il miglioramento delle tecniche agronomiche, 2) l’agrochimica e 3) il miglioramento genetico. Se saremo in grado di fare scelte razionali, basate su solide evidenze scientifiche, abbiamo qualche speranza di affrontare positivamente il futuro, garantendo cibo a tutti.
Silvano Fuso
Una mente prestigiosa. Viaggio nella psicologia dell’illusionismo
di Luca Menichelli
C1V Edizioni, Roma, 2022
pp. 168, euro 15,00
Secondo David Devant, illusionista inglese di fine '800, la magia, intesa come spettacolo e intrattenimento, è «un misto di arte e scienza». E’ un’arte perché richiede creatività e regala emozioni, e una scienza perché vengono applicati metodi matematici, fisici, chimici, psicologici che il mago/illusionista deve conoscere a fondo.
Luca Menichelli, in arte Mago Awax, è un prestigiatore appassionato di scienza e psicologia. E il mago, come spiega in questo libro, prova il sottile piacere di sorprendere il pubblico con l’inganno e di gestirne la psicologia. Molti segreti dell’illusionismo sono collegati ai bias cognitivi e agli errori di percezione, e i meccanismi neurologici e psicologici dietro i trucchi dei maghi sono fondamentali per la riuscita di un numero. è un gioco tra ingannare e farsi ingannare: come diceva James Randi, gli illusionisti sono onesti imbroglioni.
Dopo una breve storia della magia, con excursus nell’antico Egitto e nell’Inghilterra delle streghe, Menichelli ci avvicina all’aspetto psicologico dell’illusionismo con alcuni capitoli che aiutano a comprendere come vediamo quello che ci circonda (fisiologia dell’occhio) e perché lo vediamo in un determinato modo (connessioni neurologiche tra occhio e cervello). Siamo invitati a riflettere sulla differenza tra vedere e percepire, il sottilissimo confine entro il quale giocano maghi e illusionisti.
Percepire, sostiene Luca Menichelli, vuol dire risolvere delle ambiguità fino a raggiungere l’interpretazione più plausibile dei dati forniti dalla retina al cervello. Un abile illusionista può addirittura far cadere in trappola un collega esperto. Menichelli cita al riguardo la volta in cui l’illusionista canadese Dai Vernon riuscì a ingannare Houdini con il trucco detto della “carta ambiziosa”. Questa sezione del libro è corredata di immagini ed esempi pratici di illusioni visive, tra cui la griglia di Hermann, molto familiare a chi segue il CICAP perché è ripresa nel logo dell’associazione. L’autore spiega poi alcuni trucchi di magia, in alcuni casi offrendo al lettore anche un rimando a video esplicativi disponibili online.
Non potevano mancare numerosi riferimenti al controverso personaggio di Uri Geller, che ha spaziato in campi diversi e sempre ambiguamente in bilico tra illusione scenica e presunto potere paranormale. Menichelli lo cita in differenti occasioni perché è un valido esempio di come spacciare metodi da illusionista per fenomeni autentici, in ambiti che andavano da quello più fisico della piegatura dei metalli a quello più mentale della lettura del pensiero.
Prima di Geller, la maggioranza dei grandi maghi e illusionisti non affermava di avere poteri paranormali: lo stesso Houdini cominciava i suoi spettacoli avvertendo che avrebbe utilizzato dei trucchi. Geller, al contrario, cercò di ottenere un riconoscimento scientifico dell’esistenza dei suoi “poteri paranormali”, riuscendo persino a coinvolgere docenti universitari e centri di ricerca. La sua figura carismatica e una macchina organizzativa molto efficace lo resero un vero e proprio fenomeno mediatico, ma trovò la sua nemesi in James Randi, che passò la vita a dimostrare di essere in grado di eseguire gli stessi “prodigi” senza ricorrere a nessun potere speciale, ma solo servendosi dei trucchi di illusionisti e prestidigitatori.
Il volume affronta le tecniche di cold e hot reading che sono alla base del mentalismo, e non manca infine la PNL, o programmazione neurolinguistica, con cui l’autore ha avuto un incontro ravvicinato, e un approfondimento della famosa e famigerata affermazione che “usiamo solo il 10% del nostro cervello”.
Fara Di Maio
PODCAST
Marga
Margherita Hack è stata una scienziata, ma anche una donna straordinaria. Il giornalista Federico Taddia racconta la storia della sua amica Marga in questo podcast realizzato a partire dalla loro ultima chiacchierata. Il podcast è prodotto da Chora Media e realizzato in collaborazione con Ducati ed è disponibile sul sito di Chora e sulle principali piattaforme.
Scientificast
Fondato nel 2007, è stato il primo podcast indipendente a tema scientifico in Italia, con l’obiettivo di diffondere la cultura scientifica rivolgendosi soprattutto a coloro che ne sono più lontani e adottando uno stile divulgativo semplice, divertente ma rigoroso. A marzo 2012 diventa associazione culturale per la divulgazione scientifica; dal 2016 è un'associazione di promozione sociale. È disponibile sul sito omonimo e sulle piattaforme Spreaker e ITunes.
Ci vuole una scienza
Ogni venerdì la divulgatrice scientifica Beatrice Mautino e il giornalista del Post Emanuele Menietti raccontano non solo le ultime novità scientifiche, ma anche il modo in cui vengono comunicate al grande pubblico e il loro impatto sulle nostre vite. Il podcast è prodotto dal Post ed è disponibile sull’app del Post e sulle principali piattaforme.