E avvertirono il cielo
di Carlo Sini e Telmo Pievani
Jaca Book, 2020
pp. 96, € 16,00
Recensione di Mattia Paparo
Questo, sin dalla prima pagina, si rivela un libro molto particolare perché a me, come lettore, ha fatto veramente “avvertire il cielo”. Inizialmente ci si può sentire un po’ confusi perché, in genere, ci si aspetta una prefazione che ci introduca all’argomento, mentre qui ci si ritrova subito catapultati nel tema centrale. Il libro, apparentemente, potrebbe sembrare “insignificante”, in quanto si tratta effettivamente di poche pagine, ma è il contenuto che conta e qui assistiamo al confronto tra Telmo Pievani e Carlo Sini, tra filosofia e biologia evolutiva, tra due menti brillanti che dialogano e spiegano come nasce la cultura. Il libro ha lo scopo di commentare e di spiegare alcune tematiche che hanno portato alla nascita della cultura, commentando anche altri libri come Evoluzione culturale del grande Luigi Luca Cavalli-Sforza e Imperfezione: Una storia naturale dello stesso Telmo Pievani. Si parte spiegando come evoluzione biologica e culture si intreccino, così come si intrecciano tra loro tante altre discipline. Infatti si riescono ad avere maggiori risultati nell’ambito della ricerca se si utilizzano “diverse angolazioni” per arrivare a un risultato interdisciplinare. Del resto, è stato questo anche l’approccio del grande Cavalli-Sforza, che riusciva ad accostare registri parrocchiali e genetica, come fece lo stesso Darwin intrecciando paleontologia, geologia, botanica e antropologia per elaborare la teoria dell’evoluzione per selezione naturale.
Il discorso diventa molto più interessante con l’avanzare delle pagine, in quanto esistono analogie tra evoluzione biologica e culturale, tra atomi e lettere, e riflettendo sul fatto che anche la cultura è soggetta a mutazioni casuali, come nel caso del linguaggio, in quanto basta cambiare la lettera a una parola per cambiarne il significato. Si passa, poi, a discorsi più specifici e più incentrati sul vedere l’evoluzione e le sue sfaccettature sotto due punti di vista: biologia e filosofia, che naturalmente si intrecciano e si trovano in accordo su molti fronti. Infatti, lo scienziato non può non avere una mentalità filosofica, in quanto non si possono non utilizzare metafore per capire un dato fenomeno o una teoria, senza dimenticare che è di fondamentale importanza per uno scienziato conoscere la storia della scienza per avere risultati più soddisfacenti. Insomma, in questo dialogo aperto al confronto, si dibatte sulla nascita dello spirito umano come oggetto di ricerca.
L’unica nota negativa è l’assenza dei paragrafi e certe volte risulta un po’ difficile riprendere da dove si lascia il segnalibro, ma è un libro che appassiona, dalla lettura molto fluida che non fa accorgere del tempo che passa. È un libro che ogni appassionato e studioso di biologia evolutiva dovrebbe leggere per entrare nel meccanismo e nel pensiero della filosofia, e viceversa.
Come i grafici mentono
Alberto Cairo
Raffaello Cortina Editore, 2020
pp. 253, € 22,00
Recensione di Elena Cartellino
Credo fortemente che presterò un’attenzione differente ai grafici che consulterò dal momento in cui scrivo questa recensione in poi. Non fraintendetemi, per formazione sono abbastanza abituata a consultare mappe, grafici e diagrammi, eppure questo libro mette in fila in modo efficace, attraverso esempi e confronti, tutte le trappole più o meno volute che si nascondono dietro a una rappresentazione di quel tipo, e lo fa in modo estremamente scorrevole e piacevole, tanto da illuminare aspetti non sempre palesemente chiari.
Ma procediamo con ordine. Grafici e mappe sono da sempre un valido supporto per la rappresentazione dei dati. Ci permettono di mettere in relazione un qui rispetto a un lì, così come un questo rispetto a un quello. Vengono percepiti spesso come uno strumento oggettivo, che conferisce autorevolezza alla tesi proposta, rivestendola di un’aura di scientificità. Permettono di dare uno sguardo rapido a una visione di insieme, ma guai a confondere correlazione e nesso causale. In un grafico bisogna leggere quello che nel grafico è rappresentato, niente di più e niente di meno.
Il punto di partenza sono i dati, il nodo cruciale cui prestare sempre attenzione quando ci confrontiamo con un nuovo argomento, a prescindere da chi lo propone e dal mezzo con il quale lo fa: quali sono le fonti? Sono affidabili? Si potrebbe discutere lungamente al riguardo, ma la raccolta e l’analisi dei dati sconfinano in un’altra scienza, la statistica, che già di suo nasconde numerose insidie: sono stati scritti innumerevoli libri più specifici sull’argomento e, del resto, non è certo questo l’obiettivo del testo. Ci basti pensare che una discriminante fondamentale è già il semplice utilizzo della mediana piuttosto che della media, per evitare che valori anomali ed estremi possano falsare esageratamente quello che è il comportamento “medio” di un dato fenomeno.
Una volta accertata l’affidabilità dei dati, questi vanno contestualizzati: una rappresentazione grafica rimane pur sempre una sintesi e potrebbe proporre, anche in assoluta buona fede, grandezze parziali occultandone allo stesso modo altre. Chi redige un grafico inevitabilmente raggruppa e codifica delle informazioni che poi andranno decodificate da chi ne fruisce. Un altro passaggio, questo, che può non essere esente da distorsioni e fraintendimenti: non è affatto raro il bias di conferma attraverso il quale rafforzare opinioni e preconcetti.
Esistono poi una serie di trappole prettamente grafiche: l’uso di scale di rappresentazione logaritmiche o aritmetiche, oppure di colori e lunghezze, di false origini dei dati, di proiezioni prospettiche, nonché di aree di proporzioni inadeguate. Sono tutti elementi che possono influire in positivo o in negativo nella percezione di quanto visualizziamo.
Siamo circondati da dati e la tecnologia permette sempre più di raccogliere ed elaborare database complessi e ben nutriti; questa sconfinata disponibilità non può che essere un terreno più che fertile per manipolazioni e distorsioni. Come difendersi? Leggendo questo libro e libri come questo, e sforzandosi costantemente di sviluppare il senso critico rispetto alla valanga continua di nozioni che ci circondano e che non vanno subite in modo passivo, ma correttamente affrontate e metabolizzate, perché, parafrasando quello che lo stesso autore scrive, così come ci preoccupiamo di quello che immettiamo nel nostro corpo sotto forma di cibo, allo stesso modo dovremmo preoccuparci di quanto facciamo entrare nella nostra mente.
Pandemie nella letteratura italiana
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
C1V Edizioni, 2021
pp. 214, € 15,00
Recensione di Luca Menichelli
In questo periodo funestato dalla pandemia causata dal SARS-Cov-2 il mondo editoriale produce molti libri sul tema, di diversa tipologia e qualità. Si va dai testi scientifici che analizzano le questioni legate alla pandemia attraverso studi, pubblicazioni e letteratura validata a quelli che abbracciano le più disparate teorie alternative o complottiste, arrivando anche a suggerire metodi di autodiagnosi o autocura. Non è mia intenzione in questa recensione affrontare il discorso “pandemie” dal punto di vista prettamente scientifico e vorrei proporre un libro edito nella collana “Scientia et Litterae” dell’editore C1V, che analizza le pandemie attraverso la letteratura.
Il libro, Pandemie nella letteratura italiana, scritto da Marco Cappadonia Mastrolorenzi, semiologo del testo e docente di letteratura italiana, è un viaggio attraverso i secoli alla ricerca di testimonianze scritte riguardanti le varie pandemie che hanno condizionato la nostra storia. Il narratore prende le sembianze di uno speleologo che affronta la caverna del tempo e qui incontra opere letterarie che parlano di tisi, colera, peste, influenza spagnola, in un mondo senza cure e vaccini, fino ad arrivare ai giorni nostri, in tempi di SARS, MERS e COVID. Perché il libro di Mastrolorenzi è una lettura interessante? Innanzitutto, per l’originalità dell’argomento. Ma soprattutto perché riporta all’attenzione capolavori della letteratura che spesso sono poco considerati, e non mi riferisco a classici come I promessi sposi di Manzoni. Le pandemie hanno lasciato cicatrici indelebili ed è anche grazie a queste testimonianze letterarie che ne abbiamo un’idea chiara e dettagliata. La narrazione è scorrevole, non vi sono termini tecnici o che non siano ben spiegati dall’autore; è un libro adatto a tutti i curiosi che desiderano scoprire qualcosa del passato attraverso il nostro patrimonio artistico-letterario.
Quando la scienza dà spettacolo
Alex Rusconi e Silvano Fuso
Carocci Editore, 2020
pp. 236, € 18,00
Recensione di Luca Menichelli
Cosa accade quando un chimico che è anche un divulgatore scientifico e un prestigiatore di successo decidono di mettersi insieme in un’avventura letteraria? Succede una cosa veramente singolare, data l’apparente diversità di approcci che ha, generalmente, chi porta avanti una visione scientifica e chi vede il mondo come arte. «La scienza cerca di comprendere la realtà al di là delle apparenze, l’illusionismo mira a confondere la realtà mostrando cose che non esistono». Ma siamo veramente sicuri che il mondo della scienza e quello dell’illusionismo siano così differenti? Opere come quella che è oggetto della nostra recensione sono utili per trasmettere un concetto basilare che spesso sfugge: le leggi della scienza regolano tutto. Se si analizza la questione, che cos’è un effetto magico se non l’applicazione di metodi basati su principi scientifici che lo rendono realizzabile? L’illusionista Alex Rusconi, coautore di questo testo con il docente di chimica Silvano Fuso, si era già cimentato in un sodalizio scientifico-artistico con il chimico Luigi Garlaschelli, col quale aveva scritto Magia chimica. In questo caso, l’approccio è molto diverso. Non ci sono descrizioni di metodi o pozioni alchemiche come nel precedente libro, ma una sorta di viaggio storico nell’illusionismo attraverso l’applicazione della scienza. Quindi non aspettatevi spiegazioni di trucchi ed effetti per giungere a un esperimento, ma non manca il materiale per parlare di “scienza dilettevole”. Si va dalle illusioni percettive alla psicologia dell’illusionismo, attraverso un viaggio che non tralascia il mondo del cinema, che possiamo considerare l’apoteosi del connubio tra scienza e magia. Una parte importante è dedicata ai grandi illusionisti del passato. La narrazione è scorrevole grazie ai molti aneddoti e curiosità, segno di una grande conoscenza dell’argomento da parte degli autori. Il libro non presenta particolari difficoltà anche per chi è a digiuno sia di concetti scientifici che prestigiatori. La prefazione di Raul Cremona aggiunge un tocco in più a un libro che già di per sé merita di essere letto.
Creators - The past
Regia: Piergiuseppe Zaia
Italia, 2019
Principali interpreti:
William Shatner, Gérard Depardieu, Bruce Payne
Recensione di Maria Rosa Pagni
Alla fine del 2012 otto entità aliene che governano l’universo, i Creatori, si radunano in occasione di un importante allineamento planetario che avrà notevoli conseguenze su tutto il cosmo. Essi possiedono otto artefatti di grande potere, le lens, che racchiudono in sé i segreti del DNA.
Uno degli otto Creatori, però, non si presenta e si reca sulla Terra, dove nasconde la propria lens, grazie alla quale ha dato vita al genere umano. Gli altri Creatori, pertanto, cercano di ritrovare entrambi e mettono in atto le loro strategie per favorire i propri interessi personali.
Un film di fantascienza italiano, realizzato con ampio dispiego di mezzi e, a quanto dice la locandina, vincitore di numerosi premi, tanto da poter essere paragonato alle grandi produzioni d’oltreoceano, suscita aspettative e curiosità già da prima della sua uscita in sala (ritardata a causa delle limitazioni dovute alla Covid-19).
Già dalle prime immagini si capisce che il tema verte sui paleoastronauti (vedi Query n. 36) e che, più che di un film di fantascienza, si tratta di un fantasy. Visivamente è molto affascinante, gli effetti speciali sono di buona fattura, le scenografie sono molto belle e i costumi sontuosi. La scelta di ambientare molte scene in Italia, in città come Venezia, ma anche in località meno famose, è azzeccatissima.
Per il resto, però, la trama è molto debole e confusa, le necessarie spiegazioni del contesto e della situazione sono limitatissime e carenti, ci sono numerosi buchi narrativi e troppe ingenuità, i tanti personaggi (che potrebbero dare il via a un racconto corale davvero notevole) sono appena abbozzati e molto superficiali, i dialoghi scadenti, i momenti di climax soffocati da una musica troppo invadente e pomposa e il finale è tronco. La scusa di aver progettato il film perché sia il primo di una trilogia, per cui tante cose verranno approfondite in seguito, non giustifica un simile disastro. Non siamo davanti al primo episodio di una serie, ma a un trailer di un’ora e mezza o forse a un mastodontico spot per le fantasiose teorie e traduzioni di Mauro Biglino, che compare in un cameo nel ruolo di sé stesso.
A pensare male si fa peccato, dice un vecchio adagio, però rimane il timore che, proprio grazie alla consacrazione di questo film, il pubblico possa ritenere più autorevoli le affermazioni di Biglino e persino pensare che abbiano una qualche validità scientifica. Si può solo dubitare che gli spettatori di un film così disorganico riescano davvero a comprendere qualcosa di queste teorie ufologiche.