Maria Domenica Lazzeri, nota anche come la “Beata Meneghina”, nacque il 16 marzo 1815 a Capriana, un piccolo paese della Val di Fiemme, in Trentino. Dopo una giovinezza vissuta in maniera particolarmente ritirata e nella devota lettura delle Sacre Scritture, a partire dal 1832 la sua salute cominciò a peggiorare fino a costringerla immobile a letto dove visse per quattordici anni senza assumere né cibo né bevande, a eccezione dell’Eucaristia che le veniva somministrata con frequenza settimanale. A partire dal 1834 comparvero sulla fronte, sulle mani, sui piedi e sul costato delle stimmate che sanguinavano tutti i venerdì. Morì a 33 anni il 4 aprile 1848 in fama di santità. Di Maria Domenica Lazzeri furono note le facoltà dell’ubiquità, della telepatia, della preveggenza, della xenoglossia (conoscenza di lingue mai studiate) nonché la capacità di sentire, stando nel proprio letto, ciò che veniva detto altrove.
Nel 1988 è sorta nel suo paese natìo l’associazione “Amici della Meneghina”[1] allo scopo di postularne la causa di beatificazione. Tale sodalizio ha curato anche la ristampa della prima biografia di Maria Domenica Lazzeri [2], scritta da don Simone Sommavilla (1867 - 1948), curato di Capriana dal 1904 al 1926.
Queste brevi note, lungi dal voler trattare il fenomeno religioso della cosiddetta stimmatizzazione [3], vogliono limitarsi a un esame critico dello scritto del Sommavilla, l’attenta lettura del quale mostra una strana serie di incongruenze, di contraddizioni e di interpretazioni ingenuamente miracolistiche di episodi attinenti la vita della “Meneghina”. Allo scopo di facilitare la valutazione dei brani di testo esaminati, gli stessi sono stati spesso riportati letteralmente seguiti, tra parentesi, dal numero della pagina della ristampa del volumetto nel quale essi compaiono.
Sommavilla, nel proprio scritto, molto insiste sulla povertà della famiglia: «Il padre esercitava la professione del mugnaio, dalla quale, insieme ai prodotti di pochi stabili che possedeva, ritraeva il necessario sostentamento per la sua famiglia» (pag. 13). Maria Domenica Lazzeri, scrive ancora il Sommavilla, «di povera famiglia, povera volle vivere, rifiutando qualunque offerta fatta da tanti ricchi suoi visitatori: raccomandava ai suoi genitori la rassegnazione...» (pag. 88). Appare però un po’ strano che una persona che nel Trentino rurale del XIX secolo esercitava la professione di mugnaio ed era inoltre possessore di immobili potesse venir annoverato nella categoria dei poveri.
Il tema della povertà della famiglia viene rimarcato anche da devoti visitatori della Meneghina come Edmondo Cazalès, francese, il quale scrive che «malgrado la grande povertà in cui versano i suoi genitori e nonostante le mie insistenze, mi fu impossibile il farle accettare una elemosina» (pag. 43) mentre in una lettera al giornale inglese Morning Herald, scritta nell’ambito della polemica tra cattolici e protestanti in merito alla veridicità degli stupefacenti fenomeni attribuiti a Maria Domenica Lazzeri, Lord Schrewsburg dichiara che «la casa di Domenica Lazzeri è abitata dalla malata e da sua madre, né l’una né l’altra, vogliono sotto nessun pretesto ricevere del denaro o dei presenti da parte dei visitatori...» (pag. 59) e ancora, in una relazione lasciata da un tal Ernesto de Moy, professore di Diritto all’Università di Monaco, si legge: «Non ho mai veduto un soggiorno così miserabile; tutta l’abitazione si compone: a) di una cucina senza caminata, ove si è soffocati dal fumo e che serve di anticamera agli stranieri, che vengono a visitare la malata; b) di una camera con una sola finestra, ove si trova la paziente medesima; c) di una piccola stanzuccia senza luce e senza focolare, dove dorme la madre vecchia di settanta anni». (pag. 71). Pure il de Moy afferma che «abbiamo provato inutilmente a fare accettare in ricambio (delle consuete immagini sacre che Maria Domenica Lazzeri regalava ai suoi visitatori, n.d.r.) dalla povera vecchia una elemosina, della quale pareva avesse il più grande bisogno» (pag. 76-77). Tuttavia proprio Ernesto de Moy ricorda che nel corso della sua visita venne accompagnato a Capriana da un giovane medico il quale, unitamente ai propri genitori, risultava essere il principale benefattore della famiglia Lazzeri. Quindi non pare proprio essere vero che il nucleo familiare della Meneghina non godesse di aiuti!
Inoltre, citando le capacità di preveggenza della stimmatizzata, il Sommavilla ricorda come ella «più volte disse alla domestica di pulire la casa, perché il giorno dopo sarebbero arrivati distinsti (sic) personaggi, come in realtà accadeva» (pag. 94). Appare evidente l’incongruenza tra la presunta, estrema povertà della sua famiglia e l’esistenza in casa di una domestica. Ancora il Sommavilla scrive che: «Quando per cause qualsiansi è stanca e oppressa invoca il movimento d’aria, che si effettua artificialmente dai suoi attinenti col mezzo di un ventaglio...» (pag. 31-32), dove il termine arcaico “attinenti” indica persone legate ad altre da vincoli di parentela, di affinità o di amicizia. Di conseguenza non è del tutto vera nemmeno la notizia di una Maria Domenica Lazzeri che vive in solitudine con la madre. Anche monsignor Polding, arcivescovo di Sydney, in una lettera scritta a Lord Schrewsburg cita la presenza in casa di Maria Domenica Lazzeri di una sorella della stessa e ancora un altro devoto visitatore, il già citato Ernesto de Moy, ricorda che presso la stimmatizzata si trovava oltre alla madre anche una cugina.
Un’altra serie di curiose incongruenze riguardano la figura paterna della Meneghina. Sommavilla infatti scrive che: «Alla metà di febbraio del 1828, una pneumania la privò del padre» (pag. 16), tuttavia qualche pagina più avanti l’autore riporta la testimonianza del medico che curò la Lazzeri secondo la quale: «Il 29 aprile (1834 n.d.r.) i suoi genitori, intimoriti dall’ostinazione e dalla violenza della malattia, vennero (così continua il dott. Cloch) a chiamarmi a Cavalese...» (pag. 21). “Genitori” e non “la madre” o “i suoi parenti”, ma com’è possibile, se il padre era morto più di sei anni prima? Più avanti il dottore dichiara ancora che: «La sua famiglia mi aveva assicurato che già da lungo tempo non poteva prendere né cibo, né bevande...» (pag. 25). Ma perché utilizzare il termine “famiglia” se Maria Domenica Lazzeri viveva con la sola madre Margherita Lazzeri? E più avanti nel già citato scritto del Cazalés, il quale si riferisce a una visita fatta nel 1840, si parla ancora una volta in riferimento alla Meneghina dei suoi genitori.
Una delle prime visite mediche alle quali la Meneghina fu sottoposta venne eseguita dal dottor Cloch, medico al quale era stata affidata la condotta della Val di Fiemme. L’esame in parola ebbe inizio alle «tre e mezzo pomeridiane» (pag. 21) del 29 aprile 1834; «L’esame (...) durò circa un’ora» (pag. 23) e, non appena concluso, Maria Domenica Lazzeri ebbe un nuovo attacco caratterizzato da brividi, tremiti e convulsioni. Il dottor Cloch precisa: «Ho veduto coi miei propri occhi, queste convulsioni, non avendo lasciata l’ammalata in tutto il tempo, che fu tormentata: esse durarono dalle quattro di sera fino alle dieci e mezzo e causarono al suo corpo l’aspetto di un cadavere» (pag. 24). Ma com’è possibile che l’attacco abbia avuto inizio alle 16.00 se la visita medica si sarebbe conclusa verso le 16.30? Il dottore prosegue poi: «Il domani, 1 maggio 1834, alle cinque del mattino ritornai da lei...» (pag. 24). Ma il giorno seguente il 29 aprile è il 30 aprile e non il 1 maggio!
La comparsa delle stimmate è esposta con dovizia di particolari dal Sommavilla, che ne descrive puntigliosamente la localizzazione anatomica «Al contorno superiore della fronte (...) al dorso delle mani e (...) nelle palme (...) al dorso e alla faccia plantare dei piedi e alla regione superiore delle coste spurie del torace sinistro» (pag. 28), tuttavia nella relazione del dottor Cloch, divenuto intanto direttore e medico primario dell’Ospedale civico e militare di Trento e del dottor Faes, assistente alla cattedra di Storia naturale dell’Università di Padova, redatta in occasione di un’apposita visita compiuta il 15 agosto 1845 è scritto testualmente che «Non abbiamo potuto esaminare il costato ed i piedi, perché lo vietava, non che altro, la scrupolosa decenza della donna inferma» (pag. 34) ed essi dovettero quindi limitarsi a prendere atto delle dichiarazioni di Maria Domenica Lazzeri circa l’esistenza delle piaghe anche in tali punti del corpo e del loro sanguinamento. Tutto ciò è molto strano perché invece la Meneghina un pudore così spinto non mostrava nei confronti di altri visitatori maggiormente devoti e certamente meno preparati scientificamente, ai quali dava modo di osservare come il sangue che usciva dalle ulcere presenti sui piedi mentre ella era sdraiata a letto miracolosamente non scendesse lungo il dorso del piede, ma risalisse invece verso le dita. Ecco quindi che il 25 settembre 1840 il Cazalès può visitare la fanciulla e scrivere che «i suoi piedi, che ci permisero di vedere, erano posti l’uno sopra l’altro e presentavano superiormente una piaga simile a quella delle mani; qui si deve notare una circostanza del tutto singolare: il sangue cioè scorreva verso le dita, caso contrario alle leggi ordinarie della gravità» (pag. 42). Il 21 maggio 1841 fu la volta di Lord Schrewsburg visitare la stimmatizzata così da poter scrivere in una successiva relazione che «alle nostre domande il sacerdote pregò la madre di Domenica a volerci scoprire i piedi, ciò che ella fece, ma non senza una visibile viva ripugnanza. Il sangue dei piedi in luogo di seguire il suo corso naturale, vedemmo con meraviglia scorrere verso le dita dei piedi. Avevamo già udito parlare di questo fatto, ma fummo ben lieti di poterlo constatare coi nostri occhi» (pag. 54). Pure l’arcivescovo di Sydney con il proprio seguito di ecclesiastici ebbe modo di vedere le famose stimmate dei piedi e le tracce di sangue «in direzione ascendente» (pag. 69) anche se «esse non sanguinavano (questo era un giovedì)» (pag. 69). Naturalmente anche Ernesto de Moy ebbe modo di vedere i piedi della stimmatizzata che parevano perforati ed «erano insanguinati, ma ciò che ci sorprese fu il vedere, che il sangue invece, che scorrere verso la noce del piede, ascendeva fin sulle dita e da queste scendeva sulla pianta del piede» (pag. 76).
Il dottor Cloch e il dottor Faes però non fanno alcuna menzione di riguardo a questo fatto prodigioso, e a quanto pare anche piuttosto noto, osservando invece che, limitatamente alle ulcere sulle mani che hanno potuto esaminare, «il sangue che scola dalle piaghe sul dorso delle mani e sulla parte corrispondente degli avambracci discende per lo spazio di mezzo piede e la striscia che segna ha la larghezza di un pollice o in quel torno» (pag. 34). Evidentemente bisogna concludere che la miracolosa violazione delle leggi della Fisica riguardava solamente le stimmate presenti sui piedi.
In occasione delle visite, Maria Domenica Lazzeri era solita congedare i visitatori regalando loro delle immagini sacre che venivano conservate in «una vecchia cassa coperta» (pag. 72).
L’arcivescovo di Sydney scrive di essere rimasto molto colpito dall’aver ricevuto in dono l’immaginetta di un santo che non solo era il proprio santo patrono ma apparteneva pure al suo stesso ordine ecclesiastico: il benedettino S. Wolfango. L’arcivescovo si dichiara esplicitamente stupito di ciò in quanto il suo nome di battesimo sarebbe stato del tutto sconosciuto alla stimmatizzata, egli tuttavia annota curiosamente la maldestria della sorella di Maria Domenica, che non riusciva a trovare immediatamente il santino in parola, e che suscitò in quest’ultima un’impazienza, pare di leggere tra le righe, non del tutto consona alla sua fama di santità.
Un caso simile è raccontato più oltre nel libretto dove si narra di due gendarmi provenienti da Cavalese che a Capriana capitarono nell’osteria di un tal Uldarico Lazzeri, quest’ultimo di fronte al loro scetticismo circa i fatti meravigliosi che si narravano attorno alla stimmatizzata, li sfidò a farle visita per farsi donare ciascuno un’immagine del santo del loro nome, senza proferire parola alcuna con la caprianese. Il fatto effettivamente sarebbe avvenuto così come anticipato dal taverniere, con grande stupore dei due tutori dell’ordine, tuttavia va notato come la visita, su espresso invito del loro sfidante, ebbe luogo anche in questo caso non immediatamente ma bensì solo la mattina del giorno successivo! Si tratta quindi di una prova a dir poco debole delle presunte capacità di telepatia della Lazzeri.
Non sempre però il fenomeno aveva luogo, il già citato Lord Schrewsburg nella relazione sulla sua visita dichiara di aver chiesto in dono delle immagini sacre, dopodiché «il buon sacerdote ne prese alcune da un baule, le lasciò scegliere da lei medesima: la paziente prese le immagini fra il pollice e l’indice della mano, le baciò con fervore e poi ce le diede senza disgiunger le mani» (pag. 54), il pio visitatore, che non manca di rimarcare la santità della stimmatizzata e la soprannaturalità dei fenomeni che ebbe modo di osservare, nessuna menzione fa circa la concordanza tra i personaggi effigiati sui santini e il proprio nome, ed è da credere che se tale coincidenza si fosse presentata egli non l’avrebbe assolutamente taciuta, anzi!
In un non meglio identificato libro su Maria Domenica Lazzeri pubblicato in Francia nel 1846, viene riportato l’episodio di un sacerdote tedesco il quale «afferma che Maria Domenica Lazzeri gli ha parlato più di cinque minuti in vera lingua tedesca, lingua che ella non aveva mai imparato» (pag. 94). Va tuttavia ricordato come il confine linguistico tra l’area italianofona e quella tedescofona corra a pochi chilometri da Capriana, tant’è che il comune confinante di Anterivo/Altrei fa attualmente parte della Provincia Autonoma di Bolzano e la popolazione parla tedesco. Strano assai quindi che una caprianese fosse assolutamente digiuna dell’idioma tedesco. Riguardo ai rapporti tra Capriana e Anterivo/Altrei vedi anche quanto scritto più oltre nel successivo paragrafo sulla preveggenza.
Nel libretto si ricorda come Maria Domenica Lazzeri avesse la capacità di prevedere «come certo uno o più giorni avanti l’arrivo di persone straniere e interamente sconosciute in quelle contrade, che venivano a visitarla» (pag. 94). Tuttavia, dalle relazioni che alcuni di questi devoti visitatori lasciarono, e che in parte sono citate nel libretto in parola, si evince che essi facessero regolarmente tappa a Cavalese, ancor oggi il principale centro abitato della Val di Fiemme, distante una quindicina di chilometri da Capriana, per poi raggiungere nei giorni seguenti quest’ultimo paese. «Bisogna montare a cavallo per salire il sentiero lungo e stretto che mena al piccolo villaggio di Capriana» (pag. 51), scrive Lord Schrewsburg, il quale per descrivere il tragitto tra Cavalese e Capriana utilizza gli aggettivi “lungo”, “difficoltoso”, “pericoloso” e “penoso”. Nulla di più facile che la notizia dell’arrivo a Cavalese di qualche importante personaggio straniero, desideroso di incontrare la stimmatizzata di Capriana, giungesse al paese di quest’ultima prima del visitatore stesso, magari anche volutamente, cosìcché si potesse organizzare un’adeguata accoglienza. Non va poi scordato che molte visite avevano luogo di venerdì, il giorno nel quale le stimmate grondavano sangue, e di conseguenza i visitatori attendevano certamente a Cavalese, abitato ben più accogliente di Capriana, tale giorno della settimana prima di affrontare il cammino verso il paese della stimmatizzata dove si sarebbero trattenuti solo poche ore.
Tra le prove della preveggenza viene ricordata anche la predizione che Maria Domenica Lazzeri avrebbe fatto secondo la quale Capriana dopo la sua morte sarebbe stata colpita da molte sciagure tra le quali la distruzione della chiesa a causa di un incendio e la sua successiva ricostruzione a opera di un sacerdote originario della valle. In effetti il 2 agosto 1861 Capriana fu preda di un incendio che distrusse anche la chiesa oltre a molte case. L’edificio sacro venne prontamente ricostruito e la benedizione della nuova costruzione, che fu eretta per opera di don Gioele Simeoni di Cembra, ebbe luogo il 17 novembre 1869. Impressionante, senonché va ricordato che nei secoli scorsi gli incendi erano un pericolo sempre in agguato nei paesi trentini, nei quali gran parte delle case era costruita in legno mentre illuminazione e riscaldamento venivano assicurati dal fuoco. Prevedere lo scoppio di un incendio, anche disastroso, non costituiva quindi una prova di grandi capacità divinatorie. Anche individuare un sacerdote di valle alla testa dell’opera di ricostruzione della chiesa non rappresenta una grande profezia in un’epoca nella quale la grande abbondanza di persone che abbracciavano la carriera religiosa e la forte compartimentazione del territorio trentino rendeva facile che a un prete venisse affidata una parrocchia della propria valle. Volendo poi cavillare si potrebbe osservare che la presunta profezia non è totalmente rispettata in quanto Capriana appartiene alla Val di Fiemme mentre Cembra, paese di origine di Don Simeoni, alla Val di Cembra, per quanto le due vallate rappresentino l’una la continuazione dell’altra.
Un’altra prova sarebbe stata la previsione che un tal Giovanni Zwerger di Anterivo/Altrei avrebbe indossato l’abito talare. La sorella di quest’ultimo andò infatti in visita dalla stimmatizzata per sapere se il fratello avrebbe potuto coronare il proprio desiderio di divenire sacerdote, ricevette una risposta positiva e, in effetti, Giovanni Zwerger non solamente fu ordinato sacerdote ma divenne anche vescovo di Graz! Anche in questo caso però le prove della capacità di chiaroveggenza sono a dir poco deboli in quanto la sorella del futuro vescovo si limitò a fermarsi sulla porta della camera della stimmatizzata senza osare esprimere la domanda che la arrovellava, così «la Lazzeri senza proferir parola chinò tre volte il capo e questi segni di affermazione vennero accolti come risposta favorevole al suo desiderio» (pag. 97).
Michele Caldonazzi Naturalista, si occupa principalmente di ricerchefaunistiche e piani digestione di aree protette.
Nel 1988 è sorta nel suo paese natìo l’associazione “Amici della Meneghina”[1] allo scopo di postularne la causa di beatificazione. Tale sodalizio ha curato anche la ristampa della prima biografia di Maria Domenica Lazzeri [2], scritta da don Simone Sommavilla (1867 - 1948), curato di Capriana dal 1904 al 1926.
Queste brevi note, lungi dal voler trattare il fenomeno religioso della cosiddetta stimmatizzazione [3], vogliono limitarsi a un esame critico dello scritto del Sommavilla, l’attenta lettura del quale mostra una strana serie di incongruenze, di contraddizioni e di interpretazioni ingenuamente miracolistiche di episodi attinenti la vita della “Meneghina”. Allo scopo di facilitare la valutazione dei brani di testo esaminati, gli stessi sono stati spesso riportati letteralmente seguiti, tra parentesi, dal numero della pagina della ristampa del volumetto nel quale essi compaiono.
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Presunta povertá della famiglia Lazzeri e solitudine della "Meneghina"
Sommavilla, nel proprio scritto, molto insiste sulla povertà della famiglia: «Il padre esercitava la professione del mugnaio, dalla quale, insieme ai prodotti di pochi stabili che possedeva, ritraeva il necessario sostentamento per la sua famiglia» (pag. 13). Maria Domenica Lazzeri, scrive ancora il Sommavilla, «di povera famiglia, povera volle vivere, rifiutando qualunque offerta fatta da tanti ricchi suoi visitatori: raccomandava ai suoi genitori la rassegnazione...» (pag. 88). Appare però un po’ strano che una persona che nel Trentino rurale del XIX secolo esercitava la professione di mugnaio ed era inoltre possessore di immobili potesse venir annoverato nella categoria dei poveri.
Il tema della povertà della famiglia viene rimarcato anche da devoti visitatori della Meneghina come Edmondo Cazalès, francese, il quale scrive che «malgrado la grande povertà in cui versano i suoi genitori e nonostante le mie insistenze, mi fu impossibile il farle accettare una elemosina» (pag. 43) mentre in una lettera al giornale inglese Morning Herald, scritta nell’ambito della polemica tra cattolici e protestanti in merito alla veridicità degli stupefacenti fenomeni attribuiti a Maria Domenica Lazzeri, Lord Schrewsburg dichiara che «la casa di Domenica Lazzeri è abitata dalla malata e da sua madre, né l’una né l’altra, vogliono sotto nessun pretesto ricevere del denaro o dei presenti da parte dei visitatori...» (pag. 59) e ancora, in una relazione lasciata da un tal Ernesto de Moy, professore di Diritto all’Università di Monaco, si legge: «Non ho mai veduto un soggiorno così miserabile; tutta l’abitazione si compone: a) di una cucina senza caminata, ove si è soffocati dal fumo e che serve di anticamera agli stranieri, che vengono a visitare la malata; b) di una camera con una sola finestra, ove si trova la paziente medesima; c) di una piccola stanzuccia senza luce e senza focolare, dove dorme la madre vecchia di settanta anni». (pag. 71). Pure il de Moy afferma che «abbiamo provato inutilmente a fare accettare in ricambio (delle consuete immagini sacre che Maria Domenica Lazzeri regalava ai suoi visitatori, n.d.r.) dalla povera vecchia una elemosina, della quale pareva avesse il più grande bisogno» (pag. 76-77). Tuttavia proprio Ernesto de Moy ricorda che nel corso della sua visita venne accompagnato a Capriana da un giovane medico il quale, unitamente ai propri genitori, risultava essere il principale benefattore della famiglia Lazzeri. Quindi non pare proprio essere vero che il nucleo familiare della Meneghina non godesse di aiuti!
Inoltre, citando le capacità di preveggenza della stimmatizzata, il Sommavilla ricorda come ella «più volte disse alla domestica di pulire la casa, perché il giorno dopo sarebbero arrivati distinsti (sic) personaggi, come in realtà accadeva» (pag. 94). Appare evidente l’incongruenza tra la presunta, estrema povertà della sua famiglia e l’esistenza in casa di una domestica. Ancora il Sommavilla scrive che: «Quando per cause qualsiansi è stanca e oppressa invoca il movimento d’aria, che si effettua artificialmente dai suoi attinenti col mezzo di un ventaglio...» (pag. 31-32), dove il termine arcaico “attinenti” indica persone legate ad altre da vincoli di parentela, di affinità o di amicizia. Di conseguenza non è del tutto vera nemmeno la notizia di una Maria Domenica Lazzeri che vive in solitudine con la madre. Anche monsignor Polding, arcivescovo di Sydney, in una lettera scritta a Lord Schrewsburg cita la presenza in casa di Maria Domenica Lazzeri di una sorella della stessa e ancora un altro devoto visitatore, il già citato Ernesto de Moy, ricorda che presso la stimmatizzata si trovava oltre alla madre anche una cugina.
Incongruenza sulla data di morte del padre
Un’altra serie di curiose incongruenze riguardano la figura paterna della Meneghina. Sommavilla infatti scrive che: «Alla metà di febbraio del 1828, una pneumania la privò del padre» (pag. 16), tuttavia qualche pagina più avanti l’autore riporta la testimonianza del medico che curò la Lazzeri secondo la quale: «Il 29 aprile (1834 n.d.r.) i suoi genitori, intimoriti dall’ostinazione e dalla violenza della malattia, vennero (così continua il dott. Cloch) a chiamarmi a Cavalese...» (pag. 21). “Genitori” e non “la madre” o “i suoi parenti”, ma com’è possibile, se il padre era morto più di sei anni prima? Più avanti il dottore dichiara ancora che: «La sua famiglia mi aveva assicurato che già da lungo tempo non poteva prendere né cibo, né bevande...» (pag. 25). Ma perché utilizzare il termine “famiglia” se Maria Domenica Lazzeri viveva con la sola madre Margherita Lazzeri? E più avanti nel già citato scritto del Cazalés, il quale si riferisce a una visita fatta nel 1840, si parla ancora una volta in riferimento alla Meneghina dei suoi genitori.
Incongruenze cronologiche nelle testimonianze mediche
Una delle prime visite mediche alle quali la Meneghina fu sottoposta venne eseguita dal dottor Cloch, medico al quale era stata affidata la condotta della Val di Fiemme. L’esame in parola ebbe inizio alle «tre e mezzo pomeridiane» (pag. 21) del 29 aprile 1834; «L’esame (...) durò circa un’ora» (pag. 23) e, non appena concluso, Maria Domenica Lazzeri ebbe un nuovo attacco caratterizzato da brividi, tremiti e convulsioni. Il dottor Cloch precisa: «Ho veduto coi miei propri occhi, queste convulsioni, non avendo lasciata l’ammalata in tutto il tempo, che fu tormentata: esse durarono dalle quattro di sera fino alle dieci e mezzo e causarono al suo corpo l’aspetto di un cadavere» (pag. 24). Ma com’è possibile che l’attacco abbia avuto inizio alle 16.00 se la visita medica si sarebbe conclusa verso le 16.30? Il dottore prosegue poi: «Il domani, 1 maggio 1834, alle cinque del mattino ritornai da lei...» (pag. 24). Ma il giorno seguente il 29 aprile è il 30 aprile e non il 1 maggio!
Incongruenza relativa alle stimmate
La comparsa delle stimmate è esposta con dovizia di particolari dal Sommavilla, che ne descrive puntigliosamente la localizzazione anatomica «Al contorno superiore della fronte (...) al dorso delle mani e (...) nelle palme (...) al dorso e alla faccia plantare dei piedi e alla regione superiore delle coste spurie del torace sinistro» (pag. 28), tuttavia nella relazione del dottor Cloch, divenuto intanto direttore e medico primario dell’Ospedale civico e militare di Trento e del dottor Faes, assistente alla cattedra di Storia naturale dell’Università di Padova, redatta in occasione di un’apposita visita compiuta il 15 agosto 1845 è scritto testualmente che «Non abbiamo potuto esaminare il costato ed i piedi, perché lo vietava, non che altro, la scrupolosa decenza della donna inferma» (pag. 34) ed essi dovettero quindi limitarsi a prendere atto delle dichiarazioni di Maria Domenica Lazzeri circa l’esistenza delle piaghe anche in tali punti del corpo e del loro sanguinamento. Tutto ciò è molto strano perché invece la Meneghina un pudore così spinto non mostrava nei confronti di altri visitatori maggiormente devoti e certamente meno preparati scientificamente, ai quali dava modo di osservare come il sangue che usciva dalle ulcere presenti sui piedi mentre ella era sdraiata a letto miracolosamente non scendesse lungo il dorso del piede, ma risalisse invece verso le dita. Ecco quindi che il 25 settembre 1840 il Cazalès può visitare la fanciulla e scrivere che «i suoi piedi, che ci permisero di vedere, erano posti l’uno sopra l’altro e presentavano superiormente una piaga simile a quella delle mani; qui si deve notare una circostanza del tutto singolare: il sangue cioè scorreva verso le dita, caso contrario alle leggi ordinarie della gravità» (pag. 42). Il 21 maggio 1841 fu la volta di Lord Schrewsburg visitare la stimmatizzata così da poter scrivere in una successiva relazione che «alle nostre domande il sacerdote pregò la madre di Domenica a volerci scoprire i piedi, ciò che ella fece, ma non senza una visibile viva ripugnanza. Il sangue dei piedi in luogo di seguire il suo corso naturale, vedemmo con meraviglia scorrere verso le dita dei piedi. Avevamo già udito parlare di questo fatto, ma fummo ben lieti di poterlo constatare coi nostri occhi» (pag. 54). Pure l’arcivescovo di Sydney con il proprio seguito di ecclesiastici ebbe modo di vedere le famose stimmate dei piedi e le tracce di sangue «in direzione ascendente» (pag. 69) anche se «esse non sanguinavano (questo era un giovedì)» (pag. 69). Naturalmente anche Ernesto de Moy ebbe modo di vedere i piedi della stimmatizzata che parevano perforati ed «erano insanguinati, ma ciò che ci sorprese fu il vedere, che il sangue invece, che scorrere verso la noce del piede, ascendeva fin sulle dita e da queste scendeva sulla pianta del piede» (pag. 76).
Il dottor Cloch e il dottor Faes però non fanno alcuna menzione di riguardo a questo fatto prodigioso, e a quanto pare anche piuttosto noto, osservando invece che, limitatamente alle ulcere sulle mani che hanno potuto esaminare, «il sangue che scola dalle piaghe sul dorso delle mani e sulla parte corrispondente degli avambracci discende per lo spazio di mezzo piede e la striscia che segna ha la larghezza di un pollice o in quel torno» (pag. 34). Evidentemente bisogna concludere che la miracolosa violazione delle leggi della Fisica riguardava solamente le stimmate presenti sui piedi.
Telepatia
In occasione delle visite, Maria Domenica Lazzeri era solita congedare i visitatori regalando loro delle immagini sacre che venivano conservate in «una vecchia cassa coperta» (pag. 72).
L’arcivescovo di Sydney scrive di essere rimasto molto colpito dall’aver ricevuto in dono l’immaginetta di un santo che non solo era il proprio santo patrono ma apparteneva pure al suo stesso ordine ecclesiastico: il benedettino S. Wolfango. L’arcivescovo si dichiara esplicitamente stupito di ciò in quanto il suo nome di battesimo sarebbe stato del tutto sconosciuto alla stimmatizzata, egli tuttavia annota curiosamente la maldestria della sorella di Maria Domenica, che non riusciva a trovare immediatamente il santino in parola, e che suscitò in quest’ultima un’impazienza, pare di leggere tra le righe, non del tutto consona alla sua fama di santità.
Un caso simile è raccontato più oltre nel libretto dove si narra di due gendarmi provenienti da Cavalese che a Capriana capitarono nell’osteria di un tal Uldarico Lazzeri, quest’ultimo di fronte al loro scetticismo circa i fatti meravigliosi che si narravano attorno alla stimmatizzata, li sfidò a farle visita per farsi donare ciascuno un’immagine del santo del loro nome, senza proferire parola alcuna con la caprianese. Il fatto effettivamente sarebbe avvenuto così come anticipato dal taverniere, con grande stupore dei due tutori dell’ordine, tuttavia va notato come la visita, su espresso invito del loro sfidante, ebbe luogo anche in questo caso non immediatamente ma bensì solo la mattina del giorno successivo! Si tratta quindi di una prova a dir poco debole delle presunte capacità di telepatia della Lazzeri.
Non sempre però il fenomeno aveva luogo, il già citato Lord Schrewsburg nella relazione sulla sua visita dichiara di aver chiesto in dono delle immagini sacre, dopodiché «il buon sacerdote ne prese alcune da un baule, le lasciò scegliere da lei medesima: la paziente prese le immagini fra il pollice e l’indice della mano, le baciò con fervore e poi ce le diede senza disgiunger le mani» (pag. 54), il pio visitatore, che non manca di rimarcare la santità della stimmatizzata e la soprannaturalità dei fenomeni che ebbe modo di osservare, nessuna menzione fa circa la concordanza tra i personaggi effigiati sui santini e il proprio nome, ed è da credere che se tale coincidenza si fosse presentata egli non l’avrebbe assolutamente taciuta, anzi!
Xenoglossia
In un non meglio identificato libro su Maria Domenica Lazzeri pubblicato in Francia nel 1846, viene riportato l’episodio di un sacerdote tedesco il quale «afferma che Maria Domenica Lazzeri gli ha parlato più di cinque minuti in vera lingua tedesca, lingua che ella non aveva mai imparato» (pag. 94). Va tuttavia ricordato come il confine linguistico tra l’area italianofona e quella tedescofona corra a pochi chilometri da Capriana, tant’è che il comune confinante di Anterivo/Altrei fa attualmente parte della Provincia Autonoma di Bolzano e la popolazione parla tedesco. Strano assai quindi che una caprianese fosse assolutamente digiuna dell’idioma tedesco. Riguardo ai rapporti tra Capriana e Anterivo/Altrei vedi anche quanto scritto più oltre nel successivo paragrafo sulla preveggenza.
Preveggenza
Nel libretto si ricorda come Maria Domenica Lazzeri avesse la capacità di prevedere «come certo uno o più giorni avanti l’arrivo di persone straniere e interamente sconosciute in quelle contrade, che venivano a visitarla» (pag. 94). Tuttavia, dalle relazioni che alcuni di questi devoti visitatori lasciarono, e che in parte sono citate nel libretto in parola, si evince che essi facessero regolarmente tappa a Cavalese, ancor oggi il principale centro abitato della Val di Fiemme, distante una quindicina di chilometri da Capriana, per poi raggiungere nei giorni seguenti quest’ultimo paese. «Bisogna montare a cavallo per salire il sentiero lungo e stretto che mena al piccolo villaggio di Capriana» (pag. 51), scrive Lord Schrewsburg, il quale per descrivere il tragitto tra Cavalese e Capriana utilizza gli aggettivi “lungo”, “difficoltoso”, “pericoloso” e “penoso”. Nulla di più facile che la notizia dell’arrivo a Cavalese di qualche importante personaggio straniero, desideroso di incontrare la stimmatizzata di Capriana, giungesse al paese di quest’ultima prima del visitatore stesso, magari anche volutamente, cosìcché si potesse organizzare un’adeguata accoglienza. Non va poi scordato che molte visite avevano luogo di venerdì, il giorno nel quale le stimmate grondavano sangue, e di conseguenza i visitatori attendevano certamente a Cavalese, abitato ben più accogliente di Capriana, tale giorno della settimana prima di affrontare il cammino verso il paese della stimmatizzata dove si sarebbero trattenuti solo poche ore.
Tra le prove della preveggenza viene ricordata anche la predizione che Maria Domenica Lazzeri avrebbe fatto secondo la quale Capriana dopo la sua morte sarebbe stata colpita da molte sciagure tra le quali la distruzione della chiesa a causa di un incendio e la sua successiva ricostruzione a opera di un sacerdote originario della valle. In effetti il 2 agosto 1861 Capriana fu preda di un incendio che distrusse anche la chiesa oltre a molte case. L’edificio sacro venne prontamente ricostruito e la benedizione della nuova costruzione, che fu eretta per opera di don Gioele Simeoni di Cembra, ebbe luogo il 17 novembre 1869. Impressionante, senonché va ricordato che nei secoli scorsi gli incendi erano un pericolo sempre in agguato nei paesi trentini, nei quali gran parte delle case era costruita in legno mentre illuminazione e riscaldamento venivano assicurati dal fuoco. Prevedere lo scoppio di un incendio, anche disastroso, non costituiva quindi una prova di grandi capacità divinatorie. Anche individuare un sacerdote di valle alla testa dell’opera di ricostruzione della chiesa non rappresenta una grande profezia in un’epoca nella quale la grande abbondanza di persone che abbracciavano la carriera religiosa e la forte compartimentazione del territorio trentino rendeva facile che a un prete venisse affidata una parrocchia della propria valle. Volendo poi cavillare si potrebbe osservare che la presunta profezia non è totalmente rispettata in quanto Capriana appartiene alla Val di Fiemme mentre Cembra, paese di origine di Don Simeoni, alla Val di Cembra, per quanto le due vallate rappresentino l’una la continuazione dell’altra.
Un’altra prova sarebbe stata la previsione che un tal Giovanni Zwerger di Anterivo/Altrei avrebbe indossato l’abito talare. La sorella di quest’ultimo andò infatti in visita dalla stimmatizzata per sapere se il fratello avrebbe potuto coronare il proprio desiderio di divenire sacerdote, ricevette una risposta positiva e, in effetti, Giovanni Zwerger non solamente fu ordinato sacerdote ma divenne anche vescovo di Graz! Anche in questo caso però le prove della capacità di chiaroveggenza sono a dir poco deboli in quanto la sorella del futuro vescovo si limitò a fermarsi sulla porta della camera della stimmatizzata senza osare esprimere la domanda che la arrovellava, così «la Lazzeri senza proferir parola chinò tre volte il capo e questi segni di affermazione vennero accolti come risposta favorevole al suo desiderio» (pag. 97).
Conclusioni
La conclusione forse più adeguata, ma certamente più sintetica, che si può proporre per questa vicenda può essere affidata al famoso aforisma di Arthur Schopenhauer: «o si pensa o si crede».Note
2) Sommavilla S. (1927), Notizie storiche intorno a Maria Domenica Lazzeri o l’Addolorata di Capriana in Fiemme esposte dal sacerdote Simone Sommavilla, Trento: Scuola Tipografica Artigianelli. Ristampa anastatica a cura dell’Associazione “Amici della Meneghina”, Capriana, dicembre 2003.
3) De Vincentiis A. (1999), Estasi, stimmate e altri fenomeni mistici, Roma: Avverbi Edizioni.
Michele Caldonazzi Naturalista, si occupa principalmente di ricerchefaunistiche e piani digestione di aree protette.