Le prime esperienze di Guglielmo Marconi nelle realizzazione di oscillatori e antenne in grado di trasmettere a grande distanza un segnale radio risalgono, come è noto, alla fine dell'ottocento. Egli riuscì tra settembre e dicembre del 1895 a trasmettere alcuni segnali Morse (lettera S) dalla villa paterna a Pontecchio a una distanza di circa due chilometri, superando l'ostacolo di una collina, con onde ritenute di lunghezza non superiore a 50 metri. Gli sviluppi della sua invenzione e delle successive sono noti. Altrettanto noto è il fatto che le autorità civili e militari italiane non offrirono a Marconi la possibilità di sviluppare le sue ricerche, al punto che lo studioso dovette rivolgersi agli inglesi per ottenere credito e finanziamenti[1].
Solo successivamente la Marina Italiana si occupò delle ricerche di Marconi, il quale tuttavia non interruppe mai i suoi legami scientifici e commerciali con l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Il regime fascista infine considerò lo scienziato come un esempio di "genio italico" e ne strumentalizzò il nome, fino al punto (assai leggendario) di considerarlo capace di nuove e strepitose invenzioni in ambito bellico.
L'opinione pubblica, comunque, fu certamente più impressionata dalla radio che non dalle contemporanee scoperte dei raggi X o della radioattività, che pure ebbero immediate ed importanti applicazioni pratiche.
Se l'Italia e gli italiani tardarono a riconoscere la reale importanza delle scoperte di Marconi, molto precoce fu l'attribuzione di poteri magici alla nuovo mezzo di comunicazione e alle radioonde.
Gian Franco Venè, nel suo Mille lire al mese, ci racconta che, in Italia, solo negli anni trenta fu incentivato dal regime l'uso della radio. Furono prodotti apparecchi riceventi a basso prezzo, il Radiorurale e il Radiobalilla. Malgrado ciò, rispetto ad altri paesi europei, gli italiani non comperarono molti apparecchi per l'alto prezzo del canone e la radio fu vista sempre come un oggetto un po' misterioso (e forse per molti lo è ancora oggi).
Accanto alla diffusione della radio si diffuse la radioestesia, con modalità che sono comuni ad altri tipi di interpretazione paranormale di fenomeni fisici o di applicazioni tecnologiche e quindi in modo quasi paradigmatico (si pensi alla psicofonia o al dibattito sul geomagnetismo e i nodi di Hartman). È molto interessante in proposito il racconto di Gian Franco Venè e lo riporto[2]:
"In comune con la radiofonia la radioestesia aveva soltanto la radice della parola, ma è verosimile che ci sia stata una bella confusione. Non si spiegano altrimenti i trionfi del pendolino proprio in quell'epoca, né la stramba supposizione dei radioutenti-radioestesisti che il ciondolo magico fosse sensibile alle onde radio a potesse quindi rivelare, sospeso sulla carta d'Europa, le località dalle quali giungevano le voci clandestine. Da principio la pubblicità del "pendolino magico" era ingenuamente cialtrona come quella degli occhiali per vedere al di là delle pareti o del meccanismo per crescere di statura. Compariva su giornali popolari di scarso credito attraverso inserzioni inadeguate alle infinite possibilità del prodotto. Il pendolino andava acquistato per corrispondenza presso un oscuro indirizzo di Torino e questo era il fine sostanziale della pubblicità che, per il resto, divagava sulle "sovrumane capacità sensitive" che solo la radioestesia poteva svegliare. Il pendolino, si assicurava, localizzava persone fuggite di casa, ritrovava oggetti perduti, accertava morti presunte e divinava il sesso dei nascituri.
Del termine radioestesia sul momento non è chiaro il significato. In realtà lo sconosciuto venditore di pendolini aveva puntato tutto sull'analogia fonetica con "radiofonia" e, quando i lettori degli annunci furono ben macerati nell'equivoco, purgò la sua réclame di ogni riferimento alla magia per insistere sulle caratteristiche "tecniche e radiomagnetiche" del pendolino, del quale si elencavano gli elementi essenziali: rame, piombo, acciaio a bachelite. Si raccomandava anche 1' acquisto, sempre per corrispondenza, di un libro d'istruzioni, il Manuale di radioestesia che era un bel volumetto rilegato in tela senza il quale non si potevano decifrare correttamente le risposte del pendolo alle domande rivoltegli mentalmente dal radioestesista. La ricerca delle emittenti clandestine sulla carta d'Europa fu soltanto una, la più occasionale e gratuita, delle applicazioni della radioestesia i cui adepti, sul finire degli anni Trenta, erano senz'altro più numerosi dei possessori di radio. Accolto come un divertimento per maschi adulti (si riteneva che la necessaria concentrazione mentale sfinisse i ragazzi e che le donne non possedessero una sensibilità adeguata), il pendolino diventò il protagonista di interminabili serate fra gruppi ristretti di amici seriamente persuasi che la tecnica avesse finalmente messo a disposizione di qualsiasi persona evoluta, con buoni studi e un impiego decente, poteri fino ad allora esercitati alla carlona dai rabdomanti. I radioestesisti dilettanti non pensavano affatto di appressarsi ai confini della stregoneria. A1 contrario pretendevano di dimostrare che il funzionamento del pendolo era razionale quanto quello della calamita a della radio. Se il gioco non riusciva, preferivano accusarsi di poca destrezza, di non aver studiato abbastanza il manuale, piuttosto che mettere in dubbio l'utilità pratica dell'attrezzo che in effetti, smontabile com'era, non celava misteri. Simile a una ghianda o a una minuscola trottola, il pendolino si svitava a metà, si poteva sgusciare e rivelava il rame, il piombo a la punta aguzza d'acciaio: elementi di una semplicità rassicurante.
Il gioco richiedeva un certo allenamento. Gli amici che vi si dedicavano nascondevano a turno in una stanza un oggetto che il radioestesista doveva ritrovare seguendo la direzione indicata dal pendolo. Se la direzione era quella giusta le oscillazioni aumentavano di frequenza fino al momento in cui, trovandosi al di sopra del mobile dentro il quale c'era 1'oggetto, il pendolino si metteva a girare in senso orario. Era un po' come se degli adulti si mettessero a giocare a "acqua, fuochino e fuoco", ma durante quelle sedute nessuno si permetteva di ridere. L'allenamento, di sera in sera più complicato, era il preludio di interrogativi anche gravi dalle cui risposte pendolanti potevano dipendere stati d'animo e sentimenti Se non i propri, quelli altrui: anche se le istruzioni non lo dicevano con chiarezza, i radioestesisti intuirono che gli umori potevano in qualche modo influenzare i movimenti del pendolino, così molto raramente le ricerche di un oggetto smarrito di valore o di una persona sperdutasi nel continente venivano condotte dal diretto interessato. Questo fu un motivo in più perché i radioestesisti si riunissero in piccoli sodalizi di amici, in modo da potersi scambiare le pene e i favori della radioestesia. Per la ricerca di una persona che non dava notizie di sé occorreva, oltre alla carta geografica o alla pianta della città, una fotografia che il pendolo osservava a lungo prima di dimostrare, col suo moto circolare, di aver afferrato il problema. Anche per fargli presagire il sesso di un nascituro conveniva agevolarlo mostrandogli una fotografia della madre incinta, e lo stesso valeva per appurare la fedeltà di una moglie o la verginità di una fidanzata.
In tutti i casi 1'impegno del radioestesista si notava dall'espressione intensamente concentrata a dal sudore. Come da manuale, 1'operatore era meglio che agisse alla luce di una lampadina schermata, che stesse in piedi serrando il filo di seta del pendolino tra il pollice a 1' indice accostati alla radice del naso a formulasse le domande mentalmente, ad occhi socchiusi, così da intravedere le oscillazioni attraverso le ciglia, spiandole appena. La radice del naso era il miglior punto di comunicazione tra il radioestesista a il pendolo non solo perché di lì scaturiva il pensiero ma anche perché le dita dovevano poggiare contro qualcosa in modo che un occasionale tremore non falsasse le decisioni autonome dell'attrezzo. Da passatempo la radioestesia diventò per alcuni una seconda professione serale, incoraggiata proprio dall'abitudine a fare ricerche nelle quali il ricercatore non fosse interessato al punto da influenzare il pendolino con i propri palpiti. I radioestesisti dilettanti, d'altronde, erano persone insospettabili di pratiche arcane, il più delle volte impiegati nel settore tecnico, diplomati o addirittura laureati in matematica o ingegneria, degni quindi di affidamento. Durante la guerra per 1'impero erano ancora pochi; crebbero, insieme col numero dei radioabbonati, durante la guerra civile di Spagna a si moltiplicarono all'inizio della seconda guerra mondiale: tre occasioni utilissime per applicare il gioco "acqua, fuochino, fuoco" alla ricerca di legionari, volontari in Spagna, soldati che i comandi militari davano per dispersi. Per decenza, i radioestesisti che si imprimevano in un lato oscuro della mente 1'ultima lettera dello scomparso per non farsi cogliere impreparati dal pendolo e che poi gli sottoponevano la fotografia in divisa insieme a interrogativi essenziali: "È ancora vivo?", "È morto?", non accettavano denaro. Se mai ricompense in natura, a questo fu il solo legame ammesso tra i sensitivi colti di città a quelli zingareschi di campagna.
Fin qui l'ottima descrizione di Venè. Aggiungere un commento è superfluo perché la pratica della radioestesia ancora oggi sussiste e ancora oggi si riesce a confondere il legittimo senso di stupore o di smarrimento per le acquisizioni tecnologiche, che dovrebbe stimolare la curiosità e l'indagine, con l'attribuzione di poteri straordinari ed indimostrati alle stesse, accettati acriticamente e semplicisticamente.
Antonio Bellezza Medico, Radioterapista Oncologo
Bibliografia
Solo successivamente la Marina Italiana si occupò delle ricerche di Marconi, il quale tuttavia non interruppe mai i suoi legami scientifici e commerciali con l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Il regime fascista infine considerò lo scienziato come un esempio di "genio italico" e ne strumentalizzò il nome, fino al punto (assai leggendario) di considerarlo capace di nuove e strepitose invenzioni in ambito bellico.
L'opinione pubblica, comunque, fu certamente più impressionata dalla radio che non dalle contemporanee scoperte dei raggi X o della radioattività, che pure ebbero immediate ed importanti applicazioni pratiche.
Se l'Italia e gli italiani tardarono a riconoscere la reale importanza delle scoperte di Marconi, molto precoce fu l'attribuzione di poteri magici alla nuovo mezzo di comunicazione e alle radioonde.
Gian Franco Venè, nel suo Mille lire al mese, ci racconta che, in Italia, solo negli anni trenta fu incentivato dal regime l'uso della radio. Furono prodotti apparecchi riceventi a basso prezzo, il Radiorurale e il Radiobalilla. Malgrado ciò, rispetto ad altri paesi europei, gli italiani non comperarono molti apparecchi per l'alto prezzo del canone e la radio fu vista sempre come un oggetto un po' misterioso (e forse per molti lo è ancora oggi).
Accanto alla diffusione della radio si diffuse la radioestesia, con modalità che sono comuni ad altri tipi di interpretazione paranormale di fenomeni fisici o di applicazioni tecnologiche e quindi in modo quasi paradigmatico (si pensi alla psicofonia o al dibattito sul geomagnetismo e i nodi di Hartman). È molto interessante in proposito il racconto di Gian Franco Venè e lo riporto[2]:
"In comune con la radiofonia la radioestesia aveva soltanto la radice della parola, ma è verosimile che ci sia stata una bella confusione. Non si spiegano altrimenti i trionfi del pendolino proprio in quell'epoca, né la stramba supposizione dei radioutenti-radioestesisti che il ciondolo magico fosse sensibile alle onde radio a potesse quindi rivelare, sospeso sulla carta d'Europa, le località dalle quali giungevano le voci clandestine. Da principio la pubblicità del "pendolino magico" era ingenuamente cialtrona come quella degli occhiali per vedere al di là delle pareti o del meccanismo per crescere di statura. Compariva su giornali popolari di scarso credito attraverso inserzioni inadeguate alle infinite possibilità del prodotto. Il pendolino andava acquistato per corrispondenza presso un oscuro indirizzo di Torino e questo era il fine sostanziale della pubblicità che, per il resto, divagava sulle "sovrumane capacità sensitive" che solo la radioestesia poteva svegliare. Il pendolino, si assicurava, localizzava persone fuggite di casa, ritrovava oggetti perduti, accertava morti presunte e divinava il sesso dei nascituri.
Del termine radioestesia sul momento non è chiaro il significato. In realtà lo sconosciuto venditore di pendolini aveva puntato tutto sull'analogia fonetica con "radiofonia" e, quando i lettori degli annunci furono ben macerati nell'equivoco, purgò la sua réclame di ogni riferimento alla magia per insistere sulle caratteristiche "tecniche e radiomagnetiche" del pendolino, del quale si elencavano gli elementi essenziali: rame, piombo, acciaio a bachelite. Si raccomandava anche 1' acquisto, sempre per corrispondenza, di un libro d'istruzioni, il Manuale di radioestesia che era un bel volumetto rilegato in tela senza il quale non si potevano decifrare correttamente le risposte del pendolo alle domande rivoltegli mentalmente dal radioestesista. La ricerca delle emittenti clandestine sulla carta d'Europa fu soltanto una, la più occasionale e gratuita, delle applicazioni della radioestesia i cui adepti, sul finire degli anni Trenta, erano senz'altro più numerosi dei possessori di radio. Accolto come un divertimento per maschi adulti (si riteneva che la necessaria concentrazione mentale sfinisse i ragazzi e che le donne non possedessero una sensibilità adeguata), il pendolino diventò il protagonista di interminabili serate fra gruppi ristretti di amici seriamente persuasi che la tecnica avesse finalmente messo a disposizione di qualsiasi persona evoluta, con buoni studi e un impiego decente, poteri fino ad allora esercitati alla carlona dai rabdomanti. I radioestesisti dilettanti non pensavano affatto di appressarsi ai confini della stregoneria. A1 contrario pretendevano di dimostrare che il funzionamento del pendolo era razionale quanto quello della calamita a della radio. Se il gioco non riusciva, preferivano accusarsi di poca destrezza, di non aver studiato abbastanza il manuale, piuttosto che mettere in dubbio l'utilità pratica dell'attrezzo che in effetti, smontabile com'era, non celava misteri. Simile a una ghianda o a una minuscola trottola, il pendolino si svitava a metà, si poteva sgusciare e rivelava il rame, il piombo a la punta aguzza d'acciaio: elementi di una semplicità rassicurante.
Il gioco richiedeva un certo allenamento. Gli amici che vi si dedicavano nascondevano a turno in una stanza un oggetto che il radioestesista doveva ritrovare seguendo la direzione indicata dal pendolo. Se la direzione era quella giusta le oscillazioni aumentavano di frequenza fino al momento in cui, trovandosi al di sopra del mobile dentro il quale c'era 1'oggetto, il pendolino si metteva a girare in senso orario. Era un po' come se degli adulti si mettessero a giocare a "acqua, fuochino e fuoco", ma durante quelle sedute nessuno si permetteva di ridere. L'allenamento, di sera in sera più complicato, era il preludio di interrogativi anche gravi dalle cui risposte pendolanti potevano dipendere stati d'animo e sentimenti Se non i propri, quelli altrui: anche se le istruzioni non lo dicevano con chiarezza, i radioestesisti intuirono che gli umori potevano in qualche modo influenzare i movimenti del pendolino, così molto raramente le ricerche di un oggetto smarrito di valore o di una persona sperdutasi nel continente venivano condotte dal diretto interessato. Questo fu un motivo in più perché i radioestesisti si riunissero in piccoli sodalizi di amici, in modo da potersi scambiare le pene e i favori della radioestesia. Per la ricerca di una persona che non dava notizie di sé occorreva, oltre alla carta geografica o alla pianta della città, una fotografia che il pendolo osservava a lungo prima di dimostrare, col suo moto circolare, di aver afferrato il problema. Anche per fargli presagire il sesso di un nascituro conveniva agevolarlo mostrandogli una fotografia della madre incinta, e lo stesso valeva per appurare la fedeltà di una moglie o la verginità di una fidanzata.
In tutti i casi 1'impegno del radioestesista si notava dall'espressione intensamente concentrata a dal sudore. Come da manuale, 1'operatore era meglio che agisse alla luce di una lampadina schermata, che stesse in piedi serrando il filo di seta del pendolino tra il pollice a 1' indice accostati alla radice del naso a formulasse le domande mentalmente, ad occhi socchiusi, così da intravedere le oscillazioni attraverso le ciglia, spiandole appena. La radice del naso era il miglior punto di comunicazione tra il radioestesista a il pendolo non solo perché di lì scaturiva il pensiero ma anche perché le dita dovevano poggiare contro qualcosa in modo che un occasionale tremore non falsasse le decisioni autonome dell'attrezzo. Da passatempo la radioestesia diventò per alcuni una seconda professione serale, incoraggiata proprio dall'abitudine a fare ricerche nelle quali il ricercatore non fosse interessato al punto da influenzare il pendolino con i propri palpiti. I radioestesisti dilettanti, d'altronde, erano persone insospettabili di pratiche arcane, il più delle volte impiegati nel settore tecnico, diplomati o addirittura laureati in matematica o ingegneria, degni quindi di affidamento. Durante la guerra per 1'impero erano ancora pochi; crebbero, insieme col numero dei radioabbonati, durante la guerra civile di Spagna a si moltiplicarono all'inizio della seconda guerra mondiale: tre occasioni utilissime per applicare il gioco "acqua, fuochino, fuoco" alla ricerca di legionari, volontari in Spagna, soldati che i comandi militari davano per dispersi. Per decenza, i radioestesisti che si imprimevano in un lato oscuro della mente 1'ultima lettera dello scomparso per non farsi cogliere impreparati dal pendolo e che poi gli sottoponevano la fotografia in divisa insieme a interrogativi essenziali: "È ancora vivo?", "È morto?", non accettavano denaro. Se mai ricompense in natura, a questo fu il solo legame ammesso tra i sensitivi colti di città a quelli zingareschi di campagna.
Fin qui l'ottima descrizione di Venè. Aggiungere un commento è superfluo perché la pratica della radioestesia ancora oggi sussiste e ancora oggi si riesce a confondere il legittimo senso di stupore o di smarrimento per le acquisizioni tecnologiche, che dovrebbe stimolare la curiosità e l'indagine, con l'attribuzione di poteri straordinari ed indimostrati alle stesse, accettati acriticamente e semplicisticamente.
Antonio Bellezza Medico, Radioterapista Oncologo
Bibliografia
1) Montefinale, Gino. 1991. Mondo senza fili. Faenza: C&C- Edizioni radioelettroniche.
2) Venè, Gianfranco. 1988.Mille lire al mese. Milano: Mondadori.