Il lettore Domenico Dall'Oglio ci scrive chiedendo come mai, in tempi di istruzione di massa, di progresso scientifico e tecnologico, di reti informatiche, di esplorazioni spaziali, di grandi passi nella comprensione della storia dell'universo, gli uomini continuano a credere nella possibilità dei miracoli.
Vero, verissimo. Se è ovvio che i miracoli, oggi come ieri, non sono possibili per il semplice fatto che le leggi della natura non ammettono deroghe, neppure occasionali o intermittenti, altrettanto evidente è il fatto che oggi, né più né meno che nel passato, è viva in molti l'aspettativa per il miracolo, la fiducia che esso, in qualche modo, possa aver luogo. Lo stato di salute, le condizioni economiche, il lavoro sono insoddisfacenti o, peggio ancora, sull'orlo del dramma? Può sempre succedere qualcosa - il miracolo appunto - che a dispetto di ogni ragionevole evidenza in contrario sanerà il male, capovolgerà dalle fondamenta una situazione insostenibile, trasformerà il dolore in felicità. Chi crede nel miracolo ignora, o rifiuta, l'esame razionale dei fatti, le concatenazioni logiche, le relazioni di causa e effetto, rigetta cioè tutta l'attrezzatura mentale che potrebbe far vacillare la fiducia che l'evento miracoloso si verifichi. E tuttavia avverte, seppur confusa, la necessità di giustificarne l'evenienza: la quale si fonda sul fatto che altri miracoli si sono verificati in precedenza o addirittura continuano a verificarsi. Se ad esempio il sangue di un santo, con tanto di crisma e di riconoscimento ufficiale da parte di vescovo e sindaco, si scioglie, perché mai una statuetta non può piangere lacrime o una malattia mortale sparire inspiegabilmente? E ancora, quando le autorità religiose mostrano di esaminare con circospezione i casi di possibili miracoli, e tanti di più ne escludono di quelli che convalidano, non veicolano forse il messaggio che i miracoli veri esistono, e pertanto possono sempre ripetersi?
Malgrado questo sforzo di giustificazione - quasi un timido riaffiorare della razionalità - mai succede che si arrivi a proporre la realtà di miracoli facilmente documentabili come falsi, quali l'improvvisa ricrescita di una parte del corpo, per quanto minuscola (v.S&P29), la rinascita di un organismo vivente che si sia dissolto in polvere, la ricostruzione spontanea di un monumento, diciamo il Colosseo, dalle proprie rovine. Più facile invece convincersi di effetti meno perentori, più sfumati, quali l'aleggiare del profumo di violetta, segno inconfondibile della presenza del santo protettore invocato, o l'apparizione di visioni evanescenti e fuggitive di divinità, eventi questi presenti in tutte le epoche e culture, e nei diversi credi religiosi.
Eppure, se miracolo ha da essere, non dovrebbe far differenza alcuna che esso sia piccolo o grande. Così ironizzava Galileo, per il quale, ovviamente, di miracolo non era mai il caso di parlare. Ad esempio, riferendosi all'argomento di papa Urbano VIII secondo cui Dio può far accadere i fenomeni naturali per cause diverse da quelle cui perviene la ragione umana, a proposito del moto accelerato il grande scienziato osservava: "Io non ho detto, né ardirei dire, che alla natura e a Dio fusse impossibile il conferir quella velocità, che voi dite, immediatamente; ma dirò bene che de facto la natura non lo fa; talché il farlo verrebbe ad esser operazione fuora del corso naturale, e però miracolosa"; e altrove, a proposito della rotazione terrestre, "da una causa una ed uniforme non può non seguire altro che un effetto solo ed uniforme"; o ancora "l'ordine del mondo è un solo, né mai è stato altrimenti: però chi cerca altro che quel solo che è, cerca il falso e l'impossibile"; o infine "ma la natura, Signor mio, si burla delle costituzioni e decreti de i principi, de gli imperatori e de i monarchi, a richiesta de' quali non muterebbe un iota delle leggi e statuti suoi".
La forza miracolosa del miracolo è nella sua capacità di riprodursi nel tempo. Il suo non essere fola o fandonia o illusione o inganno è nella sua nobile indiscussa ascendenza. Il terreno di cui si nutre non è solo, o non è tanto, l'ignoranza o l'irrazionalità intesa come incapacità di ragionare, quanto piuttosto l'oscura percezione del dolore come ineludibile componente della condizione umana e l'incapacità di sostenere tale percezione. Il miracolo quindi come "il varco" di montaliana memoria, che scardina per un attimo le maglie rigide dell'esistenza: non per offrire, tuttavia, un'improvvisa illuminazione, ma per ricondurre al fondo indistinto di un mondo magico primigenio.
Il miracolo la dice lunga sulla natura egoista dell'uomo: chi vi crede e lo invoca lo aspetta quasi sempre come soluzione a un problema personale e ben poco gli importa che esso intervenga a risolvere sventure, per quanto gravi, di carattere sociale o riguardanti individui o paesi remoti. Non si dà mai il caso di miracoli che riguardino una collettività o un popolo intero - ad esempio che si risolva d'incanto il problema della fame o di epidemie in un paese sottosviluppato - né v'è persona che se lo aspetti o che lo invochi.
Di un miracolo, se non la natura, almeno la tipologia varia nel tempo: si può ad esempio oggi giungere a votare un leader politico piuttosto che un altro per una certa propensione a credere nel miracolo, quello di arricchirsi all'improvviso, di diventare senza fatica persona di successo, di poter infrangere ogni sorta di barriere. Degno di nota è il fatto che il miracolismo convive tranquillamente con la scienza e la tecnologia più avanzate, anzi si giova di esse. Basti pensare alla proliferazione nel web delle catene di Sant'Antonio in una grande varietà di tipologie e moderne rivisitazioni, grazie alle quali, standosene comodamente seduti a casa di fronte alla tastiera, si hanno buone possibilità di incassare milioni.
Il miracolo, insomma, non esiste ma vive, è in buona salute, ed è pressoché immortale. D'altronde, non esiste purtroppo possibile dimostrazione dell'inesistenza di ciò che non esiste.
Andrea Frova
Professore di Fisica Generale Università di Roma "La Sapienza"
Mariapiera Marenzana
Docente di lettere, Co-autrice con Andrea Frova di Parola di Galileo (BUR, 1998)